sabato 28 febbraio 2015

Un passo dopo l'altro: variazioni sul simbolo della Destra sociale

D'accordo, alla Boškov, "partita finisce quando arbitro fischia". Eppure, come spesso accade, non è finita anche quando è finita. Se si presenta qualcosa di nuovo al pubblico, è lecito pensare che questo sia destinato a non cambiare almeno per un po': si presume che sulla soluzione si sia lavorato insieme fino a raggiungere una mediazione e che, se l'accordo è degno di questo nome, terrà, almeno per un po'.
In politica, però, questo frequentemente non accade e il campo simbolico non è diverso, da questo punto di vista. Capita che emblemi, frutto di una trattativa tra alcune forze politiche, siano superati nel giro di pochi giorni o addirittura di una manciata di ore (si pensi al cartello Udc-Popolari per l'Italia, nato alla vigilia delle elezioni europee, presentato in conferenza stampa e subito archiviato, per la successiva intesa elettorale tra Nuovo centrodestra e Udc). Altre volte il passaggio è un po' più morbido: magari si presenta l'emblema e poi si fa un ritocchino, a una posizione o a un colore, giusto per renderlo più efficace o per accontentare i desideri di qualcuno.
Pochi giorni fa qui si è raccontato il nuovo simbolo della Destra sociale, conch una svolta grafica che lasciava alle spalle (o, se si preferisce, al patrimonio della memoria) fiamme e altri segni simili, per lasciare solo a una reinterpretazione dei quattro colori nazionali l'idea della destra che guarda al futuro. Da ieri, però, il blu scuro - praticamente blu di Prussia - che colorava il fondo all'inizio (e che aveva sostituito il nero) ha lasciato il posto a un tono più chiaro, quasi bluette ma non troppo elettrico, molto più simile al colore della maglia della Nazionale italiana di calcio. Forse a qualcuno la tinta originaria sembrava troppo nera (e magari temeva che, in fase di stampa, potesse diventare tale), magari c'era chi vedeva un contrasto più efficace con il nuovo colore; come che sia, ora il fondo del simbolo di Destra sociale si è ufficialmente schiarito.
Qualcun altro, del resto, aveva già fatto un esperimento sull'emblema disegnato (e in seguito "aggiustato") da Alfio Di Marco. Già dall'inizio della settimana, infatti, Lamberto Iacobelli, coordinatore della Destra sociale per il Lazio, sul suo profilo Facebook aveva proposto una versione un po' differenziata del contrassegno, con il fondo ancora più chiaro, quasi brillante, e soprattutto con la freccia verde cui era stato dato un effetto tridimensionale, in rilievo. "E' solo una prova per evidenziare la freccia, che simbolicamente ha un significato, dalla scia tricolore che indica il percorso", ha spiegato al blog, quando è stata segnalata la sua "variazione sul tema". Un esperimento grafico, dunque, che ancora si può trovare sul profilo di Iacobelli. La nuova versione del simbolo di Destra sociale può apparire, se si vuole, un piccolo compromesso tra l'approdo originale e l'esperimento tentato: un blu più chiaro (ma non brillante) e la freccia rimasta com'era già prima. Così ora, sistemati i colori, si può continuare a pensare alla politica.

giovedì 26 febbraio 2015

Simboli fantastici (5): Chi ha inventato il "Partitu du Pilu"?

Anche parlare dei simboli veri di partiti falsi richiede un minimo di logica. Così, dopo aver parlato di un finto pornoattore (Natalino Balasso da Zelig, con il tronchéto della felicità del suo "Listone") e di un vero attore hard (Alex Magni, pronto a scendere nell'agone politico con il partito della "sua" Cento x Cento, ovviamente solo come scusa per introdurre due suoi film), questa volta occorre scomodare il massimo esperto dell'ingrediente fondamentale di quasi tutti delle pellicole di cui è protagonista lo stesso Alex: il "pelo". Anzi, il pilu. Perché il protagonista di questa nuova puntata non poteva che essere lui, Cetto La Qualunque, il personaggio sfornato da Antonio Albanese che riesce a diventare sindaco del suo paese della Calabria infilando una scorrettezza dopo l'altra e a sbancare il botteghino con la sua prima apparizione cinematografica, Qualunquemente
Fu quella, dunque, nell'anno di non esagerata grazia 2011, la reale discesa nel campo della fantapolitica di Albanese (Cetto l'aveva interpretato anche a Che tempo che fa, ma senza una struttura vera e propria). L'anno dopo il fenomeno si sarebbe ripetuto, con Tutto tutto niente niente, ponendosi addirittura in concorrenza con le primarie del Pd, proponendo "le vere primarie" con Cetto, Frengo e Olfo. Di quell'episodio si è già parlato a suo tempo; qui interessa ricordare l'esordio, perché dal punto di vista simbolico è molto più interessante. 
Tutti ricordano, infatti, i vari gazebo montati nella piazza di turno per le primarie più singolari della storia, con un unico candidato in lizza: Cetto, ovviamente. Quella singolare iniziativa promozionale era stata studiata fin nei minimi dettagli dal direttore creativo della Fandango, Federico Mauro: c'erano moduli per le firme, adesivi, bandiere, spillette. E, ovviamente, non poteva mancare un simbolo (appiccicato sui finti manifesti e un po' ovunque nelle affissioni promozionali), disegnato in modo semplice e senza esperimenti grafici, ma indubbiamente chiaro: sul logo c'era il nome del partito e il concetto che doveva passare, "Vota La Qualunque", il tutto su colori a metà tra il glam e il trash, tinte che potevano stare benissimo sulla vestaglia del candidato unico o quasi, come si sarebbe poi scoperto guardando il film.
Proprio guardando la pellicola, però, i drogati di politica non potevano non notare un dettaglio non da poco. Perché il simbolo, quando la campagna elettorale entra nel vivo (cioè subito dopo l'incarcerazione grottesca di Melo La Qualunque), è molto più elaborato e in salsa tricolore: i toni della bandiera appaiono nel segmento inferiore, sotto al cognome "La Qualunque" (in una font Inserat che è impossibile non vedere) e nelle lettere della sigla del partito, prima non presente, evidentissima nella parte superiore dell'emblema. Da ultimo, se si deve osare è il caso di farlo davvero: per questo, anche l'occhio pigro non può non accorgersi che, tra l'acronimo tricolore e il nome del partito (tra l'altro nella sua dicitura dialettale più corretta, visto che fino a quel momento si era scritto "Partito" e non "u Partitu", forse per evitare malintesi dall'Alpe a Sicilia) e morbidamente posato il soggetto e l'oggetto della lista. Ecco dunque un pilu (o, per lo meno, qualcosa che vuole somigliargli), che si snoda mollemente da sinistra a destra, con tanto di guizzetti finali che somigliano tanto a una strizzatina d'occhio complice.
Inutile però cercare online un'immagine del simbolo completo (che lì sembra davvero fatto per le schede, visto che di norma non si scriverebbe mai "Vota..."): ci sono varie imitazioni, magari parodie della grafica Pd, ma questa non c'è, nemmeno sulla copertina del dvd. Sulla cover del cd della colonna sonora, invece, il logo usato nel film occhieggia ancora: occorre accontentarsi di quello per rievocare lo sdoganamento pubico più sfacciato e più finto. Anche se una mano birichina il "Partito della gnocca" al Viminale l'aveva presentato dieci anni prima...

