martedì 1 settembre 2020

Patto per la Toscana escluso, Roberto Salvini ricorre al Tar

Al momento, delle otto candidature alla carica di presidente della regione Toscana presentate tra il 21 e il 22 agosto, solo sette sono state ammesse. L'Ufficio centrale regionale presso la Corte d'appello di Firenze, infatti, tra venerdì e sabato ha respinto la candidatura di Roberto Salvini, che si era presentato sostenuto dalle liste circoscrizionali del Patto per la Toscana. Da ieri la vicenda è davanti al Tar Toscana, che dovrà decidere nei prossimi giorni sull'eventuale riammissione della candidatura; l'occasione è utile, senza sollevare polemiche, per cercare di capire meglio cosa sia accaduto e riflettere su alcune questioni.

I fatti

Si era già parlato dello scalpore suscitato nel 2015 dalla sua candidatura nella lista pisana della Lega Nord, tradottasi nell'elezione a consigliere regionale (prevalendo proprio sull'attuale candidata alla presidenza Susanna Ceccardi) e a una legislatura trascorsa nel gruppo leghista fino a ottobre del 2019; si era pure visto che il contrassegno di lista con cui (Roberto) Salvini aveva annunciato di volersi candidare aveva come elemento dominante il suo cognome, scritto in giallo su fondo verde (colore fino a qualche anno fa legato al Carroccio).  
Posto che tutti i documenti erano stati depositati in tempo utile, venerdì 28 agosto l'Ufficio centrale regionale ha ricusato in prima battuta la candidatura di Roberto Salvini e le liste circoscrizionali a questa collegate per una delle ragioni di cui si era parlato di più nei giorni precedenti: il contrassegno di lista era stato ritenuto confondibile con quello che era stato presentato dalla Lega per Salvini premier in Toscana. In particolare, erano
stati evidenziati "profili confusori [...] con riferimento in particolare all'utilizzo del nome 'SALVINI', scritto nel medesimo colore giallo e con il medesimo risalto, quanto al carattere e al corpo, risalto peraltro non attribuito al nome 'Roberto' che si presenta con corpo ancora più ridotto addirittura rispetto all'indicazione 'PRESIDENTE', con colore bianco, al pari di quella 'PREMIER' contenuta nella lista Lega Salvini premier".
Come la legge prevede, il giorno successivo l'Ufficio centrale regionale si è riunito di nuovo per valutare l'opposizione con cui il delegato regionale della lista, Marco Lensi, aveva risposto alle censure dello stesso organo. Questi aveva rivendicato quel contrassegno come non confondibile e pienamente legittimo, ma si era detto disponibile "in via subordinata e senza pregiudizio alcuno" a intervenire sullo stesso, presentando tre alternative grafiche (ottenute con modifiche progressive rispetto all'originale). L'Ufficio centrale regionale, tuttavia, sempre nella giornata di sabato ha confermato la sua prima decisione, ribadendo che il risalto dato al cognome "Salvini" nella lista del Patto per la Toscana provocherebbe confusione rispetto all'identico patronimico contenuto nel contrassegno della Lega; quanto alle varianti degli emblemi presentate, queste - al di là dei rilievi sulla loro presentazione irrituale, su cui si tornerà - non erano ritenute così modificate da eliminare il problema di confondibilità. 
Vedendosi confermare la propria esclusione dalla competizione elettorale, a dispetto delle firme raccolte nelle varie circoscrizioni della regione, Roberto Salvini, Marco Lensi e vari aspiranti candidati hanno presentato ricorso al giudice amministrativo, chiedendo l'annullamento dei due provvedimenti di esclusione della lista Patto per la Toscana - Roberto Salvini presidente emessi dall'Ufficio centrale regionale.

Le norme 

Vale innanzitutto la pena richiamare le norme di base sull'ammissione dei simboli elettorali in Toscana. Posto che - a differenza che in altre realtà regionali - la legge regionale n. 74/2004 (sul procedimento elettorale) prevede che il deposito dei contrassegni sia centralizzato presso l'Ufficio centrale regionale e che spetti allo stesso organo vagliare l'ammissibilità di quegli emblemi, è bene ricordare che - in base all'art. 12, comma 4 di quella legge regionale - non sono ammissibili (per quanto interessa qui) contrassegni "identici o confondibili con quelli presentati in precedenza o con quelli notoriamente usati da altri partiti o gruppi politici", nonché contrassegni che riproducano, senza averne titolo, "simboli o elementi caratterizzanti di simboli che, per essere usati tradizionalmente da partiti presenti in Parlamento o in Consiglio regionale, possono trarre in errore l'elettore". Si tratta di una disciplina quasi identica a quella prevista dalla legge elettorale nazionale (con la sola aggiunta della tutela preferenziale per i soggetti politici presenti in consiglio regionale). 
 

