domenica 31 marzo 2019

I gilet arancioni (senza gilet) che puntano alle europee

E se, in fondo, anche i colori fossero una faccenda relativa? Chi lo dice, per esempio, che il gilet dev'essere per forza giallo? E, ancora prima, chi lo dice che se si parla di gilet debba esserci la sua immagine per forza? Le domande sorgono spontanee, almeno a guardare un altro emblema spuntato nel mese di febbraio, che a guardarlo dice qualcosa ma - probabilmente - non abbastanza sulla sua provenienza.
Ci si riferisce al simbolo del Movimento Gilet Arancioni, soggetto politico fondato il 10 febbraio 2019 "perché - come si legge nell'articolo 1 dello Statuto - le Donne e gli Uomini si trovano oggi sprovvisti di una efficace tutela dei loro doveri e dei loro diritti e sono alla ricerca della giustizia sociale, dell'equità e del rispetto della loro dignità": faro del movimento, dunque, è "il rispetto della dignità dell’uomo, posto al centro di ogni contesto di riferimento, soggetto di diritti naturali inalienabili, di cui alla Carta dei Diritti Universali dell'uomo" e il suo obiettivo principale è "il perseguimento di fini improntati al concetto più ampio di pace, di giustizia e solidarietà sociale, di tutela dei diritti civili e dei doveri istituzionali e morali, contro qualsivoglia sopruso, da chiunque perpetrato".
Il soggetto politico fin dall'inizio si è dato un simbolo, "rappresentato dalla scritta 'Gilet Arancioni', in scritta colore bianco, con sotto la chiave di violino e la scritta 'si cambia musica', avvolti nella bandiera tricolore, il tutto racchiuso in un cerchio color arancione"; nella descrizione manca però il riferimento alla parola "Movimento", posta tra "Arancioni" e la chiave di Sol, con un punto collocato alla fine, senza che si capisca la ragione di quell'inserimento antiestetico.
Va bene l'idea di cambiare musica - anche se l'inserimento della chiave di violino potrebbe non piacere al movimento Tutti insieme per l'Italia, che ne aveva fatto il suo elemento grafico caratterizzante e il cui nome a marzo del 2017 era approdato anche alla Camera, per consentire alla pattuglia di Alternativa libera di costituire una componente del gruppo misto - ma il simbolo, così com'è, non consente di capire chi abbia costituito questa forza politica; e poi, perché il colore arancione, citato a proposito dei gilet senza nemmeno inserire il giacchetto nell'emblema?
La prima risposta arriva dalla lettura dell'atto costitutivo, contenuto nel sito del movimento: si legge che hanno aderito al soggetto politico (e, forse per un lapsus, il testo precisa "Gilet Gialli", con un fraintendimento cromatico non da poco) il Movimento Liberazione Italia, Alleanza Democratica, L'Altra Italia, Popolazione Vivente Sovrana Autodeterminata, Liberazione dei Minori dalle case famiglie e Movimento Liberazione Nazionale del Popolo Veneto. 
L'Alleanza democratica citata è quella di Giancarlo Travagin, mentre L'Altra Italia è un movimento di area destra, il cui simbolo è un'aquila ricavata dai "corni" della fiamma del Movimento sociale italiano; qui però interessa soprattutto il riferimento al Movimento Liberazione Italia, il cui simbolo era tra quelli depositati il 19 gennaio 2018 al Ministero dell'interno in occasione delle elezioni politiche. Non a caso, la parte dello statuto che indica il fine principale del nuovo movimento è identica a quella già letta nello statuto del Mli; soprattutto, però, il portavoce del Movimento Gilet Arancioni è Antonio Pappalardo, già fondatore del Movimento Liberazione Italia. Sempre nello statuto arancione si precisa che "tutte le cariche del Movimento Liberazione Italia, nazionali, regionali, provinciali e locali, vengono confermate nel nuovo Movimento": ciò fa pensare che sia stato il soggetto politico fondato da Pappalardo il massimo contributore di questa nuova associazione politica.
Già, ma il colore? Tocca proprio a Pappalardo spiegarne la scelta in un video: nel dire che il nuovo movimento "darà filo da torcere a questo regime di parassiti, incapaci, incompetenti e abusivi", parla di alleanza con i generali francesi che si sono schierati con i gilet jaunes "che hanno preso spontaneamente il gilet giallo dalla macchina, se lo sono messi addosso e sono andati a Parigi a manifestare contro Macron, soprattutto per liberare la Francia dal giogo tedesco della Merkel" e spiega che il partito è nato in Sicilia e che il colore scelto per la formazione italiana viene proprio dalle arance siciliane, assurte a simbolo addirittura più rilevante degli stessi gilet (eppure i riferimenti ai Gilet Gialli che sfuggono qua e là fa pensare che ci sia stato un cambio in corsa del colore, per evitare grane con altri gruppi).
Nel sito si vede anche un "filmato di giuramento" sul Monte Sacro a Roma (quello individuato come possibile sede del "ritiro sull'Aventino" della plebe e dell'apologo di Menenio Agrippa, ma anche quello di Simon Bolivar, di cui è appunto riportato il giuramento di liberazione del popolo sudamericano), in cui Pappalardo e Giuseppe Pino - altro fondatore dei Gilet Arancioni - parlando dei loro progetti per il paese ("occorre volare alto e non stare in mezzo ai polli!") e insieme proclamano: "Giuro davanti alle bandiere francese e italiana, davanti ai popoli liberi e sovrani, giuro sul mio onore e sulla mia patria che non darà sosta al mio coraggio né riposo alla mia anima, sino a quando non si saranno rotte le catene che ci opprimono per volontà dell'Europa dei burocrati e delle multinazionali".  
Priorità assoluta per Pappalardo è partecipare alle elezioni europee del 26 maggio, con l'idea di ottenere il massimo dei consensi e chiedere che tutto il parlamento e il governo vadano a casa: uno dei primi punti da raggiungere è il recupero della sovranità monetaria, stampando la nuova Lira (del valore di un Euro) della Repubblica federale d'Italia (come si legge sul modello di banconota sventolata da Pappalardo davanti alla telecamera). Non è dunque improbabile che nelle bacheche del Viminale arrivi anche questa volta il simbolo legato al generale Pappalardo; la via di accesso alle schede appare certamente più complicata, visto che passa per la raccolta firme (o per un'esenzione attraverso forze già rappresentate al Parlamento italiano o europeo, la cui concessione peraltro è piuttosto improbabile). Ma c'è da giurare che non per questo i Gilet Arancioni si fermeranno. 

Gilet gialli, un altro simbolo registrato (in salsa napoletana)