mercoledì 25 febbraio 2015

La Fiamma contesa: primo round per Carelli

La decisione è provvisoria, ma la prima "puntata" dello scontro apertosi all'indomani del "doppio congresso" del Movimento sociale Fiamma tricolore dà ragione ad Attilio Carelli (già reggente del partito dopo l'uscita di Luca Romagnoli) e alla segreteria dell'assise svoltasi a Roma a metà dicembre dell'anno scorso; ne esce invece perdente Stefano Salmè, a sua volta "eletto segretario" a conclusione del congresso tenutosi quasi contemporaneamente a Salò. Ad attribuire il primo punto, il giudice del Tribunale di Catania Rosaria Castorina, che ha redatto l'ordinanza datata 21 febbraio.
In questo caso, a far partire il contenzioso era stato il ricorso da parte della segreteria del congresso rappresentata dall'avvocato Francesco Condorelli Caff (presso il cui studio catanese ha sede legale attualmente il partito, motivo per cui a decidere è stato il Tribunale di Catania), diretto contro Salmè, per far cessare l'uso che questi aveva fatto del simbolo del partito al fine di promuovere l'assise congressuale di Salò.
Come si è ricordato a suo tempo, a monte la convocazione del congresso e il regolamento congressuale erano stati impugnati davanti al Tribunale di Roma dallo stesso Salmè, lamentando varie violazioni di norme statutarie, codicistiche e costituzionali: non è invece di questo che si discute ora, visto che l'omologo ufficio di Catania valuta essenzialmente le censure mosse da Condorelli Caff.
Il giudice, in particolare, rileva che il simbolo è stato utilizzato da Salmè "per convocare" e promuovere il congresso di Salò, quando l'uso dell'emblema, "attesa la sua inscindibilità e il suo carattere precipuamente evocativo di una attività politica particolare", spetta solo al partito e "ai legittimati da apposita indicazione" dello stesso. Soggetti tra i quali non rientrerebbe Salmè, anche e soprattutto perché alla fine di novembre era stato espulso dal segretario reggente Carelli (decisione poi ratificata dal Comitato centrale all'inizio di gennaio). E' vero che gli atti che hanno portato all'espulsione sono stati impugnati e si attende una decisione di altri giudici, ma al momento quegli stessi atti sono ancora efficaci: per chi è stato chiamato a esprimersi stavolta, questo basta per dire che Salmè non fa parte della Fiamma tricolore e "in alcun modo può essere collegato all'utilizzazione del segno in questione in base alla sua sola volontà".
Tutto questo è sufficiente, secondo il giudice, per ritenere "evidente l'illegittima utilizzazione del segno", cui si aggiunge - trattandosi di un giudizio cautelare - il periculum in mora, cioè il rischio legato (in questo caso) alla "suggestione politica ovvero [alla] dissuasione politica contrastante con il disegno dell'associazione": in sostanza, si vuole evitare che qualcuno pensi che le azioni e il pensiero di Salmè siano indebitamente ricollegati alla Fiamma, per cui occorre agire in fretta prima che questo accada. Azione che, in questo caso, si traduce nell'inibizione dell'uso del simbolo a Stefano Salmè, comportandone anche "l'oscuramento sulla pagina facebook a lui intestata".
Condorelli Caff, come procuratore e difensore della segreteria del congresso (e dello stesso partito), ha immediatamente invitato Salmè a "eseguire e attenersi scrupolosamente" all'ordinanza del giudice Castorina (anche se, a quanto pare di capire, la segreteria vorrebbe a monte l'oscuramento dell'intera pagina e non del solo simbolo). Al momento pagina e simbolo sono ancora al loro posto, per cui è possibile che la Fiamma rappresentata da Carelli intenda procedere per raggiungere comunque il risultato. Questo, in ogni caso, è il primo round: è probabile che lo scontro continui (su questo e altri filoni della vicenda), si vedrà con quali esiti.

