domenica 29 maggio 2022

+Europa, atti precongressuali sospesi: ancora sul "diritto dei partiti"

Non passa mai di moda parlare e discutere di "diritto dei partiti"
- cioè delle norme che si applicano ai soggetti giuridici che nell'esperienza comune chiamiamo partiti: che si tratti di norme dettate appositamente o di regole mutuate da altri ambiti, l'esigenza rimane. Lo conferma una volta di più, l'ultima pronuncia appena resa dal tribunale civile di Roma nell'ambito di una causa relativa a +Europa e, in particolare, alla celebrazione del suo ultimo congresso. 
Due giorni fa, infatti, è stata pubblicata un'ordinanza in sede cautelare, con cui la XVI sezione civile del tribunale ha sospeso l'efficacia di tutte le deliberazioni dell'assemblea del partito (nelle sue due riunioni del 29 maggio e del 9 giugno 2021) che ha preceduto il congresso celebrato dal 16 al 18 luglio 2021 a Roma. E, considerando che in quelle occasioni si è approvato il regolamento congressuale (così come si sono approvate modifiche allo statuto e si sono eletti i membri di organi collegiali), di fatto anche la "bontà" degli atti del congresso in questo momento è messa in dubbio, per quanto si tratti ancora - non va dimenticato - di un giudizio cautelare e non ancora sul merito (e gli atti congressuali non siano al momento da considerare invalidi).

I precedenti dell'ordinanza

Chi frequenta questo spazio ricorderà che di quel processo si era già parlato, innanzitutto accennando all'atto di citazione che a metà giugno 2021 alcuni dei membri dell'assemblea di +Europa - che avevano sollevato il problema delle iscrizioni "cumulative" al partito - avevano presentato: tra le tante domande contenute nell'atto (che riguardavano, tra l'altro, l'accertamento e la dichiarazione dei vizi delle iscrizioni per il 2020-21, oltre che degli atti precongressuali) si era chiesta fin dall'inizio la sospensione cautelare delle delibere dell'assemblea del partito). Posto che +Europa aveva chiesto il rigetto di tutte le domande e le richieste contenute nella citazione, alcuni iscritti al partito e suoi ex dirigenti erano intervenuti per chiedere a loro volta soprattutto che le deliberazioni dell'assemblea di +Europa del 29 maggio (quella dell'approvazione del regolamento congressuale e in cui si era deciso di convocare il congresso) e del 9 giugno 2021 (quella delle modifiche statutarie e dell'elezione di alcuni organi collegiali) fossero invalidate; contemporaneamente era stata chiesta la sospensione in via cautelare delle delibere dell'assemblea relative a quelle riunioni, "nonché di ogni altro atto successivo e derivato".
In questo sito alla fine dello scorso dicembre si era data anche notizia dell'accordo che era intervenuto tra coloro che avevano iniziato l'azione (e nel frattempo si erano riconosciuti nell'associazione Italia Europea) e +Europa: quella transazione avvenuta a novembre del 2021, come si era detto allora, prevedeva la "rinuncia agli atti e all'azione (cautelare e di merito)" da parte di coloro che avevano intrapreso il giudizio, a fronte del pagamento da parte di +Europa di una somma di 57mila euro (spese legali incluse) a favore di Italia Europea, dunque dell'associazione di coloro che avevano iniziato il processo. 
All'inizio di dicembre del 2021, in effetti, il tribunale aveva preso atto della rinuncia agli atti da parte di chi aveva iniziato la causa; in quella stessa sede, però, il giudice aveva ritenuto che il processo non dovesse proseguire nemmeno per le persone intervenute in un secondo tempo per colpire le delibere dell'assemblea di +Europa, sostenendo che la rinuncia agli atti di chi aveva intrapreso la causa portasse in automatico a estinguersi il processo anche per chi era intervenuto a sostegno delle loro tesi e domande. Non era questa, però, la tesi degli intervenuti (e dell'avvocato Alexander Schuster), convinti che la rinuncia valesse solo per le parti della transazione e non per loro che non avevano partecipato all'accordo e avevano invece interesse all'accertamento di eventuali vizi degli atti precongressuali (anche per evitare che i loro effetti potessero protrarsi fino al prossimo congresso, col rischio che la decisione sul merito arrivasse dopo la sua celebrazione e quindi fosse inutile): per questo, gli intervenuti avevano presentato reclamo contro quella prima decisione. +Europa, per parte sua (assieme agli avvocati Mauro Orlandi e Alberto Azara), oltre a concordare con le osservazioni del primo giudice, rivendicava come il congresso ormai si fosse svolto - senza impugnazione degli atti - e non ci fosse alcun interesse a sospendere le delibere precedenti (anzi, si sarebbe dovuto tutelare il dritto del partito a operare regolarmente). 
 