Quali argomenti?

Il punto su cui si concentrano le difese dei ricorrenti è legato agli argomenti utilizzati dall'Ufficio centrale regionale per motivare la confondibilità dei contrassegni. I suoi componenti hanno richiamato innanzitutto il parametro - che la giurisprudenza in materia elettorale adotta da tempo - della "normale diligenza dell’elettore medio, escludendo l’eventualità del pericolo di confusione tra due simboli, laddove gli elementi di differenziazione presenti risultino prevalenti sugli elementi che accomunano i due contrassegni". La decisione citata a sostegno della tesi - la n. 2487/2015 della V sezione del Consiglio di Stato - non è una sentenza qualunque, ma quella che cinque anni fa ha confermato la riammissione alle elezioni regionali toscane della Lega Toscana - Più Toscana, ritenendo tra l'altro che il suo contrassegno non fosse confondibile con quello della Lega Nord (a dispetto della comunanza del termine generico "Lega") perché il primo era "dominato in pieno campo dalla bandiera granducale ed i margini superiore ed inferiore riportano a caratteri cubitali l’espressione Lega Toscana in alto e Più Toscana in basso", mentre in quello del Carroccio toscano "campeggia in maniera preponderante la figura scultorea di Alberto da Giussano e la bandiera granducale appare da un lato in dimensione minima rispetto al simbolo dei contraddittori"; in quel caso la presenza del cognome "Salvini" nel simbolo di un partito "ormai espressione di tutto il corpo elettorale" era stato ritenuto un elemento di distinzione ulteriore tra i due contrassegni, ma restava il principio per cui gli elementi identificativi centrali erano diversi e non mancavano altri elementi di distinzione.
Premesso quel criterio, per i componenti dell'Ufficio centrale elettorale "tutti gli elementi - più differenti - che compaiono nella metà superiore dei rispettivi simboli hanno certamente carattere suvvalente rispetto al c.d. 'cuore' di ambedue i simboli, vale a dire il patronimico, identico che campeggia a lettere maiuscole nello stesso colore giallo, nella metà inferiore dei simboli medesimi"; in più, l'elettore medio collegherebbe il cognome "Salvini" al presidente della Lega per Salvini premier, in quanto parlamentare, ex ministro e leader nazionale, mentre l'emblema del Patto per la Toscana darebbe "rilevanza pressoché esclusiva, non tanto alla persona di 'Roberto Salvini', quanto, piuttosto, esclusivamente al cognome 'Salvini' creando così - oggettivamente - una confondibilità estremamente probabile tra i due simboli, per agganciamento, avuto riguardo all'elettore di media diligenza". In conclusione, l'organo ha ribadito l'esclusione della candidatura di Roberto Salvini, per come è stata presentata, "in considerazione della maggiore notorietà del simbolo appartenente" alla Lega per Salvini premier. 
In una conferenza stampa tenuta ieri, vari esponenti del Patto per la Toscana - ripercorrendo in parte le argomentazioni del ricorso - hanno per prima cosa escluso che i due contrassegni siano davvero confondibili: questo innanzitutto per il diritto di chi si candida a utilizzare il proprio nome nella campagna elettorale e nell'emblema della propria lista, a maggior ragione se questa persona fa già politica a livello regionale (e con quel nome è stato eletto e ha acquisito notorietà nel territorio chiamato al voto), a prescindere dalle generalità di altri soggetti impegnati in politica, magari noti su scala nazionale ma non candidati sul territorio.  
Al di là di questo, la lista non condivide l'idea che tutti gli elementi che effettivamente distinguono i due contrassegni possano essere considerati "suvvalenti" (quindi valere meno) rispetto al cognome, effettivamente comune a entrambi i fregi, quando varie sentenze dei giudici amministrativi precisano che la confondibilità va valutata con riguardo a tutti gli elementi del contrassegno e al simbolo nel suo complesso: se gli elementi differenzianti hanno "scarsa incisività", come ha detto il Consiglio di Stato nel 2000, si può parlare di confondibilità, altrimenti no; si deve poi tenere conto di come nel 1999 e nel 2011 sempre i giudici di Palazzo Spada abbiano accettato come parametro la "normale diligenza dell'elettore medio", precisando però che l'elettore medio "di oggi [...] per varie ragioni è in possesso di un bagaglio di conoscenze e di una capacità di discernimento e di apprezzamento ben superiore" rispetto all'epoca in cui le disposizioni erano state scritte. Senza contare che i limiti posti dalle norme elettorali dovrebbero essere - lo dice sempre la giurisprudenza - interpretati in modo restrittivo, per non limitare troppo la partecipazione elettorale.