giovedì 19 febbraio 2015

Area popolare, come non sarà il simbolo

In politica spesso si è sperimentata una massima, ripetuta a ogni nuova alleanza: due più due non fa quasi mai quattro, ma sempre un po' meno. Prove ce ne sono diverse: è prassi comune che, quando due o più forze politiche si uniscono in un unico soggetto (nato anche solo per correre alle elezioni), i voti riportati da questo siano minori della somma dei consensi su cui avevano potuto contare quelle formazioni in precedenza. Certo, ci possono essere eccezioni, ma sono poche, proprio come avviene con un'altra regola facilmente verificabile: due più due fa un simbolo nuovo
Lasciate stare tutti i sistemi elettorali che prevedono la possibilità di formare coalizioni (e dunque di correre separati): quando ognuno corre per sé o le soglie di sbarramento fanno paura, se due o più partiti scelgono di correre insieme, dalla loro unione - temporanea o duratura - uscirà quasi sempre un emblema nuovo. Difficile che un gruppo fagociti l'altro senza che la grafica cambi di un millimetro: al più il simbolo del partito prevalente sposterà o aggiungerà qualcosa che rimandi agli altri soggetti politici; se i due gruppi si equivalgono, si cercherà un compromesso tra i due segni, o magari si sceglierà una soluzione nuova.
La strada del compromesso grafico - molto al ribasso, come si era detto ad aprile - era stata scelta dal Nuovo centrodestra e dall'Udc alle ultime europee: la scelta, partorita probabilmente in poche ore, aveva semplicemente "compresso" i due simboli per farli entrare nel cerchio (facendo peraltro praticamente sparire i Popolari per l'Italia di Mauro) e, se non altro, aveva centrato l'obiettivo di superare l'asticella del 4% per approdare al Parlamento europeo. Il "tandem" era stato mantenuto alle elezioni regionali di fine 2014, soprattutto in Emilia, curando leggermente di più la grafica ma sempre senza renderla un capolavoro (i simboli originari risultavano ancora più schiacciati di prima).
Come non sarà il simbolo...
Ora che tra quelle due forze sembra molto più avviato il processo di costruzione di Area popolare (che peraltro ha raccolto l'interesse anche di soggetti non appartenenti a Ncd e Udc), si pensa seriamente a un nuovo emblema, che possa partecipare alle elezioni regionali che si svolgeranno in primavera. Le agenzie - in particolare l'AdnKronos - ieri hanno citato "fonti parlamentari centriste", secondo le quali "La grafica dovrà conservare un tratto di continuità e, nello stesso tempo, avere un tratto di novità". Sarebbero i due segretari, Angelino Alfano e Lorenzo Cesa, a dover valutare le soluzioni grafiche e avrebbero vari bozzetti in visione. Certo, più di questo è importante il gioco delle alleanze (per cui ci si concentra sul sostegno al governatore uscente Caldoro in Campania, assieme a Forza Italia, o sui dubbi in Veneto, legati alla chiusura della Lega verso chi ha collaborato con il governo Renzi). Di certo la continuità maggiore verrebbe dalla rielaborazione di una delle due grafiche utilizzate fin qui, sostituendo la nuova denominazione "Area popolare" al nome di Alfano o ad altre diciture presenti sul contrassegno; l'aspetto di novità, però, sarebbe ridotto al minimo e i cultori della grafica potrebbero apprezzare assai poco il rimescolamento di qualcosa che già non avevano gradito.
Si vedrà nei prossimi giorni quale soluzione sarà adottata (e, in particolare, se l'emblema rinuncerà allo scudo crociato o lo manterrà, anche solo per evitare che altri cerchino di usarlo). Di certo, comunque, la grafica non andrà verso una soluzione che da tempo gira in Rete e che spunta proprio cercando su Google "area popolare simbolo": Si scopre infatti che su GDR Italia - primo gioco di ruolo di simulazione politica, attivo dal 2008 - il primo congresso di Area popolare si sarebbe svolto addirittura alla fine di gennaio, pur senza arrivare davvero a una fine: a parteciparvi, peraltro, erano la Dc, i Moderati riformisti e l'Udc, mentre pochi giorni prima si parlava di tale GianLuca Motta - che vanterebbe nel palmares anche una poltrona di ministro della salute in un curioso governo Riccardi I - come fondatore e coordinatore unico nazionale di Area popolare, proveniente da Fratelli d'Italia. Non ci avete capito niente? Tranquilli, questa non è la realtà. Ma se solo qualcuno pensasse di adottare il simbolo già in uso su GDR per Area popolare - nemmeno poi così male - sarebbe oggetto di grasse risate (e qualche tentazione di causa) dai giocatori di ruolo. Sai che figura...

