Alla fine è arrivato il giorno del battesimo della nuova creatura politica di Clemente Mastella: il varo è avvenuto questa mattina, non a Ceppaloni ma a Roma, per la precisione al teatro Brancaccio. Un teatro in cui, come annota Antonio Atte per Adnkronos, " è in allestimento il musical 'Aladin'. E per entrare nella sala dove si svolge l'assemblea costituente del partito centrista bisogna attraversare cartonati di sontuose architetture arabeggianti che rimandano all'immaginario disneyano". Ma qui non ci sono tappeti o lampade di Aladino; al massimo, per qualcuno o per molti dei presenti, ci potrebbe essere il genio, volendo identificare Mastella come genius loci, non del Brancaccio o di Roma ovviamente, ma del centro.
Già, perché la suddetta creatura politica si chiama proprio noi Di Centro. Non più "Meglio Noi", come Mastella aveva fatto sapere mesi fa (dopo aver sperimentato quell'etichetta anche alle elezioni amministrative di Benevento, di cui è stato riconfermato sindaco al primo turno all'inizio di ottobre), perché "con questo parlamento imbelle per molti aspetti, è difficile essere governati da questi, quindi meglio noi di loro", come ha detto nel suo discorso di questa mattina. Più che un giudizio di valore, Mastella ha preferito che nel nome ci fosse un'indicazione precisa sulla collocazione, quindi è venuto naturale "noi Di Centro". Con le maiuscole e le minuscole esattamente così come si sono riportate: può sembrare strano e anche un po' inopportuna la minuscola iniziale, peraltro sul "noi" della comunità, ma non ci si stupisce a trovare le altre iniziali maiuscole, per citare la Dc senza usarne il nome.
A ricordare come si deve scrivere il nome ha provveduto fin dall'inizio proprio il simbolo, proiettato sullo schermo del palco per tutta la durata dell'incontro inaugurale e sventolante su varie bandiere già preparate per l'evento: il fondo è blu, come l'ultima versione della Dc (e anche il rosso che contorna il cerchio viene da lì), ma lo scudo non c'è, come non c'è traccia del campanile che ha connotato per anni l'Udeur; c'è piuttosto una pennellata tricolore al centro (non splendida, ma fatta un po' meglio del tricolore ondulato di Noi sanniti/campani), su un cerchio un po' schiacciato (sopra al quale si compone il nome, proposto in font Futura). All'interno di quella forma tonda si legge il cognome di Mastella ("ho messo il nome per ricordare che c'è un'idea di centro che mi riguarda più dettagliatamente"), in carattere Twentieth Century Condensed Ultra Bold, bianco su rettangolo rosso: una soluzione che ha fatto sorridere qualcuno, ricordando un po' il marchio della pasta Divella (che per giunta fa anche rima) e un po' quello della Marvel (vietato però pensare al bis di Calenda, che aveva citato gli Avengers: si capirà più in là perché). Il simbolo non è oggettivamente tra i più belli (anche se di recente, bisogna dirlo, si è visto di peggio) né risulta particolarmente identitario (e in qualche modo dà un'impressione di provvisorietà, come se qualche elemento fosse pronto a mutare o a cambiare di posto), ma intanto c'è ed è uno degli elementi rilevanti di questo battesimo, visto che quando un simbolo esiste è pronto per essere usato, prima o poi (purché lo si voglia e si sia in grado di farlo).
Non è passata inosservata nemmeno la persona chiamata ad aprire l'evento e a preparare l'ingresso sul palco di Mastella: il ruolo, infatti, è toccato a Giorgio Merlo, giornalista, già parlamentare del Ppi, della Margherita e del Pd (ora è sindaco di Pragelato), impegnato negli ultimi anni con i suoi progetti della Rete Bianca (poi Parte Bianca). "Finalmente ci siamo!" ha dichiarato in apertura, convinto che nDC possa rappresentare una risposta a un'assenza che "da molto tempo la politica italiana soffre: quella di partiti organizzati e delle culture politiche che giustifichino la loro presenza. La vera sfida è far tornare tanto i partiti, nel rispetto dell'articolo 49 della Costituzione, quanto le culture. Nel 2018 le due forze politiche più populiste, M5S e Lega di Salvini, raggiunsero quasi il 50% dei consensi; con quella percentuale potevano strafare, ma poi si è fatto strada l'astensionismo e si è avuta una decadenza morale, politica e culturale del nostro sistema democratico".
