Occuparsi di simboli è bello e stimolante, perché in fondo a questo o a quel contrassegno sono legate esperienze di persone, frammenti di vita vissuta che in più di un caso aspettano solo di essere raccontate, anche e soprattutto quando il loro tasso di stranezza è un po' più alto del normale. Questa volta è di turno un emblema curioso, nato a metà degli anni '70 e fonte di scaramucce pre-elettorali, al punto che sparì dalle schede all'ultimo minuto e gli elettori dovettero scegliere solo tra i due segni rimasti.
La storia ci proietta nel 1975 a San Benedetto Val di Sambro, comune del bolognese che aveva poco più di 4mila abitanti e portava ancora le ferite della bomba fatta esplodere l'anno prima sul treno Italicus proprio nei pressi della stazione.
Alle elezioni per il rinnovo del consiglio comunale, previste per il 15 giugno, la Democrazia cristiana, che aveva governato il comune per tutta la consiliatura precedente, si era però presentata spaccata: una parte aveva scelto di correre in un "cartello" con i socialdemocratici, l'altra, che schierava in lista anche il sindaco democristiano uscente, Leandro Musolesi, voleva comunque partecipare alle elezioni. "In effetti ci fu una spaccatura nel partito - ricorda oggi lo stesso Musolesi, intervistato su quella vicenda -. Il segretario locale della Dc di allora non era propenso al dialogo, non aveva molto seguito tra gli iscritti e con i suoi modi aveva finito per creare una frattura: lui rappresentava il partito, ma dalla sua non aveva la maggioranza".
Morale, quella volta di scudi crociati ne vennero presentati due: col numero 2 quello contenuto nella bicicletta Dc-Psdi, col numero 3 quello legato a Musolesi.
Non stupisce, ovviamente, che la Commissione elettorale mandamentale di Porretta Terme, cui spettava pronunciarsi sull'ammissione delle liste, il 22 maggio non abbia accettato l'ultimo contrassegno presentato: il depositante aveva due giorni per sostituire l'emblema e mantenere il gruppo in corsa, ma bastarono poche ore. Si scelse di modificare un po' l'immagine, senza però discostarsene troppo: allo scudo vennero tolti i "punti" superiori, sostituiti con due stelle e la croce - bianca all'interno e senza la scritta "Libertas" - ospitò la dicitura "Democratici cristiani". "Volevamo mostrare comunque che eravamo legati alla Dc - spiega Musolesi - per cui di fatto portammo la croce più in alto, per metterla in evidenza". Sui moduli ufficiali l'emblema venne descritto come "una croce immersa in uno scudo con due stelle"; per i commissari il nuovo simbolo non era confondibile, così la lista il 23 maggio fu riammessa.
Agli amici diccì che avevano presentato la lista per primi, però, l'idea di avere un concorrente insidioso alle elezioni non era proprio andata giù, così fecero ricorso al Tar di Bologna, lamentando la confondibilità tra gli emblemi e persino l'uso di un simbolo religioso da parte della lista di Musolesi. Il 5 giugno i giudici amministrativi ribaltarono la situazione: ammettere quel simbolo sostitutivo era stato un errore, le liste alle elezioni dovevano essere solo due.
Per prima cosa, in realtà, bisognava risolvere la questione del segno religioso, come normalmente è considerata la croce latina. Il collegio, in effetti, aveva subito notato che lo scudo crociato con la scritta "Libertas" "fin dal ripristino delle libertà politiche e democratiche e [...] già dal periodo della clandestinità antifascista, costituisce un elemento caratterizzante, mai sostituito, del contrassegno del maggior partito politico italiano": bastava questo a non far sorgere negli elettori sentimenti o suggestioni religiose, tanto più che il simbolo non sarebbe mai stato contestato "neppure nei momenti elettoralmente più infuocati".
Il problema, casomai, era capire cosa fosse davvero il simbolo della terza lista. Se, come lamentava la lista Dc-Psdi, quell'emblema era confondibile con il proprio, non aveva senso parlare di segno religioso, perché nemmeno quello democristiano lo era. E se fosse stato qualcos'altro, ad esempio "un badile o vanga senza manico", come si ipotizza nella decisione? In quel caso, per i giudici, si poteva valutare la "religiosità" del segno; bisognava però escludere ogni rimando allo scudo democristiano.
