AGGIORNAMENTO DEL 9 APRILE - Ieri sera i quattro capigruppo di maggioranza al Senato hanno presentato un disegno di legge (a prima firma di Lucio Malan, dunque Fratelli d'Italia figura come primo proponente, come nell'emendamento) intitolato Modifica agli articoli 72 e 73 del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, in materia di elezione al primo turno del sindaco nei comuni con popolazione superiore a 15.000 abitanti (il testo, nelle more dell'assegnazione alla commissione competente, non è ancora disponibile, ma quasi certamente sarà identico a quello dell'emendamento). Contestualmente, gli stessi capigruppo hanno emesso un comunicato in cui hanno annunciato il ritiro dell'emendamento discusso, confermando però la ferma intenzione di raggiungere il risultato facendo approvare il nuovo disegno di legge (disgiungendo dunque l'elezione del sindaco al primo turno con il 40% per i comuni superiori dal ritorno all'elezione diretta degli organi provinciali, com'era stato invece nei ddl Romeo e Ronzulli).
"Il centrodestra su questa scelta è unito e determinato - si legge nel comunicato -. Abbiamo posto il problema in varie sedi. Ci è indifferente lo strumento con cui raggiungere questo traguardo e siamo ben consapevoli che questa scelta non può riguardare il turno elettorale, peraltro non molto esteso, del 25 maggio prossimo. [...] Al ballottaggio partecipa un numero limitato di elettori e spesso chi vince prende meno voti del candidato che si classifica secondo al primo turno. C'è, quindi, un problema di legittimazione democratica e di partecipazione. Proprio per evitare polemiche ed essendo lontano il successivo turno elettorale amministrativo daremo priorità ai disegni di legge che abbiamo già depositato con le firme di tutto il centrodestra e per i quali solleciteremo una rapidissima approvazione [...] perché l'obiettivo che perseguiamo è giusto, ampiamente condiviso, coerente con le norme già in vigore in Friuli Venezia Giulia, in Sicilia, in Toscana e con quanto dissero nel passato esponenti del Pd in Parlamento. Andiamo avanti auspicando un confronto, ma non accettando veti". Per correttezza occorre dire che il riferimento alla Toscana non è del tutto centrato, visto che la legge cui si fa riferimento riguarda le elezioni regionali, per le quali è previsto sì un ballottaggio qualora nessun candidato alla presidenza della giunta regionale arrivi al 40%, ma si tratta di un unicum, perché nelle altre regioni - guardando a quelle a statuto ordinario - semplicemente chi ottiene più voti vince, senza alcuna soglia minima e senza la previsione di un secondo turno.
Anche la terza sortita sulla "norma antiballottaggi", dunque, è finita con un ritiro e l'annuncio di un nuovo percorso parlamentare "normale". Un percorso che meriterà di essere seguito, al pari degli altri; è legittimo sollecitare una rapidissima approvazione, ma viene da chiedersi come mai non sia avvenuto lo stesso con altre norme in ambito elettorale locale che stanno egualmente a cuore almeno a un partito della maggioranza (in particolare, quelle per i piccoli comuni contenute nel ddl Pirovano-Augussori, fermo da un anno nel guado tra le commissioni e l'aula della Camera).
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A quanto pare, anche in politica, non c'è due senza tre. Anche se, in questo caso, sarebbe stato forse meglio di no. Anche se, a onor del vero, i proponenti nella loro intenzione stanno semplicemente cercando di mantenere quello che avevano promesso circa un anno fa. Ci si riferisce, in particolare, al
nuovo tentativo di introdurre una "norma antiballottaggi" relativa ai comuni sopra i 15mila abitanti (per cui la vittoria al primo turno scatterebbe con il superamento della soglia del 40%, come in Sicilia), grazie a un
emendamento al disegno di legge di conversione del "decreto elezioni 2025" (decreto-legge n. 27/2025), presentato nei giorni scorsi al Senato e il cui esame continuerà a partire da stasera in commissione Affari costituzionali.
Per chi segue questo sito decreti-legge simili non sono certo una novità: per quanto risultino per lo meno inopportuni interventi sulle norme elettorali nei pressi della data del voto, almeno dal 2020 si è di fatto instaurata una prassi, in base alla quale in prossimità delle elezioni amministrative (e non solo, a volte) si sceglie di dettare norme organizzative o relative al procedimento elettorale, non di rado pensate e valide
una tantum. È già accaduto, tuttavia, che si tentasse di cogliere l'occasione per introdurre norme certo non connotate da alcun grado di necessità, urgenza e straordinarietà: lo scorso anno, durante la conversione del "decreto elezioni 2024",
la sortita è riuscita in buona parte per la strozzatura delle esenzioni dalla raccolta firme per le elezioni europee, mentre non è riuscita per la "norma antiballottaggi".