Se - per tradizione e per come sono scritte le disposizioni - un ruolo rilevante nell'immagine complessiva di un contrassegno è sempre stato riconosciuto al simbolo, l'elemento centrale del simbolo della Lega era e resta Alberto da Giussano (o la statua del guerriero di Legnano, a voler essere filologicamente corretti), a maggior ragione se si considera che il fregio è stato espressamente mantenuto dall'iconografia della Lega Nord e da questa espressamente concesso al nuovo partito; elemento centrale del simbolo del Patto per la Toscana invece è il profilo della regione, comprensivo di tutte le isole spesso non riprodotte per intero (sulla scheda di quest'anno capiterà almeno in due casi), mentre stavolta - a differenza di cinque anni fa, ma anche delle scelte fatte in altre regioni - il partito di Matteo Salvini ha scelto di non inserire nel contrassegno riferimenti verbali o grafici alla Toscana. La stessa descrizione dell'emblema del Patto per la Toscana ("Cerchio bordato di giallo e verde, bianco nella metà superiore, verde in quella inferiore. In alto lungo il bordo la scritta 'PATTO PER LA TOSCANA'. Sotto la scritta due elementi grafici, la bandiera biancorossa toscana di memoria ugoniana e dantesca, formata da tre strisce bianche orizzontali in campo rosso, e una miniatura della mappa della Toscana, di colore verde. Nella parte inferiore del cerchio, disposte su tre righe, le parole: 'ROBERTO' di colore bianco, 'SALVINI' di colore giallo; 'PRESIDENTE' di colore bianco") confrontata con quella del fregio della Lega per Salvini premier ("Cerchio racchiudente guerriero con spada e scudo con impresso leone alato con spada e libro chiuso contornato, nella parte superiore, dalla scritta 'LEGA', il tutto in colore blu; nella parte inferiore del cerchio, inserite in settore ancora blu, sono, su due righe sovrapposte, le parole 'SALVINI' di colore giallo e 'PREMIER' di colore bianco”) per i ricorrenti farebbe emergere tutte le differenze tra le due raffigurazioni elettorali, accentuate dalla diversa collocazione sulla scheda (in coalizione la Lega per Salvini premier, in corsa solitaria il Patto per la Toscana) che dunque renderebbe impossibile la confusione.
A ciò si dovrebbe aggiungere il fatto che Matteo Salvini è certamente noto a livello nazionale, ma Roberto Salvini - come si legge nel ricorso - è comunque attivo a livello sindacale dal 1973 e in ambito politico locale e regionale dal 1987: difficilmente si potrebbero spiegare altrimenti tutte le 5512 preferenze ottenute nel 2015 e la notorietà del ricorrente è certamente aumentata proprio in considerazione della sua attività di consigliere regionale. Sarebbe dunque normale, in considerazione di quella popolarità acquisita, trovare il suo nome sulla propria unica lista: lo ha fatto solo Eugenio Giani (solo sulla "lista del presidente"), mentre non lo ha fatto Susanna Ceccardi, ma tre dei suoi emblemi riportano i cognomi di Giorgia Meloni, Silvio Berlusconi e (appunto) Matteo Salvini che pure non sono candidati (e, anzi, la dicitura legata a Salvini è "premier", senza legami con la politica regionale).
Di più, per i ricorrenti, i criteri indicati dall'Ufficio centrale regionale, in particolare l'ultimo della "maggiore notorietà" di un simbolo (ma, si aggiunge qui, anche il concetto di "agganciamento", che rimanda a quello più preciso di "agganciamento parassitario"), possono essere adatti a dirimere controversie in materia civilistica o di segni distintivi commerciali, ma non certo a prendere decisioni in ambito elettorale. Applicandoli, secondo Roberto Salvini e gli altri che hanno presentato il ricorso, si finisca per mettere in discussione il diritto di una persona che fa politica da tempo di partecipare alle elezioni inserendo nel contrassegno elettorale le proprie generalità, come ormai è prassi consolidata almeno nell'ultimo quarto di secolo - che sia opportuna o no è un altro discorso, ma la considerazione dovrebbe riguardare chiunque voglia candidarsi - per il solo fatto che quel candidato ha lo stesso cognome di un politico noto a livello nazionale, che però non si candida in quell'occasione. 
Questo problema era già stato sollevato in questo sito nelle scorse settimane, evidenziando la profonda differenza di questo caso rispetto alle ben note "operazioni Alias" iniziate con la lista "Rosso sindaco" fino ai più recenti tentativi con la "Lista del Grillo". Perché a dispetto dell'omonimia, qui la persona con lo stesso patronimico aveva già una storia politica, aveva già ottenuto voti sufficienti per essere eletta in un organo dello stesso ente alla cui guida si candida. Non sembrerebbe ragionevole considerare l'uso del cognome foriero di confondibilità: di certo è stato messo in posizione di evidenza - questo è innegabile - ma se non è vietato utilizzarlo all'interno dei contrassegni elettorali, non appare logico che tutti gli altri possano farne uso senza parsimonia nella visibilità e che chi vive (non certo per sua colpa) una situazione di omonimia sia costretto a ridurre il "peso" del patronimico (e senza che ovviamente l'omonimo più noto senta almeno l'opportunità di fare altrettanto), come se questi potesse candidarsi ma con la "penalità" indesiderata di essere obbligato a una corsa anonima. 