Non c'è stato bisogno, in realtà, di tirare fuori l'argomento religioso. Per il Tar, le spiegazioni date dalla lista incriminata sulla situazione preelettorale a San Benedetto Val di Sambro e sul comportamento della Dc non avevano alcun rilievo ("non interessa, ai fini del presente giudizio. Non interessa sapere se la corrente che ha dato vita alla lista n. 2 costituisca maggioranza o minoranza; se essa sia o meno in linea con gli indirizzi del partito"): importava soltanto capire chi dei due litiganti usava lo scudo in modo legittimo. Ai giudici è bastato notare che il contrassegno della bicicletta Dc-Psdi non è mai stato contestato dagli organi direttivi del partito (mentre il terzo emblema è stato ricusato direttamente dall'organo competente) per dire che gli "scudati" legittimi erano i primi ad aver depositato il simbolo.
A quel punto è stato facile tirare fuori il problema della confondibilità grafica (non con il secondo simbolo, ma con quello nazionale dei democristiani), decisamente accentuato dalle dimensioni dei contrassegni - due centimetri di diametro - e da una scarsa fiducia nella consapevolezza degli elettori, specie quelli più avanti con l'età. E' questa, infatti, la famosa pronuncia in cui i giudici avvertono che "nel corpo elettorale sono comprese persone anziane con facoltà visive attenuate", che "in un ambiente rurale o di montagna, se anche l'analfabetismo è sulla via di scomparire, non sono pochi gli elettori che leggono con difficoltà specialmente quando i caratteri tipografici sono molto piccoli" e - piccola gemma rara per i tempi - che "solo chi ha una certa esperienza di elezioni sa con quanto imbarazzo, in quale stato di orgasmo, quasi di timore reverenziale larghi strati del corpo elettorale ancora oggi si avvicinino alla cabina elettorale per esercitare il loro diritto civico".
Tutto questo per dire che, che si leggesse il segno come una vanga, una croce o uno scudo, la confondibilità del terzo simbolo con quello presentato dalla lista n. 2 c'era tutta; è vero che, come facevano notare i titolari del simbolo attaccato, varie formazioni usavano nel loro contrassegno la falce e il martello (oltre al Pci, anche il Psi del tempo e altri gruppi minori), ma si trattava di un uso ormai consolidato e mai contestato, per cui "quell'elemento comune non è più caratterizzante dei singoli contrassegni, almeno nei reciproci rapporti tra quelle forze politiche", cosa che non poteva dirsi nel caso in esame.
In definitiva, la bocciatura del segno arrivò a dieci giorni dal voto (e il ricorso al Consiglio di Stato della lista di Musolesi non cambiò le cose. Il prefetto dovette far ristampare in fretta tutte le schede solo con i loghi di Unità democratica, la lista delle sinistre (che come simbolo aveva una colomba su una stretta di mano) e della bicicletta Dc-Psdi; i manifesti con le liste, invece, erano già fuori da giorni, così il comune di San Benedetto dovette affiggere su tutti un avviso che desse conto dell'esclusione della terza lista. Alla fine, comunque, qualche timore della Dc "ufficiale" doveva essere fondato: "Il cartello col Psdi fu sconfitto dalle sinistre, forse per la prima volta nel nostro comune - ricorda oggi Musolesi - e, a conti fatti, a quella lista mancarono all'appello circa 400 voti rispetto al risultato della Democrazia cristiana".
Sono passati quasi quarant'anni da allora, ma qualcuno dei protagonisti di quella storia conserva un ricordo nitido di quelle vicende: la storia di quello scudo tagliuzzato, a metà tra una croce e una vanga, sfilato all'ultimo momento dalle schede non è ancora stata archiviata e, toccando le corde giuste, ha ancora qualcosa da dire.
Ringrazio di cuore - oltre che Leandro Musolesi - Paolo Barbi, responsabile dei servizi elettorali del comune di San Benedetto Val di Sambro, che nel 2011, in ottobre - mentre stavo lavorando intensamente al primo libro - si è preso la briga di andare in archivio e tirarmi fuori i documenti che mi hanno permesso di ricostruire questa storia.
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