Tanto il decreto quanto gli emendamenti al disegno di legge di conversione contengono vari punti che meritano di essere approfonditi, tra l'altro anche in materia di deposito di contrassegni elettorali (anche se, per il momento, solo in prospettiva). Vale dunque la pena passare in rassegna il testo del provvediumento d'urgenza, così come delle proposte di modifica che sono state presentate e di cui - peraltro - non si è ancora valutata l'ammissibilità da parte del presidente della Commissione, Alberto Balboni (Fdi).
Il decreto-legge
Il voto in due giorni, aperto anche ai "fuori sede"
Il testo del decreto-legge 19 marzo 2025, n. 27 ("Disposizioni urgenti per le consultazioni elettorali e referendarie dell'anno 2025"), interviene dall'inizio con alcune misure anti-astensionismo, a partire dall'estensione del voto alla giornata del lunedì (dalle ore 7 alle ore 15, oltre che dalle 7 alle 23 di domenica), così com'è avvenuto nel 2020 e nel 2021 (soprattutto per evitare criticità legate alla pandemia), nonché nel 2023 e nel 2024 (secondo quanto suggerito nel "Libro bianco sull'astensionismo", per dare più tempo alle elettrici e agli elettori per recarsi ai seggi): l'art. 1 precisa che il voto su un giorno e mezzo riguarderà "le consultazioni elettorali e referendarie relative all’anno 2025", dunque tutte quelle previste in quest'anno (salvo quelle già indette, ma com'è noto in Friuli-Venezia Giulia le consultazioni sono comunque previste per il 13 e il 14 aprile sulla base di fonti locali). Questo tempo di voto più lungo porta, per le votazioni diverse dai referendum, all'aumento dei compensi per i membri dell'ufficio elettorale di sezione pari al 15% (a meno che non ci siano altre votazioni in contemporanea, per cui le regole saranno diverse).
Va sempre nella direzione di ridurre il rischio di astensionismo, oltre che di contenere le spese, la previsione di un unico rito "per gli adempimenti comuni e per il funzionamento degli uffici elettorali di sezione" qualora uno dei due turni di votazione per le elezioni amministrative - anche fissate con provvedimento regionale - coincida con la data dei 5 referendum abrogativi, in calendario per l'8 e il 9 giugno prossimi: in particolare, si dovrebbero applicare le disposizioni dettate per i referendum, mentre per la composizione dei seggi (in particolare per il numero di scrutatori) si guarda alle norme sulle elezioni amministrative. Sembra opportuno segnalare, in ogni caso, che un decreto del ministro dell'interno del 24 marzo scorso ha fissato per le elezioni amministrative il 25 e il 26 maggio per il primo turno e l'8 e il 9 giugno per l'eventuale ballottaggio: questo significa che l'eventuale election day e la convivenza con i referendum riguarderà solo i comuni interessati dal ballottaggio (si prende dunque atto di un nuovo, ennesimo caso di voluta non combinazione tra referendum e primo turno delle elezioni amministrative, che non crea alcun "effetto trascinamento" sull'affluenza alle urne per i quesiti referendari e di certo non facilita il raggiungimento del quorum); discorso diverso vale - ad esempio - per le amministrative in Sardegna, il cui primo turno è stato fissato a livello regionale proprio per l'8 e il 9 giugno. In caso di abbinamento, saranno scrutinate - nel pomeriggio del 9 giugno - prima le schede del referendum, poi le altre schede.
Il "decreto elezioni 2025" rinnova poi l'esperimento del "voto fuori sede" tentato lo scorso anno per le elezioni europee, pur applicandolo solo ai referendum (evidentemente perché la scheda è uguale in tutto il territorio nazionale e non sorgono problemi di bollettini da spostare da una parte all'altra dell'Italia) e solo per quest'anno (dunque una tantum e non in modo strutturale). La norma - prevista all'art. 2 - apre la possibilità del voto in una sezione di una provincia diversa da quella di residenza e iscrizione (mentre nel 2024 si richiedeva una diversa regione) non solo per chi è domiciliato altrove per almeno tre mesi per ragioni di studio, ma anche - ed è una novità - per motivi di lavoro o cure mediche, purché la richiesta sia effettuata al comune di domicilio temporaneo almeno 35 giorni prima dell'8 giugno (la si può revocare per i 10 giorni successivi). Coloro che hanno vista accolta la propria domanda votano in seggi speciali (ove il comune di temporaneo domicilio, presumibilmente grande, abbia almeno 800 richieste) o in un seggio ordinario definito dal comune stesso, nelle stesse forme previste per gli altri elettori: s'intende salvaguardare così i principi di personalità e di segretezza del voto ex art. 48, comma 2 Cost. Spetta al sindaco la nomina del presidente di seggio (preferibilmente, ma non per forza, tra le persone iscritte all'albo degli idonei tenuto dalla Corte d'appello) e degli altri membri dell'ufficio elettorale di sezione, anche tra coloro che hanno chiesto di votare fuori sede. Nemmeno in questo caso è prevista la possibilità del voto elettronico (presidiato o meno), pure auspicata da più parti.
