lunedì 20 luglio 2020

Democrazia cristiana, la via travagliata verso il XIX congresso

Si è visto pochi giorni fa come varie sigle partitiche e associative riunite nella Federazione popolare dei Democratici cristiani siano pronte, alle prossime elezioni regionali e comunali, a mettere in piedi una lista unitaria chiamata Unione democratici cristiani (il simbolo in sostanza è una variante dell'Udc, con lo scudo crociato in primo piano); si è visto che all'operazione partecipa anche la Democrazia cristiana che si riconosce nella segreteria di Renato Grassi. 
Occorre non dimenticare, però, che una parte di coloro che si qualificano come soci della Dc ha sollevato da tempo contestazioni di metodo, ritenendo che il XIX congresso celebrato nel 2018 e che aveva eletto Grassi fosse in realtà inesistente o almeno nulla, per varie irregolarità formali (a partire dalla mancata identificazione dei delegati regionali). Per questo, il 12 ottobre 2019 a Roma - quasi contemporaneamente a un'altra assemblea in cui si era autoconvocata una riunione degli iscritti alla Dc del 1993, che elesse segretario politico Franco De Simoni e segretario amministrativo Raffaele Cerenza - si è tenuta una riunione dell'assemblea dei soci, formalmente convocata da Gianni Fontana (in quanto presidente dell'associazione eletto dai soci nell'assemblea del 26 febbraio 2017) e materialmente disposta e guidata da Nino Luciani: in quell'occasione i soci presenti decisero la sostanziale revoca degli atti congressuali per le citate irregolarità, provvedendo contestualmente a indicare lo stesso Luciani come presidente ad interim, nel percorso che avrebbe dovuto portare a ricelebrare il XIX congresso non appena fosse stato possibile.
Nelle settimane scorse si è dato conto dell'attività di quei soci, in particolare delle riunioni telematiche che si sono tenute in periodo di lockdown tanto in vista dell'udienza - poi rinviata a ottobre - della causa civile intentata da Cerenza e De Simoni per far invalidare il congresso del 2018, quanto in preparazione del congresso. Nell'ultimo spezzone di riunione online, il 18 giugno, si era deciso di provvedere a una ricognizione dei soci effettivi (in modo da contenere sensibilmente le spese di spedizione degli avvisi personali per la convocazione e quelle per ottenere una sala idonea), chiedendo a ogni socio di confermare espressamente la propria affiliazione entro 30 giorni dalla delibera e versando la quota sociale di 50 euro; Luciani aveva poi convocato per il 2 luglio alle 11 e 30 a Roma una nuova assemblea - stavolta dunque in presenza - per decidere l'ordine del giorno e magari la data del XIX congresso.
Sull'esito di quella riunione, tuttavia, non c'è accordo: ci sono infatti due tesi contrastanti su ciò che è accaduto a Roma, con tanto di verbali differenti (uno già approvato, l'altro in via di approvazione). Le versioni concordano sul fatto che l'assemblea, fissata (in seconda convocazione) come si diceva per le 11 e 30, è iniziata quasi un'ora dopo per l'arrivo in ritardo dello stesso convocante, cioè Nino Luciani che, nel suo verbale, adduce problemi legati al suo viaggio in treno. C'è chi sottolinea però che, nell'attesa di Luciani, i soci presenti avevano deciso di iniziare ugualmente l'assemblea per non avere a loro volta problemi con i biglietti ferroviari già acquistati; all'arrivo di Luciani, questi non avrebbe riconosciuto come validamente aperta l'assemblea, solo lui essendo titolato ad aprirla e a presiederla (nel verbale di Luciani, però, c'è traccia solo di ciò che sarebbe avvenuto dalla sua presidenza in avanti).
Dopo l'inizio contrastato, la diatriba sarebbe proseguita tanto sull'identificazione dei soci partecipanti con delega e sul loro titolo a prendere parte all'assemblea (in quella fase il verbale di Luciani dà conto anche dell'elenco dei soci preso e fatto volare in aria, con fogli che poi non si sarebbero ritrovati), quanto sulla validità degli atti compiuti nei mesi precedenti, in particolare nelle riunioni online a partire da quella del 14 marzo. Raffaele Lisi, in particolare, avrebbe sottolineato che la disposizione del d.P.C.M. dell'8 marzo 2020 utilizzata per ritenere possibile lo svolgimento di un'assemblea da remoto (art. 1, comma 1, lett. q) non sarebbe stata valida per gli organi delle associazioni (in seguito, si aggiunge qui, è peraltro stato emanato il decreto legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito con legge n. 27/2020, con cui si è stabilito all'art. 73, comma 4 che anche gli organi delle associazioni non riconosciute potevano riunirsi in videoconferenza), avendo già segnalato il problema a Luciani che non ne avrebbe tenuto conto; Emilio Cugliari (assieme a Lisi tra i maggiori contestatori della legittimità del congresso del 2018, essendone stato il segretario e avendo firmato un verbale che dava conto della mancata consegna del verbale della commissione verifica poteri) avrebbe poi sostenuto che non tutti i soci erano stati informati di quella riunione online, per cui questa non avrebbe avuto valore giuridico. Le critiche di Lisi si sarebbero tradotte in una mozione di sfiducia a Luciani, con annessa non conferma dell'attività svolta fin lì online. La sfiducia sarebbe stata messa ai voti e approvata, ma da qui in avanti le due versioni su quanto accaduto divergono in modo significativo, anche sul computo dei voti favorevoli o contrari alla sfiducia o delle astensioni. 
Quelli che hanno visto approvata la mozione di sfiducia avrebbero ottenuto di ricostituire la presidenza con cui la riunione era iniziata (prima dell'arrivo di Luciani), provvedendo a eleggere all'unanimità dei presenti Emilio Cugliari come nuovo presidente facente funzione della Democrazia cristiana. "Nel frattempo - ha precisato questi - Gianni Fontana si è dimesso dalla carica di presidente Dc, che aveva mantenuto dopo che la nostra assemblea del 12 ottobre 2019 aveva revocato gli atti congressuali del 2018: per evitare contestazioni ho chiesto che le sue dimissioni fossero autografe e lui lo ha fatto". Cugliari spiega di voler provvedere in fretta a nominare dei commissari del partito nelle varie regioni, in modo che a ottobre possa tenersi il congresso nazionale (il 2 luglio sarebbe già stato approvato il regolamento congressuale, a partire da una proposta di Lisi).
Diversa è la versione che si evince dal verbale diffuso da Nino Luciani, firmato da Valentina Valenti. Al di là dei disaccordi sul conteggio dei voti, Luciani ritiene che la sfiducia nei suoi confronti sia nulla, perché quell'ordine del giorno non sarebbe stato presentato nelle forme previste - rinviando il codice civile all'ordinamento interno della singola realtà associativa - dall'art. 27 dello statuto della Democrazia cristiana (a partire dall'obbligo di presentare detto ordine del giorno almeno dieci giorni prima della discussione). Luciani, pertanto, ritiene di non aver potuto chiudere l'assemblea dei soci da lui aperta e di doverla riconvocare - via e-mail, disponendone lo svolgimento in videoconferenza - per poter esaurire la trattazione dei punti rimasti all'ordine del giorno, con lui ancora nelle vesti del presidente ad interim.
Comunque la si pensi in questa vicenda, sembra evidente che seguiranno altri passaggi relativi allo scudo crociato (paralleli alle vicende elettorali che riguarderanno l'Unione democratici cristiani). C'è solo da sperare che siano meno conflittuali di quelli appena ritratti.

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