Il contenuto dell'ordinanza

Il collegio di tre giudici che si è dovuto occupare del reclamo ha accolto le domande di coloro che l'hanno presentato. Alla base di tutto c'è una considerazione che non riguarda direttamente e formalmente il diritto dei partiti, ma in questa vicenda è fondamentale: per il giudice di reclamo non era affatto automatica l'estinzione del processo, oltre che per gli attori originali, anche per chi era intervenuto a sostegno delle loro domande. A partire dalla lettura dell'art. 105 del codice di procedura civile, i magistrati hanno sostenuto che coloro che erano intervenuti (e avevano proposto reclamo contro la prima ordinanza di estinzione del processo) lo avevano fatto a tutela della loro posizione di iscritti a +Europa e dei diritti a questa connessi: gli intervenuti, dunque, avevano pieno titolo a chiedere che il tribunale, pur non dovendo più esprimersi sulle domande degli iscritti che avevano rinunciato agli atti dopo la transazione, decidesse invece sulle loro domande, essendo diritto di ogni iscritto che lo abbia chiesto ottenere un pronunciamento sulla validità delle delibere di un organo di un'associazione (in questo caso, di un partito). 
Se dunque tutti gli attori originari avessero rinunciato agli atti (come in effetti è successo) e nessuno fosse intervenuto per ribadire le loro richieste, il processo si sarebbe dovuto estinguere; visto che però c'è chi è intervenuto con quello scopo, per i giudici di reclamo occorre dare risposta alle loro domande. Si tratta di riflessioni legate a norme di diritto processuale, ma è evidente che nel "diritto dei partiti" hanno ricadute assai rilevanti: se si discute in tribunale sulla validità degli atti di un'associazione politica o di un partito, il diritto a ottenere un pronunciamento del giudice spetta a tutti coloro che hanno preso parte al processo (anche solo con un intervento).
Sulla base di questa osservazione, i giudici hanno potuto rilevare (e a questo si sono limitati) che l'assemblea del 29 maggio 2021 si è svolta senza rispettare quanto previsto dallo statuto di +Europa sui termini per la convocazione dell'assemblea (ex art. 10.7 occorreva un anticipo di quindici giorni, riducibili a otto in caso di urgenza, mentre la convocazione era datata 25 maggio), termini che avrebbero dovuto essere rispettati anche nel caso di un'assemblea convocata in via straordinaria su richiesta da parte di un terzo dei membri (il termine previsto dall'art. 10.8 avrebbe riguardato il termine entro il quale il presidente deve procedere alla convocazione, non il tempo tra la convocazione e il giorno fissato per la riunione, tanto più che per la "motivata urgenza" l'anticipo minimo è ridotto comunque a 8 giorni, non meno di questi; anche quando sia necessario eleggere un nuovo tesoriere, per cui all'atto di convocazione dell'assemblea si deve provvedere "immediatamente", cioè senza ritardo, ma sempre rispettando l'anticipo minimo). 
Questo è stato sufficiente per i giudici per ritenere illegittima "la delibera del 29 maggio 2021 di approvazione del regolamento congressuale e convocazione del congresso", come pure "ogni atto successivo e derivato, come il provvedimento di convocazione del congresso, con allegazione del regolamento congressuale" e l'elezione del nuovo tesoriere, per l'inserimento "all'ordine del giorno a meno di 24 ore dall’inizio dell'assemblea stessa". Quanto all'assemblea del 9 giugno 2021, solo il 4 giugno 2021 sarebbero stata inserita all'ordine del giorno l'indicazione dei nuovi membri del collegio di garanzia e del collegio dei revisori; problemi autonomi avrebbe avuto poi la modifica statutaria, perché l'assemblea di +Europa - in base allo statuto vigente all'inizio di giugno 2021 - avrebbe potuto approvare modifiche statutarie "tra un congresso e il successivo", non "a congresso già formalmente aperto" (ove si deve supporre che il collegio di reclamo abbia interpretato l'apertura del congresso in modo ampio, con riferimento alla sua convocazione "pur illegittima" e non al suo inizio effettivo, fissato per il 16 luglio 2021). 
A queste osservazioni si abbina il rilievo - legato al cosiddetto periculum in mora - in base al quale "i tempi del giudizio di merito in primo grado ben potrebbero protrarsi oltre il prossimo congresso dell’associazione" (e non è consolante, per realistico che possa essere, che secondo i giudici già ora non sia affatto improbabile andare oltre la primavera/estate 2023); sarebbe invece sicuro, per lo stesso collegio giudicante, che le elezioni politiche si tengano prima della definizione del processo in primo grado, dunque ad esempio - non è scritto nell'ordinanza ma si può intuire - le decisioni in vista delle elezioni e le scelte delle candidature sarebbero prese da organi del partito usciti da un congresso i cui atti presupposti potrebbero essere dichiarati illegittimi. In quelle circostanze, anche riconoscere eventuali vizi degli atti precongressuali a distanza di tanto tempo non produrrebbe effetti utili e l'eventuale danno non sarebbe risarcibile: rispetto a questo scenario, per i giudici è meglio sospendere l'efficacia degli atti contestati (anche se questo inevitabilmente "frena" l'attività del partito).