martedì 17 febbraio 2015

Il nuovo orizzonte grafico della Destra sociale

Arriva il tempo in cui anche i simboli invecchiano. Per carità, nell'intimo rimangono ben presenti e la mente non manca di tenerli ben lucidi e curati, ma capita che si avverta il bisogno di voltare pagina. Si progetta quel passo per non restare legati a qualcosa che, per quanto scaldi il cuore di più di una persona, nella realtà presente non è più proponibile in quel modo.
Ci sta seriamente provando Destra sociale, il progetto politico (non un partito) portato avanti da Luca Romagnoli e non pochi ex esponenti della Fiamma Tricolore, dopo la conclusione - non proprio serena - della loro esperienza nel partito fondato nel 1995 da Pino Rauti. In quell'anno, come è noto, Alleanza nazionale non volle più chiamarsi Movimento sociale italiano, ma non rinunciò del tutto alla storica fiammella; Rauti, invece, quel capitolo non voleva proprio chiuderlo e ha fatto di tutto per mantenere le vecchie insegne, optando alla fine per una "goccia tricolore" solo quando tribunali e uffici elettorali lo hanno via via costretto a mollare il colpo. 
Al simbolo tradizionale missino era certamente legato anche Romagnoli, al punto che il primo emblema di Destra sociale - con cui tra l'altro è stato conquistato un consigliere comunale a Cisterna, in provincia di Latina - al centro aveva la vecchia fiamma missina a base trapezoidale su fondo bianco, sia pure inserita in un cerchio verde con il nuovo nome (sperimentati alle europee 2009). Stavolta però il clima e il contesto sono diversi, con una destra praticamente sparita dopo la fine politica di An (e, forse, non solo a causa di questo) e la diaspora che ne era seguita: negli ultimi anni, richiamarsi ad Alleanza nazionale è più divisivo che unitivo (anche per chi ha tentato di appropriarsi di quel patrimonio visivo) e - forse, sia pure a malincuore - è meglio lasciare da parte la fiamma, anche se nei cuori non si è spenta.
Come fare dunque, per immaginare un nuovo emblema? Ci sarebbe da comunicare l'appartenenza e l'adesione nazionale, con il tricolore che la destra non ha mai abbandonato; bisognerebbe evolvere rispetto al passato, abbandonando la tinta nera; da ultimo, doveva emergere in senso anche visivo, quasi plastico, il concetto di destra.
Come fare a tenere insieme tutto questo? Poteva servire allo scopo una freccia, puntata a destra e possibilmente in alto (d'accordo, con Fare per Fermare il declino era andata maluccio e ai Popolari per l'Italia di Mauro non aveva dato tantissimo, ma perché non provare a sfatare quei precedenti?) e tinta coi colori nazionali. E proprio questa era l'idea grafica di base, con la freccia dal corpo bianco, le due "spine" verdi e rosse e, a contorno, il nome blu appena corsivo.
L'idea poteva anche andare, ma graficamente c'era da lavorare sulla resa, a partire dall'evidenza del nome  e - soprattutto - dalla freccia. Piuttosto che un disegno piatto, il grafico Alfio Di Marco ha iniziato a sperimentare una soluzione tridimensionale: si poteva lavorare sullo spessore (sfruttandolo per il tricolore) oppure cercare di dare dinamica al disegno, torcendo la freccia. Alla fine, questa è stata la scelta preferita, per dare un impatto particolare: si va a destra, mostrando anche lo sforzo (e il cambiamento) per andarci e rimettere insieme i cocci sparsi un po' dappertutto. 
Battezzata quella soluzione (e fatto un tentativo per uscire dalla logica del cerchio, coraggioso ma inutilizzabile alle elezioni), bisognava aggiustare i colori. Scartate abbastanza in fretta le soluzioni non tricolori, poco legate al patrimonio ideale che si vorrebbe tenere insieme, si è scelto di dare la prevalenza al colore verde (un verde non "leghista") nella parte dominante della freccia. 
Restava solo da decidere la tinta del fondo: le prime prove, ovviamente , sono state fatte col nero, ma sono stati tentati tutti i colori - anche i più improbabili - fino a decidere per il blu scuro. E certo non solo perché è il quarto colore nazionale: può tirare al nero "storico" ma non lo è, dà l'idea di un'appartenenza non divisiva, con cui si va a destra insieme senza segni che possano creare fratture.
Il risultato è un emblema coraggioso (non sui colori ma sulla grafica), che non deve nulla al passato ma guarda al futuro. E, soprattutto, chiunque si dichiari oggi di destra potrebbe volendo riconoscersi in quel disegno, accettando di tenere la fiamma solo nella sua memoria. Non è facile, ma non è nemmeno impossibile.

domenica 15 febbraio 2015

Lazio 2010, il Polverini (Fabio) cancellato

Il 2010, non ci sono dubbi, fino a ora è stato l'annus horribilis delle elezioni regionali. D'accordo, c'era stato il "caso Piemonte", con la vittoria al fotofinish di Roberto Cota su Mercedes Bresso e la successiva guerra davanti ai giudici amministrativi che ha fatto annullare tutto e ripetere le elezioni nel 2014 per ragioni di firme (il risultato è stato ribaltato, ma a quanto pare le grane delle sottoscrizioni sono rimaste). 
Soprattutto, però, si era iniziata la campagna elettorale nel modo peggiore, con il caos legato alla presentazione delle liste del Pdl in Lombardia e in Lazio. In quest'ultima regione, in particolare, per giorni avrebbero tenuto banco le polemiche legate all'esclusione della lista nella circoscrizione provinciale di Roma (la più "pesante" di tutte), per i documenti consegnati troppo in ritardo in Tribunale dai rappresentanti del Popolo della libertà; non riuscì a risolvere la questione nemmeno il ricorso a un discusso decreto-legge interpretativo "salva liste" - incostituzionale per molti e soprattutto inutile, visto che in materia elettorale doveva prevalere la legge della regione Lazio.
La mazzata più grossa, però, il centrodestra l'aveva schivata per un soffio e in molti l'hanno dimenticata. Perché alle regionali di quell'anno, assieme a Emma Bonino (candidata dal centrosinistra) e all’ex segretaria generale dell’Ugl Renata Polverini (per il centrodestra), tra i pretendenti alla Pisana c'era anche Roberto Fiore, leader di Forza Nuova: la sua coalizione comprendeva anche Forza Roma, Lega Italia, Lega Centro, Lista dei Grilli parlanti e No Nucleare. Fin qui le notizie annunciate, quelle che tutti sapevano e potevano immaginare. Quando però il 26 febbraio si erano aperti i termini per il deposito, il primo simbolo presentato era stato una sorpresina per tutti: si trattava di un altro gruppo a sostegno di Fiore, il cui capolista era Fabio Polverini. Di professione faceva l’odontotecnico e con l’ex sindacalista non aveva nulla a che fare; in compenso, per non notare il suo nome in bianco sul fondo rosso del simbolo, bisognava avere seri problemi di vista. Una mossa geniale, da parte della coalizione che - avendo Forza Roma al suo interno - poteva contare sull'esperienza di Ottavio Pasqualucci e soprattutto di Dario Di Francesco, conoscitore delle norme elettorali più di chiunque altro.
La notizia non doveva avere riempito di gioia lo staff di Renata Polverini, che aveva comunque presentato il suo emblema. Questo, tra l'altro, era bastato a far saltare i nervi a Sel (per l'uso del rosso, troppo "di sinistra" per una coalizione di centrodestra) e ancora di più agli ex Ds di Sinistra democratica: quel contrassegno a fondo rosso con una traccia di gesso, ai loro occhi, sembrava proprio clonare l'ultima versione del loro simbolo, che in effetti aveva una traccia arcobaleno e non tricolore, ma il concetto grafico era di fatto lo stesso. 
La notizia bomba, in compenso, sarebbe arrivata il 2 marzo: l’ufficio elettorale della corte d’appello, infatti, bocciava la lista personale di Renata Polverini, perché il simbolo era davvero troppo simile a quello del suo omonimo, che era stato depositato per primo (ed era stato temporaneamente sospeso dopo un primo sospetto di irregolarità). Dopo la botta per l'esclusione della lista Pdl in provincia di Roma, le conseguenze quella volta potevano essere pesantissime: in quel caso, infatti, non rischiava solo il partito di Silvio Berlusconi, ma tutto il centrodestra. A traballare, infatti, in quella giornata era stato l'intero "listino" della Polverini: fosse stata confermata l'esclusione della lista, l'intero centrodestra sarebbe sparito da tutti manifesti e le schede, senza alcuna eccezione. 
Per alcuni giorni, nel quartier generale della Polverini si era masticato amaro: il timore vero, come detto prima, era che l'attacco al "listino" avrebbe eliminato il centrodestra dalle schede. Tempo qualche giorno e la situazione si è ribaltata: se il simbolo di Renata Polverini era stato riammesso (tra l'altro integrando la firma che mancava), dall’altra era stata l’intera coalizione di Roberto Fiore a cadere. Si è parlato di irregolarità formali nella presentazione del “listino" (sempre lui, anche stavolta) a favore dello stesso Fiore, per cui a cascata doveva saltare anche ogni lista della coalizione. 
Inutile dire che i supporter dell'ex sindacalista avevano tirato un sospiro di sollievo. L'avevano presa male invece le liste schierate con Forza Nuova, che avevano fatto vari ricorsi per tentare di salvare il salvabile. A distanza di anni, l'amarezza è ancora tanta, visto che la possibilità di correre con il simbolo della lista Fabio Polverini senza l'emblema della futura governatrice del Lazio era lì a un passo. La tentazione di pensare che le irregolarità contestate al listino di Fiore siano servite soprattutto per neutralizzare il simbolo alias del Polverini odontotecnico è forte, Quella pagina, in ogni caso, si chiuse così, a pochi giorni dal voto, senza spegnere nei protagonisti un interrogativo: cosa sarebbe successo se la Polverini avesse dovuto cambiare il simbolo o sparire dalle elezioni? 