A dicembre si era dato conto della richiesta di registrazione come marchio - fatta conoscere da Antonio Atte dell'Adnkronos - del simbolo "Gilet gialli" ad opera dell'imprenditore sardo (già vicino al MoVimento 5 Stelle) Salvatore Bussu; se n'era parlato per qualche giorno, poi della notizia si sono perse sostanzialmente le tracce, mentre a Parigi e dintorni si è continuato a sfilare ogni sabato - ieri compreso, ed è stato il ventesimo - con il giacchetto catarifrangente. Nel frattempo, però, quell'immagine è apparsa politicamente appetibile anche per qualcun altro, non del tutto nuovo in ambito politico-elettorale: il 14 febbraio, infatti, risulta depositata presso l'Ufficio italiano brevetti e marchi una nuova domanda di marchio per un emblema intitolato Gilet Gialli Italia.
Il marchio - così descritto: "cerchio esterno a tre colori - rosso-verde, contenente fondo blù, contenente: gilet giallo interrotto nella zona pancia da scritta (colore giallo) GILET GIALLI ITALIA e in zona petto lato sinistro riporta nuovamente la scritta (colore blù) Gilet Gialli Italia. In basso al cerchio vi è la scritta giletgialli.it (colore giallo). Bordi gilet colore grigio. Carattere: LATO" - risulta depositato per due classi della Classificazione di Nizza: la 41 (Educazione; formazione; divertimento; attività sportive e culturali) e l'immancabile 45 (Servizi giuridici; servizi di sicurezza per la protezione di beni e di individui; servizi personali e sociali resi da terzi destinati a soddisfare necessità individuali), di solito impiegata per tutelare segni distintivi in ambito politico.
E chi è il richiedente? La domanda di registrazione di marchio risulta depositata dal napoletano Antonio Del Piano. Un nome che può passare inosservato, ma non a un #drogatodipolitica cronico e del tutto irrecuperabile. Già, perché (salvo omonimia) era stato proprio Del Piano, nel 2016, il promotore di Ricomincio da 10, progetto di lista civica per le elezioni comunali del capoluogo campano nato sotto il segno della fede nel Napoli e nel suo indimenticabile numero 10 (Diego Armando Maradona, ça va sans dire); la lista, tuttavia, era stata esclusa dalla competizione per problemi legati ai documenti presentati, dunque Del Piano non era riuscito a correre come aspirante sindaco alle ultime elezioni amministrative.
Il simbolo di cui si chiede la registrazione, come si è visto, contiene anche l'indicazione di un sito web, che in effetti è attivo. Se si va su www.giletgialli.it, infatti, si finisce nelle pagine del "movimento popolare per la sovranità diretta": "Parte anche da noi in Italia - si legge - la protesta dei gilet gialli. Un movimento che democraticamente sceglie di manifestare il proprio dissenso contro l’elite finanziaria e i governi al servizio dei banchieri internazionali! Donne, uomini, artigiani, lavoratori, studenti, esclusi e delusi dalla politica e sfruttati da un capitalismo incontrollato e distorto. Nasce un movimento fatto di persone come noi che si vedono ormai rubare il futuro e che non possono formare o sostenere una famiglia! Oggi e in pericolo la nostra libertà e quella dei nostri figli, è in gioco la nostra identità e il nostro patrimonio culturale e artistico. Insomma, è arrivato il momento di RIBELLARSI!" Una ribellione che avrebbe come meta la sovranità diretta, da raggiungere attraverso l'impiego di quattro forme di referendum (propositivo, revocativo - per revocare l'eletto che non rispetta il mandato dei cittadini - e abrogativo, più quello costituzionale per introdurre nella Carta gli altri tre... una costruzione che denota qualche lacuna di diritto costituzionale...) e un programma che, tra l'altro, contempla l'uscita dell'Italia dall'Unione europea; il programma contempla molti altri punti - tra cui "No al 5G e Scie chimiche" - ma al momento risultano ancora vuoti, senza spiegazioni.
Forse è ancora presto per capire se effettivamente, al di là degli oltre 2500 like su Facebook, l'idea potrà evolvere in un vero progetto politico. E, al momento, non si può nemmeno essere certi che il simbolo di Del Piano venga registrato come marchio: è innegabile infatti, al di là della reinterpretazione grafica, la notevole somiglianza dell'idea del gilet giallo rispetto all'emblema di Bussu, depositato mesi prima (e la cui domanda risulta tuttora in esame), dunque è ben possibile che si contesti al marchio la mancanza di novità. Nel frattempo, e giocando d'anticipo, Del Piano ha comunque inserito la sigla "TM" (trade mark) all'interno del suo simbolo: chissà che l'idea dei gilet gialli non faccia gola anche a qualcun altro...

sabato 30 marzo 2019

Forza Italia, alle europee "per cambiare l'Europa" (ma il simbolo è orribile)

Non è ancora il momento di stilare classifiche definitive, ma una cosa sembra certa: se il contrassegno composito Pd-Siamo Europei, a due ore dal suo lancio, ha già raccolto pareri discordi sulla grafica (per qualcuno è brutto e deludente, per altri è poco fantasioso, ma se non altro ben calibrato), tra i simboli peggiori che si preparano a finire sulla scheda delle elezioni europee 2019 ci sarà sicuramente quello di Forza Italia. Non si tratta ovviamente di un giudizio politico, ma esclusivamente di natura grafica: l'emblema, presentato oggi a Roma, nel corso dell'assemblea nazionale del partito - convocata anche per celebrare i 25 anni di attività - e apparso sugli schermi del palco all'ingresso di Silvio Berlusconi (sulle note dell'inno di Forza Italia riproposto in un arrangiamento più ritmato) lascia inevitabilmente perplessi i cultori della grafica politica.
Ci si rende conto facilmente che si tratta di una variazione sul tema del simbolo utilizzato alle europee di 5 anni fa, che comprendeva l'intera bandiera forzista disegnata alla fine del 1993 da Cesare Priori, nel rispetto delle proporzioni originarie, con l'aggiunta del solo cognome di Silvio Berlusconi (cosa che aveva colpito molto, visto che il fondatore e leader del partito non era candidabile e dunque non figurava in nessuna lista) nella parte inferiore. Il periodo di incandidabilità è trascorso, questa volta Berlusconi sarà capolista in quattro circoscrizioni su cinque (tranne che al centro, ove lascerà il posto ad Antonio Tajani) e a maggior ragione il suo nome è stato inserito in quest'occasione.  
Non c'è invece traccia di alcun riferimento all'affiliazione di Forza Italia al Partito popolare europeo: lo si era immaginato a più riprese nel corso delle ultime settimane, anche per dare ragione della collocazione all'interno delle liste di candidature espresse dall'Udc, senza dover inserire anche lo scudo crociato (che a questo punto per la prima volta nella storia delle elezioni europee non sarà presente sulle schede, ma forse per sicurezza arriverà nelle bacheche del Ministero dell'interno) o di altre formazioni cattoliche, a partire dal gruppo - già Rivoluzione cristiana, ora forse Democrazia cristiana - legato a Gianfranco Rotondi (al quale Berlusconi si è detto legato da "un forte affetto e una forte stima per tutto quello che ha saputo fare nella sua vita di impegno politico"... e Rotondi ha saputo sempre ricambiare, con reciproca soddisfazione). Niente Ppe, dunque, ma un riferimento europeo c'è comunque: quello al nuovo progetto di Forza Italia, che resta in campo - a ranghi ridotti - "per cambiare l'Europa", cioè senza rinnegarla ma modificandola profondamente e - necessariamente - dall'interno.  
Anche questa scritta è stata proposta in carattere Helvetica Black al pari del cognome di Berlusconi, che per l'occasione è stato spostato nella parte superiore del contrassegno, lasciando al proposito neoeuropeista lo spazio nell'area inferiore del cerchio. Questo affollamento di elementi verbali, tuttavia, ha un prezzo visivo piuttosto caro: l'antica bandiera creata da Priori, che tanti voti ha preso nel corso degli anni, come alle origine è stata conformata in modo da toccare con le punte la circonferenza, ma è stata notevolmente schiacciata in verticale, fino quasi a essere sfigurata. Il testo si legge ancora senza problemi, ma nulla può cancellare l'impressione che il logo risulti compresso pur di far stare tutti gli elementi nel cerchio, senza lasciare un minimo spazio di respiro al contrassegno.  
Nel giorno in cui Berlusconi infarcisce il suo discorso del quarto di secolo di massime volte a scaldare il suo popolo (due per tutte: "Mi attribuivo solo la colpa di non essere riuscito a convincere il 51% degli italiani, mentre ora, che forse sono diventato più saggio, ho capito che è colpa degli italiani che non hanno capito nulla"; "siamo solo noi gli eredi della civiltà occidentale, della tradizione cristiana e della cultura liberale; siamo solo noi oggi in Italia gli eredi, i militari e i missionari di ciò che gli uomini che ci hanno preceduto da prima di Cristo fino ad oggi hanno saputo costruire per dare a tutti gli uomini e le donne dei nostri paesi un sistema di stare insieme, di civiltà e di Stato che è il migliore mai concepito nella storia dell'uomo"), di fatto il simbolo visivo più eloquente di questi venticinque anni - compresi quelli in cui la bandierina è stata messa da parte, a favore del logo del Pdl, mai troppo amato - è finito più o meno volontariamente maltrattato. La bandiera c'è ancora ("Siamo orgogliosi - ha detto nel suo discorso Mariastella Gelmini - perché nel nostro simbolo c'è il tricolore! L'Italia ha ancora bisogno di noi!"), ma è stata sacrificata in nome del desiderio di inserire tutto, forse troppo. O forse sarebbe bastato ridurre leggermente il corpo delle parti testuali inserite: il risultato, alla fine, non sembra diverso da quello dello scudo crociato schiacciato e incastrato nel simbolo Ncd-Udc del 2014. Non un bell'effetto iniziale, davvero.

