I fatti gravissimi di sabato a Roma, con l'assalto alla sede nazionale della Cgil e al pronto soccorso del policlinico Umberto I (e il progettato accesso a sedi istituzionali) ha riportato al centro del dibattito pubblico la discussione sulla necessità e sull'opportunità di sciogliere formazioni politiche "di stampo fascista", attraverso le norme vigenti in Italia. Ora si parla (e non è la prima occasione) di Forza Nuova, in passato di CasaPound Italia e di altre sigle. Più voci hanno chiesto al Governo di procedere - magari in fretta - allo scioglimento di Fn e di altri soggetti politici affini, applicando la XII disposizione finale della Costituzione e le disposizioni (specie l'art. 3) della legge n. 645/1952 ("legge Scelba"). Le richieste sono state formalizzate in mozioni parlamentari, a partire da quelle a prima firma di esponenti del Partito democratico (Simona Malpezzi e Dario Parrini al Senato, Debora Serracchiani ed Emanuele Fiano alla Camera), sostenute pure dal MoVimento 5 Stelle, Liberi e Uguali e Italia Viva a Montecitorio (a conclusioni simili arriva la mozione di Iv e Psi al Senato e le altre presentate sempre a Palazzo Madama da M5S e Leu).
Stavolta la discussione non si incentra direttamente sull'uso di simboli fascisti: nel corso della sua storia, infatti, Forza Nuova non si è mai distinta con simboli o contrassegni elettorali che richiamassero espressamente il fascismo (vale per la coccarda tricolore, per la sigla tricolore a forma di fiamma, per il romboide rosso e bianco con le iniziali e anche per l'attuale rondine; era di certo più evocativo il colore nero, ma di per sé non è etichettabile come "fascista"). Più che di simboli (partitici o elettorali), qui si discute evidentemente di azioni e di condotte; la materia resta però rilevante, poiché le mozioni chiedono che lo scioglimento riguardi, oltre a Forza Nuova, anche "tutti i movimenti politici di chiara ispirazione neofascista" (così si legge nelle mozioni del Pd), ad alcuni dei quali si imputa anche l'uso di emblemi fascisti nella loro attività o come segni di identificazione politica o (fino a quando questo è stato tollerato) elettorale, ritenendo anzi che proprio quest'uso possa fondare lo scioglimento.
Le disposizioni rilevanti, per chiarire il quadro
Prima di procedere, è bene mettere fissare alcuni punti, rilevanti per il ragionamento. Com'è noto, la XII disposizione finale della Costituzione (e non transitoria, come si capisce dai lavori della Costituente) sancisce al primo comma che "È vietata la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista"; si è già ricordato su questo sito che quella "riorganizzazione" può avere qualunque forma (partito, associazione, comitato...), ma perché ci sia violazione della disposizione si deve voler riorganizzare quel "disciolto partito fascista", come lo si è conosciuto nella storia, non qualcosa che gli somigli (e neanche, ad esempio, un generico partito autoritario). Coloro che scrissero la Costituzione, tuttavia, non scelsero la forma della "democrazia protetta" o "militante", indicando già nella legge fondamentale - come sarebbe avvenuto, ad esempio, in Germania - quali condizioni consentissero di parlare di "riorganizzazione del partito fascista", a chi toccasse accertare e dichiarare quest'ultima e come reagire a ciò (lo scioglimento o altri provvedimenti) a tutela dei valori e del funzionamento della democrazia: lasciarono che a fare questo fosse il legislatore ordinario.
