martedì 31 gennaio 2017

Verso l'assemblea della Dc: come si eleggerà il presidente?

Il mese che inizia domani, per chi non ha mai accettato di doversi definire "ex democristiano", dovrebbe essere quello decisivo: l'appuntamento del 25 e 26 febbraio, con l'assemblea dei soci della Democrazia cristiana convocata presso l'hotel Ergife a Roma, è sempre più vicino. E mentre le prime lettere di convocazione sono già arrivate a destinazione, si comincia a sapere di più sulla struttura che dovrebbe avere quell'assemblea, di cui fino a pochi giorni fa era noto essenzialmente l'ordine del giorno. A dare maggiori delucidazioni è soprattutto un messaggio diffuso via e-mail da Nino Luciani, il primo firmatario della richiesta di (auto)convocazione dell'assemblea, designato dal Tribunale di Roma affinché provvedesse a tutte le operazioni necessarie.
Il passaggio cruciale è certamente l'elezione del presidente dell'associazione, colui al quale spetterà la guida (e la rappresentanza) della Dc, nonché la disponibilità - almeno teorica - del vecchio simbiolo dello scudo crociato: guida, la sua, che proseguirà (almeno) fino alla riunione successiva degli associati, in cui è prevista la modifica dello statuto (ma se ne riparlerà). La scelta del presidente è appunto il secondo punto all'ordine del giorno, anche se, curiosamente, lì non si parla di "elezione", ma di "nomina" (e altrettanto faceva il decreto con cui il giudice ha disposto la convocazione dell'assemblea, ma solo perché all'origine erano stati gli stessi ricorrenti a usare quella formula, nell'ordine del giorno da loro proposto); in più, rispetto all'ordine del giorno citato nel dispositivo del tribunale, la convocazione spedita da Luciani ai soci parla anche di scelta del vicepresidente dell'associazione. 
In occasione dell'incontro preparatorio - già citato nei giorni scorsi - che si è svolto a Bologna il 21 gennaio, Luciani avrebbe illustrato meglio come operativamente dovrebbe avvenire l'elezione del presidente. Innanzitutto questa avverrebbe "applicando l'art. 21, comma 1 del codice civile" (il che significa decidere a maggioranza e, visto che probabilmente il voto avverrà in seconda convocazione dell'assemblea - stante l'improbabilità che alle 21 di sabato all'Ergife di Roma si trovino oltre 870 soci - la decisione sarebbe valida a prescindere dal numero dei partecipanti). 
Sempre Luciani ha dato conto di uno schema di regolamento per il voto (si suppone steso da lui o in suo nome, in qualità di soggetto delegato all'organizzazione dell'assemblea) che prevede una prima fase di "indicazione libera (e segreta) di candidature, da parte di tutti, su un foglio", con la precisazione che ognuno "può scrivere un nome solo, anche il proprio"; subito dopo inizierebbero le votazioni per la presidenza. Al primo scrutinio occorrerebbe la maggioranza assoluta dei voti (anche se probabilmente non ci si riferisce alla metà più uno degli iscritti, ma semplicemente al 50% + 1 dei votanti); se nessuno raggiungesse quella quota, alla seconda votazione sarebbero in lizza i cinque candidati più votati in prima battuta e si dovrebbe ottenere "la maggioranza" (anche qui il 50% + 1? O basta la maggioranza relativa, purché non ci sia un pareggio tra i due più votati?); un eventuale, nuovo esito negativo porterebbe all'ultimo voto, un ballottaggio tra i due più votati al secondo turno.