Pd, ecco il primo simbolo composito (con Siamo Europei) per le europee

L'annuncio di pochi giorni fa è stato rispettato: il Partito democratico guidato da Nicola Zingaretti alle elezioni europee si presenterà con un contrassegno in cui ha pari dignità grafica con Siamo Europei, progetto politico di Carlo Calenda. Il simbolo è stato presentato da poco in una conferenza stampa tenutasi sulla terrazza della sede nazionale del Pd, in via Sant'Andrea delle Fratte a Roma e scoperto da Zingaretti e Calenda, che hanno sollevato insieme la bandiera europea che lo copriva.
Si tratta di un emblema diviso in orizzontale in due parti, quasi uguali nella loro dimensione, ma con una leggera prevalenza dello spazio dedicato al Pd, anche per farci stare il logo disegnato da Nicola Storto, renderlo ben visibile e non lasciare troppo spazio bianco nella parte superiore. Il segmento inferiore riservato a Siamo europei, in compenso, ha un peso visivo maggiore rispetto alle dimensioni che ha grazie al fondo blu, lo stesso che era stato utilizzato nei bozzetti che Calenda aveva diffuso su Twitter; anche la font utilizzata per il nome è rimasta la stessa (e, come già detto, è proprio quella del Ppe), mentre sono presenti tutte le dodici stelle della bandiera europea, pur se ridotte notevolmente nelle dimensioni e disposte ad arco, come una sorta di "ponte" tra le due parole d'ordine calendiane.
Non sfugge, poi, la presenza del logo attuale del Partito del socialismo europeo, per la prima volta utilizzato in forma integrale (col "fumetto" quadrato) all'interno di un contrassegno per le elezioni europee, con anche la dicitura "Socialisti e democratici" adottata dal gruppo parlamentare a Bruxelles: il loghino è stato posizionato nella parte destra del cerchio, "appoggiato" sulla base del segmento assegnato al Pd, con la punta del "fumetto" che finisce in area calendiana. 
Per Nicola Zingaretti quello appena presentato è il simbolo dell'unità e del pluralismo culturale, senza voler rappresentare un insieme di sigle, ma anche dell'Europa stessa (anche se lui e Paolo Gentiloni non hanno mancato di sottolineare la scelta di +Europa di correre da sola): in questo senso, le liste contrassegnate da quell'emblema vorrebbero essere la traduzione in pratica di un richiamo a "tutte le forze europeiste e progressiste a unirsi per essere più forti" nello scontro con gli antieuropeisti e per arginare il rischio nazionalista. 
Quelle liste dovranno essere "sarà costruite insieme, aperte alla società civile", come sottolineato da Calenda, che sarà capolista nel nord-est (mentre nella circoscrizione nord-ovest quel ruolo sarà di Giuliano Pisapia): lo scopo è creare un "grande movimento unitario europeista", anche se certamente non sarà omogeneo. Non è affatto un caso che Calenda abbia sottolineato che "nella parte di Siamo Europei il logo del Pse rimane sopra", volendo rimarcare come l'offerta politica della lista sia rivolga "non solo ai socialdemocratici, ma anche ai popolari e ai liberali" (Calenda, da poco entrato in direzione nazionale Pd, si iscriverà dunque al Pse o altrove?). Un giudizio definitivo grafico-politico ha tentato di darlo il neopresidente Pd Paolo Gentiloni: "Un bel simbolo, rappresenta il massimo di unità possibile che siamo riusciti a mettere in campo, penso che farà strada", rivendicando l'impegno per costruire una lista "aperta a sinistra, ma anche al centro" (echi veltroniani?), nonché alla cultura liberale e a quella cattolica. Il livello di apertura lo si vedrà tra il 16 e il 17 aprile, con il deposito delle liste, ma soprattutto a spoglio terminato al mattino del 27 maggio; il simbolo, intanto, è largo ma non troppo. Non un capolavoro, ma - c'è da giurarci - non sarà certo il più brutto della prossima tornata elettorale.

mercoledì 27 marzo 2019

Salvini, "Il simbolo? Alle politiche si vedrà". E Alberto da Giussano?

In questi giorni si sono rincorse e si rincorrono varie ipotesi simboliche legate alle elezioni europee, quasi sempre soltanto descritte e raramente tradotte in grafica (come nel caso delle liste di Siamo europei). Questo sito ha scelto di occuparsi solo di queste ultime, evitando quasi sempre di scrivere delle altre: in qualche caso - a partire dal simbolo condiviso Pd - Siamo europei - sarà sufficiente attendere qualche giorno per saperne di più e avere una grafica "ufficiale" da mostrare; in qualche altro caso, immaginare con troppo anticipo un emblema sarebbe stato inutile, vista la velocità con cui un progetto può invecchiare (lo dimostra bene il tramonto del tandem Verdi - Italia in Comune, con quest'ultima formazione che stamattina terrà una conferenza stampa con +Europa per presentare le loro liste, che probabilmente faranno invecchiare anche il possibile contrassegno di +Europa mostrato pochi giorni fa).
C'è però una riflessione, sollecitata da un articolo pubblicato oggi dalla Stampa, che merita di essere fatta e riguarda la Lega. A innescarla è un brevissimo passaggio del pezzo di Francesco Rigatelli, che lunedì ha seguito Matteo Salvini a Milano, alla presentazione del libro L'Italia che non c'è più di Mario Giordano. Parlando dei possibili scenari che potrebbero seguire alle elezioni europee (con la speranza che i sovranisti possano "determinare i nuovi equilibri del Parlamento e della Commissione"), il segretario leghista precisa che parteciperà al voto europeo del 26 maggio "col simbolo della Lega, mentre alle politiche si vedrà". Nove paroline, messe lì quasi per inciso, che però sono - come ha notato questa mattina anche Roberto Vicaretti, nella sua rassegna stampa di Rai News 24 - tutt'altro che un particolare trascurabile.
Già, perché "il simbolo della Lega", chiedendo a chiunque abbia un minimo di pratica politica, è solo uno e solo quello: Alberto da Giussano, o meglio la statua del guerriero di Legnano, identificato in quel personaggio immaginario. Insieme alla parola Lega, è l'unico elemento rimasto del partito delle origini, quello di Umberto Bossi e di Giuseppe Leoni, insomma quella Lega lombarda (anzi, Lega autonomista lombarda) fondata ufficialmente dalla notaia Franca Bellorini a Varese quasi 35 anni fa, il 12 aprile 1984. Gli altri inserti testuali o grafici che via via hanno fatto la loro comparsa all'interno del cerchio simbolico sono tutti spariti, in un lungo processo di sottrazione e sostituzione che sembrava essersi compiuto alla fine del 2017. "Autonomista" sul simbolo non c'è mai stato (tranne il riferimento alle Autonomie alle europee 2014); tra il 1989 e il 1992 il riferimento (anche grafico) alla Lombardia è stato soppiantato da quello al Nord, che ha resistito più di tutti, fino appunto alla fine del 2017; nel frattempo, era comparso il Sole delle Alpi, sfrattato dal simbolo assieme al Nord, mentre nella parte bassa del contrassegno si sono avvicendate la Libertà (1999), la Padania (2001), il Movimento per l'autonomia di Lombardo (2006), il cognome di Bossi (2008), quello di Maroni (2013, dopo un breve ritorno della Padania), "Basta €uro" (2014) e il cognome, in apparenza inamovibile, di Salvini (2015).
Tutto questo, insomma, è passato, Alberto da Giussano no. Sembrava, come si è scritto un anno fa, assolutamente vietato mandarlo in pensione: lo aveva dimostrato, in qualche modo, anche la vicenda di Noi con Salvini (simbolo ben concepito e pensato per il Sud, ma che di fatto non aveva sfondato), come pure quella della Lega dei popoli, mai davvero venuta ad esistenza. Il guerriero di Legnano, invece, era sempre lì, con il suo scudo e la sua spada sguainata, pronto alla pugna e non (più) solo per il Nord: gli ultimi appuntamenti elettorali hanno dimostrato che, grazie soprattutto all'opera salviniana (che di fatto nel contrassegno elettorale delle ultime politiche, ufficialmente presentato dalla Lega Nord, ha inserito due partiti in uno, cioè la Lega-non-più-Nord e la Lega per Salvini Premier), Alberto da Giussano sembra riuscito nell'operazione non facile e per nulla scontata di incarnare un partito nazionale e sovranista da Bolzano in giù, senza troppe distinzioni
Non si può ovviamente sminuire nemmeno di un grammo il peso del Fenomeno Salvini, citando così il titolo del libro curato da Giovanni DiamantiLorenzo Pregliasco, uscito da pochi giorni per i tipi di Castelvecchi (e che comprende, tra l'altro, vari riferimenti simbolici e un'interessante intervista a Luca Morisi, spin doctor dello stesso Matteo Salvini e, di fatto, regista della comunicazione leghista). Eppure qualche merito andrà pure riconosciuto ad Alberto da Giussano, l'emblema con maggior storia tra quelli presenti in questo Parlamento (fatta eccezione, ovviamente, per la stella alpina della Svp e per ciò che resta della fiamma tricolore alla base di Fratelli d'Italia). Dire che ora si va alle europee col simbolo della Lega, "mentre alle politiche si vedrà" (e si vedrà anche quando saranno...), non è affatto cosa da poco. La frase, ovviamente, è sibillina il giusto: potrebbe significare che l'emblema leghista non correrà da solo, ma in un contrassegno composito da condividere - ad esempio - con Fratelli d'Italia, così come si potrebbe mettere mano al nome senza toccare la grafica. Ma potrebbe anche essere che davvero qualcuno stia pensando di cambiare tutto - tranne ovviamente il nome (oltre che i muscoli) del Capitano - anche a prescindere dalla vicenda giudiziaria e patrimoniale che ha occupato le cronache nei mesi scorsi. Se fosse così, anche Alberto da Giussano potrebbe prepararsi a fare le valigie, andando in pensione dopo oltre 35 anni (e qui "quota 100" non c'entra nulla). Non c'è ancora alcun elemento per dirlo, ma la pulce nell'orecchio è stata messa: aspettiamo le prossime mosse, certi che lo staff salviniano saprà sorprenderci ancora, in un modo o nell'altro.

