lunedì 18 ottobre 2021

"Regolamento invalido, Nuti sospeso dal M5S illegittimamente": quali effetti della sentenza di Palermo, per vicende di vari simboli fa?

In questo turno elettorale, al di là dell'attenzione attirata dalle persone elette alla carica di sindaco nei vari comuni coinvolti e delle coalizioni che le hanno sostenute, più di un commento è stato dedicato ai risultati del MoVimento 5 Stelle, alla prima prova elettorale importante dopo l'arrivo alla guida di Giuseppe Conte. Se però da più parti si sono analizzati i numeri usciti dalle urne, merita una certa attenzione anche l'esito (temporaneo, riguardando il primo grado) dell'ennesima vicenda contenziosa, legata questa volta a un atto di citazione presentato nel 2017 da Riccardo Nuti, già deputato del M5S (nonché capogruppo alla Camera da luglio a settembre del 2013): una recentissima sentenza del Tribunale civile di Palermo (la decisione risale al 10 giugno, ma è stata pubblicata solo l'11 ottobre) ha infatti dichiarato illegittimi i provvedimenti di sospensione dell'allora parlamentare dal MoVimento emessi nel 2017. Il decisum del giudice non si è però limitato a spiegare i suoi effetti nei confronti di Nuti, "dichiarando" l'invalidità anche del Regolamento del M5S del 2014 e del voto che ha adottato nel 2016 le modifiche al "non statuto" e il nuovo Regolamento: vale la pena di analizzare a fondo la sentenza, anche se a prima vista può sembrare che questa influisca poco o nulla sul MoVimento che opera attualmente. Altra osservazione preliminare: qui i simboli non c'entrano nulla, ma sono utili come "marcatempo" per segnare i vari passaggi nella storia del Movimento (anzi, dei MoVimenti) 5 Stelle.

I fatti alla base del processo

Per cercare di capire la portata della decisione, occorre tornare indietro di alcuni anni. Nuti, tra i primi aderenti (la sua adesione è datata 22 dicembre 2009) al MoVimento 5 Stelle, quando ancora era qualificato come "non associazione" dotata di "non statuto" e non aveva presentato candidature alle elezioni (alle amministrative del 2009 si erano presentate le Liste ciViche a 5 Stelle, ma formalmente si trattava di soggetti giuridici distinti), ma lo avrebbe fatto a partire dall'anno successivo, con il simbolo che conteneva l'indirizzo del sito Beppegrillo.it. In base all'accordo stipulato tra lo stesso Nuti e Beppe Grillo (di identico contenuto rispetto a quello stretto con le altre persone candidate nelle liste del M5S), il futuro deputato si era obbligato a dimettersi dall'eventuale carica in caso di condanna (anche solo) in primo grado, restando una sua facoltà decidere se dimettersi o meno in caso di rinvio a giudizio. 
In tale contesto, nel 2016 - quando ormai il M5S aveva deciso di sostituire il riferimento al sito di Grillo con il nuovo indirizzo Movimento5stelle.it - il Collegio dei probiviri aveva disposto la sospensione cautelare di Nuti dopo che questi era risultato indagato a proposito delle firme (ritenute false) che avevano sostenuto la sua candidatura a sindaco di Palermo nel 2012: per l'organo la scelta dell'allora deputato di avvalersi della facoltà di non rispondere era "suscettibile di pregiudicare l'immagine del MoVimento". Nuti aveva scelto di rimandare l'interrogatorio alla ricezione dell'avviso di conclusione delle indagini, ritenendo comunque opportuno autosospendersi dal gruppo M5S della Camera (soggetto a sua volta distinto dal MoVimento); sempre il Collegio dei probiviri, però, nel 2017 prima aveva sospeso per sei mesi Nuti per non aver accolto l'invito ad autosospendersi anche dal M5S (oltre che, di nuovo, per la scelta di avvalersi in un primo tempo della facoltà di non rispondere), poi l'aveva di nuovo sospeso per lo stesso periodo basandosi sulla notizia della richiesta di rinvio a giudizio (ritenuta dal Collegio dei probiviri in grado di pregiudicare in modo irreparabile l'immagine e l'azione del MoVimento "a prescindere dalla eventuale sussistenza dei reati ipotizzati"). 
A quel punto, non avendo dato frutti il tentativo di far tornare sui propri passi i vertici del M5S e i componenti del Collegio, Nuti - difeso dall'avvocato Lorenzo Borrè - aveva scelto di impugnare i due provvedimenti di sospensione, ritenendo innanzitutto che il Collegio dei probiviri e i suoi poteri si fondassero su disposizioni del "non statuto" e del regolamento invalide, perché adottate sulla base di procedimenti non legittimi (difformi da quanto previsto dalle disposizioni del codice civile applicabili anche alle associazioni non riconosciute: in questo le tesi dell'attore non erano lontane da quelle sostenute nei ricorsi che nel 2016 avevano impugnato varie espulsioni - per vizi legati all'adozione del regolamento del 2014 e alla sua "incompetenza" a regolare quella materia - e che alcuni tribunali, incluso quello di Napoli, avevano accolto almeno in sede di cognizione sommaria) o perché credute illegittime nel loro contenuto. In ogni caso, per la difesa di Nuti i due provvedimenti di sospensione emessi nel 2017 erano comunque illegittimi e "macroscopicamente vessatori": con riguardo al primo, avvalersi della facoltà di non rispondere doveva ritenersi il mero esercizio di un diritto (ed era comunque contestata la tesi della mancata collaborazione con la magistratura) e analoga sospensione dal M5S non era stata comminata ad altre figure di rilievo del M5S risultate indagate (e che non si erano autosospese); quanto alla seconda sospensione, la difesa riteneva che le ricadute mediatiche della richiesta di rinvio a giudizio non si potessero considerare "mancanze" in grado di giustificare una sospensione e comunque in sede di candidatura era previsto che in caso di rinvio a giudizio la persona eletta avrebbe potuto decidere se dimettersi o meno.