Il presidente così eletto dovrebbe restare in carica "fino al Congresso, previsto per maggio 2017". Nel mezzo, però, dovrebbe svolgersi - probabilmente in aprile - un'altra assemblea degli iscritti, questa volta per approvare il nuovo statuto, a norma dell'art. 21 comma 2 del codice civile (essendo però necessaria la presenza dei tre quarti dei soci per rendere valido il voto per lo statuto; applicare in questo momento proprio lo statuto della Dc, peraltro, sarebbe quasi impossibile, visto che l'art. 135 dello stesso statuto affida il compito della modifica al "Congresso nazionale del partito a maggioranza assoluta dei voti dei rappresentati" e in questo momento la via della convocazione del congresso in base allo statuto vigente è del tutto impraticabile).
Benché una bozza di statuto già circoli, Luciani avrebbe fatto la proposta di un lavoro in due fasi: prima la formazione di "una commissione interna di esperti per concordare alcune linee guida del partito", poi la nomina di "un Coordinamento composto dai rappresentanti di tutti i partiti e gruppi della diaspora, che desiderano rientrare". Il tutto, peraltro, dovrebbe avere tempi brevissimi: il congresso, come si diceva, è stato previsto per maggio, anche se naturalmente i programmi potrebbero cambiare; quell'assise, in ogni caso, segnerebbe la fine della fase transitoria inaugurata con il decreto del tribunale e darebbe alla rianimata Dc nuovi dirigenti nazionali, per poi arrivare all'indicazione di quelli locali.
Un percorso di questo tipo servirebbe a riportare la Democrazia cristiana sulla scena politica e a riorganizzarla, non certo a scioglierla: ancora ieri Nino Luciani si premurava di rispondere, in replica a chi domandava se l'assemblea di fine febbraio servisse a "ratificare la nomina del liquidatore" della Dc, che si trattava "di tutt'altro". Per capire a chi toccherà gestire la fase transitoria bisognerà aspettare il 26 febbraio, anche se per la presidenza restano in campo alcune proposte di nomi, compreso quello - che starebbe riprendendo quota rispetto ai giorni scorsi - di Gianni Fontana, anche per riannodare in qualche modo i fili del tentativo di risvegliare la Dc messo in atto nel 2012: proprio Fontana, a novembre, era diventato segretario nel XIX congresso (il cui elenco di iscritti è stato utilizzato ora per far convocare l'assemblea), almeno fino a quando il Tribunale di Roma ha prima sospeso, poi dichiarato nullo quel congresso e anche il consiglio nazionale di fine marzo 2012 da cui il tentativo era ripartito.
Nomi a parte, sarà interessante vedere in che clima si svolgerà l'assemblea all'Ergife, fin dal suo insediamento: l'apertura toccherà certamente a Luciani, come soggetto designato dal Tribunale di Roma "a presiedere detta assemblea". Vista la formula usata dal giudice, potrebbe essere proprio lui il "presidente pro tempore della riunione" di cui parla l'ordine del giorno (motivo per cui Luciani nella convocazione ha aggiunto, rispetto al primo punto enunciato dal Tribunale, la "presa d'atto che a tale funzione di presidente il decreto del Tribunale ha designato il prof. Luciani", anche se non è chiaro se egli immagini una presa d'atto del solo presidente provvisorio o dell'intera assemblea); non manca però chi pensa che a Luciani toccherebbe solo l'apertura, con la nomina del presidente pro tempore da parte sua (potendo nominare, ovviamente, anche se stesso) o almeno la sua proposta di un nome, poi rimesso al voto dell'assemblea. Di certo, quel ruolo sarebbe decisamente marginale, rispetto a quello del presidente che uscirebbe dall'assemblea: toccherà a lui, infatti, cercare di rianimare lo scudo crociato ed, eventualmente, reagire a chi dovesse mettersi di traverso con qualche azione giudiziaria.