Riflessioni e previsioni (con un ritorno singolare)

Difficile dire ora con precisione cosa possa accadere concretamente nei prossimi giorni. La sospensione degli atti che hanno preceduto il secondo congresso di +Europa (in particolare l'approvazione del regolamento congressuale e la decisione di convocare l'assise, cui poi è seguita la formale convocazione da parte della presidente) di fatto sembra mettere una spada di Damocle piuttosto ravvicinata sulle attività del partito decise dagli organi dirigenti usciti da quel congresso: ciò, di fatto, si potrebbe tradurre in una vera "paralisi" del partito stesso fino alla definizione del giudizio di merito oppure ad altri atti che portino all'estinzione del giudizio (un'altra transazione?). Sul Fatto Quotidiano è apparsa una nota di +Europa, in cui oltre a ricordare che la sospensione cautelare riguarda gli "effetti di due assemblee in fase precongressuale, tra i mesi di maggio e giugno 2021, convocate con un preavviso di 5 giorni, che i ricorrenti sostengono dovesse essere di 8 giorni", il partito appare ancora in fase "di studio" delle conseguenze concrete dell'ordinanza: "Fiduciosi di dimostrare le nostre buone ragioni nel giudizio di merito, valutiamo gli effetti del provvedimento".
Per parte sua, all'agenzia Opinione, l'avvocato Schuster ha dichiarato: "Spiace aver dovuto fare appello alla giustizia ordinaria per ripristinare il rispetto di alcune regole basilari contenute nello statuto del partito. Un partito che, richiamandosi alla tradizione liberale, dovrebbe fare del rispetto delle regole un valore fondamentale; è necessario, in ogni caso, continuare con la testimonianza e l’operatività del partito e ad investire sui progetti in corso per la crescita del polo liberale italiano. Segnato questo punto importante per l’immediato ripristino della legalità, adesso occorre difendere l’attuazione del provvedimento. Il giudizio avanti al Tribunale intanto prosegue per altri importanti profili. Tra questi è importante quello che attiene alla trasparenza che un partito deve garantire con riguardo ai propri iscritti, evitando prassi che possano anche solo lontanamente ricordare quelle delle associazioni segrete. Questo risultato giudiziario è un passo importante per la crescita di +Europa e per rafforzare la centralità del metodo democratico nei partiti politici italiani”.
Qualche mese fa aveva destato scalpore la decisione del tribunale di Napoli sulla sospensione dello statuto del MoVimento 5 Stelle e degli atti conseguenti (una vicenda che, vale la pena sottolinearlo, non può dirsi affatto chiusa, nemmeno dopo la deliberazione della Commissione statuti che ha ritenuto conforme a legge lo statuto del M5S e ha proceduto all'iscrizione nel registro dei partiti), soprattutto perché la decisione riguardava la forza politica di maggioranza relativa. In questo caso, come è noto, +Europa esprime attualmente due parlamentari (Riccardo Magi ed Emma Bonino) e un sottosegretario (Benedetto Della Vedova), oltre che tre consiglieri regionali e vari consiglieri comunali: si tratta di numeri più contenuti rispetto al M5S, ma non per questo il problema appare di minore rilevanza (anche perché, anche qui, lo statuto di +Europa attualmente presente nel Registro dei partiti politici comprende le modifiche statutarie al momento sospese e anche quelle apportate dal congresso seguito agli atti ora sospesi, quindi si porrebbe anche il problema di come agire in quel caso).
Nell'attesa di capire come si muoverà +Europa sul piano politico, giuridico e processuale, è probabile che chi è impegnato a sostenere la legalità statutaria dei/nei partiti ritenga giusta e apprezzabile la decisione (anche se è arrivata dieci mesi dopo il congresso), perché dai partiti si dovrebbe esigere almeno il rispetto delle regole che si sono dati (e, possibilmente, che negli statuti si scrivano regole chiare e sul cui significato concreto non si debba per forza discutere). Di contro, chi ha a cuore il funzionamento della democrazia potrebbe vedere con sfavore una decisione di un giudice in grado di paralizzare per un tempo indefinito l'attività di un partito, per giunta rappresentato in Parlamento. Entrambe le posizioni, come spesso accade, hanno almeno una parte di ragione e conciliarle non sarà troppo semplice. 
Nel frattempo, sia consentita una nota finale, imperdibile per ogni aderente alla schiera dei #drogatidipolitica che si rispetti. Il presidente del collegio di reclamo chiamato a decidere in questa sede - Giuseppe Di Salvo - aveva operato come giudice in una delle tante cause legate ai tentativi di riattivare la Democrazia cristiana, in particolare quella intentata dal Cdu contro Alessandro Duce nel 2002 e decisa in primo grado nel 2004: a quanto pare - e non è la prima volta che succede, specie al tribunale di Roma (vedi alle voci "Manzo", "Vannucci" "Romano" e "Scerrato") - le questioni di diritto dei partiti "fanno dei giri immensi e poi ritornano". Anche se qui di romantico c'è piuttosto poco.

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