Prima della sentenza

Come si diceva, la decisione - presa dalla giudice Claudia Turco, della V sezione civile del Tribunale di Palermo - risale al 10 giugno di quest'anno ed è stata pubblicata solo lo scorso 11 ottobre. Già prima che il processo iniziasse, in ogni caso Riccardo Nuti (insieme a Giulia Di Vita) aveva lasciato il gruppo del M5S della Camera, aderendo al gruppo misto, senza entrare a far parte in seguito di alcuna componente politica; il processo penale sulla questione delle firme false a Palermo è poi andato avanti, arrivando all'inizio del 2020 alla condanna in primo grado di una dozzina di persone (incluso Nuti), anche se i reati si sarebbero prescritti nel giro di poche settimane. 
Alla fine del 2017, in ogni caso, com'è noto era stata fondata una nuova associazione denominata MoVimento 5 Stelle (la terza, dopo la prima - "non associazione" - del 2009 e la seconda, fondata nel 2012 come soggetto presentatore di candidature da Beppe Grillo, dal nipote Enrico Grillo e da Enrico Maria Nadasi), associazione alla quale non risulta che Nuti abbia aderito: certamente Nuti non figurava tra i candidati alle elezioni politiche del 2018, alle quali il MoVimento ha partecipato con una nuova variante simbolica, stavolta recante il sito Ilblogdellestelle.it (benché, in base allo statuto, il M5S-3 avesse ottenuto dal M5S-2 - fondato nel 2012 - la possibilità di usare il simbolo con il sito Movimento5stelle.it). Da ultimo, rispetto a quello della fondazione del 2017, è nel frattempo di nuovo cambiato lo statuto di questo "terzo" M55, essendo stato adottato quest'estate il testo studiato e proposto da Giuseppe Conte (insieme al nuovo simbolo "alternativo", senza più sito e con il riferimento al 2050).  
Dal momento in cui la difesa di Riccardo Nuti si è rivolta al Tribunale di Palermo nel 2017, insomma, sono cambiate molte cose, soprattutto con riguardo alla soggettività giuridica del MoVimento 5 Stelle e alle norme interne che lo reggono. Il processo, tuttavia, è proseguito (anche dopo che la giudice di Palermo a gennaio del 2018 aveva negato, in sede cautelare, la sospensione dell'efficacia tanto dei provvedimenti di sospensione, quanto delle norme interne in base alle quali erano stati irrogati): a dispetto del tempo passato, infatti, era rimasto l'interesse di Nuti a sapere se le sanzioni comminategli fossero state legittime o meno.
A questo proposito, occorre correttamente dare conto anche delle tesi del MoVimento 5 Stelle, ossia del soggetto politico sorto nel 2009, rappresentato da Beppe Grillo (quale garante) e Luigi Di Maio (quale capo politico eletto nel 2017): si riportano le posizioni così come si possono evincere dalla sentenza. Gli avvocati del M5S (Andrea e Paola Ciannavei) avevano innanzitutto rilevato come Riccardo Nuti non avesse più interesse a vedere invalidate le due sospensioni, perché all'inizio di dicembre 2017 "avevano già esaurito la loro efficacia, essendosi caducato anche lo stesso procedimento disciplinare, in quanto non concluso nel termine di 180 giorni dall’invio della contestazione all’interessato, come previsto dall’art. 4 del Regolamento". Ritenuto poi che fosse Roma e non Palermo la sede giudiziaria competente a occuparsi del ricorso, la difesa del MoVimento ha ribattuto alle tesi di Nuti. 
Da una parte è stata rivendicata la natura di "non associazione" per il M5S, al quale non sarebbero state applicabili le norme del codice civile dettate per le associazioni (riconosciute o meno); dall'altra si è negato che il regolamento del M5S pubblicato sul sito di Beppe Grillo nel 2014 dovesse essere approvato con le forme previste dal codice civile per le modifiche statutarie (sia perché "non modificava il 'non statuto', ma aggiungeva regole nel primo non previste, essendo norma interna di rango inferiore", sia perché comunque nel "non statuto" non era previsto l'organo "assemblea" né si indicavano le norme per la modifica di quel documento fondativo). Quanto alle modifiche al regolamento apportate nel 2016, per la difesa del M5S si trattava di innovazioni che nel merito "avevano aumentato la democraticità del movimento e, predeterminando le ragioni di espulsione e le modalità del procedimento disciplinare, avevano apportato un contributo di chiarezza e trasparenza alla vita del movimento stesso"; quanto al metodo, erano state respinte le contestazioni alla validità del voto online come strumento di deliberazione, essendo questo previsto dal "non statuto" e normato dal regolamento del 2014, le cui previsioni - in materia di convocazione dell'assemblea per la votazione, formulazione dei quesiti, espressione del voto e quorum di partecipazione e votazione - sarebbero state rispettate dal M5S.
 