Per Merlo oggi ci sono le condizioni per invertire la rotta, ma occorre tenere presenti i risultati concreti della deriva populista: "l'azzeramento dei partiti organizzati e la nascita di quelli personali, la tabula rasa delle culture politiche, la liquidazione di una classe dirigente, il disprezzo delle istituzioni democratiche, l'assenza di una cultura di governo che ha generato trasformismo politico e opportunismo parlamentare". Nel processo di "ritorno alla politica", per Merlo è essenziale il centro: occorre "colmare un vuoto manifestatosi concretamente negli ultimi anni e lo rilevano anche quelli che sono stati storicamente i detrattori politici, culturali e antropologici del centro". Ma cos'è dunque il centro che campeggia anche nel nome del nuovo soggetto politico? "Il centro - ha continuato Merlo - non è un retaggio del passato o una rendita di posizione: per dirla con Mino Martinazzoli, il centro è sempre stato sinonimo di una politica di centro, cioè di una rivendicazione culturale e politica basata sulla cultura di governo, della mediazione, la capacità di avere una classe dirigente preparata, qualificata e non improvvisata, un profondo rispetto dello stato e delle sue istituzioni, la ricerca della sintesi, una ricetta riformista che rispedisca al mittente ogni radicalizzazione dello scontro e il confronto come clava per delegittimare l'avversario".
L'attesa però, inutile negarlo, era tutta per l'intervento per Mario Clemente da Ceppaloni e lui non ha tradito le attese, ringraziando subito "un po' di truppe mastellate, che indubbiamente ci sono", ma anche chi è arrivato spontaneamente e chi ha accettato l'invito a partecipare: tra loro, citati più volte, c'erano anche Gaetano Quagliariello ed Ettore Rosato, in rappresentanza rispettivamente di Coraggio Italia e di Italia viva. Se Merlo ha citato Mino Martinazzoli, Mastella ha citato Enzo Tortora (pensando anche ai suoi incontri indesiderati con la giustizia): "Siamo di nuovo qua in tanti di noi". Ha sgombrato subito il campo dall'idea che, con quel nome, il suo noi Di Centro volesse emulare la Dc: "Devo dire subito che non voglio realizzare condizioni di centro nostalgiche e ripetitive della vecchia Democrazia cristiana: quella è una storia finita e non mi interessa più, mi interessava la Dc, volentieri sono stato e mi sento democristiano, ma quella storia non va riportata nella politica di oggi, non c'è il senso e la ragione di farlo". La Dc no, ma il centro sì. "Ho un'idea un po' michelangiolesca del centro. Questo è il centro secondo me", guardando appunto a una platea in cui possano stare a loro agio tanto Quagliariello quanto Rosato "e oggi può arrivare anche al 10-12%, importantissimo in una fase politica come questa".
Non si tratta di un'impresa semplice, ma ci vuole altro per dissuadere Mastella: "Mi sento un po' come il monaco che, nella crociata dei pezzenti, chiamava a raccolta le persone per andare a liberare il Santo Sepolcro, dicendo 'Supereremo il mare a piedi asciutti in virtù della fede': noi abbiamo fede nel centro, non sterile e asfittico. Non sarà un luogo geometrico, ma se esistono destra e sinistra non vedo perché non debba esistere un centro, come luogo geometrico e sociale... Io esisto". Ha subito corretto il tiro, delineando un primo ritratto di quell'area e dei suoi compiti: "Credo che esista in Italia questa varietà di comportamenti di chi ha nostalgia, non va più al voto, di chi crede che i comportamenti di oggi non siano più afferrabili sul piano dell'identità politica che faccia partecipi e porti al voto. Noi dobbiamo recuperare questo spazio. Noi saremo i terrapiattisti del centro, nella considerazione generale, perché crediamo a un'idea che sembra sfocata, ma per noi c'è".