Gli investimenti tecnologici e la "rivoluzione simbolica" annunciata
Ciò non significa che nel "decreto elezioni 2025" non ci siano disposizioni relative al miglioramento delle procedure elettorali sul piano informatico: si occupa di ciò l'art. 3, che mette a disposizione 800mila euro per il 2025, il 2026 e il 2027 (per un totale di 2,4 milioni di euro) per il "potenziamento delle prestazioni dei servizi erogati dal Sistema Informativo Elettorale (SIEL) del Ministero dell'interno e del relativo innalzamento dei livelli di resilienza da intromissioni malevole esterne" e precede l'istituzione di una posizione dirigenziale ad hoc. Per capire meglio cosa si intenda, occorre fare riferimento alla relazione al disegno di legge, predisposta dal governo: lì si legge che gli stanziamenti previsti consentiranno "di assicurare una continuità operativa del Sistema informativo elettorale", ma serviranno anche "ad acquisire server dedicati alla procedura elettorale, a realizzare un sistema alternativo e parallelo, rispetto all’attuale situazione, di trasmissione dei dati elettorali dalla periferia al centro" (cioè dalle prefetture e dai comuni al Viminale) con la "creazione di hub territoriali di raccolta e conservazione dei dati che possano soccorrere il sistema centrale in caso di blocchi, anomalie e malfunzionamenti". Di certo questi progetti d'innovazione vanno visti con favore, soprattutto perché dimostrano che il governo per primo non crede - a differenza di troppe persone - che i servizi elettorali del Ministero dell'interno siano di relativa importanza, magari limitata alle occasioni di voto di livello nazionale. Tra i progetti allo studio, però, ce n'è uno che in questo sito non può proprio essere trascurato né sottovalutato: sempre nella relazione si legge che "Si intende, inoltre, realizzare un applicativo che possa consentire la digitalizzazione del procedimento di deposito dei contrassegni presso il Ministero dell'interno in occasione delle elezioni politiche ed europee". Questo potrebbe tradursi tanto in una procedura mista (prevedendo il deposito digitale dei contrassegni in aggiunta o alternativa a quello tradizionale, magari anche solo per l'eventuale sostituzione del fregio o per l'integrazione dei documenti), quanto in una procedura solo digitale: in un'ipotesi o nell'altra, si prospetta una profonda rivoluzione delle scene di deposito dei simboli che, dal 1946 in avanti, hanno caratterizzato al Viminale il primo passaggio visibile del procedimento elettorale preparatorio.
Niente più fila o, per lo meno, ridotta a chi ha scarsa dimestichezza con le tecnologie o a chi tiene alla tradizione? Una bacheca - solo digitale o anche fisica? - che si riempie di simboli non portati fisicamente nelle stanze ministeriali? Le domande, al momento, non possono avere una risposta, ma occorre ammettere che
il deposito dei contrassegni potrebbe essere nel giro di qualche anno un rito democratico e mediatico destinato al tramonto (del resto gli investimenti fino al 2027 sembrano voler preparare la "rivoluzione simbolica" proprio in vista delle prossime elezioni politiche, ove si tenessero a scadenza naturale). Ovviamente chi - come chi scrive e, si immagina, chi frequenta queste pagine - è affezionato a quelle scene dentro e fuori dal Viminale non può che accogliere quest'annuncio con un po' di dispiacere, per un momento imperdibile della "macchina elettorale" che si prepara a venire meno; è però giusto comprendere anche le ragioni e le esigenze di chi fa proposte diverse, per cui si cercheranno occasioni per approfondire.