La sentenza 

Su queste basi, la giudice ha emesso la propria sentenza, ritenendosi innanzitutto competente a trattare e decidere la causa: lei ha argomentato che, pur mancando una sede fisica per il MoVimento 5 Stelle, non si poteva affermare la competenza del Tribunale di Roma essendo questa la città in cui "il convenuto svolge attività continuativa", dal momento che il M5S è presente e svolge attività politica in tutto il territorio nazionale, Palermo inclusa.
Nella sentenza poi si è preso atto che i provvedimenti disciplinari di sospensione di cui Riccardo Nuti era stato destinatario avevano ormai esaurito la loro efficacia (ed è il motivo per cui non si era concessa alcuna sospensione in sede cautelare), ma si è riconosciuto che Nuti aveva ancora interesse a far accertare se questi atti fossero stati legittimi, un giudizio che per la magistrata sarebbe stato "eventualmente utilizzabile anche in altra sede ed in funzione di domande differenti" (il che fa pensare subito alla richiesta di eventuali risarcimenti).
Per poter valutare la legittimità dei provvedimenti di sospensione, però, era necessario prima esprimersi sulla validità del regolamento del 2014 e delle modifiche regolamentari e "non statutarie" datate 2016. Nel fare questo anche questa pronuncia ha precisato, una volta di più che le norme del codice civile sulle associazioni non riconosciute (e quelle comunque applicabili ad esse) dovevano e devono applicarsi anche al MoVimento 5 Stelle, a dispetto delle forme di partecipazione "fluide e innovative" che questo si era dato: anzi, qualificare il MoVimento secondo gli schemi e gli istituti praticati dal diritto civile sarebbe il solo modo per "legittimarne l'esistenza stessa e l'operato, scopo tanto più necessario poiché il Movimento da alcuni anni concorre attivamente alla vita politica del nostro Paese" (il che è come dire che, secondo la giudice, non sarebbe possibile partecipare alla vita politica con forme giuridiche non riconducibili a quelle esistenti o previste). In base alla sentenza, avevano valore di statuto, dunque di norme fondamentali stabilite dalle persone associate per regolare la vita del soggetto giuridico associativo, tanto il "non statuto" del 2009, quanto il regolamento del 2014 che integrava il "non statuto": quel regolamento, in particolare, proprio perché - come detto dalla stessa difesa del M5S - integrava il contenuto del "non statuto" con previsioni "coessenziali a regolare la vita dell’associazione" (normando, in particolare, organi e "modalità di funzionamento" del soggetto associativo), doveva essere considerato modificativo delle norme statutarie del MoVimento e, come tale, doveva essere approvato nel rispetto delle norme sulla modifica delle stesse, contenute nello statuto (ma il "non statuto" taceva in materia) o nel codice civile.