venerdì 13 febbraio 2015

Simboli fantastici (4): Cento x Cento, tarocco a luci rosse (con sorpresa)

D'accordo, il simbolo "vero" (o almeno verosimile) di un partito falso può nascere per mille ragioni, ma verrebbe difficile immaginarne il varo all'interno di un film a luci rosse. Per carità, sarebbe fin troppo facile dire che di pornografico - in tutti i sensi, dallo scollacciato al prezzolato - la politica italiana ha già mostrato a sufficienza di suo, specie in tempi recenti, ma immaginare un contrassegno come "scusa" o come elemento di un film porno, insomma... Giusto il personaggio di Natalino Balasso, con il tronchéto della felicità del suo "listone", poteva avere osato qualcosa di simile, ma il tutto era rimasto nei pochi minuti di un numero comico.
Ebbene, c'è chi ha sparato più in alto (o più in basso, chi lo sa) e verificarlo è fin troppo facile. Perché capita che si cerchi in Rete qualche informazione in più sul "Primo comitato 100%" di cui si è parlato qualche settimana fa, visto che - a parte il simbolo, presentato alcune elezioni fa senza essere usato - di informazioni ne erano circolate assai poche. E magari si scrive "elezioni politiche cento per cento" in un sito di raccolta filmati come YouTube, sperando di trovare qualche videointervista in cui l'oscuro depositante dica qualcosa di sé e provi la sua esistenza (politica, ovviamente). E invece... il primo risultato è una chirurgica e bruciante sostituzione di lettera, che catapulta lo spettatore sulle "eRezioni politiche": difficile non ridere per la trovata, che si ripete poche righe sotto, questa volta con riferimento alle elezioni europee.
Non è difficile rendersi conto di essere di fronte a due trailer di film hard, sfornati da una casa di produzione tutta toscana - la Cento x Cento appunto - che ha pensato di prendere spunto dall'appuntamento elettorale per costruire attorno una scena a luci rosse, anzi due, una il seguito dell'altra. Capita così che in due setting tra l'improbabile e il grottesco - un'intervista e una conferenza stampa, con tanto di pornodisturb-attori - la Cento x Cento si faccia addirittura partito, guidato dall'attore-factotum della casa di produzione, Alex Magni, candidato con lo scopo dichiarato di "far tirare l'Italia". Attorno a lui, varie pornocandidate spinte da slogan altrettanto inequivocabili ("abbassa lo spread per alzare tutto il resto", "prima si è fatta l'Europa, ora lavora per farsi tutta l'Italia", "instancabile al servizio di tutti" e "aperta ad ogni posizione") che occhieggiano dai manifesti alle loro spalle.
E proprio da quegli stessi manifesti emerge il simbolo dello stesso partito, con il marchio della casa produttrice accompagnato al nome del "candidato presidente" (basta proprio solo il nome, per gli amanti del genere): il tutto, con tanto di sfondo blu con lunetta bianca e tricolore in forma stellare, con quel briciolo di spessore che fa tanto 3D e moderno.
Ce ne sarebbe abbastanza per mettersi a sorridere per l'idea, magari convenendo con Filippo Ceccarelli che, di fronte a certi brutti spettacoli della politica, "un po' verrebbe da dire: meglio le pornostar" (Il teatrone della politica) La perversione del ricercatore, però, non si accontenta e si domanda se davvero per quei film qualcuno si sia messo d'impegno a immaginare un emblema nuovo o se, piuttosto, si sia riciclato qualcosa di esistente, personalizzandolo a dovere. La Rete ha molte facce e, se a volte fa i dispetti e non aiuta nemmeno per sbaglio, altre volte serve le occasioni su un piatto d'argento. E allora non è impossibile scoprire che in terra d'Umbria è nata da un po' Per l'Umbria popolare, una lista civica unica di moderati che vorrebbe lanciare la candidatura del sindaco in carica di Assisi, Claudio Ricci, come guida di un centrodestra unitario alle regionali di marzo. E il simbolo di base (di cui esiste anche la versione "per l'Italia popolare") è proprio quello utilizzato come base dalla Cento x Cento per i suoi film. Chissà come l'avrà presa lo staff di Ricci, scoprendo la "clonazione": qualcuno si sarà messo a ridere, ma forse solo di nascosto. 