Firme digitali per le liste solo per gli impedimenti fisici
Si può fare rientrare nell'evoluzione digitale anche l'art. 4 del decreto-legge, con cui il governo ha scelto di recepire in forma più ampia - ma nemmeno troppo - il contenuto della sentenza n. 3/2025 della Corte costituzionale, con cui le norme che regolano le elezioni regionali (in particolare la legge n. 108/1968) "nella parte in cui non prevedono per l'elettore, che non sia in grado di apporre una firma autografa per certificata impossibilità derivante da un
grave impedimento fisico o perché si trova nelle condizioni per esercitare il
voto domiciliare, la possibilità di sottoscrivere un documento informatico con
firma elettronica qualificata, cui è associato un riferimento temporale validamente opponibile ai terzi". La sentenza, originata da un procedimento legale iniziato con ricorso da Carlo Gentili (col sostegno del gruppo politico Referendum e Democrazia) con riferimento all'impossibilità di sottoscrivere una lista per le elezioni regionali del Lazio nel 2023 per chi non era in grado di provvedere con firma autografa, regolarmente autenticata. La situazione era creata dalla totale e nota assenza di disposizioni che consentissero di firmare digitalmente una lista di candidati, per qualunque tipo di elezione a qualunque elettore:
ciò - che ha portato alla ricusazione delle liste di Referendum e Democrazia alle elezioni politiche del 2022 - è stato frutto anche della bocciatura in commissione Affari costituzionali della Camera di un emendamento a prima firma di Riccardo Magi con cui alla fine del 2021 si era proposto di ammettere la sottoscrizione delle candidature per le elezioni politiche in forma digitale. Ora si precisa che la sottoscrizione può avvenire "con le modalità previste dall'articolo 20, comma 1-bis, del codice dell'amministrazione digitale, di cui al decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82" se l'elettore non può "apporre una firma autografa, per certificata impossibilità derivante da un grave impedimento fisico" (il che vale, secondo l'art. 55, comma 2 del testo unico per l'elezione della Camera, per le persone cieche, amputate delle mani, affette da paralisi o altro impedimento di analoga gravità) oppure è nelle condizioni per esercitare il voto domiciliare: quel documento (cioè il file Pdf con la lista dei candidati firmata digitalmente dall'elettore con impedimento fisico) "è consegnato su supporto digitale agli uffici preposti alla ricezione delle candidature corredato da certificazione medica attestante il grave impedimento fisico o la condizione per esercitare il voto domiciliare".
Il governo - certamente anche sulla base di un confronto con il personale del Ministero dell'interno - ha riconosciuto che quella decisione della Corte, pur riferita alle elezioni regionali, "non può che ricadere anche al di fuori di tale specifico ambito", visto che "ogni aggravio procedimentale irragionevole e non proporzionato configura una discriminazione a danno dei soggetti più deboli in qualsivoglia consultazione elettorale", violando il principio personalista (art. 2 Cost.) e quello di uguaglianza sostanziale (art. 3 Cost.), nonché i diritti politici delle persone vulnerabili (artt. 48 e 49 Cost.)". Si tratta senza dubbio di una considerazione apprezzabile, così come è positivo che la norma valga già ora per tutte le elezioni in modo stabile; una riflessione, però, è d'obbligo. Se per il giudice delle leggi non è più ammissibile che "l'ordinamento frapponga ostacoli procedimentali (nella specie, l’obbligo di dichiarazione in forma verbale, alla presenza di due testimoni, innanzi ad un
notaio o al segretario comunale o ad altro impiegato all'uopo delegato dal Sindaco) a coloro che non siano in grado di sottoscrivere per fisico impedimento una lista di candidati alle elezioni" (così si legge nella relazione), una volta aperta la via alla sottoscrizione digitale, è ancora ammissibile che sia ancora escluso dalla firma digitale - e sia costretto a firmare i moduli cartacei nel suo collegio - il cittadino elettore temporaneamente domiciliato lontano dal suo luogo di residenza (e che ora, sia pure in virtù di norme una tantum, potrebbe essere in grado di votare)? È di nuovo la relazione a precisare che continua a valere il "principio generale di esclusione delle norme del codice dell'amministrazione digitale alle consultazioni elettorali": la materia elettorale è certamente delicata e "speciale" rispetto alle altre che si fanno rientrare nella categoria "amministrazione digitale", ma sembra piuttosto anacronistico non pensare a un uso più ampio della tecnologia per sottoscrivere le liste. È comunque probabile che intanto si sia fatto un primo passo, per lasciare - in un momento successivo - la materia dell'estensione della sottoscrizione digitale delle candidature al dibattito parlamentare. Della proposta di legge presentata da Riccardo Magi all'inizio della legislatura, nel frattempo, non è ancora iniziato l'esame...
Gli emendamenti al testo
Dopo aver considerato il contenuto del decreto-legge, vale la pena passare in rassegna gli emendamenti presentati in commissione Affari costituzionali del Senato.
Come sempre, tra le proposte di modifica si trova di tutto: per esempio, due emendamenti Pd, che hanno come primo firmatario il costituzionalista Andrea Giorgis (seguito da Dario Parrini, attento osservatore delle questioni elettorali dal punto di vista politologico), mira a fare svolgere i referendum "in concomitanza con il primo turno delle elezioni amministrative", per aumentare il risparmio e trainare di più la partecipazione ai quesiti referendari (ma, considerato che esiste già un decreto del ministro dell'interno, non sembra facile trovare in aula i numeri per l'approvazione). Un testo affine è stato presentato dal MoVimento 5 Stelle, a prima firma di Alessandra Maiorino, mentre un altro di Alleanza Verdi e Sinistra (il cui primo presentatore è Peppe De Cristofaro, seguito da Ilaria Cucchi) accomunerebbe tutte le elezioni amministrative - anche indette a livello regionale - imponendo la coincidenza col primo turno nella disposizione che stabilisce il rito unico dettato per i referendum.
