sabato 19 marzo 2022

Democrazia e centralità, àncora e balena per evocare la Dc a Catanzaro

La vicenda della Democrazia cristiana, con tutte le liti possibili e immaginabili sulla titolarità e sull'uso del nome e dello scudo crociato (a livello nazionale e locale), ha prodotto un numero notevole di vicende rilevanti anche sul piano simbolico: queste, infatti, hanno spesso prodotto emblemi "di emergenza", pensati per salvare una partecipazione elettorale dopo che l'organo competente non aveva ammesso il contrassegno originario oppure, in via preventiva, proprio per evitare contestazioni una volta presentati tutti i documenti richiesti dalla legge. La storia che si sta per raccontare, che appartiene alla seconda categoria appena vista, affonda le sue radici fino a diciotto anni fa e merita di non essere consegnata all'oblio.
Correva l'anno del Signore 2004, erano previste le elezioni europee e il turno più nutrito di elezioni amministrative, tra comunali e provinciali. Si votava, tra l'altro, anche per rinnovare l'amministrazione provinciale di Catanzaro, essendo in scadenza la presidenza di Michele Traversa, già consigliere e assessore regionale di Alleanza nazionale, diventato presidente nel 1999 battendo per 3mila voti Enzo Ciconte (quando al primo turno la differenza era stata di 180 voti circa). Il centrodestra si presentò al nuovo appuntamento - celebrato il 12 e il 13 giugno, in via inedita di sabato e domenica - relativamente ampio e compatto, avendo come partiti principali ovviamente Forza Italia e Alleanza nazionale, ma a queste bisognava aggiungere l'Udc, nata due anni prima: la Calabria era pur sempre la terra di Mario Tassone, in quel periodo deputato e vicesegretario vicario del partito, così da quelle parti - e soprattutto a Catanzaro, centro dell'attività politica dello stesso Tassone - lo scudo sopra le due vele andava davvero forte.  
Non tutto il mondo che si richiamava alla vecchia Democrazia cristiana, tuttavia, sarebbe entrato in quella lista: poche settimane prima, per dire, aveva fatto rumore l'abbandono dell'Udc da parte di Giovanni Merante, già assessore provinciale di quella giunta Traversa e in quel momento consigliere comunale di Catanzaro eletto con il Ccd, partito in cui aveva militato - e per il quale era consigliere dal 1997 - dopo una lunga presenza nella Democrazia cristiana (ovviamente fino al 1994). Da alcune settimane, invece, Merante aveva scelto di aderire "di nuovo" alla Democrazia cristiana, o meglio al partito che si riteneva in continuità con la Dc storica e che in quel momento che si riconosceva nella segreteria di Giuseppe Pizza (calabrese anch'egli). 
Proprio la segretaria organizzativa regionale di quel partito, Rosanna Vicedomini, circa tre mesi prima del voto previsto a giugno, aveva annunciato una probabile candidatura alla presidenza della provincia dello stesso Merante, distinto dal centrosinistra e dal centrodestra e sostenuto unicamente dalla Dc. Il 2004, tra l'altro, nella mente dei suoi dirigenti doveva essere l'anno del rilancio per il partito: c'era tutta l'intenzione di presentarsi anche in tante altre elezioni amministrative, ma soprattutto alle elezioni europee (anche grazie al sostegno del Partito democratico cristiano guidato da Clelio Darida e all'esenzione dalla raccolta firme, resa possibile dall'appoggio della "lista civetta" Paese Nuovo). 
Proprio in quell'occasione, tuttavia, c'erano già stati i primi intoppi sul simbolo: il contrassegno della lista Democrazia cristiana - Paese nuovo era stato tra i primi depositati al Viminale il 25 aprile (primo giorno dedicato alla presentazione), ma il mercoledì 28 aprile era arrivata la notizia della bocciatura: lo scudo crociato non andava bene - ritenuto confondibile con il fregio dell'Udc, partito presente in Parlamento e a quelle stesse elezioni - e, in fondo, era stato espresso un giudizio negativo anche sulla presenza del nome "Democrazia cristiana" nel contrassegno, probabilmente perché il nome integrale dell'Udc era "Unione dei democratici cristiani e dei democratici di centro"; la Dc ritenne ingiusta quella decisione (puntando il dito, tra l'altro, contro la partecipazione dell'Udc al governo in carica), ma pur di salvare la partecipazione alle elezioni accettò di modificare il simbolo, togliendo nome e croce dallo scudo, lasciando uno scudo rosso su una bandiera bianca sventolante su un cielo blu a richiamare i colori del vecchio partito.
In più, come se questo non fosse stato sufficiente, qualche giorno prima il Tribunale civile di Roma aveva emesso una delle sue tante ordinanze all'interno della causa iniziata nel 2002 dalla Dc (allora guidata da Angelo Sandri) nei confronti del Cdu - sì, proprio quella che nel 2006 avrebbe portato alla "sentenza Manzo" che avrebbe posto Pizza sotto i riflettori per alcune manciate di mesi e che nel 2010 sarebbe terminata con la sempre citata (e quasi mai capita) sentenza delle sezioni unite della Cassazione della fine del 2010 - per ottenere l'uso pacifico del nome e dello scudo crociato: in sede di reclamo, un collegio del Tribunale di Roma aveva infatti accolto la richiesta del Cdu di inibire alla Dc-Pizza l'uso della denominazione "Democrazia cristiana" e dello scudo crociato; anche per questo, probabilmente, la decisione del Viminale aveva riguardato pure il nome. In ogni caso, quella decisione fu impiegata dall'Udc - alla cui costituzione, com'è noto, aveva partecipato anche il Cdu - per contestare anche solo in via preventiva le liste e le candidature del partito di Pizza che avessero usato il nome e il simbolo della Dc: la presentazione dei documenti per partecipare alle elezioni era fissata per il 14 e il 15 maggio presso le corti d'appello o i tribunali, quindi c'era stato tutto il tempo di prepararsi a reagire a livello locale.
