venerdì 12 dicembre 2014

Riecco (forse) il Partito comunista d'Italia. Ossia, da Pdci a Pcdi

Inutile negarlo, la politica italiana è (o dovrebbe essere) abituata agli eterni ritorni: lo ha testimoniato a sufficienza la miriade di "rinascite", "rifondazioni", di partiti con la parola "nuovo" che precede nomi vecchi e di contrassegni puntualmente debitori di antichi simboli mai davvero accantonati. Negli ultimi anni si sono esercitati soprattutto gli irriducibili dello scudo crociato, finendo non di rado in tribunale (o rischiando di finirci), ma anche tra gli aficionados della falce e martello non si scherza. Soprattutto dopo che qualcuno ha annunciato il "ritorno" del Partito comunista d'Italia
Non si tratta del già esistente Partito comunista, cioè la formazione nata come Comunisti Sinistra popolare sotto la guida di Marco Rizzo e tornata al vecchio nome nel 2012; non è nemmeno però un gruppo nuovo a recuperare la denominazione adottata per la prima volta nel 1921 da Antonio Gramsci, Amadeo Bordiga e altri. A prepararsi a tornare all'antica etichetta è il Partito dei comunisti italiani, storicamente legato ad Armando Cossutta e Oliviero Diliberto e attualmente guidato da Cesare Procaccini. E' proprio lui a firmare un lungo comunicato in cui si dà conto del ritorno, o almeno dei suoi preparativi.
Così si apprende che, al comitato centrale Pdci del 23 Novembre, nel valutare il risultato delle elezioni regionali emiliane e calabresi (che hanno visto il buon risultato della lista L'Altra Emilia Romagna, con l'elezione di alcuni consiglieri), si è confermata "la necessità di proseguire con determinazione nel processo di ricostruzione di una soggettività comunista capace di ridare rappresentanza politica alle istanze del mondo del lavoro e delle masse popolari [...] e di rappresentare, prefigurando  una alternativa possibile, una risposta credibile ai loro bisogni", come sottolineato anche dall'appello (non senza seguito) dell’Associazione per la Ricostruzione del Partito Comunista.
E' nata da lì la decisione di partecipare con più vigore alla ricostruzione comunista "dando vita al Partito Comunista d’Italia, quale evoluzione dell’esperienza del PdCI e scelta a ciò funzionale". Sarebbe stato lo stesso comitato centrale a decidere di far registrare statuto e simbolo della nuova esperienza politica, in più promuovendo "rapidamente la relativa campagna di tesseramento per l’anno 2015".
Il tenore del comunicato non fa pensare che si tratti, come si diceva, della formazione di un partito nuovo (anche se ci sono elementi che vanno in questa direzione): si parla espressamente non di una chiusura d'esperienza, ma del "suo rilancio in direzione di una soggettività comunista più grande, la cui necessità e possibilità è sottolineata da ciò che accade, dal perché accade".
Certo, potrebbe comunque seguirsi la strada della costituzione di un nuovo soggetto politico, nella speranza che anche altri soggetti possano aderire; se invece in mente ci fosse proprio il cambio di nome, sarebbe interessante capire se sia previsto in tempi rapidi un congresso, visto che - come ormai è noto, dopo le vicissitudini in casa democristiana - per mutare la denominazione del partito (specie se si fa ricorso a un nome già esistito) occorrerebbe l'assise nazionale. 
L'uso del nome difficilmente potrebbe creare seri problemi di compatibilità con gli altri partiti (in fondo, per il Pdci si tratterebbe solo di invertire le lettere di mezzo): il precedente storico di Gramsci e Bordiga è talmente risalente, infatti, da rendere inimmaginabile qualunque collegamento con quell'esperienza nata negli anni '20. Per il simbolo, invece, la partita sarebbe molto più delicata.
Pare di capire, infatti, che come emblema si voglia utilizzare la doppia bandiera falce-martello e tricolore, con tanto di aste: esattamente la stessa che, dopo il 1948 - e senza che Guttuso ci mettesse mano, a differenza della vulgata comune - ha caratterizzato il "marchio" politico ed elettorale del Partito comunista italiano, da Togliatti a Occhetto (cambierebbe, paradossalmente, solo la sigla, non più puntata e con una font più moderna, mentre in alto comparirebbe la minidicitura "Ricostruire il partito comunista").
Il fatto è che quel segno, almeno fino a pochi mesi fa, era certamente nella disponibilità dei Democratici di sinistra, che dal 1998 sono subentrati al Partito democratico della sinistra nella titolarità dei nomi e dei segni, benché non facessero parte del nuovo contrassegno. Ora che anche formalmente i Ds risultano sciolti - e non disponendo delle carte necessarie a capire bene la vicenda - è da vedere se a essere titolare ora dell'emblema (o, per lo meno, a poter agire davanti al giudice in caso di uso ritenuto indebito) sia la stessa associazione in liquidazione o una delle fondazioni cui è riconducibile buona parte del patrimonio, soprattutto immobiliare, che era stato del partito. Ovviamente l'uso della falce e del martello in sé non sarebbe problematico (ce ne sono già parecchie e di varie fogge); il problema è l'impiego di quel disegno. 
Alla base, tra l'altro, ci sarebbe un episodio già molto chiacchierato. Basta sfogliare le cronache politiche del 1998 - anno in cui proprio Cossutta e compagni, in contrasto con Fausto Bertinotti, avevano provato a salvare il governo Prodi alla Camera, senza riuscirci - per vedere come Rifondazione comunista avesse accusato da una parte il neonato Pdci di avere copiato il suo emblema, dall'altra i Ds, rei di avere "concesso" di fatto l'uso del vecchio segno grafico. Espressamente interrogato sul punto dal sottoscritto, Ugo Sposetti (ultimo tesoriere dei Ds) affermò categoricamente che "Nessuno ha concesso un bel niente!", anche se in effetti non risulta che lui o qualcuno per lui si sia opposto per vie legali - mai risparmiate in Italia - all'uso della grafica, cui mancavano giusto le aste delle due bandiere per ricreare la vecchia atmosfera.
Sarà curioso vedere come la questione evolverà nelle prossime settimane: se qualcuno protesterà ufficialmente (compresa Rifondazione, che fino a qualche tempo prima era unita al Pdci nel progetto di Federazione della Sinistra) e, soprattutto, quanti guarderanno con interesse a quell'emblema. Se in ballo ci saranno bandierine o bandierone, saranno i numeri a dirlo.

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Aggiornamento del 13 dicembre 2014
Contrariamente a quanto detto prima, è probabile che proprio di un partito nuovo si tratti, in cui il Pdci dovrà decidere se confluire o meno. In effetti sarebbe la soluzione più rispettosa delle procedure giuridiche (come si è detto, non si è fatto un congresso per cambiare il nome); si vedrà come e in quanto tempo si arriverà a quel risultato.

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