martedì 26 marzo 2019

Democrazia solidale, un simbolo recente che non vedremo alle europee

Tra i simboli che finiranno nelle bacheche del Ministero dell'interno in vista delle elezioni europee - a meno che qualcuno non decida di depositarlo a mero scopo cautelativo o per marcare la propria presenza-esistenza - probabilmente non ci sarà quello di Democrazia solidale, il soggetto politico creato da Lorenzo Dellai alla fine del 2014 e diventato più riconoscibile con un proprio emblema dopo poche settimane
Questo, in effetti, non si è visto nemmeno alle ultime elezioni politiche, anche se a gennaio, nei giorni che hanno preceduto il deposito dei contrassegni al Viminale, il nome di Democrazia solidale è stato in qualche modo presente nel dibattito politico, con riguardo alle polemiche legate all'esenzione dalla raccolta firme per +Europa, legata alla concessione del simbolo di Centro democratico, con cui la formazione di Dellai aveva formato un gruppo parlamentare autonomo da gennaio 2017 (Dellai era capogruppo e aveva lamentato di non essere stato informato della decisione, cosa sicuramente poco delicata, ma è altrettanto vero che quel gruppo, essendo composto da meno di venti deputati, era nato "in deroga" proprio grazie all'apporto di Centro democratico che aveva partecipato col suo simbolo in modo consistente alle elezioni del 2013, ottenendo i risultati richiesti dal regolamento della Camera).
Il primo simbolo del partito
Il fatto che Democrazia solidale possa essere assente dalla scheda elettorale delle prossime elezioni europee - anche per l'oggettiva difficoltà, per quella lista, di raggiungere il 4% richiesto dalla legge elettorale - non può far passare sotto silenzio il fatto che, da ottobre, il simbolo del soggetto politico è cambiato. Il giorno 6, all'evento di lancio del partito - anzi, della rete civica - su scala nazionale, guidato dall'ex ministro Andrea Riccardi, l'ex viceministro Mario Giro e il consigliere regionale Paolo Ciani (tre figure di primo piano della Comunità di Sant'Egidio), con l'appoggio di esponenti Cisl, Azione cattolica e di Alleanza solidale di Nello Formisano, nonché con la partecipazione straordinaria dell'ex presidente del Consiglio (e non ancora presidente del Pd) Paolo Gentiloni, non c'era più il simbolo delle origini, con le tre figure umane e uno striscione azzurro molto europeo. C'era invece un logo, imperniato sulle lettere D e S, con la seconda legata alla prima e inserita in essa, color verde acqua su fondo bianco, con al di sotto la scritta Demos - versione abbreviata del nome del partito - unita alla denominazione intera. Con il tempo è stata elaborata anche la versione "da scheda elettorale", che sostanzialmente ribaltava i colori per consentire l'uso di un cerchio "pieno" (ma la parola "Demos" è stata messa in verdino per differenziarla dal bianco del nome integrale).
Quella mossa, peraltro, non fu particolarmente apprezzata da un altro soggetto politico già esistente, denominato Demos Italia, al quale forse era sfuggito l'uso della versione abbreviata del nome da parte di Dellai e compagni e proseguito da Riccardi, Giro e altri. "Avendo appreso, in queste ore, dell’origine di una nuova formazione politica dal nome 'Demos, Democrazia Solidale' - fece sapere l'8 ottobre il portavoce dell'associazione Alessandro Calabria - si precisa che è preesistente il Movimento Politico DEMOS, nato nell'ambito del pubblico impiego italiano il 21/02/2013, che il 22/03/2013 ha acquisito il Codice Fiscale [...] presso l’Ufficio Territoriale di Treviso dell’Agenzia delle Entrate e che altresì l’11/04/2013 ha registrato il proprio atto costitutivo presso l’Ufficio Territoriale di Viterbo dell’Agenzia delle Entrate [...]. Successivamente, il 06/06/2018 DEMOS ha modificato il proprio nome in 'DEMOS ITALIA - MOVIMENTO POLITICO' depositando variazioni statutarie e simbolo presso il predetto Ufficio di Viterbo dell’Agenzia delle Entrate [...]". Il simbolo, ovviamente, non aveva nulla a che fare con quello successivo legato a Riccardi, essendo caratterizzato dalla sagoma dell'Italia su fondo blu, con le stelle dell'Europa e, a contorno dell'emblema, una fascia tricolore con tanto di nodo. Sta di fatto che, per Calabria, Demos Italia - Movimento politico era "attualmente nell'esercizio della propria attività istituzionale" e intendeva evitare "inutili sovrapposizioni e dannose confusioni" riservandosi "ulteriori approfondimenti e/o accertamenti". 
Non è dato sapere se quell'avviso abbia avuto qualche seguito in azioni giudiziarie; di fatto, l'azione di Democrazia solidale è continuata sia col nome intero, sia con quello abbreviato e non è improbabile che il simbolo finisca su qualche scheda elettorale alle prossime amministrative. Alle europee, invece, se ne farà a meno, ma certamente quella forza politico-sociale darà il proprio sostegno a una delle liste in campo (probabilmente quella del Pd).

sabato 23 marzo 2019

Fasci italiani del lavoro non illegittimi, ma il simbolo non torna sulle schede

Il simbolo del partito
Ha avuto una certa risonanza - e la cosa era inevitabile, visto il rilievo che dal 2017 era stato dato al risvolto elettorale della vicenda - la sentenza di assoluzione pronunciata ieri dal Tribunale di Mantova nei confronti di Claudio Negrini, della figlia Fiamma e di altri fondatori dei Fasci italiani del lavoro, nonché di persone che avevano collaborato alla propaganda in rete del partito. Al momento non è possibile ragionare su un testo, perché della decisione del giudice per l'udienza preliminare Gilberto Casari si conosce soltanto il dispositivo (vale a dire l'assoluzione per i sette imputati che avevano scelto il giudizio abbreviato, mentre per i due che avevano optato per il rito ordinario si è disposto il non luogo a procedere) e le motivazioni verranno depositate entro trenta giorni: certamente quando il testo della decisione sarà reso noto si dedicherà un articolo specifico all'argomento, ma alcune riflessioni è il caso di anticiparle già ora.