Certo la situazione è cambiata rispetto all'ultima volta in cui Mastella è stato eletto alle Camere: "Oggi non vorrei fare più il parlamentare, perché il Parlamento ha perso la funzione centrale e non riesce a riconoscersi nel paese. Ho grande stima di Draghi, ma se un paese volge periodicamente lo sguardo al di fuori della propria identità politica e si consegna ogni volta a un Cincinnato in permanenza, questa è la fine crepuscolare della politica. I 'dittatori' in politica valgono come Cincinnato, cioè per un periodo limitato". Ma è cambiato soprattutto il panorama politico e c'è qualcosa di irrisolto, che Mastella non ha mandato giù ed è lui stesso a farlo emergere: "L'errore politico più marchiano della storia degli ultimi anni è stato mettere in discussione la Margherita come tale. Io sono stato fondatore della Margherita con l'Udeur, Me ne sono andato - ed è stata un'incompiuta incredibile - quando c'è stata la cementificazione tra ex Popolari e il partito della sinistra; il risultato che oggi al Pd, ai Ds, come si chiamano, tocca rincorrere quei matti politici dei 5 Stelle, mentre l'alleanza tra la sinistra e la Margherita come tale ha vinto le elezioni".
Chi appartiene alla categoria dei #drogatidipolitica avrebbe voluto alzare un dito e far notare che in realtà Mastella e l'Udeur si erano sfilati dalla Margherita molto prima, quando - nel 2002 - da federazione elettorale era diventata un partito unico, tenendo insieme per qualche anno chi era appartenuto a Ppi, Democratici ("l'Asinello") e Rinnovamento italiano, ma ha preferito mettere da parte i pensieri e continuare a seguire il discorso mastelliano, per non perdere pezzi. "A chi mi dice che Mastella cambia e va di qua e di là rispondo che, 'azzo, sono la Lega, il Pd e tutti gli altri ad essere andati di qua e di là con le loro alleanze, non certamente io. Per questo credo che si debbano creare le condizioni politiche per un'area centrale che possa allearsi con altri, da soli non ce la faremmo a occuparla, ma dobbiamo recuperare tutti insieme questa 'Margherita punto-due-zero', un'alleanza al centro che è necessaria per il paese, che mitiga asprezze e smussa gli spigoli, altrimenti il paese non ce la fa e non ce la farà". Ovviamente, nel linguaggio mastelliano, "Margherita punto-due-zero" significa "Margherita 2.0", un concetto di "riedizione aggiornata" che aveva già applicato alla sua Udeur tempo fa quando l'aveva rilanciata.
Sta di fatto che questa riedizione della Margherita (con o senza Rutelli, non è dato sapere) per Mastella è davvero necessaria, in un quadro politico che "da un lato è troppo sovraccarico di sovranismo a destra, che se andrà al governo non riuscirà a governare il paese e finirà per distruggerlo, mentre dall'altro lato c'è il Pd attuale, troppo stravaccato a sinistra, cosa che non consentirà neppure la vittoria a loro". Mastella ha dimostrato di non aver gradito, alle ultime amministrative, il tour elettorale di Enrico Letta a Benevento per sostenere una candidatura a lui avversa, per cui il discorso è continuato: "A Letta e al Pd dico che dopo il 2006, quando c'eravamo noi, i dem non hanno più vinto un'elezione politica; quando sono arrivati al governo l'hanno fatto in maniera arlecchinesca, ma non hanno più vinto proprio per la mancanza di un'alleanza come quella tra Margherita e Ds". L'alleanza Pd-M5S, per il sindaco di Benevento, è fallimentare e, ove ci fossero stati dubbi, lo ha ripetuto un'altra volta: "Non può il partito, i Ds (sic!), inseguire i 5 Stelle, non vanno da nessuna parte, perché quello che c'è all'interno dei 5 Stelle porta in maniera naturale a una forma che sgomenta. Se posso dare un consiglio a Letta e ai democratici, fate l'Ulivo: sarà un'esperienza difficile e frammentata, ma l'unica esperienza politica che vi ha fatto governare il paese e avete vinto anche grazie ai voti che molti di noi hanno preso, in Campania in particolare". Giusto perché non sfugga a nessuno.