Stabilito questo, la giudice non ha escluso che, in generale, il confronto attraverso un blog o altre piattaforme internet e il voto espresso online possano avere caratteristiche tali da renderle idonee a rispettare i requisiti fissati per la discussione e il voto di un'assemblea "diffusa" in tutto il territorio nazionale (con "l'incontro virtuale degli aderenti, identificati mediante specifiche credenziali di accesso, su una piattaforma internet", su cui si possa discutere scambiando commenti e si possa votare "attraverso la selezione di una fra più possibili opzioni"). All'atto della verifica, in concreto, del rispetto delle prescrizioni ex art. 21, comma 2 del codice civile (per cui sono necessari "la presenza di almeno tre quarti degli associati e il voto favorevole della maggioranza dei presenti"), non è risultato però alcun voto sull'adozione del regolamento del 2014, che anzi sarebbe stato adottato con urgenza con pubblicazione sul sito Beppegrillo.it il 23 dicembre 2014: in questo modo, le modifiche apportate dal regolamento al "non statuto" (cioè allo statuto del MoVimento) sono state ritenute annullabili.
Privato di validità e di efficacia il regolamento del 2014, non potevano considerarsi valide ed efficaci nemmeno le norme contenute in esso circa la validità delle deliberazioni (per cui di norma occorreva solo la maggioranza dei votanti senza alcun quorum costitutivo, mentre per le votazioni su modifiche al regolamento o al programma era richiesta anche la partecipazione al voto di almeno un terzo degli iscritti). Anche il voto svoltosi tra il 27 settembre e il 26 ottobre 2016 sulle modifiche al "non statuto" e al regolamento (con la scelta tra la versione con espulsioni - opzione poi risultata prevalente - o senza) era dunque regolato dalle norme del codice civile e, per essere valido, doveva vedere la partecipazione di almeno tre quarti delle persone associate (e l'opzione prevalente doveva ottenere almeno la maggioranza dei voti delle persone partecipanti); in più, la quota dei tre quarti doveva essere calcolata sul totale delle persone associate al MoVimento "fino all’inizio delle predette consultazioni". Anche volendo considerare come aventi diritto al voto le sole persone iscritte alla fine del 2015, peraltro, in base ai dati pubblicati sul sito avevano partecipato a quella consultazione 87213 persone associate su 135.023, pari al 64,6%, dunque meno dei tre quarti prescritti dal codice civile: per la giudice, in particolare, non si poteva equiparare la mancata partecipazione al voto a un'astensione (che presupponeva invece l'aver partecipato all'assemblea). In mancanza del quorum costitutivo, non aveva valore il fatto che il voto favorevole alla proposta di regolamento contenente le espulsioni avesse comunque superato la metà delle persone presenti, non essendosi regolarmente costituita quell'assemblea ai fini della deliberazione sulle modifiche statutarie: il voto per la modifica del "non statuto" e l'adozione del (nuovo) testo del regolamento, aperto dal 27 settembre al 26 ottobre 2016, dunque, non era valido (e questo non ha reso necessario valutare altri profili di illegittimità del voto sollevati dalla difesa di Nuti).
Accertata e dichiarata l'invalidità del regolamento del 2014 e delle modifiche "non statutarie" e regolamentari del 2016, il destino delle sospensioni comminate a Riccardo Nuti era segnato: a irrogare le sanzioni era stato un organo - il Comitato d'appello - previsto dalle norme di cui è stata accertata l'invalidità e le stesse norme prevedevano il rilievo disciplinare di determinati comportamenti, per cui le sospensioni sono risultate "a cascata" illegittime