La vicenda

Il simbolo finito sulle schede
Innanzitutto, un minimo di ricostruzione della vicenda giuridica. Ben noto è come tutto sia iniziato non (tanto) con l'ammissione della lista dei Fasci italiani del lavoro alle elezioni comunali di Sermide e Felonica nel 2017 - in fondo lo stesso emblema aveva già partecipato alle elezioni del solo comune di Sermide, non ancora fuso, nel 2002, nel 2007 e nel 2012 - quanto piuttosto con l'elezione in consiglio comunale della candidata sindaca Fiamma Negrini: non era certo la prima volta che un simbolo con un fascio riusciva a ottenere eletti, ma era la prima volta in cui ciò succedeva in un comune medio-piccolo, in cui l'elezione non spettava di diritto ai rappresentanti della lista col fascio (di solito il Movimento Fascismo e libertà) perché era l'unica altra presentata oltre alla formazione risultata vincitrice, ma era stata ottenuta grazie al raggiungimento della quota di consenso necessaria a ottenere un consigliere di minoranza. Solo così può spiegarsi il clamore ottenuto dalla notizia a livello nazionale, al punto tale da scatenare la reazione dei media e quelle conseguenti dell'allora presidente della Camera Laura Boldrini e del ministro dell'interno in quel momento in carica, Marco Minniti (cosa che provocò la sostituzione dei componenti della Sottocommissione elettorale circondariale competente, sebbene costoro avessero valutato la situazione con lo stesso metro delle tre tornate amministrative precedenti, nelle quali non c'erano state rimostranze). 
Le proteste e polemiche registrate nel 2017 avevano generato, tra l'altro, l'impugnazione davanti al giudice amministrativo dell'esito delle elezioni di quell'anno (promossa dal deputato M5S Alberto Zolezzi, rieletto in questa legislatura), procedimento che ha visto a gennaio del 2018 la semplice esclusione dell'eletta dei Fasci dal consiglio comunale (in quanto la lista non avrebbe dovuto essere ammessa) da parte del Tar di Brescia, poi (a maggio) la decisione più pesante del Consiglio di Stato che riteneva si dovesse ripetere l'intera consultazione elettorale, viziata da quell'indebita ammissione di una lista il cui simbolo avrebbe violato tanto la XII disposizione finale della Costituzione, quanto la "legge Scelba" del 1952.  
Nel frattempo, però, si era sviluppato anche il filone penale della vicenda: la Procura della Repubblica di Mantova, infatti, a luglio del 2017 aveva iniziato a indagare Claudio e Fiamma Negrini, assieme ad altre sette persone, per il reato di ricostituzione del partito fascista (art. 1, legge n. 645/1952), ritenendo che nello statuto della forza politica fondata nel 2000, così come in altri atti compiuti nel corso del tempo, ci fossero elementi per ritenere integrato il reato. A febbraio dello scorso anno la procura aveva chiesto il rinvio a giudizio dei nove indagati e, dopo che sette di loro avevano ottenuto il rito abbreviato (dunque affidando al giudice per l'udienza preliminare la decisione sulla loro innocenza o colpevolezza), per costoro a dicembre l'accusa aveva richiesto pene per un totale di vent'anni. 


La decisione e le conseguenze

Giusto ieri è arrivata la sentenza di assoluzione "perché il fatto non sussiste", dunque con formula piena (il giudice non ha ritenuto che il fatto non costituisse reato: per lui non c'era proprio). Nessuna ricostituzione del disciolto partito fascista, dunque: si dovrà attendere di leggere le motivazioni redatte dal gup per capire come ha ragionato (e, sulla base di questo, la Procura della Repubblica deciderà se impugnare o no la sentenza). 
Nel frattempo, Claudio Negrini alla Voce di Mantova ha espresso soddisfazione per una sentenza "che fa crollare un castello accusatorio assurdo e una campagna di odio inaudita nei nostri confronti": dice di volersi rivalere su chi "ha alimentato un campagna di odio nei nostri confronti", valutando eventuali azioni legali contro Boldrini e il giornalista di Repubblica Paolo Berizzi (il primo a sollevare il "caso Fasci" a livello nazionale), anche se resta il rammarico per il seggio conquistato due anni fa "legittimamente [...] e che invece è stato tolto con un’azione che ha condannato Sermide e Felonica a un commissariamento dannoso su tutti i fronti".
Anche per questo, essendo chiamato il comune di Sermide e Felonica a rivotare il 26 maggio, Claudio Negrini ha annunciato che il suo gruppo si ripresenterà alle urne "nella speranza di recuperare, magari con gli interessi, ciò che ci è stato sottratto". Non lo farà però con il simbolo dei Fasci italiani del lavoro, per non rischiare di incorrere di nuovo in grane pre o post-elettorali: questa volta utilizzerà l'emblema di Italia agli italiani, il cartello elettorale inaugurato da Forza Nuova e Fiamma tricolore alle ultime elezioni politiche, al quale hanno aderito anche altri movimenti di area destra (tra cui Movimento Italia sociale, Fiamme nere - Italia libera, Movimento nazionale italiano, Azione sociale e Il Fronte dei Popoli, ma non CasaPound). 
Cambierà anche la candidata sindaca, già identificata in Paola Quaglia, che già nel 2012 si era candidata alla guida del comune di Sermide, alla pari di Negrini: lei aveva ottenuto il 12,32% con la lista Cittadini per Sermide (lui aveva sfiorato il 3% con i Fasci), ma visto il minor numero di consiglieri di opposizione che aveva allora Sermide non era riuscita ad accedere al consiglio (mentre a Fiamma Negrini era bastato il 10,4%, ma allora le liste di opposizione erano solo due, mentre nel 2012 le formazioni di minoranza erano quattro e la lista più votata tra queste si era accaparrata tutti i seggi perché aveva preso quasi i due terzi dei voti non andati alla maggioranza). Anche se le liste non sono ancora state rese note, peraltro, pare che quasi tutti coloro che saranno candidati con Italia agli italiani risulteranno legati al gruppo dei Fasci italiani del lavoro.

