martedì 22 settembre 2015

Un simbolo che fa il "vuoto"? Impossibile...

E se, per assurdo, invece che lambiccarsi il cervello su come riempire lo spazio che la legge attribuisce a ogni contrassegno elettorale, qualcuno volesse fare letteralmente il vuoto? Può sembrare anche assurdo, ma in un momento in cui gli spazi bianchi nel marchio politico spaventano i più, tant'è che si cerca di ridurli il più possibile (con scritte, sfumature di sfondo, disegni di vario tipo), a qualche leader politico o qualche militante rivoluzionario - per questi tempi - potrebbe forse venire voglia di andare controcorrente, lasciando il tondo completamente spoglio. 
La scelta potrebbe nascondere i motivi più diversi: rappresentare il nulla, provocare elettori e funzionari del Viminale o, semplicemente, evitare di scervellarsi troppo per poi magari partorire un emblema orribile a vedersi. Che poi, volendo, anche il simbolo vuoto potrebbe acquisire un valore distintivo: la copertina tutta bianca del Giovane Holden, voluta così dall'autore J.D. Salinger perché la gente comprasse il libro per il contenuto e non per l'illustrazione in fronte, nel tempo è diventata un punto fermo (anche in Italia, grazie a Einaudi) e in tanti sono in grado di riconoscerla. 
Pigri, provocatori e originali, però, dovranno mettersi l'anima in pace: qualcuno ha già provato a suo tempo la via del vuoto e gli è stato detto picche. Bisogna tornare con la mente alle elezioni politiche del 1992, ultime della Prima Repubblica (prima che su Dc, Psi, Psdi, Pli e Pri calasse il sipario) e le prime in cui era possibile depositare simboli a colori. In quell'occasione, qualcuno tentò di presentare il simbolo del Pci, che già da un anno riposava - in miniatura, ma visibile - sotto la quercia del Partito democratico della sinistra. Ci provò, con l'idea di utilizzare l'emblema solo in Toscana, il Pci di Massa, quello che la Repubblica chiamò "un gruppo di dissidenti di Rifondazione comunista", guidati da tale Angelo Gatti come segretario.
Manco a dirlo, il Ministero dell'interno chiese al gruppo di sostituire l'emblema perché confondibile con quello del Pds, così i depositanti tentarono di aggirare il problema, presentando "una circonferenza nera racchiudente uno spazio interamente bianco". Per i funzionari del Viminale, però, la contestazione riguardava, oltre al simbolo, anche l'uso della dicitura "Partito comunista italiano" nel nome del gruppo (che pure non sarebbe apparso sulle schede), dunque fu chiesto di sostituire anche il nuovo emblema. A quel punto, Gatti scelse di opporsi alla richiesta: per lui quella non era più una contestazione sul simbolo, ma l'idea stessa che un gruppo potesse darsi come nome quello del Pci, proprio per contestare la legittimità del suo "scioglimento" (anche se - lo sappiamo - non di scioglimento si è trattato, ma di semplice e regolare cambio di nome in sede congressuale).
Anche per i magistrati dell'Ufficio elettorale centrale nazionale, però, il nuovo emblema vuoto non andava bene, ma il nome invisibile sulla scheda non c'entrava. Il fatto era che il simbolo sostitutivo, "limitato com'è ad un semplice segno grafico non accompagnato da indicazioni ulteriori, simboliche o denominative, circa la sua paternità ed il gruppo politico di riferimento, risulta del tutto privo di attitudine individualizzante: necessaria, questa, per orientare le scelte degli elettori, in funzione delle quali il 'contrassegno' (proprio perché deputato a 'contrassegnare', ossia ad individuare il dato cui si intende riferirlo) è prescritto". 
Morale, un simbolo vuoto non si capisce di chi è e, mettendo la croce, non si comprende chi si sta votando, per cui mancano del tutto i requisiti minimi perché lo si possa considerare un "contrassegno". L'emblema dei comunisti massesi, dunque, fu definitivamente ricusato, anche se ne parlarono in pochi: da allora, però, è certo che il cerchio, per finire sulla scheda, non può essere vuoto.

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