Il Parlamento ha agito "a rate", in vari momenti, a partire dalla citata "legge Scelba" nel 1952. Questa stabilì che c'è riorganizzazione del partito fascista quando un'associazione o un movimento persegue "finalità antidemocratiche proprie del partito fascista, esaltando, minacciando o usando la violenza quale metodo di lotta politica o propugnando la soppressione delle libertà garantite dalla Costituzione o denigrando la democrazia, le sue istituzioni e i valori della Resistenza o svolgendo propaganda razzista, ovvero rivolge la sua attività alla esaltazione di esponenti, principii, fatti e metodi propri del predetto partito o compie manifestazioni esteriori di carattere fascista" (art. 1); la legge n. 152/1975 ("legge Reale") precisò che per il reato di riorganizzazione basta anche solo "un gruppo di persone non inferiore a cinque". L'art. 3 della "legge Scelba" si occupa dello scioglimento del soggetto collettivo (e della confisca dei beni): il primo comma prevede l'ipotesi "normale", per cui occorre una sentenza penale (anche non definitiva, come avvenne con il Movimento politico Ordine nuovo nel 1973) che accerti la riorganizzazione perché il ministro dell'interno, sentito il Consiglio dei ministri, ne ordini lo scioglimento; il secondo comma propone invece un'ipotesi eccezionale per cui, "nei casi straordinari di necessità e di urgenza", il Governo può provvedere allo scioglimento e alla confisca con decreto-legge, anche senza una condanna, se ritenga di essere di fronte al perseguimento collettivo di "finalità antidemocratiche proprie del partito fascista" (il decreto è efficace immediatamente, ma va convertito entro 60 giorni dal Parlamento perché non decada).
Per un'interpretazione più compiuta della "legge Scelba", poi, bisogna tenere conto delle sentenze della Corte costituzionale in materia, specie della sentenza n. 1/1957 e della sentenza n. 74/1958, relative ai reati di apologia del fascismo e di manifestazioni fasciste, ma applicabili anche alla fattispecie di riorganizzazione del disciolto partito fascista (perché, come si è visto nella definizione dell'ipotesi, l'apologia del fascismo e le manifestazioni fasciste sono tra i possibili modi per perseguire "finalità antidemocratiche proprie del partito fascista"). Le due pronunce precisarono - e non c'è stata alcuna sentenza di segno diverso in seguito - che quelle norme erano legittime perché punivano (solo) l'apologia "tale da potere ricondurre alla riorganizzazione del partito fascista" (sentenza del 1957) e (solo) le manifestazioni "usuali del disciolto partito che [...] possono determinare il pericolo che si è voluto evitare", che cioè trovino "nel momento e nell'ambiente in cui" sono compiute circostanze che le rendano idonee "a provocare adesioni e consensi e a concorrere alla diffusione di concezioni favorevoli alla ricostituzione di organizzazioni fasciste" (sentenza del 1958).
Da ultimo, nel 1993 il decreto-legge n. 122/1993, convertito dalla legge n. 205/1993 ("legge Mancino") è rilevante da vari punti di vista. Innanzitutto con l'art. 3 ha introdotto - modificando la "legge Reale" - un ulteriore divieto, bandendo "ogni organizzazione, associazione, movimento o gruppo avente tra i propri scopi l'incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi". Secondariamente, ha previsto - all'art. 7 - che se c'è un processo per violazione del divieto appena citato, il giudice competente possa disporre la sospensione cautelativa del soggetto collettivo (su richiesta del pubblico ministero, anche sollecitato dal Governo) e, qualora si arrivi a una sentenza irrevocabile che abbia accertato che l'attività di quei soggetti collettivi ha favorito la commissione di reati legati alla violenza o alla discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi (inclusa l'agevolazione di attività di associazioni e simili con quei fini), il titolare del Viminale (dopo decisione in tal senso del Consiglio dei ministri) ordina lo scioglimento dell'associazione o comunque del soggetto collettivo. In questo modo, nel 2000, si è arrivati allo scioglimento del Fronte nazionale di Franco Freda; allo stesso tempo, si nota che non è previsto qui lo scioglimento eccezionale con decreto-legge (quindi non si può sciogliere un movimento in condizioni di necessità e urgenza anche ove risulti fomentatore di violenza o discriminazioni, in mancanza di una sentenza).