Due piani distinti

Sarà legittimo che gli stessi candidati dei Fasci si ripresentino alle elezioni? Ovviamente sì. La decisione presa ieri dal tribunale mantovano, in attesa delle motivazioni da leggere, ricorda che è assolutamente necessario distinguere il piano penalistico da quello elettorale. Il primo esige una lettura tassativa e garantista delle disposizioni penali, per cui perché si sia di fronte al reato di ricostituzione del partito fascista è necessario che un gruppo di almeno cinque persone persegua "finalità antidemocratiche proprie del partito fascista" e non deve farlo in modo teorico o astratto, ma concretamente. Evidentemente il giudice non ha rinvenuto, nei comportamenti degli indagati-imputati, i caratteri dell'idoneità concreta a perseguire quelle finalità antidemocratiche proprie del "disciolto partito fascista". E non deve aver trovato offensivo - in senso penalistico - nemmeno il contenuto dello statuto dei Fasci: pur dando una lettura differente - e, naturalmente, non per forza condivisibile - degli eventi qualificati come fascismo e immaginando che quel regime sarebbe potuto arrivare all'acquisizione "piena e totale della forma democratica, elettiva e pluralista", al suo interno è propugnato comunque un modello di società democratico e partecipativo, pur se differente da quello attuale. Basta questo, evidentemente, a non poter parlare di finalità antidemocratiche e, comunque, non riconducibili al "disciolto partito fascista": il fatto che più persone possano avere un'opinione tutt'altro che negativa sul fascismo, per non condivisibile che sia, non costituisce reato.
Il metro utilizzato in sede penale, tuttavia, non può essere riportato tal quale in ambito elettorale. Il Consiglio di Stato, nel parere reso nel 1994 sulla vicenda di Fascismo e libertà, era stato chiaro nel ritenere inconcepibile "che un raggruppamento politico partecipi alla competizione elettorale sotto un contrassegno che si richiama esplicitamente al partito fascista bandito irrevocabilmente dalla Costituzione, con norma tanto più grave e severa, in quanto eccezionalmente derogatoria al principio supremo della pluralità, libertà e parità delle tendenze politiche", senza che però questo potesse in qualunque modo avere rilievo sul piano penale, in un giudizio sulla ricostituzione del partito fascista. 
Ora, è vero che in teoria anche la normativa elettorale dovrebbe essere letta alla luce del favor partecipationis, rendendo tassative e di stretta interpretazione le ipotesi di esclusione delle candidature; evidentemente, però, si è ritenuto che l'ambito elettorale possa essere meno garantista nei confronti di chi intende sottoporsi al voto dei cittadini, giudicando più importante tutelare il meccanismo elettorale stesso da elementi che, anche solo sulla carta, potrebbero turbarlo. Niente fascio sui contrassegni destinati alle schede, dunque, specie se abbinato alla parola "Fascismo" o al concetto dei "fasci", come nel caso di Sermide; quanto alla presenza del solo fascio, le decisioni sono state piuttosto ballerine, con una recente, decisa prevalenza che vuole tenere quel simbolo lontano dalle schede elettorali.
Chi scrive comprende le ragioni di questa posizione, ma non le condivide fino in fondo, se non altro perché passano pur sempre attraverso la deduzione di norme che si allontanano dal tenore delle disposizioni scritte, perdendo in tassatività e anticipando fin troppo la tutela dell'ordinamento rispetto a minacce che di concreto hanno poco. A chi replicasse "allora dobbiamo aspettare che quelle minacce concrete arrivino, per poi scoprire che è troppo tardi per fare qualcosa?", rispondo preventivamente che comprendo quella posizione, ma da giurista non posso dimenticare che sanzionare il sospetto, il pensiero o l'intenzione non è in sintonia con la nostra concezione del diritto: è più che legittimo voler arginare o contrastare certe idee, ma lo si deve fare prima di tutto sul piano dell'educazione. Aver bisogno di vietare d'imperio un'idea più che un'azione, come una sorta di riedizione del chiasmo manzoniano del Conte zio ("sopire, troncare [...] troncare, sopire"), suona come una sconfitta, pure piuttosto dolorosa, della società e dell'intero ordinamento.

venerdì 22 marzo 2019

Verso le europee: ecco cosa dicono sui simboli le Istruzioni del Viminale

Le Istruzioni, un po' personalizzate
La marcia verso le elezioni europee procede: mancano poco più di due mesi al 26 maggio - data fissata, oltre che per le elezioni europee, per il turno più nutrito di elezioni comunali e anche per le elezioni suppletive nei collegi uninominali della Camera di Trento e Pergine Valsugana, a seguito delle dimissioni di Maurizio Fugatti e Giulia Zanotelli - e il Ministero dell'interno ha pubblicato sui propri siti le Istruzioni per la presentazione e l'ammissione delle candidature, tanto con riguardo al rinnovo del Parlamento europeo, quanto per il voto amministrativo.
La questione ovviamente interessa innanzitutto coloro che intendono presentare liste al prossimo turno elettorale, per adempiere correttamente a ciò che viene richiesto dalla legge o da coloro che dovranno applicarla; è opportuno, tuttavia, che anche gli studiosi guardino con attenzione alle novità relative alla presentazione di contrassegni e candidature contenute nelle Istruzioni ministeriali, per avere piena conoscenza del funzionamento del sistema.
Vediamo dunque cosa prevede di nuovo, rispetto soprattutto all'edizione del 2014, la guida predisposta dalla Direzione centrale dei servizi elettorali del Viminale.

La presentazione dei simboli

Si parte ovviamente dal primo atto visibile, ossia la presentazione dei contrassegni elettorali per le elezioni europee, prevista al Ministero dell'interno - come si era anticipato da tempo - dalle ore 8 alle ore 20 del 49º giorno (domenica 7 aprile) e dalle ore 8 alle ore 16 del 48º giorno (lunedì 8 aprile) precedente quello della votazione.
Con riguardo a questo adempimento, in realtà, non cambia molto rispetto al passato, anche se vengono ufficialmente estesi alle elezioni europee i nuovi adempimenti in materia di trasparenza introdotti prima con l'ultima legge elettorale politica e con l'ultimo intervento normativo sulle elezioni trasparenti (di questo però si darà conto nel paragrafo successivo).
Parlando soltanto del deposito dei contrassegni, si ribadiscono le regole valide per le elezioni politiche - l'art. 51 della legge elettorale per il Parlamento europeo, la l. n. 18/1979, dispone espressamente che "salvo quanto disposto dalla presente legge, per l'elezione dei membri del Parlamento europeo spettanti all'Italia, si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni del testo unico delle leggi per l'elezione della Camera dei deputati" - che dunque valgono anche per le norme relative al contenuto degli emblemi. Si ribadiscono dunque l'obbligo all'uso del simbolo notoriamente usato da una forza politica (anche se ovviamente questa prescrizione è più blanda qualora si modifichi un fregio appositamente in vista delle elezioni, purché non sia troppo simile ad altri in gioco; dall'obbligo sono poi esentati i gruppi politici, vale a dire "formazioni occasionali nelle quali confluiscono correnti politiche diverse e non hanno un contrassegno tradizionale", con riferimento dunque ai cartelli elettorali) e la possibilità per più partiti o gruppi di presentare un contrassegno composito "che riproduca tutto o in parte il loro contrassegno insieme a quello di un altro o di altri partiti o gruppi". 
Si conferma ovviamente - per chi non ha simboli tradizionali - il divieto di presentare contrassegni identici o confondibili "con quelli che riproducono simboli utilizzati tradizionalmente da altri partiti, ovvero che riproducono simboli, elementi e diciture, o solo alcuni di essi, o elementi caratterizzanti simboli che, per essere usati tradizionalmente da partiti presenti in Parlamento, possono trarre in errore l’elettore" (il tutto a tutela, più che dei partiti consolidati, dei loro elettori); eventuali somiglianze tra emblemi nuovi si risolvono a favore di chi ha depositato il contrassegno per primo (prior in tempore potior in iure). La confondibilità sarà valutata, come sempre, con riguardo a parametri predefiniti, "congiuntamente o isolatamente considerati": la rappresentazione grafica e cromatica generale, i simboli riprodotti, i singoli dati grafici, le espressioni letterali, le parole o le effigi "costituenti elementi di qualificazione degli orientamenti o delle finalità politiche connesse al partito o alla forza politica di riferimento anche se in diversa composizione o rappresentazione grafica" (norma che fu introdotta a tutela della Lega e anche un po' dei Verdi, ma che non ha funzionato sempre). Un'ipotesi affine alla confondibilità riguarda l'applicazione (anche) alle elezioni europee del divieto di presentazione di contrassegni "effettuata con il solo scopo di precludere surrettiziamente l’uso del contrassegno ad altri soggetti politici interessati a utilizzarlo": vietato quindi "clonare" emblemi nuovi, già noti pur non essendo rappresentati in Parlamento, giusto per mettere i bastoni tra le ruote a chi li ha creati.
Al divieto, previsto per legge, di riprodurre nel contrassegno immagini o soggetti religiosi le Istruzioni consolidano l'aggiunta del disco rosso - già in atto almeno dal 2015, con riguardo alle elezioni amministrative - per ipotesi non previste espressamente: si tratta dell'impiego di "contrassegni che utilizzano denominazioni e/o simboli o marchi di società (anche calcistiche) senza apposita autorizzazione all'uso da parte di dette società, con firma del rappresentante legale autenticata" (il famoso "comma Di Nunzio", aggiunto dopo il caso di Forza Juve - Bunga Bunga delle europee 2014) e dell'uso di "parole, espressioni, immagini, disegni o raffigurazioni che facciano riferimento a ideologie autoritarie" (tra cui le parole "fascismo", "nazismo", "nazionalsocialismo" e simili, "nonché qualunque simbologia che richiami anche indirettamente tali ideologie"), in ritenuta applicazione della XII disposizione finale della Costituzione e dalla legge n. 645/1952, secondo quanto già deciso dal Consiglio di Stato nel 2013 con riferimento al caso di Fascismo e libertà escluso dalle elezioni di Montelapiano del 2012. Punto sul quale occorrerà ritornare, anche a partire da quanto è accaduto oggi con riguardo al caso dei Fasci italiani del lavoro.
Con il deposito del contrassegno dovrà ovviamente indicarsi il nome del partito o del gruppo politico; il depositante dovrà avere regolare mandato del presidente/segretario della forza politica (o di tutti i soggetti politici rappresentati nel contrassegno), autenticato da notaio, oppure dovrà provvedere il capo della forza politica di persona; nessuno può depositare più di un simbolo, né delegare più persone a depositare. Se il contrassegno contiene uno o più nomi di persone diverse dal mandante o dal depositante, assieme al contrassegno si dovrà presentare un espresso consenso all'uso di quei nomi da parte degli interessati (in questo caso basta l'autenticazione di una delle figure previste dalla l. n. 53/1990): si vuole rispettare la privacy e, contemporaneamente, evitare che qualcuno sfrutti nomi altrui per trarne vantaggio. Sul piano pratico, al solito occorre depositare tre esemplari del contrassegno (possibilmente nella doppia misura - ovviamente di identico contenuto - di 10 e di 3 centimetri di diametro, rispettivamente per i manifesti e le schede), racchiudendo nel cerchio del contrassegno "tutte le raffigurazioni e le espressioni che fanno parte del contrassegno stesso" (niente forme strane che fuoriescono dall'armatura circolare) e magari fornendo anche il materiale in formato jpg o pdf.
Entro le 24 del 10 aprile ai depositanti saranno comunicate le decisioni di ammissione o gli inviti a sostituire gli emblemi, con la possibilità di provvedere entro 48 ore dalla notifica dell'avviso, oppure di opporsi (nello stesso termine) alla sostituzione, lasciando l'ultima parola sull'ammissibilità all'Ufficio elettorale nazionale per il Parlamento europeo presso la Corte di cassazione (possono rivolgersi al collegio anche altri depositanti che ritengano un emblema ammesso troppo simile al loro), con la decisione che arriverà nelle 48 ore successive. La mancata designazione dei rappresentanti delegati al deposito delle liste negli uffici elettorali circoscrizionali, come pure la mancata presentazione dello statuto o della dichiarazione di trasparenza (punto su cui si dovrà subito tornare) non consentirà la presentazione di liste: il contrassegno, come si è detto in passato, risulterà dunque senza effetti.