Non andò diversamente in Calabria e a Catanzaro: "Nei primi giorni di maggio sui quotidiani locali si aprì una polemica proprio legata all'eventualità che la Dc di Pizza alla quale appartenevo potesse usare il nome e il simbolo della Dc, con Tassone che aveva annunciato che l'Udc si sarebbe opposta all'ammissione di quei contrassegni - ricorda oggi Giovanni Merante, intervistato da I simboli della discordia -. Un paio di giorni prima del deposito delle liste, ricordo che venni contattato in modo informale da una persona che lavorava all'interno della Corte d'appello di Catanzaro: volle farmi sapere che, se per presentare le nostre candidature alle elezioni provinciali avessimo utilizzato il nostro simbolo 'ufficiale', com'era stato annunciato, avremmo potuto avere delle difficoltà a vederlo ammesso, proprio per l'ostilità che i vertici locali dell'Udc avevano già manifestato". 
A quel punto le alternative erano solo due: o mantenere il simbolo ufficiale, rischiando di farselo bocciare, o cambiarlo e trovare un'altra soluzione. "Scegliemmo la seconda, per non rischiare - continua Merante -. Questo, tuttavia, comportò per noi la necessità di accamparci in una tipografia di Catanzaro, in cui c'era anche qualcuno che ci diede una mano con la grafica, per poter elaborare un simbolo di emergenza. Pur togliendo lo scudo volevamo tenere qualcosa che somigliasse a una croce: per questo la trasformammo in un'ancora rossa, in un primo tempo avevamo pensato di accoppiarla alla prua di una nave, ma poi desistemmo e lasciammo soltanto l'ancora; dovendo cercare di renderci comunque un minimo riconoscibili per l'elettorato democristiano, aggiungemmo anche la sagoma di una balena bianca, tradizionalmente accostata alla Dc, con l'espressione sorridente e nuotante tra le onde del mare". La lista fu chiamata Democrazia e Centralità: "Mettemmo il nome sulla corona azzurra che racchiudeva il simbolo con ancora, balena e mare, e sul braccio orizzontale della croce trasformato nel ceppo dell'ancora riportammo la forma breve del nome 'DeC', con la 'e' centrale minuscola molto più piccola tra le due lettere maiuscole, per richiamare anche così tanto la storia della Dc, quanto la Dc di Pizza in cui militavo. In quelle stesse ore, in cui rifacemmo il simbolo di corsa, dovemmo anche elaborare uno statuto molto semplice, per dimostrare che esistevamo e assicurarci la possibilità di partecipare senza problemi".
Il simbolo fu ammesso con gli altri documenti, quindi elettrici ed elettori della provincia di Catanzaro trovarono sulle schede la candidatura alla presidenza di Giovanni Merante e i candidati locali a lui abbinati. A seggi chiusi, lui risultò aver ottenuto 2659 voti, pari all'1,3%, mentre i candidati di collegio di Democrazia e Centralità raccolsero qualcosa di meno (2529 voti, l'1,26%). Il risultato non fu memorabile e non scattò alcun seggio (al ballottaggio DeC sostenne il candidato del centrosinistra, Giuseppe Torchio, risultato perdente, ma il seggio non sarebbe arrivato anche in caso di vittoria); a complicare la partita di Merante ci fu la presenza sulle schede non solo dell'Udc (che fece il pieno, risultando con il suo 12,06% il partito più votato del centrosinistra e il secondo più votato in assoluto), ma anche della Rinascita della Democrazia cristiana, il partito guidato a livello nazionale da Carlo Senaldi e a quelle elezioni alleato del vincitore Traversa (grazie al suo 2,41%, tra l'altro, ottenne anche un consigliere, Michele Rosato).
Quell'avventura elettorale, dunque, non andò benissimo, ma Merante (che visse comunque con piacere quella campagna) decise di non demordere. Nel 2006 al comune di Catanzaro fu di nuovo tempo di elezioni e Democrazia e Centralità si presentò nella coalizione di centrosinistra: non toccò minimamente il simbolo - creato in emergenza e non proprio un capolavoro di finezza, pur essendo simpatico - e con quell'emblema raccolse l'1,87%; oltre a concorrere all'elezione del sindaco Rosario Olivo, riuscì a ottenere il tanto sospirato seggio. La stessa lista ricomparve alle elezioni del 2011, ma stavolta nel centrodestra, sostenendo la candidatura a sindaco proprio del vincitore delle provinciali del 2004, Michele Traversa: quella volta la lista arrivò al 3,02% (più della metà della percentuale dell'Udc) e confermò il proprio seggio in consiglio comunale; Traversa però era deputato del Pdl e - dopo che la Corte costituzionale sostanzialmente introdusse l'incompatibilità tra il mandato parlamentare e la carica di sindaco di un comune superiore a 20mila abitanti - scelse di restare a Montecitorio, così si tornò a votare nel 2012, ma senza che la lista DeC tornasse sulle schede. Quanto a Merante, in quel periodo si stava avvicinando proprio al Pdl, dove sarebbe rimasto fino alla riattivazione di Forza Italia, partito cui avrebbe aderito, venendo poi eletto alle comunali del 2017. Dopo poco tempo, tuttavia, si sarebbe registrato il suo passaggio al gruppo misto, fino al ritorno in seno all'Udc due anni fa. La balena bianca di Democrazia e Centralità, invece, riposa dal 2011 e nessuno, per ora, sembra avere l'intenzione di ridestarla.

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