Cosa non si può fare
Fissata la cornice normativa entro la quale ci si può muovere, si ritorna alla domanda di questi giorni: si può sciogliere Forza Nuova? Occorre innanzitutto tenere a freno l'istinto - comprensibile, dopo le scene inaccettabili viste sabato - di dichiarare a bruciapelo, come a voler premere il pulsante in un quiz per rispondere a una domanda non ancora terminata, che "Forza Nuova e le altre organizzazioni fasciste vanno sciolte", magari aggiungendo "perché lo dice la Costituzione" (anche perché questa risposta, restando in tema di quiz, non sarebbe esatta). Allo stesso modo, va messa da parte la tentazione di seguire il principio "fascista è chi il fascista fa": anche questa è comprensibile, per chiunque sia antifascista, ma il giurista - costituzionalista, penalista o di altra disciplina - non può accettare che ci si accontenti di questo ragionamento, specie se in ballo c'è l'uso di strumenti "forti" come lo scioglimento.
Per prima cosa, occorre sgombrare il campo da alcuni equivoci di natura politica. Innanzitutto dev'essere chiaro che la XII disposizione finale della Costituzione e le disposizioni della "legge Scelba", inclusa quella sullo scioglimento (attivabile anche in forma eccezionale dal Governo), valgono esclusivamente per la riorganizzazione del partito fascista: lo dicono con chiarezza i lavori della Costituente, i lavori parlamentari del 1952 e persino il tribunale di Roma nella sentenza che ha riconosciuto la riorganizzazione del partito fascista nell'attività del Movimento politico Ordine nuovo (negando ad esempio l'applicabilità delle disposizioni a Lotta continua o a Potere operaio). Non si tratta, dunque, di norme polivalenti, ma di norme unidirezionali, che non si possono usare per sciogliere movimenti o associazioni di sinistra, anarchiche o, comunque, non fasciste. E questo perché, piaccia o no, la Costituzione ha le sue radici nell'antifascismo, il che ha avuto come logica conseguenza disposizioni "asimmetriche" come quelle viste: questo è e chiunque deve prenderne atto. Si può ovviamente proporre di rimuovere la XII disposizione finale o di integrarla ampliandone l'efficacia a partiti di altra natura (come a quelli che "si propongano l'instaurazione di regimi totalitari di ideologia comunista", secondo la proposta del deputato di Fratelli d'Italia Edmondo Cirielli in questa legislatura), in modo poi da regolare l'ipotesi sullo stile della "legge Scelba": per fare questo, però, occorre una legge di revisione costituzionale, con i suoi tempi e le sue ampie maggioranze e, finché il percorso non si compie, occorre essere consapevoli che la manifestazione (o l'eventuale apologia) di certe idee politiche è punibile, quella di altre no.
Anche la proposta di approvare una mozione (più o meno unitaria) contro tutti i totalitarismi, nessuno escluso, come chiesto da Forza Italia, non può servire per sciogliere soggetti politici che non costituiscano "riorganizzazione del disciolto partito fascista". Bisogna anche aggiungere, in più, che lo strumento dello scioglimento appare adeguato per un'associazione, un movimento o comunque un soggetto che abbia un'organizzazione e soprattutto atti fondativi; è molto più difficile pensare a uno scioglimento con qualche effetto per realtà informali, senza atto costitutivo o magari tenute insieme da strumenti "impalpabili" come una chat o un gruppo sui social network (che ovviamente però si possono limitare o chiudere d'autorità, ma lo scioglimento è un'altra cosa).
Cosa si può fare (ma potrebbe non accadere)
Fatte queste precisazioni, si torna alla domanda: dopo i fatti di sabato, si può allora sciogliere Forza Nuova? Ammesso che esista una risposta giusta, questa potrebbe essere forse: "Dipende", nel senso che occorre compiere valutazioni di natura giuridica e politica.
Il simbolo precedente di Fn |
Sembra opportuno aggiungere che, sempre fino a questo momento (e stando a ciò che è noto a chi scrive), una sentenza di accertamento della riorganizzazione del partito fascista manca anche con riguardo ad altri soggetti politici, a partire da CasaPound Italia. Non sono mancate in effetti condanne a persone legate a Cpi essenzialmente per il reato di manifestazioni fasciste, ma si tratta di cosa diversa dalla citata riorganizzazione: dunque manca il requisito fondamentale per poter applicare la fattispecie "normale" di scioglimento di quei soggetti collettivi, essendo appunto richiesta una sentenza di accertamento (anche se ancora non irrevocabile).