Nuovi adempimenti in materia di trasparenza (liste e candidati)

A queste elezioni europee si applicano per la prima volta varie disposizioni recenti o recentissime in materia di "elezioni trasparenti": alcune sono state dettate poco prima delle ultime politiche, altre sono entrate in vigore poche settimane fa. 
Innanzitutto, si estende alle elezioni europee l'onere, per chi presenta il contrassegno di una lista legata a uno o più partiti iscritti al registro previsto dal decreto-legge n. 149/2013, di depositare anche lo statuto (che a monte è stato riconosciuto regolare dall'apposita Commissione e pubblicato in Gazzetta Ufficiale); per i soggetti politici non iscritti, c'è invece l'obbligo di depositare una dichiarazione, con la sottoscrizione del legale rappresentante autenticata da notaio (non può essere un altro soggetto a provvedere, anche quando la dichiarazione è presentata dal leader della forza politica) in cui siano indicati gli elementi minimi di trasparenza previsti dalla legge. In particolare, nel documento - che va depositato anche in formato Pdf/A per la pubblicazione, comprensivo della firma autenticata - si chiede di indicare il legale rappresentante del partito o gruppo politico, il soggetto che ha la titolarità del contrassegno, la sede legale nel territorio dello Stato, gli organi del partito o del gruppo politico, la loro composizione e le rispettive attribuzioni (da esplicitare con chiarezza per ciascun organo). Se il contrassegno è composito, dunque ospita più simboli di partiti, occorre che la dichiarazione di trasparenza sia firmata da tutti i legali rappresentanti dei rispettivi partiti, oppure che ciascuna forza politica presenti una propria distinta dichiarazione.
La fila "scarsa" delle Europee 2014
Proprio la presenza di questo nuovo adempimento aveva reso più "fiacca" la presentazione dei contrassegni alle ultime elezioni politiche, diminuendo di molto il numero dei depositanti e tenendo lontani alcuni presentatori seriali di emblemi (forse era proprio ciò che si voleva...); questo potrebbe avere effetto anche sulla "fila" per il deposito degli emblemi delle europee, che già di norma è meno folta. Lo statuto o la dichiarazione vanno depositati nello stesso arco di tempo dedicato alla presentazione dei simboli (dalle 8 del 7 aprile alle 16 dell'8 aprile) dal leader della forza politica o dalla persona che questi ha delegato al deposito del contrassegno (con mandato autenticato da notaio); chi non ottempera, come si diceva, riceverà una comunicazione del Viminale che preannuncerà la ricusazione delle liste che la forza politica dovesse presentare. In caso di dichiarazioni incomplete, ci sarà tempo 48 ore per integrare i contenuti; nello stesso termine, anche sull'invito all'integrazione si può presentare opposizione all'Ufficio elettorale nazionale.
Queste elezioni europee sono anche il banco di prova per le nuove disposizioni di trasparenza dettate dalla l. n. 3/2019 e rese operative dal decreto del Ministro dell’interno 20 marzo 2019. In particolare, chi deposita il contrassegno deve pure rilasciare una dichiarazione, su apposito modulo predisposto dalla Direzione centrale dei servizi elettorali, indicando chi - tra il presidente o il segretario o il rappresentante della lista - sarà incaricato di effettuare, per ciascun candidato, la comunicazione del curriculum vitae e del certificato penale rilasciato dal casellario giudiziale (la persona designata dovrà fornire la propria casella di posta elettronica certificata o ordinaria): tutto quel materiale sarà pubblicato sul sito Eligendo del Viminale, nella sezione denominata "Elezioni trasparenti", oltre che sul sito del singolo partito. La pubblicazione sarà possibile grazie al caricamento dei documenti sulla  piattaforma informatica "Trasparenza", per la quale ogni forza politica riceverà le credenziali d'accesso (il materiale dovrà essere fornito entro il decimo giorno prima del voto, in formato Pdf/A, leggibile con Ocr, senza link esterni e password).