L'area interessata dalla possibile Margherita 2.0 (nome che ovviamente non sarà usato dopo oggi, lo ha precisato lo stesso Mastella) comprende ovviamente il seguito di Mastella, i partiti di Quagliariello e Rosato, altre persone rilevanti presenti in sala (c'era pure Francesco D'Onofrio, con Mastella nel Ccd, e c'erano esponenti del Partito liberale europeo) e chi altro ci vorrà stare. Non ne farà parte però Azione, il partito di Carlo Calenda, che sarebbe parte di quell'area ma non è stato nemmeno invitato al Brancaccio, come il sindaco di Benevento ha tenuto a sottolineare: "Calenda sputa veleno contro Renzi e mi spiace, contro Cambiamo e mi spiace, come anche contro di me. Per me lui è come l'asino di Buridano, che non sapeva scegliere tra le due mangiatoie e finì per morire di indecisione e lui finirà politicamente così, perché guarda gli altri con la strafottenza di chi decide anche per conto degli altri. Ha una visione molto tolemaica del centro, ritenendo di essere lui stesso: io non dico che siamo noi il centro, ma che dobbiamo costruire il centro pezzo per pezzo, ognuno col proprio contributo. Lui mi soffre, forse pensa ancora a quando ero ministro e gli passavo le raccomandazioni. Lui ci snobba? E a noi non interessa".
Non è mancata qualche riflessione sul possibile futuro elettorale dell'Italia: "Per noi il proporzionale è un valore fondante, ma ha senso solo se c'è il voto di preferenza, che del resto usiamo alle elezioni comunali, regionali ed europee. Io paradossalmente sono andato meglio col maggioritario, perché col mio piccolo partito di centro rappresentavo qualcosa a livello territoriale, al punto che sfido chiunque a vincere a Benevento prescindendo dai miei amici. Se facciamo così in tutta l'Italia, diventiamo una cosa fondamentale; di più, se resta questa legge elettorale, cosa di cui sono convinto, al Senato non vincerà nessuno perché nessuno arriverà a 101 senatori e noi saremo determinanti".
Mastella ha poi tracciato, con due pennellate impastate di applausi, gli elementi fondamentali dell'organigramma del nuovo soggetto politico ("Vi propongo Giorgio Merlo come presidente anche per il dopo, se siete d'accordo... mi ritaglio lo spazio più modesto del segretario, rispetto al presidente, sempre se siete d'accordo, in maniera un po' straordinaria"), per poi delineare i tratti fondamentali dell'azione: il partito dovrà strutturarsi sul territorio, senza che nessuno possa pensare a una propria eventuale carriera. "Dopo il taglio dei parlamentari - ha spiegato - solo se avremo slancio, idee e passione potremo riuscire anche a essere presenti in Parlamento; poi capiterà chi capiterà perché non sapremo dove avremo la possibilità di essere eletti, ma ci saremo e daremo un grande contributo alla storia politica del paese, che ne ha bisogno, perché nessuno vince senza recuperare quest'area centrale".
