martedì 25 settembre 2018

La Dc (di Fontana) diffida le Dc (di Cerenza e Rotondi): ci risamo...

Altro che "O bianco fiore / simbol d'amore": qui basta smettere di occuparsi per qualche giorno o qualche settimana dell'ennesimo tentativo di tornare alla Democrazia cristiana o, per lo meno, a un partito che abbia quel nome ed ecco che arriva a destinazione l'ennesima diffida per impedire che siano utilizzati la denominazione e lo scudo crociato, fatta partire da altri soggetti che ritengono di essere titolari di quei segni distintivi.
A mandare le missive il 19 settembre è stato uno studio legale milanese, per conto della Dc presieduta da Gianni Fontana. Le hanno ricevute, giusto ieri, tanto i rappresentanti del Comitato iscritti alla Democrazia cristiana del 1993 Raffaele Cerenza e Franco De Simoni (i quali avevano impugnato davanti al Tribunale di Roma gli atti dell'assemblea dei soci Dc del 26 febbraio 2017 all'Hotel Ergife di Roma, la cui convocazione era stata disposta dallo stesso Tribunale: la loro causa è ancora pendente), quanto coloro che stanno prendendo parte al comitato costituente che intende convocare gli Stati Generali della Dc, presieduto da Gianfranco Rotondi: oltre a lui, hanno ricevuto la stessa lettera anche Angelo Sandri (vicepresidente del comitato, in rappresentanza della "sua" Dc o, se si preferisce, della sua visione di "ritorno alla Dc") e gli stessi Cerenza e De Simoni.
Al di là della coincidenza parziale dei destinatari, le due lettere hanno identico contenuto: alla loro base c'è la convinzione che "la Democrazia Cristiana - attualmente presieduta dall'on. Giovanni Fontana - non si è mai sciolta provvedendo anche a mantenere vivo il proselitismo politico che l'ha sempre contraddistinta, titolare della sua denominazione e segno distintivo" (la sottolineatura è presente nel testo): questo in virtù della sentenza n. 19381/2006 del Tribunale di Roma, "successivamente confermata dalla Corte d'Appello di Roma n. 1305/2009 (non cassata dalla Suprema Corte per rigetto dei gravami proposti)".
Ciò, per lo studio che ha inviato le missive, è sufficiente per dire che la Dc-Fontana "non può tollerare ulteriormente ogni indebito utilizzo del proprio segno distintivo (anche latamente riconducibile a quello che l[a] contraddistinse sin dalla sua genesi avvenuta nel primo dopo guerra) o della propria denominazione": se non è in discussione il diritto di ciascuno a esprimere il proprio credo politico con partiti anche affini alla Dc o che con essa collaborino, l'azione intende "stroncare in radice il proselitismo politico di terzi (fra i quali vi è anche la vostra associazione / partito politico) che ingenerano nell'elettorato e, in genere, nel pubblico il falso presupposto di aver a che fare con il Soggetto di Diritto da me patrocinato. La diffida, dunque, è volta a far cessare l'uso indebito del nome e del simbolo da parte di entrambi i soggetti collettivi, con l'inevitabile precisazione che se la richiesta non sarà soddisfatta, lo studio legale procederà con il mandato da esso "con aggravio di spese legali e risarcimento in vostro danno".
Fin qui il contenuto della diffida, con buona pace di chi pensava che Fontana avrebbe visto di buon occhio almeno il cammino unitario intrapreso da Rotondi e dagli altri, arrivando magari a convergere con loro (lo stesso Fontana, del resto, a luglio aveva detto di apprezzare l'iniziativa "in linea di principio", anche se avrebbe dovuto chiedere e ottenere al "suo" congresso l'autorizzazione a procedere in tal senso) e con buona pace anche delle dichiarazioni a questo sito dello stesso Rotondi, secondo il quale non c'era bisogno di arrivare allo scontro con Fontana ("se lui ritiene che la procedura più giusta sia riconvocare il congresso, io non ho niente in contrario, purché la cosa avvenga in armonia e senza che si traduca in una perdita di tempo, se n'è perso già troppo").
Proprio concentrandosi sul contenuto, peraltro, più di un punto non può che lasciare perplessi. Al di là di alcune incongruenze nei destinatari della missiva indirizzata al comitato di Rotondi (non si capisce come mai sia stata inviata a Cerenza e non all'altro amministratore Tommaso Marvasi, così come salta all'occhio dei #drogatidipolitica l'errore nell'indirizzo di Angelo Sandri, per il quale è indicato in modo scorretto persino il comune di Cervignano del Friuli), lo studio scrivente - come si è visto - dà per scontato che la Dc-Fontana sia la stessa Dc "mai sciolta" attiva fino ai primi giorni del 1994; anche a non voler discutere su come sia stato mantenuto "vivo il proselitismo politico che l'ha sempre contraddistinta" (con ben altri numeri di iscritti, che peraltro negli anni hanno dato vita a vari tentativi di rimettere in moto la Dc, giuridicamente diversi da questo attualmente guidato da Fontana), ciò che la Dc-Fontana ritiene scontato non lo è affatto. 
Non solo gli atti dell'assemblea del febbraio 2017 sono tuttora sub iudice, ma se è vero che mai la Dc è stata sciolta, è altrettanto vero che l'unico soggetto in continuità giuridica con quell'esperienza (pur se mutilato, nel tempo, dei transfughi di Ccd, Cdu e altri partiti) è ciò che resta del Partito popolare italiano, che nel 1994 mandò in soffitta - nel modo sbagliato, ma questa è un'altra storia - il nome della Dc. Questa tesi, che ovviamente chi vuole rivedere operante la Dc non può accettare, è stata ripetuta più volte su queste pagine, ma non è stata inventata da chi scrive: è stata proprio la Corte d'appello di Roma nella sua sentenza del 2009 (che, per amore di verità, la sentenza del 2006 del Tribunale di Roma l'ha parzialmente riformata e in nessun caso si parlava di Fontana, che non era ancora stato chiamato a far parte di questa vicenda giuridica) a dire che la decisione sul cambio di nome da Dc a Ppi non era stata dichiarata annullata o dichiarata nulla semplicemente perché il Ppi non era parte del processo (né era necessario che lo fosse) e le considerazioni su quell'atto erano servite solo incidentalmente per decidere la causa tra gli altri soggetti (Dc-Pizza, Cdu e, in seguito, Udc); la Cassazione, nel 2010, nell'unico punto di merito della sua decisione ha confermato questo punto, anche se nessuno sembra volersene accorgere. 
Le due diffide, in ogni caso, testimoniano che la vicenda giuridica legata alla Democrazia cristiana è tutt'altro che conclusa. Non ha proprio voglia di finire perché, in questa storia, tutti i gruppi sono convinti della bontà della loro strada e altrettanto certi della scorrettezza di altre soluzioni, mentre più di una persona è così desiderosa di vedere di nuovo all'opera la Dc da aver aderito a tutti i tentativi di far tornare attivo il partito. E poi c'è ancora chi ha il coraggio di parlare di post-democristiani… 

1 commento:

  1. "Torna la DC, torna anche tu!". Un caro saluto e complimenti per la sempre ottima copertura della nostra saga preferita!
    Marcello Menni

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