martedì 12 novembre 2019

"Popolo Partite Iva", per i giudici la dicitura resta nel simbolo del Ppa

In materia di partiti, come del resto in vari altri ambiti, vale il concetto "a volte ritornano". No, non si sta parlando di politici che hanno compiuto una parte di percorso più o meno nota sotto alcune insegne e poi ricompaiono a distanza di tempo, magari legati ad altre formazioni; qui, molto più semplicemente, s'intende che determinate questioni, sollevate in un certo momento storico, in non pochi casi si ripresentano e non è raro che questi prendano le forme del contenzioso giuridico, se la vicenda è complessa o ricca di tensione. Alla fine del 2018 ci si era domandati, sulla base di alcune notizie circolate sulla Rete, chi avesse titolo per utilizzare la dicitura "Popolo Partite Iva", che alle politiche dello scorso anno era comparsa nel contrassegno del Ppa - Partito pensiero e azione, ma era legata alla federazione con quella forza politica del Movimento politico Popolo Partite Iva, operante come soggetto associativo dal 2015. 
All'inizio di dicembre del 2018 era stato annunciato un patto federativo tra il movimento Popolo Partite Iva e Fratelli d'Italia, con tanto di conferenza stampa alla Camera; immediatamente dopo quell'annuncio, sul sito del Ppa era apparso un comunicato in cui si rivendicava la titolarità esclusiva a utilizzare "la dizione 'Popolo partite Iva', inserita in un logo o simbolo a fini elettorali" e, sulla base dell'iscrizione del Ppa nel Registro dei partiti, essa si riservava "ogni azione nei riguardi di coloro che, agendo impropriamente, ci arrecassero nocumento". Toni, questi, che lasciavano trasparire rapporti tesi e la possibile nascita di una causa sulla questione. Eventualità che si è puntualmente verificata, a quanto si è appreso, con un ricorso ex art. 700 del codice di procedura civile da parte di Lino Ricchiuti, presidente dell'associazione movimento politico Popolo Partite Iva, con cui si chiedeva al tribunale di Roma di inibire al Ppa l'uso della dicitura "Popolo Partite Iva": il ricorso era stato presentato il 26 aprile 2019, dopo che Piarulli una ventina di giorni prima aveva depositato al Ministero dell'interno il contrassegno per le elezioni europee, contenente proprio quel riferimento testuale che, secondo Ricchiuti, era illegittimo, ritenendo che solo il suo movimento politico potesse impiegare l'espressione "Popolo Partite Iva". Il 16 ottobre, tuttavia, il Tribunale di Roma ha emesso un'ordinanza con cui ha rigettato il ricorso di Ricchiuti, con relativa condanna alle spese.
Nel provvedimento della giudice Damiana Colla è brevemente ripercorsa la storia del movimento politico Popolo Partite Iva, fondato nel 2015, attivo con continuità da allora, federato - assieme ad altri soggetti - con il Ppa per le sole elezioni del 2018, "senza avere mai autorizzato parte resistente, al di fuori di tale limitato contesto, ad utilizzare il nome Popolo Partite Iva per le elezioni europee e per altre competizioni elettorali e nemmeno su siti internet o pagine Facebook": l'uso reiterato dell'espressione da parte del partito (che ne ha fatto parte del nome) e di Antonio Piarulli, invece, si sarebbe tradotto in un'usurpazione del nome. Diversa, naturalmente, era l'opinione dello stesso Piarulli, il quale aveva prodotto una mail del 6 gennaio 2018 (un paio di settimane prima della presentazione dei contrassegni per le elezioni politiche) con cui Ricchiuti "aveva confermato la sua volontà di aderire, in qualità di Presidente dell'Associazione Popolo Partite Iva, al progetto politico del Ppa senza alcuna limitazione temporale"; ancora Piarulli aveva rivendicato l'uso continuato da parte del Ppa della dicitura "Popolo Partite Iva" in occasioni successive a quelle elezioni, in coerenza con l'art. 10, comma 1, lettera d del proprio statuto ("Tutti i simboli usati nel tempo dal Partito, anche se non più utilizzati, o modificati, o sostituiti, saranno di proprietà del partito") e "con la consapevolezza (e la tolleranza) - così si legge sempre nell'ordinanza - della controparte", che invece avrebbe strumentalmente agito dopo l'accordo con Fdi. 