domenica 8 febbraio 2015

La margherita dell'Unione per il Trentino in soffitta. Anzi, no


Ai curiosi della politica nazionale la notizia potrebbe essere sfuggita, come se ciò che riguarda una forza politica meno che regionale potesse avere poca importanza o potesse essere trascurato a priori. Eppure a fine gennaio era spuntata la possibilità di pensionamento di un simbolo a suo modo storico del Trentino, in nome di un nuovo impulso all'autonomia di quell'area. Al centro del discorso c'è l'Unione per il Trentino ed è stato proprio uno dei suoi ideatori - lo stesso Lorenzo Dellai di cui si è da poco parlato a proposito di Democrazia solidale - a dettare un'ipotetica scadenza per quella formazione, nata nel 2008 e cui lui stesso ha legato parte della propria storia.
Il primo logo dell'Upt
Dellai - che prima di entrare in Parlamento della provincia di Trento è stato tre volte presidente, eletto al terzo mandato anche grazie all'Upt - in un documento presentato a fine gennaio al "parlamentino" provinciale dell'Unione, aveva immaginato un nuovo progetto per corroborare il futuro dell'autonomia, immaginando tra l'altro che il partito potesse "ammettere la possibilità di un nostro superamento", magari attraverso la promozione di "liste aperte a chi è disponibile a concorrere al rilancio del centrosinistra". Questo, secondo il deputato, poteva arrivare con l'adozione di "un simbolo e una denominazione delle liste che connotino questa impostazione", mandando dunque in soffitta l'emblema azzurro-verde in uso da sette anni.
Nel caso, non sarebbe stata una rinuncia da poco. L'Upt, infatti, si poneva e si pone come l'evoluzione della lista Civica per il governo del Trentino, nota fin dall'inizio come "Civica Margherita" proprio per la corolla del fiore rappresentata sullo sfondo. La storia di questo raggruppamento era ancora più vecchia, essendo questo nato dieci anni prima dell'Unione, fondato proprio da Lorenzo Dellai (che fino a poco prima stava nel Ppi) come disegno di un partito regionale che curasse l'autonomia della provincia trentina ma rilanciando nel contempo il progetto ulivista del 1996. Il successo ottenuto alle elezioni provinciali del 1998 (che l'anno dopo hanno portato lo stesso Dellai per la prima volta alla presidenza) suggerì di esportare l'esperienza su scala nazionale: non fu dunque un caso che il cartello "Democrazia è libertà", che unì Ppi, Rinnovamento italiano, Democratici e (finché fu della partita) Udeur avesse come emblema proprio il fiore della margherita.
Lo stesso logo floreale era finito nel nuovo contrassegno dell'Unione, recentemente ingrandito nell'ultima versione (come unico cambiamento di rilievo); magari poteva anche essere presente nel nuovo soggetto immaginato da Dellai, come segno di evoluzione nella continuità. L'idea di voltare graficamente pagina però non doveva andare a genio all'attuale segretaria dell'Upt, Donatella Conzatti, ben decisa tra l'altro a mantenere l'autonomia del soggetto politico (senza farsi schiacciare dal Pd e dal Partito autonomista trentino tirolese). Alla fine, in ogni caso, il partito sembra destinato a restare in piedi, dopo l'ultima riunione del "parlamentino" a febbraio: "L’Upt c’è - si legge nel sito - mantiene la sua identità, simbolo e rappresentanza". Una margherita, insomma, da qualche parte resiste.

venerdì 6 febbraio 2015

La sfida eurografica di Democrazia solidale

Salvo novità dell'ultim'ora, la notizia politica del giorno è data dal "quasi-esaurimento" dell'esperienza politica di Scelta civica per l'Italia: l'aveva provocatoriamente delineato Matteo Renzi a Porta a Porta poche sere fa, lo ha certificato oggi - con un tempismo invidiabile, a una manciata di ore dal congresso nazionale - Stefania Giannini, che di Sc è l'esponente che detiene la carica più alta (come ministro). Se di fatto oggi otto parlamentari sono approdati ai gruppi del Partito democratico, bisogna ammettere tanto che non sono stati certo i primi (la strada, a ben guardare, l'ha aperta Andrea Romano), quanto che il loro passaggio non cambia di una virgola i numeri della maggioranza, visto che Scelta civica era comunque già a sostegno del programma e dell'azione dell'ex sindaco di Firenze.
Tutt'altro discorso, invece, per un altro gruppo di ex compagni di strada montiani, le cui ultime mosse hanno cambiato almeno in parte la conformazione delle Camere, specie dal punto di vista del pallottoliere. Avevano fatto un certo rumore, infatti, verso la fine del 2013, le defezioni di alcuni tra i personaggi più in vista della prima Scelta civica, come Lorenzo Dellai, Andrea Olivero e Mario Marazziti, allontanatisi dai libdem - che avevano scelto di rompere con l'Udc - per seguire l'allora ministro della difesa Mario Mauro nei Popolari per l'Italia: La collocazione, tuttavia, non è durata a lungo: troppo moderato (e un po' troppo rivolto a destra), il nuovo soggetto di Mauro, per Dellai e soci e per la loro storia personale. Anche per questo, all'inizio di luglio era nato il movimento Democrazia solidale, da subito vicino a Renzi e al Pd (cui, del resto, Dellai era già vicino da anni con la sua Unione per il Trentino).
Per un po' di tempo il nuovo gruppo di Lorenzo Dellai non ha avuto un vero emblema: quando a novembre ci eravamo occupati della campagna elettorale che ha preceduto le elezioni regionali in Emilia Romagna, avevamo dato conto del "nuovo" simbolo di Cd, senza colore arancione e con l'espressione "Democrazia solidale", nell'attesa probabilmente che il movimento evolvesse e si desse un'identità anche grafica. 
L'identità sembra sia arrivata poche settimane dopo, visto che ora nel sito di DemoS c'è un emblema che contiene alcuni spunti di originalità e vanno sottolineati. Non è proprio una novità vedere tre figure stilizzate che stanno insieme, vicine (ma se non altro sono in posizioni tali da non sembrare ingessate o ferme), mentre la diventa l'assenza del tricolore: in tutto il cerchio non c'è un tocco di verde nemmeno a pagarlo oro e questo, in un periodo di abuso sistematico delle tinte nazionali, già fa il suo effetto.
Una bandiera in realtà c'è, quella dell'Unione europea, ma qui spunta il secondo guizzo (via, guizzetto) grafico: di fatto il vessillo è uno striscione blu, piegato a S e con tanto di sfumature 2.0, ma soprattutto le dodici stelle sono disegnate metà sul recto dello striscione, metà sul verso e un po' più avanti, in modo da affidarsi alle pieghe per ricostruire la circonferenza stellata. L'idea tutto sommato è carina e, in qualche modo coraggiosa, anche se non per la soluzione grafica: abbinare il concetto di "solidarietà" all'Europa di oggi, fatta soprattutto di regole e parametri da rispettare, ha per lo meno qualcosa di ardito.