lunedì 30 gennaio 2017

Verso il Polo sovranista: "Diteci come volete il simbolo"

Raccogliere idee dagli aderenti per scegliere insieme nome e simbolo del nuovo partito sovranista: la Destra e Azione nazionale stanno lavorando esattamente per questo e hanno illustrato il percorso di avvicinamento al congresso fondativo (Roma, 17-19 febbraio - con il primo giorno riservato all'assise della Destra) in una conferenza stampa questa mattina alla Camera, con Gianni Alemanno, Francesco Storace e altri dirigenti.
Oggi è stata convocata la prima segreteria unitaria del congresso, con il compito di approvare le tesi congressuali da discutere alle assemblee regionali (un approfondimento programmatico sul sovranismo - anzi, sul "sovranismo responsabile", che aspira al governo - già piuttosto corposo, una cinquantina di pagine destinate ad aumentare), ma è soltanto il primo passo di un percorso che si preannuncia impegnativo e non destinato a essere solo la somma dei due partiti che intendono unirsi.
Se la Destra e Azione nazionale ci sono già, infatti, per i loro leader occorre farsi punto di riferimento per "tanti campanili, tante persone che - ha spiegato Francesco Crocetto - con la fine dell'esperienza politica di Alleanza Nazionale hanno un po' congelato la loro presenza nelle istituzioni, nella politica attiva". L'idea, a quel punto, è di coinvolgere "centinaia di movimenti, anche politici, e di associazioni culturali", ovviamente di area destra, che si erano allontanate in qualche modo dalla politica attiva ma avevano continuato a operare in modo spontaneo, segnando la propria presenza sul territorio (e che in parte erano state coinvolte pure in Azione nazionale).
Sarà proprio il congresso fondativo, in questa composizione plurale, a esprimersi sul nome e sul simbolo del nuovo soggetto politico; a determinare le alternative tra cui scegliere, tuttavia, sarà una platea decisamente più ampia, coinvolgendo tutto il popolo di destra o chiunque voglia intervenire. "Non presentiamo oggi nome e simbolo - ha chiarito Storace - perché vogliamo anche far riferimento alla vasta platea, ai nostri iscritti, ai nostri simpatizzanti".
E' stato Roberto Buonasorte a illustrare l'apertura del sito http://creailtuomovimento.it/, attraverso il quale tutti gli interessati - a partire da coloro che parteciperanno alle assemblee regionali preparatorie al congresso, per eleggere i delegati, ma anche semplici simpatizzanti - potranno inviare direttamente proposte di nome e di grafica (con la possibilità di caricare i file), che poi saranno vagliate "da uno staff tecnico appositamente costituito all'interno della della Segreteria Generale del Congresso", ma potranno anche solo limitarsi a rispondere alle domande di un questionario relativo ai segni distintivi del partito che verrà. 
Le domande poste sono una decina, a partire da "Il termine 'destra' deve far parte del nome?"; ci si interroga sul richiamo della fiamma o della fiaccola tricolore nel logo, sull'opportunità di un richiamo al simbolo di Alleanza nazionale, di un riferimento al sovranismo o alla sovranità, come pure alla patria. Si chiede anche espressamente se uno dei due emblemi già esistenti possa essere "la base per il nuovo simbolo" e se sia meglio battezzare la nuova creatura come "movimento" o come "partito". Nel giro di una decina di giorni le proposte pervenute al sito saranno rese pubbliche e inizierà il procedimento di scelta, che questo sito seguirà con attenzione.
Comunque decida di chiamarsi, la prima iniziativa in cui il nuovo soggetto politico sarà impegnato ufficialmente sarà il 25 marzo, una manifestazione dal titolo "NO a questa Europa". Il giorno, ovviamente, non è stato scelto a caso: ricorre proprio il 25 marzo, infatti, il 60° anniversario della stipula dei Trattati di Roma e la manifestazione sarà in concomitanza con le celebrazioni in Campidoglio. All'evento sono stati invitati, come sottolineato da Alemanno, "tutti i leader sovranisti italiani ed europei": in Italia, in particolare, l'invito riguarda Raffaele Fitto, Matteo Salvini e Giorgia Meloni.
Il nuovo soggetto ovviamente guarda anche oltre, specialmente alle possibili elezioni anticipate: "Ci auguriamo che le soglie elettorali rimangano al 3%, siamo perfettamente in grado di affrontarlo anche col nostro simbolo, con le nostre gambe, però ci auguriamo ancor di più un processo di aggregazione nel Polo sovranista", che guardi anche qui alle formazioni di Meloni (anche se, rispetto a Fratelli d'Italia, il costituendo partito dice di credere "in una destra inclusiva, che parte dal basso e aggrega tutte le anime"), Salvini e Fitto. Con quale simbolo fare tutto questo, ovviamente, è ancora presto per dirlo.