Ricordato che, a norma dell'art. 700 c.p.c., è possibile ottenere dal giudice i provvedimenti d'urgenza "più idonei ad assicurare provvisoriamente gli effetti della decisione sul merito" solo se la domanda della parte appare fondata (almeno a un esame sommario) e se sul diritto del ricorrente grava un "pregiudizio imminente e irreparabile" dato dai tempi che richiederebbe il processo ordinario a cognizione piena, la giudice nega che esista proprio questo secondo requisito (il cosiddetto periculum in mora). In effetti, come ricordato, il ricorso era stato depositato prima delle elezioni europee, indicando espressamente l'urgenza di non confondere la proposta politica del Ppa e quella del Popolo Partite Iva (federato con altro partito) e, dopo aver rilevato che non c'erano ragioni così gravi per concedere l'inibitoria richiesta senza nemmeno sentire le ragioni della controparte, la giudice aveva fissato una prima udienza con entrambe le parti l'8 maggio; in quella data, però, la notifica al Ppa era risultata viziata e la parte non si era costituita e lo stesso era successo alla successiva udienza del 15 maggio. Quelle successive si sono tenute tutte dopo la data del voto alle europee: già solo per questo, sarebbe venuta meno l'urgenza di provvedere con l'inibitoria non preceduta da una piena cognizione della vicenda.
Per la magistrata, peraltro, non ci sarebbe alcuna urgenza di pronunciare un'inibitoria anche perché, fino al momento del ricorso, Ricchiuti avrebbe mostrato "un contegno tollerante" verso la condotta del Ppa, visto che risultano altre partecipazioni elettorali del partito guidato da Piarulli con la dicitura contesa nel simbolo - presentato anche alle regionali lucane di quest'anno, ma poi la lista non aveva partecipato, probabilmente perché le firme non erano complete  - e non c'erano state reazioni giuridicamente rilevanti da parte del Popolo Partite Iva (in effetti Ricchiuti aveva presentato tra i suoi documenti "una risposta del Piarulli a non meglio precisate rimostranze relative al simbolo del Ppa (contenente la scritta Popolo Partite Iva), per come presentato al Viminale ed ammesso alle elezioni europee", ma non era stato riprodotto il testo della lamentela alla base della risposta e non si precisava chi si era lamentato (dunque non era provato che la doglianza fosse arrivata dal ricorrente). Da ultimo, il fatto stesso che il movimento politico Popolo Partite Iva non fosse un partito e non avesse presentato proprie candidature autonome, essendosi limitato a sostenere Fratelli d'Italia, per la giudice non consentiva di individuare un pregiudizio (imminente e irreparabile) che il soggetto guidato da Ricchiuti avrebbe potuto subire dall'uso del suo nome fatto dal Ppa.
Sarebbero bastate le considerazioni sulla mancanza del periculum in mora a respingere il ricorso, ma la giudice si è voluta esprimere anche sul profilo legato alla fondatezza della domanda, certamente il più rilevante sul piano sostanziale e che avrebbe potuto portare la concessione dell'inibitoria senza nemmeno ascoltare le ragioni del Ppa (inaudita altera parte) se le lamentele del ricorrente fossero apparse fondate. Per la magistrata, però, non c'erano elementi "per ritenere che [...] l'accordo tra le parti relativo all'utilizzo della dicitura in questione nel simbolo del partito resistente fosse di durata temporale limitata alle sole elezioni politiche del marzo del 2018". Sarebbe indizio di una diversa realtà la citata mail del 6 gennaio 2018 con cui Ricchiuti comunicava l'adesione al progetto del Ppa senza alcuna limitazione temporale (e con tanto di bozza di simbolo); né la giudice ha ritenuto che fosse il caso di assumere sommarie informazioni per appurare il carattere temporalmente limitato dell'accordo con il Ppa, essenzialmente sulla base della già citata lunga tolleranza di Ricchiuti circa l'uso pubblico dell'espressione "Popolo Partite Iva" fatto da Piarulli e dal Ppa (e comunque non si sarebbero potute prendere informazioni nelle udienze fissate prima del voto per le europee, visto che la notifica al Ppa era risultata viziata).
Dopo la decisione commentata, dunque, la dicitura "Popolo Partite Iva" resta nel simbolo del Ppa. Resta naturalmente aperta la possibilità di fare accertamenti più approfonditi non tanto sull'uso dell'espressione, ma sulla titolarità del nome: l'ordinanza, infatti, si è espressa, per giunta sulla base di una cognizione sommaria, solo sull'uso della dicitura "Popolo Partite Iva" da parte del Ppa (nel simbolo e al di fuori), senza dire nulla su chi sia titolare del nome; non si dice, dunque (almeno per il momento) che il Ppa sia l'unico titolato a usare quell'espressione, né si dice che non possa impiegarla nella propria attività il soggetto collettivo guidato da Ricchiuti. Un primo stadio della controversia, tuttavia, è stato chiarito e la partecipazione del Ppa con quel simbolo alle elezioni europee - sia pure solo nella circoscrizione Nord-Est - risulta incontestabile, oltre che del tutto regolare. 

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