giovedì 5 febbraio 2015

Se i Forconi puntano all'Italia intera

Simbolo tratto da una foto
Chi era fisicamente presente al Viminale in aprile, per la presentazione dei contrassegni in vista delle ultime elezioni europee non può dimenticare il piccolo "giallo" consumatosi in chiusura, con la pacifica (ma convinta) "invasione" del movimento dei Forconi, con il leader Mariano Ferro irritatissimo contro chi aveva presentato prima di lui un altro simbolo dei Forconi, ma ben diverso dall'originale e - ovviamente - non autorizzato. 
Ieri Ferro si è rimesso in pista (anche se ufficialmente non si era mai fermato), insieme al resto del suo gruppo, con tanto di conferenza stampa romana per presentare il suo nuovo inizio, marcato con tutti i crismi con un cambio di simbolo. O, meglio, con l'evoluzione di quello precedente, che non guardi solo alla Sicilia - Ferro, del resto, è di Avola - ma all'intera Italia.
Le sagome umane, quasi tutte munite di forcone molto artigianale, che caratterizzavano l'emblema originale del movimento, ora compongono l'intera sagoma del Bel Paese; e se i colori prima erano il giallo e il rosso, tipici della Sicilia, ora le figure si tingono quasi naturalmente del tricolore italico (gli arnesi da lavoro, invece, restano scuri). Il fondo resta bianco, mentre il nome "I Forconi" (anche se la denominazione completa sarebbe Federazione nazionale de "i Forconi", visto l'intento di allargarsi a tutta la nazione) è in una tonalità grigio-marroncina, con una font Stencil ben nota ai frequentatori del pacchetto Office. 
Nella "nuova avventura" Ferro ne ha per (quasi) tutti: per il MoVimento 5 Stelle ("ci ha profondamente delusi"), per le tasse che strozzano i lavoratori e i piccoli imprenditori, per l'Unione europea ("le sue regole ci complicano la vita per agevolare chi arriva dall'estero come i cinesi"). I Forconi sono pronti al dialogo con tutto l'arco parlamentare dei partiti ("anche se non si è ancora fatto vivo nessuno", tranne esponenti di Forza Italia e Fratelli d'Italia che si sono presentati alla conferenza stampa) e hanno in mente di unire il Paese con le loro iniziative, anche se "non sappiamo ancora quali saranno". Intanto, comunque, il simbolo c'è. 

lunedì 2 febbraio 2015

A destra c'è ancora voglia di An?