Altre proposte di modifica intendono innalzare il limite di età per i componenti degli uffici elettorali di sezione da 70 a 75 anni (emendamento proposto da Marco Lisei di Fratelli d'Italia: il testo, che ha buone probabilità di essere approvato, potrebbe servire a fare fronte alla carenza di presidenti di seggio o di scrutatori verificatasi in alcuni comuni nelle ultime consultazioni a seguito dell'invecchiamento degli iscritti e del mancato ricambio), a escludere dall'ufficio di presidente, scrutatore o segretario di seggio "i dipendenti delle aziende esercenti servizi di trasporto pubblico regionale e locale" (proposta leghista, a prima firma di Daisy Pirovano, che ritiene evidentemente quelle figure non terze, specie per le elezioni amministrative) o ad aumentare gli incrementi dei compensi ai componenti dei seggi, invece che del 15% (del 50% per Avs, che individua la fonte delle risorse nel "Fondo per far fronte ad esigenze indifferibili che si manifestano nel corso della gestione" previsto dalla legge di bilancio 2015; del 20% per il M5S, che però non indica la copertura). C'è pure un emendamento volto a spostare le elezioni provinciali (di secondo grado) previste quest'anno - anche se già indette - a dopo le date previste per i ballottaggi (con proroga degli organi in carica) qualora il comune capoluogo sia commissariato e vada al voto sempre quest'anno: la proposta, formulata dai senatori pugliesi di Fdi Ignazio Zullo e Domenica Spinelli, sembrerebbe riguardare, salvo errore, la sola provincia di Taranto, il cui comune capoluogo è retto da una commissaria prefettizia dopo la caduta dell'amministrazione Melucci.
Due emendamenti (uno Pd a prima firma di Cecilia D'Elia, uno Avs a prima firma di De Cristofaro) chiedono di superare la tenuta e l'impiego delle liste elettorali "distinte per uomini e donne" - frutto dell'introduzione nel 1945 della lista elettorale femminile - eliminando le parole che prevedono questo e prevedendo una revisione straordonaria delle liste perché di fatto i due elenchi siano uniti, nonché di smettere di indicare anche il cognome del marito per le elettrici sposate o vedove. Per completezza occorre dire che la stessa proposta è oggetto di un disegno di legge presentato alla Camera a metà giugno dello scorso anno (e non ancora esaminato in commissione) da Forza Italia, il cui primo firmatario è Paolo Emilio Russo: per i proponenti la doppia lista e l'indicazione del cognome maritale non hanno "più ragione di persistere" e superarli serve anche a "semplificare e accelerare le procedure relative alla consegna della scheda elettorale all'elettore o all’elettrice che si rechino al seggio per l'espressione del voto"
Ulteriori emendamenti riguardano la "genuinità" del procedimento elettorale da vari punti di vista. Il M5S, per esempio, ha chiesto che i rappresentanti di lista (o, si deve immaginare visto il tenore della disposizione che forse sarebbe opportuno riformulare, di comitato promotore di referendum) che vogliano votare nel seggio in cui operano sottoscrivano apposita dichiarazione da consegnare al presidente dello stesso seggio e da trasmettere in seguito all'ufficio elettorale del comune nelle cui liste elettorali quelle persone sono iscritte, "al fine di garantire il corretto svolgimento delle operazioni elettorali e l'unicità dell'esercizio del voto": ciò per evitare - come ha spiegato in commissione la senatrice Felicia Gaudiano - che la persona voti nel seggio di esercizio e - magari chiedendo il rilascio di una nuova tessera elettorale dichiarando di avere smarrito quella vecchia - anche in quello di iscrizione.