La disponibilità a cambiare simbolo

Resta un ultimo profilo da analizzare. Leggendo il ricorso si dice che, dopo la prima contestazione da parte dell'Ufficio centrale regionale, il delegato aveva negato che il simbolo fosse confondibile, ma aveva comunque presentato tre possibili nuovi emblemi che, a suo dire, potevano rimuovere le criticità rilevate dall'organo: ciò voleva essere un segno di disponibilità nei confronti dei rilievi ricevuti, pur senza rivoluzionare l'emblema (perché evidentemente - si ritiene qui - ciò avrebbe significato ammetterne la confondibilità): In effetti l'Ufficio centrale regionale ha innanzitutto ritenuto che quella presentazione di nuovi emblemi fosse irrituale, non essendo prevista nella legge regionale sul procedimento elettorale la possibilità di sostituire il contrassegno, né potendosi configurare un'integrazione delle norme regionali con quelle statali; al di là di quanto fatto valere nel ricorso, sembra irragionevole non ammettere a livello regionale una "seconda possibilità" concessa in modo indiscutibile per gli altri livelli di elezione.
I componenti dell'ufficio avrebbero poi censurato il deposito di tre emblemi, che avrebbe di fatto messo nelle loro mani la scelta del contrassegno (ma questo si può risolvere facilmente, se solo si considera che pochi giorni fa è avvenuto proprio questo in Veneto per il simbolo della candidatura a presidente di Simonetta Rubinato, per cui l'organo elettorale regionale ha scelto l'emblema più lontano da quello a rischio di confondibilità, proprio perché ritenuto non più confondibile); in ogni caso, avrebbero rilevato che il cognome "Salvini" rimaneva comunque in vista.
Da quanto si apprende, i tre simboli proposti come alternativa erano frutto di "aggiustamenti successivi": il primo interveniva leggermente sul colore giallo per renderlo differente, il secondo aumentava di un poco il corpo del nome "Roberto" (portandolo alla grandezza della parola "Presidente"), mentre il terzo aggiungeva a questa modifica un intervento cromatico sulla parola "Salvini", tinta di un colore paglierino così pallido da sembrare bianco, eliminando dunque due delle criticità messe in luce nel primo provvedimento, ma senza rinunciare all'uso e all'evidenza del cognome cui il gruppo ritiene di avere diritto.
Ora, ciascuno può pensarla come vuole sulle singole soluzioni grafiche adottate; tuttavia, posta l'identità dei cognomi (che certo non può costituire causa di incandidabilità né può costringere una delle due persone a non utilizzare il patronimico), si deve notare che il giallo chiarissimo, quasi bianco non è parente del giallo carico del simbolo leghista; allo stesso modo, il verde del Patto per la Toscana non è parente del blu della Lega, così come la Toscana non può essere affine alla statua del guerriero di Legnano. (Per inciso e per celia, se qualche malizioso volesse spingersi a osare al punto di contestare che il lembo toscano delle province di Massa-Carrara e Lucca somiglia pericolosamente alla spada sguainata di Alberto da Giussano, dovrebbe notare che nel loro esame severo sulla confondibilità, i componenti dell'Ufficio centrale regionale non hanno avuto nulla da eccepire sulla forma della Toscana - quella è - e sulla possibilità che possa essere confusa con la sagoma di una statua). Non è dato sapere come avrebbe deciso l'organo regionale se la parola "Salvini" fosse diventata rossa su segmento giallo, In ogni caso, è innegabile che qualche sforzo è stato fatto da parte di chi ha presentato la candidatura e se l'è vista ricusare: qualcuno potrà ritenerlo insufficiente e volto a non toccare il centro del problema, ma lo si può anche vedere come segno di buona volontà senza rinunciare al nucleo del proprio diritto. Del resto, Matteo Salvini e altri leader nazionali, anche ben prima di loro, non si sono preoccupati di togliere il loro nome dai simboli nati per competizioni cui certo non partecipavano, convinti che elettrici ed elettori avrebbero votato più facilmente per quelle liste, anche senza badare alle candidature locali (o forse nonostante queste).