Dopo la sentenza

"Tanto tempo per piccole soddisfazioni" ha twittato Riccardo Nuti dopo la pubblicazione della sentenza, che ha accolto le sue domande, inclusa la condanna del M5S alle spese per il giudizio di merito (mentre quelle del giudizio cautelare - nel quale, come si è visto, si è negata la sospensione dei provvedimenti sanzionatori - sono state compensate). Naturalmente la vicenda contenziosa non si è di certo esaurita: da una parte il MoVimento 5 Stelle potrebbe impugnare la sentenza, sperando di vedersi dare ragione in appello; dall'altra parte, sulla base di questa decisione, Nuti potrebbe a sua volta agire per chiedere di essere risarcito dal M5S per aver subito queste sospensioni illegittime che indubbiamente hanno segnato l'ultima parte del suo mandato parlamentare e ne hanno pregiudicato l'eventuale ricandidatura. Al di là di questa singola vicenda, non si può escludere che - soprattutto ove la sentenza analizzata dovesse passare in giudicato - i giudici di altri processi tuttora in corso relativi o alla validità del regolamento del 2016 (ce n'è uno a Roma tuttora in corso) o a sanzioni irrogate sulla base delle medesime norme regolamentari possano basarsi sul decisum di Palermo e dichiarare a loro volta invalido il regolamento o accogliere le domande di chi avesse nel frattempo impugnato eventuali sanzioni e il cui processo fosse ancora pendente.
Ovviamente la sentenza di Palermo non ha effetti diretti sul MoVimento 5 Stelle costituito con atto notarile nel 2017
. Lo statuto già allora, infatti, precisava all'art. 7, lettera g) che "Le votazioni aventi ad oggetto le modifiche del presente Statuto sono valide, in prima istanza, solamente qualora vi abbia partecipato almeno la maggioranza assoluta degli iscritti, in seconda istanza qualunque sia il numero dei partecipanti, e in ogni caso sono assunte a maggioranza dei voti espressi", dunque a condizioni più favorevoli rispetto a quanto previsto dal codice civile (lo stesso articolo, alla lettera c), precisava che occorreva un preavviso di convocazione di almeno 15 giorni in caso di votazioni su modifiche statutarie). Il testo attuale dello statuto - lo statuto che propone il simbolo con il riferimento al 2050 - ha ridotto il preavviso minimo a 8 giorni, mentre le altre norme sono pressoché immutate (ora si parla di un quorum costitutivo n prima istanza della "maggioranza assoluta degli iscritti aventi diritto di voto", nulla cambia invece per la seconda istanza e con riguardo alla necessità che la proposta ottenga la maggioranza dei voti espressi). 
Altrettanto ovviamente, però, il fatto che la sentenza di Palermo non abbia effetti sul "nuovo" M5S non significa che non possano essersi verificati altri passaggi giuridicamente critici, in particolare nell'adozione dello statuto proposto da Giuseppe Conte. Se la validità di quella fonte sarà contestata in sede giudiziaria e qualche giudice si pronuncerà in materia, naturalmente se ne parlerà anche qui.

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