Il senatore Lisei di Fdi e il forzista Dario Damiani hanno invece riproposto, con due emendamenti distinti, l'inserimento una tantum della norma "salvaelezioni" per i comuni entro i 15mila abitanti in cui si sia presentata una sola lista: l'emendamento - anche in questo caso con probabilità di essere accolto - riprende la soluzione adottata dal 2021 ogni anno con decreto (o nella legge di conversione del decreto) per evitare la nullità delle elezioni qualora abbia votato almeno il 40% degli aventi diritto, scomputando dal totale gli iscritti all'Anagrafe degli italiani residenti all'estero (Aire) che non abbiano effettivamente votato. Com'è ben noto a coloro che seguono questo sito, la stessa disposizione fa parte di un disegno di legge approvato dal Senato all'inizio di marzo dello scorso anno (proposto dalla leghista Pirovano dopo la proposta nella legislatura preceente da parte del compagno di partito Luigi Augussori) e licenziato dalla commissione Affari costituzionali della Camera il 28 febbraio 2024: quel testo contiene anche una disposizione che ripristina un numero minimo di firme da raccogliere nei comuni più piccoli, per scoraggiare la presentazione di liste esterne. Lo scorso anno si era pensato che l'approvazione da parte di Montecitorio potesse arrivare in tempi rapidi per ottenere l'entrata in vigore prima del turno di elezioni amministrative; di fatto questo non è avvenuto e non si arriverebbe al risultato nemmeno questa volta. Ci sarebbe, in effetti, il tempo di completare l'iter in vista delle amministrative del 2026 - considerando anche che il Ministero dell'interno ha sostanzialmente prospettato il rinnovo in quell'anno delle amministrazioni frutto delle elezioni autunnali del 2020 - ma c'è un'incognita: se finora la norma "salvaelezioni" era stata sempre introdotta con disposizioni valide solo per l'anno in corso (il che avrebbe conservato l'attualità della proposta Pirovano-Augussori senza affossarla), questa volta gli emendamenti Lisei e Damiani - a meno di una riformulazione - introdurrebbero la norma in modo stabile, rendendo a quel punto necessario intervenire sul testo per ora fermo alla Camera e preventivare un ritorno al Senato (peraltro per una norma - quella riferita alle elezioni "sotto i mille" - condivisibile, ma non di sicura e immediata comprensione per parte degli eletti). Difficile dire, dunque, se il percorso del "ddl Pirovano-Augussori" potrà continuare e come.
Quanto al voto dei "fuori sede", c'è chi propone di ridurre il periodo di temporaneo domicilio altrove a due mesi (emendamento di Italia viva, primo firmatario Ivan Scalfarotto), di escludere che presidenti e scrutatori dei seggi speciali per i "fuori sede" siano scelti al di fuori degli elenchi ufficiali (M5S, che non vuole tra l'altro che si attinga ai votanti fuori sede per gli scrutatori), di chiedere al Viminale di monitorare l'applicazione della norma e relazionare alle Camere circa l'impatto sulla partecipazione elettorale e sui costi (Pd, a firma Parrini-Giorgis) o di rendere stabile la possibilità di voto nel luogo di domicilio anche per i referendum costituzionali (M5S, a prima firma di Gisella Naturale).
In materia di
digitalizzazione elettorale, si segnalano gli emendamenti del M5S volti a istituire un fondo per sperimentare l'espressione del voto "per il tramite di un certificato elettorale digitale, interoperabile con
l'Anagrafe nazionale della popolazione residente (ANPR)" - al fine dunque di superare tanto l'attuale tessera elettorale personale, quanto probabilmente il sistema di voto cartaceo (visto che si chiede di garantire in ogni caso "la personalità, la libertà e la segretezza del voto") - e di sostituire la disposizione che aggiunge per il Viminale un dirigente
ad hoc sulla digitalizzazione con la previsione di un incremento per il 2025 di un milione di euro per il Fondo per il voto elettronico (in commissione si è fatto anche riferimento al caso del seggio revocato alla 5 Stelle Elisa Scutellà a motivo del riconteggio e della "rivalutazione" delle schede bianche e nulle del collegio uninominale di Cosenza); sempre il M5S ha chiesto di istituire un Fondo per il voto anticipato e presidiato, "per introdurre in via sperimentale, per le consultazioni elettorali
politiche, regionali, amministrative ed europee nonché per i
referendum
[...] modalità di
espressione del voto che ne consentano l'anticipo e il presidio presso
sedi, diverse dagli istituti scolastici, appositamente abilitate o
autorizzate per il tramite di un certificato elettorale digitale [...] di una apposita
applicazione informatica" (senza dunque prevedere spazi per il voto da casa, probabilmente per il timore che questo non garantisca la libertà e segretezza e, forse, nemmeno la personalità del voto). Rientra nella stessa categoria un emendamento di Noi moderati (firmato da Giusy Versace e Mariastella Gelmini) che propone di permettere il voto con "supporti tecnologici pienamente accessibili che garantiscano la
segretezza e l'esercizio personale del voto", attivabili a richiesta della persona interessata "entro i 30 giorni antecedenti il giorno della consultazione elettorale" (e fornito dai presidenti di seggio) alle elettrici e agli elettori con disabilità visiva o con un residuo visivo corretto non superiore ad un ventesimo in entrambi gli occhi".