Riflessioni finali

Comunque decideranno i giudici amministrativi, saranno chiamati ad affrontare tra poche ore una questione assai delicata, che non merita di essere liquidata in poche righe o in una manciata di minuti. Si può anche pensare che non esista il diritto a candidarsi, così come non si è certo obbligati a farlo mettendo il proprio nome nel simbolo; non è però nemmeno ragionevole essere costretti a rinunciarvi o a "occultarlo". 
Esistono, è vero, norme nazionali che, alle elezioni politiche ed europee, vietano "la presentazione di contrassegni effettuata con il solo scopo di precluderne surrettiziamente l'uso ad altri soggetti politici interessati a farvi ricorso": attraverso questa disposizione, per esempio, si sono colpiti i tentativi di impedire la presentazione della Lista Dini - Rinnovamento italiano nel 1996 o delle liste di Antonio Ingroia e Mario Monti nel 2013. Questa norma in Toscana - come nella disciplina elettorale cedevole - non è prevista e, va riconosciuto, certamente Roberto Salvini non voleva impedire a Matteo Salvini di usare il proprio nome nel simbolo, pur se non candidato (nel ricorso si è rilevata l'anomalia di quell'uso, ma non si è certo chiesto di sanzionarlo), ne ha agito in modo repentino e celato per raggiungere quello scopo. Anzi, Roberto Salvini ha annunciato settimane prima la sua intenzione di partecipare alle elezioni con un determinato contrassegno, esponendosi potenzialmente a reazioni della Lega che avrebbe potuto preparare le contromosse, facendo presente all'Ufficio centrale regionale quella confondibilità sgradita e magari orientandone il giudizio. Oggettivamente non si può nemmeno sostenere che la lista della Lega per Salvini premier sia stata presentata allo scopo di impedire a Roberto Salvini di correre con il suo simbolo nominato: la lista ci sarebbe stata comunque e il format grafico è lo stesso da oltre due anni e mezzo. 
Ma se Matteo Salvini aveva la legittima aspettativa di utilizzare il simbolo di sempre, Roberto Salvini si attendeva di potersi candidare spendendo il suo nome e il suo cognome, usandoli in un modo il più possibile vicino a quello che a chiunque altro o altra si candidi è tranquillamente concesso: se questo dovrebbe valere per chiunque, a maggior ragione vale per chi con quel cognome è stato eletto e da quella posizione intende ripresentarsi ad elettrici ed elettori. 

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