domenica 3 marzo 2019

Guastalla, A.D. 1990: Falce e martello? Cercateli nel Campanone


Immaginate di tornare ai tempi in cui "in alto a sinistra" era una frase da prendere maledettamente sul serio, per lo meno nei giorni delle elezioni. Allora, per decidere come collocare i contrassegni delle liste sulla scheda, si seguiva l'ordine in cui i presentatori di emblemi e liste erano ricevuti dagli uffici elettorali competenti: tutto dipendeva, dunque, da quando ci si metteva in fila. Anche a Guastalla, comune medio-piccolo della provincia di Reggio Emilia adagiato in riva al Po, naturalmente era così e anche lì i "compagni" del Partito comunista italiano iniziavano a "presidiare" il municipio giorni prima, per essere sicuri di ottenere poi il primo posto sulla scheda, appunto quello "in alto a sinistra". Questo almeno fino al 1990, anno in cui - grazie alla legge n. 53 - fu introdotto il sorteggio dell'ordine delle liste sulla scheda, chiesto dai radicali dal 1976.

In quel 1990, però, i dirigenti comunali del Pci non portarono il loro simbolo consueto, che invece sarebbe stato presente come sempre sulle schede delle elezioni provinciali e regionali, che si sarebbero tenute negli stessi giorni, il 6 e il 7 maggio di quell'anno. Per il rinnovo del consiglio comunale guastallese, infatti, i comunisti avevano scelto di correre con un altro nome - Lista progressista per Guastalla - e soprattutto con un altro simbolo: il contrassegno, infatti, riproduceva - rigorosamente in bianco e nero, visto che il colore sarebbe arrivato solo due anni dopo - la Torre civica che sta in piazza Matteotti e che per tutti quanti è semplicemente il Campanone

I dirigenti di allora ricordano che quella scelta fu dettata da una ricerca fatta in proprio per sondare gli umori della popolazione guastallese: il Campanone era risultato l'emblema in cui i cittadini si sarebbero riconosciuti e identificati di più e sarebbe stato meno problematico della bandiera con falce, martello e stella, che già in quella fase sembrava prossima a essere ammainata. Nel 1989, infatti, il muro di Berlino era stato preso a picconate e subito dopo Occhetto aveva dato vita alla svolta della Bolognina; dal 7 all'11 marzo 1990 - proprio nei giorni in cui si definivano le candidature - si era svolto il XIX congresso straordinario del Pci, stravinto dalla mozione Occhetto Dare vita alla fase costituente di una nuova formazione politica, quindi tanto valeva cercare fin da subito altre insegne con cui presentarsi ai cittadini (il disegno di Bruno Magno dell'albero della sinistra, in fondo, sarebbe comparso solo nel mese di ottobre).

Visto che, tuttavia, illo tempore i cambi di simbolo erano una cosa serissima - e i partiti tradizionali di solito si erano limitati a ridisegnare le grafiche, ma gli unici cambiamenti sostanziali avevano riguardato il Psi, specie con il passaggio dal sole con falce, martello e libro al garofano - i dirigenti locali del Pci fecero il possibile per avvertire iscritti, militanti e semplici simpatizzanti della decisione di cambiare simbolo, pur se soltanto per le elezioni comunali. La notizia arrivò a molti, ma forse non a tutti, e arrivò anche il tempo di votare.
Gli elettori si avvicendavano dappertutto, anche in uno dei seggi "di campagna", di quelli in cui la gente arrivava a frotte, sempre con il sorriso sulle labbra e magari con qualcosa di buono da mangiare per i componenti del seggio. La mattina della domenica procedeva con calma e si era appena finito di smaltire il flusso nutrito dei fedeli che, finita la messa nella chiesetta vicina, avevano approfittato di quel momento per andare a votare. Non era ancora l'ora di pranzo quando, nel seggio in quel momento vuoto, entrarono tre persone: due signori anziani, che si somigliavano un po' e probabilmente erano fratelli, e un uomo di una trentina d'anni, che li accompagnava ed era il figlio di uno di loro. Proprio lui, avendo scorto nel seggio il rappresentante di lista del Pci, gli fece un segno con le mani e strizzò l'occhio, come a rassicurarlo che il suo voto, quello del padre e dello zio sarebbero andati alla sua parte.
Il giovane votò per primo, poi chiese di poter accompagnare le altre due persone in cabina: il presidente glielo concesse, ma gli ricordò che lui ovviamente non poteva entrare con loro, così questo si allontanò e iniziò a chiacchierare di calcio con un componente del seggio che conosceva. Le chiacchiere si sovrapposero ai rumori delle matite che tracciavano due segni per cabina e della carta delle schede che veniva ripiegata; una pausa della miniconversazione calcistica, tuttavia, fece emergere un silenzio prolungato da entrambe le cabine, rotte dalla voce di uno dei due: "Oh, ma i'n ghe mia chè!" (Oh, ma qui non ci sono!). Un paio di secondi e, mentre i componenti del seggio strabuzzavano gli occhi, arrivò la risposta del fratello, anch'egli evidentemente alle prese con la scheda delle comunali: "Tas, a sun 'dre ca serchi anca me!" (Taci, li sto cercando anche io!). Il silenzio tombale calato sul seggio permise di sentire nettamente anche la replica del primo elettore disorientato: "Cum'è ch'i s'ciamava chi là?" (Come si chiamavano quelli là?). 
Mancava solo che uno dei due uscisse dalla cabina, chiedendo a presidente e scrutatori con un misto di timore e cortesia: "Scüsèe, mo in du ei falce e martèl ca me a i a cat mia?" (Scusate, ma dov'è la sono falce e martello, ché non li trovo?), anche se qualcuno giura di aver sentito qualcosa di simile pronunciato in una delle due cabine. Era difficile dire chi fosse più rosso in viso, tra i componenti del seggio e il rappresentante di lista del Pci; imbarazzato e anche un po' divertito - ma non poteva darlo a vedere - era anche il carabiniere che in quel momento si era trovato a passare nell'aula e che, dopo il siparietto tra una cabina e l'altra, prese la porta dicendo "Io non ho sentito niente..."
La memoria di chi c'era non ricorda se qualcuno, sacrificando la legge in nome del buon senso, suggerì pietosamente il simbolo da votare, se i due uomini - inconsapevoli protagonisti di uno spettacolo memorabile - desistettero e riconsegnarono le due schede bianche o se misero comunque una croce da qualche parte, affidandosi al loro istinto. Alla fine la Lista progressista prese mille voti in meno rispetto a quelli ottenuti dal Pci nel 1985 - non si sa se per colpa del cambio di simbolo o del cambio di vento - a tutto vantaggio del garofano socialista che, sfiorando il 26%, sperava di esprimere di nuovo il sindaco, com'era avvenuto nella consiliatura precedente, potendo scegliere addirittura se appoggiarsi ancora al Pci o preferire la Dc. Non poteva immaginare che, stanchi di una trattativa con il Psi che li relegava in posizione di subalternità, Pci-Campanone e Dc giorno dopo giorno avrebbero scoperto punti di contatto sul programma tali da far stringere loro un accordo che, a luglio del 1990, avrebbe portato alla nascita della "malagiunta" democristiano-comunista, che avrebbe per la prima volta consegnato la poltrona di sindaco a un esponente del Pci. Chissà come sarebbero andate le cose con il simbolo vero del partito sulle schede: forse a qualcuno sarebbe sembrato fuori dal tempo, ma di certo nessuno si sarebbe confuso, cercandolo invano... 

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