Il tempo rimasto Clemente Mastella l'ha usato per delineare altri punti del "patto del Brancaccio", il cui nucleo è ritrovarsi "per un 'assieme' confortante innanzitutto per noi, per la nostra coscienza politica". Così c'è l'attenzione necessaria per i disabili ("troppe norme stravaganti su di loro"), per i semianalfabeti e le persone anziane, contro un'Europa barocca e fintamente progressista, per il mondo cattolico ("merita una particolare attenzione, ma non può ricordarsi di esserlo solo in occasioni di leggi particolari che li riguardano direttamente: serve una presenza anche vostra, diretta e costante") e quello liberale ("in fondo la Democrazia cristiana metteva insieme tutti") e per la giustizia. "Avendo visto le mie vicende, capisco anche le vicende di Renzi. La politica deve rispettare l'indipendenza della magistratura, ma questa ha il dovere di rispettare il mondo politico, senza andare al di là. Bisogna rientrare nei confini ed è difficile. Se io sbaglio pago i miei errori, ma se si agisce in modo ideologico per mandare a casa me e il mio partito e poi mi si riconosce innocente, chi mi ripaga più?".
Non è mancato un riferimento alla partita del Quirinale: "Vedo cose un po' strane, come Meloni che si intreccia con Letta. A Berlusconi dico: attento, se vuoi rischiare di candidarti, guarda prima nel tuo campo, dove non c'è molta affettività nei tuoi confronti. A chi è in Parlamento dico: scegliete al meglio possibile, una scelta efficace, operativa e dignitosa, altrimenti il Paese non vi capirà. Spero ci sia uno Spirito Santo, laico, che venga su di voi e non tirate per la giacca Mattarella". Invocato lo Spirito, è rimasto il tempo per le battute finali operative: "Dovremo costituire qualche sede in giro, ma non abbiamo nessuno che ci stipendia o ci favorisce, dovremo fare tutto noi e sarà molto bello così" (e ha sorriso Mastella, prima di dare una stilettata ai 5 Stelle intenti a chiedere il 2 per mille). Per il commiato Mastella ha proposto una scheggia di un suo docente di filosofia: "Non so se le cose andranno meglio, se andranno diversamente, ma di certo per andare meglio devono andare diversamente". A partire dal centro, ovviamente, anzi: da "noi Di Centro".
L'ex leader dell'Udeur dispensa consigli al Pd: "Non vince un'elezione dal 2006. E' costretto a rincorrere questi matti politici dei 5 Stelle... ma così non va da nessuna parte. A Letta e agli altri dico, rifate l'Ulivo". Poi non risparmia stilettate al M5S: "I 5 Stelle hanno recuperato la dignità del 2x1000... Fico arrivava con il pullman, ora arriva con 10 pullman con la scorta. Era solo eccentricità la loro, teatralità. La teatralità di Grillo che proprio qui si esibiva". "Questo partito volevo chiamarlo 'Meglio noi', meglio noi che quelli di oggi. Uno vale uno? Uno vale zero, vedendo questo vasto magma del mondo 5 Stelle". Parlando di Quirinale, Mastella invita i partiti a "non tirare per la giacchetta Mattarella", che "pare che non ci stia" a fare il bis. E avverte Berlusconi: "Attento, vogliono fotterti. I colloqui Meloni-Letta la dicono lunga, perché questi vogliono eleggere Draghi a tutti i costi, dopodiché si rischia di andare al voto".
La palla ora passa alle altre forze di centro: accoglieranno l'appello di Mastella? Dal Ple arriva un primo sì. "La chiamata fatta da Clemente Mastella a costituire una Margherita 2.0 ci trova evidentemente favorevoli", dichiara il presidente del Partito Liberale Europeo, Francesco Patamia, che insieme al tesoriere Giovanni Cocco, ha partecipato all'assemblea del Brancaccio. Gaetano Quagliariello di Coraggio Italia sposa il progetto di una "federazione" delle forze di centro, "ognuna con la propria tradizione e le proprie differenze". Ma il senatore non vede di buon occhio i veti, come quello posto su Calenda. "Per quanto mi riguarda l'appello resta erga omnes. Poi, la politica viaggia sulle gambe degli uomini. Sono quelle che devono conquistare gli spazi politici, non ci sono rendite di posizione garantite, soprattutto per una cosa che parte", spiega Quagliariello all'Adnkronos.
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