Vale anzi la pena ricordare che ogni procedimento penale volto ad accertare, tra l'altro, la riorganizzazione del disciolto partito fascista si è chiuso o con l'archiviazione o con l'assoluzione per il Movimento fascismo e libertà, costituito nel 1991 da Giorgio Pisanò, che nel nome ospita il riferimento diretto al fascismo e nel simbolo impiega il fascio romano. In effetti la pratica ha dimostrato che un conto è la non illiceità dell'associazione, un altro è l'uso elettorale di quel nome e di quel simbolo: per un parere reso al Viminale nel 1994 dal Consiglio di Stato, in effetti, il riferimento esplicito al Fascismo non era ammissibile in sede elettorale, mentre l'uso del solo fascio, purché disgiunto dalla parola "fascismo", si poteva ammettere visto che la storia del fascio non si limitava al Ventennio ma era ben più risalente. In realtà, con il passare degli anni (e fatta eccezione per un caso assai importante di ammissione alle regionali del 1996 in Sicilia), il metro di giudizio delle commissioni elettorali e dello stesso Consiglio di Stato si è parecchio inasprito, anche in assenza di norme nuove in materia.
Si è avuto prova tangibile di questo soprattutto dopo il "caso Sermide", vale a dire dopo che il movimento Fasci italiani del lavoro nel 2017 era riuscito a conquistare un seggio nel consiglio comunale di Sermide e Felonica (Mn), peraltro dopo aver partecipato indisturbato a varie elezioni locali. Com'è noto - anche a chi segue questo sito - i giudici amministrativi hanno ritenuto illegittima la presenza di quella lista con quel contrassegno alle elezioni e (in secondo grado) si è annullato il voto; nel frattempo si era aperto il fronte penale della vicenda, ma tutti gli imputati sono stati assolti tanto dal Tribunale di Mantova, quanto dalla Corte d'appello di Brescia. Va rimarcato che il giudizio si era basato essenzialmente sullo statuto del partito, sui suoi documenti programmatici (che certamente condividevano parte dei profili ideologici del fascismo e dei suoi obiettivi, ma per la Cassazione rileva la condivisione totale e non parziale) e comunque sulle azioni svolte, ritenute in concreto non pericolose, nell'ottica della riorganizzazione di quel partito fascista: per riprendere le parole della sentenza di appello, un conto è "ricostituire il disciolto partito di Mussolini" (cosa non consentita), un conto è "riscattarne, senza evidente finalizzazione, soltanto la memoria" (e questo non è illegittimo).
Insomma, se una sentenza che accerti la riorganizzazione del disciolto partito fascista manca, non si può sciogliere per via ordinaria né Forza Nuova, né altri soggetti politici di quella che altrove è stata chiamata "galassia nera". Naturalmente è facile notare che, se fino a pochi giorni fa per vari gruppi analizzati fin qui non ci sono stati episodi di gravità tale da far scaturire una simile sentenza, il discorso potrebbe cambiare dopo i fatti di sabato a Roma. C'è un'indagine in corso e il procedimento potrebbe concludersi con una sentenza penale che accerti la riorganizzazione con riguardo a Forza Nuova: in quel caso si arriverebbe allo scioglimento "ordinario" (il provvedimento, ovviamente, riguarderebbe solo Fn e altri soggetti collettivi per i quali risultasse dimostrata l'ipotesi di riorganizzazione, non in modo generico tutti i movimenti e le associazioni di una certa area).
Non si può certo escludere, peraltro, che quanto accaduto sabato a Roma - in particolare le violenze, i danneggiamenti, i ferimenti - e ciò che eventualmente le indagini dovessero svelare (o che il Governo dovesse apprendere in base a proprie fonti) porti lo stesso Governo a percorrere la via eccezionale dello scioglimento con decreto-legge, come richiesto nelle mozioni citate all'inizio. Le condizioni giuridiche oggettivamente ci sarebbero (nessun caso precedente che abbia riguardato Forza Nuova o CasaPound può dirsi grave come quelli avvenuti sabato); resterebbe in effetti problematico sciogliere con lo stesso decreto-legge soggetti collettivi che non risultino aver partecipato alla manifestazione di sabato e la cui adesione al fascismo sia ideologica ma non concreta. Perché se diventa concreta o c'è - si perdoni il bisticcio - il rischio concreto che lo diventi allora il fascismo è certamente un crimine; se resta sul piano ideologico il fascismo è un'idea, che si ha tutto il diritto di criticare con nettezza e di combattere politicamente - con piena ragione, a parere di chi scrive - ma non ha varcato la soglia del crimine.