Altri emendamenti (incluso quello che vuole evitare il ballottaggio)
Altri emendamenti non sembrano avere diretti effetti sulle elezioni di quest'anno. Lo si può dire, per esempio, per l'emendamento di Daniela Ternullo (Forza Italia) che ha chiesto di
eliminare l'incompatibilità tra l'incarico di europarlamentare e di assessore regionale, per quello del collega di partito Dario Damiani che vuole mantenere incompatibile con l'ufficio di parlamentare europeo quello di assessore regionale, ma solo "qualora compatibile con la carica di consigliere". Un altro emendamento, condiviso da tutti i gruppi di maggioranza (Lucio Malan - primo firmatario - e Lisei per Fdi; Massimiliano Romeo e Pirovano per la Lega; Maurizio Gasparri, Damiani e Ternullo per Forza Italia; Michaela Biancofiore di Coraggio Italia per il gruppo di Noi moderati), che mira a intervenire sul decreto-legge n. 138/2011, che ridusse parecchie spese anche sul
funzionamento degli organi istituzionali, per mantenere "il numero dei consiglieri regionali precedentemente previsto" ove la popolazione regionale "si riduca o aumenti entro il limite
del 5 per cento rispetto alle soglie indicate nel primo periodo" e per consentire l'aumento di due assessori per le Regioni "con popolazione fino a un milione
di abitanti e [...] fino a due milioni di
abitanti" (passando dunque da 4 a 6 per le prime e da 6 a 8 per le seconde).
Da Forza Italia (a firma di Ternullo, Damiani e Claudio Lotito) proviene anche la proposta di sospendere l'efficacia esecutiva di una sentenza su un ricorso in materia di eleggibilità, incompatibilità o decadenza per le elezioni comunali, provinciali e regionali non solo in pendenza d'appello, ma "sino al passaggio in giudicato della sentenza
che definisce il giudizio". Fratelli d'Italia (tramite i senatori Domenico Matera e Spinelli) mira invece a un intervento sulla "legge Delrio" sull'elezione delle cariche della Provincia, modifica che varrebbe solo per gli organi eletti dopo la conversione del decreto-legge: alla decadenza del presidente per cessazione dalla carica di sindaco (qualità necessaria per la candidatura e l'elezione) si aggiungono le ipotesi di una mozione di sfiducia votata per appello
nominale dalla maggioranza assoluta dei componenti del consiglio o dello scioglimento del consiglio
provinciale (fattispecie aggiunte seguite al compimento di atti contrari alla Costituzione o per gravi e
persistenti violazioni di legge, per gravi motivi di ordine
pubblico, per il funzionamento compromesso per impedimento permanente, rimozione, decadenza, dimissioni
irrevocabili, decesso del presidente della provincia o bilancio non approvato nei termini); le elezioni del nuovo consiglio e del presidente si svolgerebbero entro 90 giorni dallo scioglimento anticipato.
L'emendamento che ha ottenuto più attenzione, tuttavia, è il numero 4.0.4, che mira ad attribuire la
vittoria al primo turno, nei comuni superiori, al candidato sindaco più votato che abbia ottenuto almeno il 40% dei voti (anche qualora due persone superino quella percentuale), dovendosi andare al ballottaggio solo ove nessun aspirante primo cittadino abbia raggiunto il 40%; alla lista o alla coalizione collegata al candidato eletto al primo turno si attribuisce il 60% dei seggi, a meno che un'altra lista o coalizione abbia superato il 50% dei voti validi (in quel caso si riterrebbe troppo irragionevole alterare in quel modo i dati elettorali). Si tratta, come si è anticipato, di una soluzione pressoché identica a quella prevista da una legge regionale in Sicilia. Una soluzione che era stata inserita in due disegni di legge (uno della Lega, uno di Forza Italia, tuttora giacenti in commissione Affari costituzionali) volti a rendere nuovamente a elezione diretta gli organi delle province, di cui per due volte - in commissione e in aula -
si era tentato l'inserimento nel "ddl Pirovano-Augussori" a marzo del 2023 e per il quale (come si è anticipato sopra)
si era cercata la sortita nell'iter di conversione del "decreto elezioni 2024", salvo poi ritirare l'emendamento e convertirlo in ordine del giorno.