Alla fine il consiglio di amministrazione della Fondazione Alleanza nazionale, previsto per la settimana scorsa, è saltato: troppe assenze, quindi tutto rinviato. Tra gli argomenti di cui si sarebbe dovuto occupare l'organo, c'era anche la questione del simbolo di An, per il 2014 affidato al soggetto evoluzione di Fratelli d'Italia: scaduto il termine della "concessione", il partito di Giorgia Meloni continua a fregiarsi dell'emblema, in attesa che l'organo della fondazione - in cui lei stessa siede - prenda una decisione in materia.
L'esito, tuttavia, non è proprio scontato. Perché, a quanto pare, in quell'area c'è ancora molta voglia di An. Con nome e segno originali, non inseriti in altre etichette e grafiche. Qualcosa di simile si era capito già nel 2013, con la ben nota iniziativa di Francesco Storace e altri, che ha cercato di ricostituire An, almeno fino allo stop arrivato proprio dalla Fondazione. Oggi a fare più di un pensierino sul ritorno in campo di Alleanza nazionale sembra essere Francesco Biava, vicepresidente della fondazione e nell'esecutivo nazionale di Fdi.
Giusto sabato - lo stesso giorno in cui un'ampia maggioranza eleggeva al Quirinale Sergio Mattarella, contro il volede di Fratelli d'Italia - Biava se n'è uscito sulla sua pagina Facebook con un post abbastanza duro, almeno in apparenza: "La fondazione di Alleanza nazionale non può più essere la casa di tutti gli ex An. Deve diventare lo strumento di riaggregazione di tutti coloro che credono nella necessità di ricostruire un partito della nazione, una destra comunitaria e identitaria. Aperto a tutti sì, ma che espelle coloro che rimangono in Forza Italia e nell'Ncd. Ora o mai più".
Quel messaggio, come era prevedibile, ha scatenato una serie di commenti, a uno dei quali Biava si è premurato di rispondere direttamente, esplicitando meglio il suo pensiero, a suo dire condiviso da "un'ampia e libera maggioranza" tra gli iscritti: "L'assemblea dei soci può cambiare lo statuto, se l'assemblea decide di trasformare la fondazione in partito, di presentare le liste alle prox elezioni, chi sta in altri partiti se ne andrà di conseguenza". Precisa di non voler cacciare nessuno dalla fondazione, ma "nessuno, tantomeno una minoranza, può permettersi di arrestare un processo di riaggregazione nel nostro mondo".
Anche il chiarimento non doveva essere stato gradevole per tutti, visto che Biava ha sentito il bisogno di cancellare il testo e di scriverne un altro poche ore fa, per generare meno equivoci: "Credo che così com'è la fondazione di An serva solo agli avvocati che ne assumono le cause. La finalità della fondazione è quella di tenere in vita quelli che furono i valori e la storia della destra italiana. Ma come questo debba avvenire in un mondo oggi frammentato tra Fdi, Fi, Ncd, Grillo, Lega e chi di politica non vuole più sentir parlare, le posizioni sono le più diverse e contrastanti, tanto da generare un immobilismo pressoché totale se si escludono alcuni eventi per lo più commemorativi e la tenuta in piedi del Secolo d'italia. È ora che la parola torni agli iscritti che anche a maggioranza indichino qual'è il percorso da seguire. Fatto questo, con la massima apertura a tutti coloro che hanno fatto parte di quella storia, sarà inevitabile o adeguarsi alla maggioranza o dimettersi dalla fondazione". 
L'intenzione di Biava è testimoniata senza troppi dubbi dall'immagine che affianca la fiamma tricolore dell'ultimo Msi e quella del Front national di Le Pen (per lo meno, quella classica in uso fino a pochi anni fa e derivata dal segno del partito di Almirante). Nel frattempo, poi, si avvicina la data dell'8 febbraio, giorno in cui al cinema Adriano si terrà l'incontro che dovrebbe segnare #unnuovoinizio. Già, perché il congresso di Fiuggi che aveva trasformato il Movimento sociale italiano in Alleanza nazionale era datato 27 gennaio 1995: proprio ricordando questo, l'idea è di "riaggregare la Destra in una nuova Alleanza per l'identità e la sovranità nazionale", uno slogan che guarda caso contiene il vecchio nome. 
A organizzare l'evento, il movimento Prima l'Italia, concepito da Gianni Alemanno - un po' defilato in questo periodo - e di cui è portavoce la moglie, Isabella Rauti; lo stesso Biava, del resto, è considerato molto vicino ad Alemanno. Al di fuori degli organizzatori, sembra che l'idea dell'incontro sia piaciuta a Storace, mentre non risultano entusiasmi dagli altri Fratelli d'Italia. Di fatto, se Prima l'Italia con i suoi vertici aderisce a Fratelli d'Italia, sembra tenere molto a mantenere una propria identità. Dovremo aspettarci un passaggio di mano dell'emblema di Alleanza nazionale, ammesso che la Fondazione lo consenta?

domenica 1 febbraio 2015

Italia unica diventa partito (e arrotonda il simbolo)

Morale, da ieri si fa sul serio. Tra i partiti della scena politica italiana da sabato - mentre i più erano distratti dalla seduta del Parlamento in seduta comune che ha eletto Sergio Mattarella al Quirinale - si può ufficialmente annoverare anche Italia unica. Formazione che ha anche un presidente, inevitabilmente identificato per acclamazione in Corrado Passera, che quel progetto lo aveva promosso fin dall'inizio, per l'esattezza da quasi un anno (l'aveva lanciato il 23 febbraio dell'anno scorso).
Il lancio è avvenuto in grande stile al Cavalieri Hilton a Roma, davanti ai rappresentanti di coloro che si sarebbero già tesserati (l'Ansa parla di 3mila persone in tutta l'Italia). L'idea è di schierare il nuovo partito alle elezioni politiche "quando ci saranno", per cui il battesimo elettorale rischia di dover aspettare fino a tre anni. Ma varrebbe la pena aspettare, visto che l'ambizione è quella di costruire "il maggior partito italiano".
Sull'area in cui il soggetto sarebbe impegnato non ci sono dubbi: "Italia Unica si pone come alternativa credibile alla sinistra e ai populismi e si ispira ai valori popolari e liberali, e si propone come offerta politica nuova e originale". Nei populismi, di fatto, lui infilza tutti, da Renzi a Berlusconi a Salvini a Grillo, cioè i soggetti che vanno per la maggiore.
"La rivoluzione è possibile. Insieme", si legge nel sito di Italia Unica, nella pagina dedicata al tesseramento. Insieme a chi? A persone poco note (ma certamente "professioniste della loro professione, compresi alcuni già impegnati in Fare), e a nomi già visti in altre formazioni. Ad esempio Renzo Tondo, l'ex presidente del Friuli, oppure Silvana Mura, già tesoriere dell'Italia dei valori; è già noto anche il coordinatore nazionale, Lelio Alfonso, già vicedirettore della Gazzetta di Parma, nonché tra i promotori di Scelta civica (e non eletto nel 2013 in Emilia Romagna).
Nel frattempo, la nascita di un "partito nuovo" ("non un nuovo partito", eppure questo slogan era già stato del Pd ai suoi inizi...) è segnata anche dalla trasformazione in simbolo del logo nato l'anno scorso. Certo, a dirla tutta, nelle scenografie il logo non era ancora stato "imprigionato" nel classico cerchio in cui tutti gli emblemi elettorali sono costretti. La forma circolare, però, è spuntata sull'esemplare di tessera che lo stesso sito riporta: sul fondo blu appare una macchia bianca con al centro il logo tricolore, simile a un tangram tutto speciale. E' un po' come se i riflettori fossero puntati tutti lì, per mettere in luce la nuova creatura politica. L'effetto non è spettacolare, anche se per lo meno la figura sembra proporzionata. Chissà se la rivoluzione di Passerà avrà inizio proprio da lì, oltre che dal logo personalizzato che ogni iscritto potrà sfoderare al bisogno, mostrando il retro della propria tessera.