Analizzato il piano giuridico, resta però quello politico, che poi non è davvero distinto da quello giuridico. Come si è detto, l'eventuale scioglimento dei soggetti politici che si ritenga perseguano "finalità antidemocratiche proprie del partito fascista" seguirebbe a un decreto-legge del governo, deliberato da questo e adottato sotto la sua responsabilità. Il che significa che, inevitabilmente, la deliberazione circa l'adozione del decreto si presenta come un atto di enorme valore e peso politico, si sarebbe anzi tentati di chiamarlo "atto politicissimo". Già qui si avverte la delicatezza assoluta della questione, non certo diminuita dal fatto che a presiedere l'esecutivo in carica sia un tecnico di pregio come Mario Draghi. Gran parte dei ministri che compongono il Consiglio, infatti, sono di designazione politica ed è evidente che una deliberazione così importante cui, per manifestare il loro dissenso, non partecipassero i ministri di una determinata forza politica partirebbe già con il piede sbagliato. Anche perché, come si è detto, il decreto-legge di scioglimento dovrebbe poi il percorso stabilito in Costituzione per quella fonte, dunque essere presentato immediatamente alle Camere e convertito in legge entro sessanta giorni per non perdere efficacia fin dall'inizio, cosa che non solo riporterebbe giuridicamente in vita il soggetto sciolto, ma avrebbe effetti politici e istituzionali incalcolabili. Se questo è lo scenario più drammatico tra quelli immaginabili, altri non sarebbero comunque agevoli: si pensi alla conversione del decreto avvenuta con una maggioranza risicatissima, per giunta senza l'appoggio di una o più forze politiche della compagine che ora sostiene l'esecutivo in Parlamento. Se Forza Italia, Lega e Fratelli d'Italia si esprimessero chiaramente contro lo scioglimento, potendo contare anche sul sostegno di una parte rilevante del gruppo misto (si pensi soprattutto alla situazione del Senato), semplici conteggi potrebbero sconsigliare l'azione di un decreto simile.
Tirando le somme, se si vuole sciogliere Forza Nuova o altri "movimenti di chiara ispirazione fascista" senza che questo costituisca un problema giuridico e politico, occorre attendere una sentenza che accerti la riorganizzazione del partito fascista, che al momento non c'è. Se invece si ritiene che la situazione sia pericolosa e non ci si possa permettere di aspettare, occorre che il Governo si prenda la responsabilità (politica innanzitutto) di decidere lo scioglimento, confidando che il Parlamento "ratifichi" quella scelta con la conversione in legge e possibilmente non con una maggioranza ristretta, per evitare che la decisione appaia delegittimata (pur restando formalmente legittima) e che il Governo ne risenta. Altre vie non ci sono. Il presidente Draghi, stando alle notizie diffuse nelle ore scorse, avrebbe detto che il Governo valuterà l'ipotesi dello scioglimento: si vedrà quanto tempo occorrerà e cosa deciderà in merito. Nel frattempo, chi prova indignazione (e magari paura) per quanto è accaduto ha il diritto di manifestarlo e, se ritiene di poterlo fare, di impegnarsi per contrastare idee e pratiche che non condivide. Può continuare a farlo, magari con più forza e convinzione di prima, oppure può iniziare a farlo ora se in passato non l'aveva fatto, facendo attenzione a ciò che fa e a ciò che dice e impegnandosi perché le altre persone facciano altrettanto. Il primo passo per non vedere mai più scene vergognose e inaccettabili come quelle di sabato 9 ottobre inizia sempre da lì.
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