martedì 23 dicembre 2014

Simboli fantastici (1): Partito socialista aristocratico, quando il voto è denaro

In mezzo a tante storie simboliche terribilmente vere, deve avere diritto di cittadinanza anche qualche storia emblematica "veramente falsa". Nel senso che i partiti erano del tutto inventati, ma i loro contrassegni erano stati creati sul serio. Magari sono nati per scherzo, o per esercizio di satira, o ancora come spunto o elemento di contorno per un film di qualunque genere. Sta di fatto che sono venuti al mondo e far finta che non siano mai esistiti è ingiusto. Se non altro per rispetto alle menti che, più o meno sane, hanno contribuito alla loro venuta tra noi. 

Se bisogna parlare di "simboli fantastici", bisognerà pure partire da quello che, più di altri, ha rischiato di essere reale e di finire persino sulle schede. Perché mercoledì 14 maggio del 1980, in fila davanti al tribunale di Roma per consegnare le firme e liste per partecipare alle elezioni regionali del Lazio, alcuni loschi figuri c'erano davvero. 
Nelle loro cartelle, i documenti erano marcati con il simbolo del Partito socialista aristocratico, la cui sigla però era "Spa": nessun errore però, considerando che il motto scelto era "il tuo voto è denaro". A promuovere il partito era niente meno che la banda del Male, probabilmente una delle macchine da guerra satiriche più devastanti a cavallo del cambio di decennio. Quei documenti, però, non arrivarono mai sulle scrivanie giuste: per averne testimonianza, basta leggere l'incipit di un articolo del giorno dopo, firmato da Giuseppe Zaccaria sulla Stampa (e, per gli amanti del genere, pubblicato a pagina 2 subito sotto a un'apertura vergata addirittura da Luca Giurato, probabilmente ancora privo di camicie e occhiali variopinti): 
«Chiederemo mille miliardi di danni!», tuonava nell'atrio del tribunale Vincenzo Sparagna, baffuto redattore del «Male». Poco più in là Jiga Melik, altro ideatore del settimanale, lunga criniera bionda e giubbetto rosso fuoco, arringava i poliziotti attoniti e la gente radunata intorno per spiegare che era tutta una porcheria, che loro erano arrivati in tempo e che, se si voleva proprio spaccare il capello in quattro, allora anche dc e msi, giunti un attimo prima, avrebbero dovuto essere esclusi. 
Motivo del contendere la presentazione — che scadeva ieri mattina a mezzogiorno — delle liste per le prossime elezioni amministrative a Roma e nella provincia. Il «Partito socialista aristocratico» (più brevemente «Spa», emanazione e braccio politico del «Male») era appena stato escluso per essere i suoi rappresentanti giunti con un minuto di ritardo sul tempo massimo. Lo scopo era quello di assicurarsi l'ultima casella in basso nella scheda elettorale (impresa tradizionalmente riuscita alla democrazia cristiana), ma ufficialmente Sparagna e Melik sostenevano di essere stati «depistati» da due figuri che, all'Ingresso, avevano indicato loro una direzione opposta a quella dell'ufficio elettorale. «Siamo arrivati a mezzogiorno in punto!», protestavano i due. [...] 
Dopo aver sfiorato l'arresto i due del «Male» se ne sono andati annunciando ricorsi, e portandosi dietro il sospetto che anche i corridoi del tribunale fossero stri utilizzati per improvvisare satira.

E pensare che tutto era stato preparato con profonda cura e prendendo di mira - sia pure per celia - il Partito socialista (o, se si preferisce, il suo leader Craxi). Lo ha raccontato qualche anno fa Vincenzo Gallo, per tutti Vincino, nel libro Il Male, pubblicato da Rizzoli nel 2007. Sulle pagine del settimanale satirico si dette spazio all'organo del fantomatico partito, l'Indietro! (in polemica nient'affatto velata con l'Avanti!) e si mise in campo lo stesso Vincino debitamente truccato per somigliare terribilmente al Bettino nazionale (sia pure con il nome storpiato in Taxi).
Soprattutto, però, fu la matita dello stesso disegnatore satirico a dare corpo al contrassegno dello Spa: un emblema davvero inconfondibile, ritraendo "un Paperon de' Paperoni che si tuffa nel suo classico mare di monete d'oro", ma con i denti ben in vista a mostrare la brama di incamerare nuovi verdoni. E, ove mai qualcuno avesse avuto le idee poco chiare, a fugare gli ultimi dubbi avrebbe pensato la scritta presente accanto al mare di monete: "Arricchiteci!"
Eppure, come si diceva, per un misero minuto di ritardo (o per cinque, secondo Vincino), il partito sulle schede non ci arrivò mai: "chissà cosa c'avrebbe riservato altrimenti il destino... - si domanda ora l'ideatore del simbolo - un posto in parlamento o uno al banco degli imputati, chissà". Già, chissà; intanto Zio Paperone nessuno ha potuto votarlo sul serio, né allora né mai.

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