Collegamenti tra partiti/gruppi politici europei e nazionali: simboli e liste

La novità più significativa delle Istruzioni preparate per queste elezioni europee, probabilmente, riguarda i rapporti tra partiti politici europei e nazionali e le ricadute in termini di contrassegni e (soprattutto) esenzione dalla raccolta di firme: è dunque di grande interesse vedere la posizione "ufficiale" del Viminale, dopo che nel 2014 l'Ufficio elettorale nazionale aveva consentito di correre senza firme a partiti nazionali dichiaratamente affiliati a partiti europei rappresentati a Bruxelles
La guida ministeriale si diffonde inizialmente sulle disposizioni europee che avevano invitato a rendere palese per i cittadini l'affiliazione delle forze politiche nazionali ai partiti europei (e a informare sul candidato alla presidenza della Commissione europea sostenuto da ogni partito): si è dunque ritenuto opportuno precisare che tali indicazioni, che hanno piena cittadinanza in tutto il materiale prodotto per la campagna elettorale, possono riguardare anche la scheda elettorale (accogliendo gli inviti delle istituzioni europee), per cui è "pienamente legittimo l’inserimento del nome completo o dell’acronimo o anche del simbolo del partito politico europeo all'interno del contrassegno depositato da ogni partito o movimento politico nazionale, anche nell'ipotesi di contrassegni compositi". 
Quelle indicazioni grafiche, in effetti, non sono certo una novità per il nostro paese: sulle schede, infatti, sono apparse per la prima volta nel 1994 (il nome dell'Eldr sul simbolo del Pri) e in modo più diffuso nel 1999 (il nome o il simbolo del Ppe per Ccd, Cdu, Fi, Rinnovamento italiano e Udeur, il nome e la sigla del Pse per i Ds, il simbolo dell'Eldr per il cartello Pri-Fld), ma finora non si era sentito il bisogno di indicare nulla di particolare all'interno delle Istruzioni: la scelta sull'informazione circa la propria collocazione politica europea, insomma, era lasciata alla sensibilità di ciascun partito o cartello elettorale, che non di rado ha scelto di non inserire alcun elemento. 
La recente Raccomandazione della Commissione europea del 14 febbraio 2018 (2018/234/UE) ha però invitato gli Stati membri a "promuovere e semplificare la diffusione all'elettorato delle informazioni sulle affiliazioni tra partiti nazionali e partiti politici europei, nonché sui candidati capilista, prima e durante le elezioni del Parlamento europeo, anche permettendo e incoraggiando l’indicazione dell’affiliazione sul materiale usato nella campagna elettorale, nei siti web dei partiti membri nazionali e regionali e, ove possibile, sulle schede elettorali" (e l'atto sull'elezione dei parlamentari europei, dopo la decisione 2018/1994 del Consiglio del 13 luglio 2018, è ora previsto che gli Stati membri possano "consentire l’apposizione, sulle schede elettorali, del nome o del logo del partito politico europeo al quale è affiliato il partito politico nazionale o il singolo candidato".
Di certo, i partiti o gruppi politici che inseriranno nel contrassegno "simboli e/o denominazioni di partiti europei" saranno chiamati a dare prova della legittimazione a usare quei riferimenti, producendo "l'attestazione / dichiarazione del presidente, segretario o altro rappresentante legale del partito europeo di riferimento" (dichiarazione con firma autenticata da una delle figure previste dalla l. n. 53/1990) che affermi l'esistenza di un "collegamento" (o affiliazione / associazione) con il partito nazionale tale da consentire a questo l'uso legittimo del simbolo o del nome "del partito o gruppo politico europeo all'interno del contrassegno che il medesimo partito nazionale deposita al Ministero dell’interno". Si potrà anche inserire nel contrassegno "il nome del proprio candidato alla carica di presidente della Commissione europea", naturalmente allegando il consenso della persona interessata (sempre con firma autenticata da uno dei soggetti indicati dalla legge n. 53 /1990 o da un'autorità diplomatica o consolare italiana); i riferimenti al candidato alla presidenza della Commissione o all'eventuale partito europeo di affiliazione non sono ovviamente obbligatori.
Quanto alla questione dell'esenzione dalle firme, ricordate le previsioni di legge in materia, le Istruzioni citano le decisioni dell'Ufficio elettorale nazionale del 2014 che hanno consentito alla lista Verdi europei di correre senza firme, ammettendo l'esonero per "i partiti o gruppi politici nazionali per i quali risulti dimostrato, attraverso una serie di elementi, il collegamento concordato (o affiliazione) con un partito politico europeo rappresentato nel Parlamento europeo con un proprio gruppo parlamentare", per poi indicare le condizioni che devono sussistere tutte insieme per il beneficio dell'esenzione. Già dalla formulazione di questa prima parte appare chiaro l'orientamento restrittivo del Viminale, nel tentativo di ridurre il più possibile la "breccia" aperta nel 2014.
In particolare, occorre che il contrassegno depositato dal partito o gruppo politico nazionale contenga al suo interno, per evidenziare il collegamento o l’affiliazione concordati, tanto "la denominazione del partito o gruppo politico europeo che sia rappresentato al Parlamento europeo", quanto "il simbolo utilizzato dal partito europeo"; si dovrà poi produrre ai singoli Uffici elettorali circoscrizionali, in sede di deposito delle liste, "una dichiarazione a firma del segretario o del legale rappresentante del partito o gruppo politico europeo che attesti l’esistenza di un collegamento o di un’affiliazione con il partito o gruppo politico nazionale, debitamente autenticata", nonché "la documentazione attestante il pagamento, da parte della forza politica nazionale, delle quote associative al partito o gruppo politico europeo". La richiesta di presentazione delle liste dovrà essere firmata dal segretario/presidente della forza politica o dai soggetti espressamente delegati dai leader dei partiti nazionali (con mandato autenticato da notaio; il mandato può essere rilasciato anche al rappresentante delegato a depositare le liste, purché ciò sia espressamente precisato) e la firma dovrà essere autenticata da una figura indicata dalla l. n. 53/1990.
La guida del Viminale scioglie alcuni dubbi sollevati nei giorni scorsi, mentre ne lascia aperti altri. Innanzitutto il testo parla di partiti o gruppi politici europei, dunque teoricamente ci sarebbe lo spazio per partiti politici europei che non risultino ufficialmente riconosciuti in base al regolamento del 2014 (anche se ciò che si dice dopo rende particolarmente problematico riferirsi a soggetti diversi); secondariamente si parla di rappresentazione al Parlamento europeo, ma in un passaggio la guida cita espressamente l'esistenza di "un proprio gruppo parlamentare", quindi occorrerebbe chiedersi cosa accadrebbe in caso di gruppo parlamentare formato da due partiti europei distinti (l'esenzione, cioè, è una sola o varrebbe per entrambe le forze europee?). In mancanza di altre indicazioni, peraltro, sembra legittimo configurare un'eventuale esenzione multipla da parte di un partito europeo, perché non è scritto da nessuna parte che quest'ultimo possa dichiarare l'affiliazione - e concedere il beneficio dell'esenzione - a uno solo tra i più partiti nazionali eventualmente affiliati; l'osservazione è piuttosto rilevante, anche se si è visto che di solito, se i partiti affiliati sono vari, almeno uno di questi può contare sull'esonero legato alla propria presenza nelle Camere o all'elezione alle precedenti europee. 
Si è chiarito, in compenso, che per avere l'esenzione occorre - a monte - la contemporanea presenza del simbolo del partito europeo esonerante e del suo nome (com'era avvenuto con la lista Verdi europei, provvista di nome ed emblema del Partito verde europeo), mentre non si parla di simbolo del gruppo parlamentare europeo, ove questo sia diverso da quello del partito europeo (è il caso della Gue); quanto al simbolo del partito italiano affiliato, si dice che il soggetto politico conserva il diritto all'esenzione "anche se apporta modifiche al proprio contrassegno tradizionalmente utilizzato", cosa che peraltro sembra comunque richiedere che il simbolo originario sia ugualmente riconoscibile, se non altro per rendere comprensibile quale sia il partito italiano che ha portato in dote l'esenzione, specie in caso di contrassegno composito (il simbolo dei Verdi europei, pur non comprendendo la "pulce" integrale della Federazione dei Verdi, riportava ben riconoscibile il sole che ride). Tutto questo fa sospettare che, se i partiti maggiori - non interessati all'esonero per la loro autonoma rappresentanza parlamentare - potranno semplicemente indicare l'acronimo del partito europeo di riferimento, le forze politiche che vorranno avvalersi dell'esenzione "europea" vedranno affollarsi e "complicarsi" di molto il loro contrassegno, visto il numero di elementi necessari per ritenere legittimo il loro beneficio.
Le prossime settimane renderanno più chiaro il modo in cui le singole forze politiche vorranno affrontare questo passaggio, nel tentativo di partecipare alle elezioni: le decisioni del Viminale (per i contrassegni) e degli uffici elettorali (per le firme) renderanno più chiare le regole per il futuro. Sempre che qualcuno, ovviamente, non le cambi.