sabato 28 gennaio 2017

Direzione Italia, nuovo nome per il leone di Fitto

Il leone è rimasto al suo posto e con la stessa forma - , ma a colori invertiti e con un nuovo nome, Direzione Italia. E' stata proprio la comparsa del simbolo (a chiusura del video finale), al centro del videowall montato in una sala dell'hotel Ergife di Roma, l'ultimo atto della "Convenzione Blu" voluta da Raffaele Fitto per voltare pagina, dopo la nascita dei Conservatori e riformisti di oltre un anno e mezzo fa. 
L'idea era di costruire un nuovo partito, questa volta dal basso, per dare un contributo concreto alla costruzione di un centrodestra diverso da quello che l'Italia ha avuto finora: un centrodestra ispirato ai Tories inglesi e che nelle scorse settimane (a partire dagli incontri tenuti all'inizio di novembre) si è dato un programma sui temi principali di livello nazionale e internazionale (parlando di rapporti con l'Europa, tassazione, debito e spesa pubblica, lotta alla burocrazia, vero liberalismo in economia...) e ha cercato di concretizzare la sua presenza sul territorio attraverso un accordo con varie forze civiche e territoriali.
Mancava l'atto finale, ossia il rinnovo di ciò che c'era già - CoR, e che di rinnovo si tratta lo mostra il fatto che la pagina del partito di Fitto ha già cambiato nome - per poter includere all'interno tutti gli interessati alla costruzione di un soggetto di centrodestra "credibile, moderno, riformatore", realmente alternativo al Pd (con una stoccata nemmeno troppo velata al Nuovo centrodestra - Area popolare di Alfano) e pronto a misurarsi alle elezioni primarie (da sempre chieste da Fitto, quando era in Forza Italia e soprattutto quando ne è uscito) con chiunque le chieda, a partire ovviamente da Matteo Salvini e Giorgia Meloni, a patto che si capisca che le primarie vanno fatte innanzitutto tra la gente, oltre che chieste. 
Immagine di questo percorso è e resta il leone. Come si diceva, il disegno è ancora quello adottato dai CoR fin dall'inizio: non la versione del gruppo Ecr al Parlamento europeo - con la fiera seduta - ma il leone eretto e incedente, con coda frustante, dell'Alliance of Conservatives and Reformists in Europe - Acre. Se però all'inizio l'animale era blu (con tanto di luci tridimensionalizzanti) su fondo bianco, ora si è fatta la scelta cromatica inversa, per cui la sagoma si è tinta tutta di bianco, su un fondo blu scuro ammorbidito da una luce proveniente dall'alto. E che quella figura non fosse in discussione sembra testimoniarlo un passaggio dell'intervento di Roberto Rosso, già candidato sindaco (sconfitto) a Torino: "Abbiamo nel simbolo un leone e tu, Raffaele, sei stato un leone: non era facile scontrarsi senza soldi contro le fiere della politica". 
Sotto al tricolore (con gli elementi verdi e rossi più stiracchiati rispetto a prima, per far spazio in mezzo anche a quello bianco, che ora sullo sfondo si può vedere) emerge il nuovo nome, composto in due font leggermente graziate, ma più squadrate rispetto a quella precedentemente in uso: ciò vale soprattutto per la parola "Italia", decisamente dominante quanto a dimensione e resa grafica (il carattere usato rimanda al Courier o ad altre famiglie stile type) e volendo anche piuttosto coraggioso, visto che gli ultimi partiti contenenti quel nome - Scelta civica per l'Italia, Popolari per l'Italia e, negli ultimi anni, la stessa Forza Italia - non sono stati particolarmente fortunati. 
Eppure sono stati proprio gli iscritti alla Convenzione Blu a scegliere la nuova denominazione ("Noi, insieme, abbiamo deciso come chiamarci", ha detto con forza alla fine Fitto): dei 7.593 aderenti, 6.319 si sono espressi e 1.706 (il 27%) ha votato per "Direzione Italia", opzione che ha staccato di circa 350 voti "Movimento Blu" (scelto da 1.454 persone, il 23%); decisamente più lontane le etichette "Ricostruttori" (1.074 voti, 17%), "Più Italia" (821, 13%), "Cambia Italia" e "Patto Blu" (che insieme si sono divise il restante 20%). Il nome politicamente è nuovo, anche se in rete "Direzione Italia" esiste già: è un sito che racconta "l'Italia vista con gli occhi degli italiani", con servizi e reportage
Niente di politico dunque, mentre Fitto e i suoi compagni di viaggio (dalla tribuna dell'Ergife, sotto la direzione di Nuccio Altieri, hanno parlato in tanti, da Daniele Capezzone al genovese Enrico Musso, da Maurizio Bianconi a Massimo Corsaro, fino agli ex governatori del Molise Michele Iorio e del Friuli - Venezia Giulia Renzo Tondo) si preparano a vivere i prossimi mesi verso le elezioni, con la consapevolezza - più volte sottolineata da Fitto - che non si può chiedere di votare presto solo perché "fa figo", ma occorre intervenire sulle leggi elettorali per non rischiare l'ingovernabilità assoluta.