I nomi dei proponenti, soprattutto in questo caso, hanno particolare importanza: per Fdi hanno firmato il capogruppo
Lucio Malan e
Marco Lisei, uno dei senatori che più sono intervenuti sulle questioni elettorali (lui aveva
cofirmato l'emendamento in aula del 2023 ed era
sempre suo anche l'emendamento "strozzaesenzioni"); per la Lega le firme sono quelle del capogruppo
Massimiliano Romeo (presentatore di uno dei due ddl che contemplavano quella proposta, già
nel 2023 aveva segnalato di voler arrivare all'elezione del sindaco con il 40% e lo scorso anno,
pur avendo annunciato il ritiro dell'emendamento "incriminato", si era detto indisponibile a farlo di nuovo in seguito) e di
Daisy Pirovano (che, dopo aver
lamentato il fatto che buona parte del dibattito in aula sul suo ddl relativo ai piccoli comuni fosse stata occupata dalle questioni legate a quelli superiori, ha comunque firmato - con i colleghi di partito Nicoletta Spelgatti e Paolo Tosato - l'
emendamento al "decreto elezioni 2024" poi ritirato e trasformato in ordine del giorno); per Forza Italia ha firmato il capogruppo
Maurizio Gasparri (che era intervenuto nel 2024 a sostegno dell'emendamento Romeo, ricordando quello precedente forzista del 2023, che allora si era detto contrario "a interventi improvvisi che non siano oggetto di un confronto", ma aveva assicurato che il tema sarebbe tornato "e la modifica sarà approvata" perché a suo dire vincere al ballottaggio con meno voti di quelli del secondo al primo turno a causa degli astenuti era "un'alterazione della democrazia", non meno di quella che si sarebbe prodotta con la vittoria al primo turno col 40% o con il terzo mandato) e
Daniela Ternullo (siciliana, che
aveva cofirmato - insieme a Ronzulli, Mario Occhiuto e Adriano Paroli - il primo emendamento del 2023, proposto in commissione Affari costituzionali); non è mancato nemmeno il sostegno del gruppo Civici d'Italia - Noi moderati, grazie alla capogruppo
Michaela Biancofiore.
Se nel 2023 in aula l'emendamento (in origine di Forza Italia) era stato presentato da Fdi, Lega e Fi, questa volta si registra tra i proponenti la presenza dei quattro capigruppo di maggioranza: non si tratta affatto di un dettaglio, visto che significa che i partiti del centrodestra - spesso in passato vittima del meccanismo del ballottaggi (a partire da uno dei proponenti dell'emendamento del 2023, Paroli, che nel 2013 fu sconfitto al secondo turno a Brescia anche grazie all'alleanza del centrosinistra con la lista dell'attuale sindaca), sebbene poi quel meccanismo abbia a turno penalizzato anche altre parti politiche - questa volta sono realmente intenzionati a portare a casa il risultato.
I media hanno registrato la reazione dura delle opposizioni (specie della segretaria del Pd Elly Schlein e del senatore Dario Parrini), una valutazione prudente - ma non pregiudizialmente contraria, tutt'altro - sulla proponibilità da parte del presidente di commissione Balboni (che si era riservato il tempo del fine settimana), un invito alla riflessione da parte del presidente del Senato Ignazio La Russa circa "seri rischi" dell'improponibilità dell'emendamento a norma del regolamento senatoriale, e hanno anche ipotizzato che la posizione del presidente del Senato fosse stata frutto di "un confronto riservato tra La Russa e Mattarella, la cui contrarietà all'emendamento era nota" (come ha scritto Marcello Sorgi sulla Stampa sabato). Si ricorda - e lo ricorda anche oggi Paolo Armaroli sulla Ragione - che l'art. 72, comma 4 Cost. esige che "La procedura normale di esame e di approvazione diretta da parte della Camera" sia sempre adottata, tra l'altro, per i disegni di legge in materia elettorale (oltre che costituzionale): in teoria, visto il contenuto dell'articolo, significa che non è possibile adottare i procedimenti di esame di commissione "in sede deliberante" o "redigente" (quelli in cui il ruolo dell'assemblea è limitato o addirittura assente). Da più parti si considera però non normale anche la procedura "accelerata" dell'iter di conversione di un decreto-legge, visto che l'art. 15 della legge n. 400/1988 (quella che detta l'ordinamento della Presidenza del Consiglio) non consente al governo di presentare decreti-legge proprio nelle materie ex art. 72, comma 4 Cost.; è pur vero che di decreti-legge in materia elettorale se ne sono visti parecchi, incluso quello attualmente in conversione, ma non si ravviserebbe reale omogeneità rispetto all'oggetto del decreto in esame e, soprattutto, non ci sarebbe la minima traccia di "casi straordinari di necessità e di urgenza". A meno di voler considerare il voto in vari comuni superiori (comunque previsto anche in questa tornata), e allora si dovrebbe ricordare che secondo il Codice di buona condotta elettorale della commissione di Venezia non si modificano le regole del gioco a ridosso delle elezioni.
Tra poche ore si saprà l'esito della valutazione da parte del presidente Balboni e il seguito dell'iter di conversione del "decreto elezioni 2025". Un percorso, in ogni caso, che merita di essere attentamente monitorato, da vari punti di vista.