venerdì 27 gennaio 2017

Dopo la Consulta, simboli a geometria variabile tra Camera e Senato?

Per qualcuno sarebbe già tempo di andare a votare. Certo, bisognerebbe almeno aspettare una ventina di giorni, il tempo di capire esattamente come la Corte costituzionale ha scelto di intervenire sull'Italicum, cosa ha cancellato e, soprattutto, perché (anche se qualche idea, ovviamente, i costituzionalisti c'è l'hanno e l'hanno già espressa in più di una occasione): una volta saputo questo, alcune forze politiche sarebbero pronte a chiedere l'immediato scioglimento delle Camere, senza perdere tempo a scrivere altre regole elettorali e andando a votare con quelle che già sono disponibili. Vale a dire, in particolare, ciò che è rimasto dell'Italicum per la Camera (una legge elettorale "suscettibile di immediata
applicazione", come si legge nel comunicato della Corte) e il Porcellum aggiustato dalla Consulta con la sentenza n. 1/2014.
Al di là di chi ha fretta di tornare alle urne, tuttavia, qualche riflessione sul contenuto delle leggi elettorali per i due rami del Parlamento sarebbe quanto meno opportuna. Questo, se non altro, perché alcune delle differenze che inevitabilmente sussistono tra le due discipline - il giudice delle leggi è intervenuto in due tempi diversi su due leggi diverse e, dovendosi limitare a tagliare o ad aggiungere principi o norme precise, era impossibile che si ottenesse un risultato uguale o molto simile - meriterebbero davvero di essere uniformate o, se proprio non si volesse intervenire per qualche modifica, almeno comprese fino in fondo.
La discrepanza che qui maggiormente risulta interessante riguarda gli accordi di coalizione: l'Italicum, infatti, non li consentiva (e la decisione della Corte non poteva certo intervenire sotto questo profilo), mentre il cosiddetto Consultellum continua a prevederli e incentivarli, pur essendo stato privato del premio di maggioranza, la cui assegnazione era strettamente collegata alla previsione delle coalizioni all'interno del Porcellum. Questa differenza può avere conseguenze potenzialmente piuttosto pesanti, quanto alla successiva composizione delle Camere, ma anche sull'offerta elettorale e simbolica che i cittadini troverebbero sulle schede.
La possibilità di formare coalizioni, infatti, favorisce senza dubbio la corsa in gruppi più o meno omogenei, ma ciascuno con i propri simboli, rappresentando dunque l'alleanza politica con una pluralità di emblemi affiancati. Se la disciplina attualmente in vigore per il Senato restasse tale, senza alcuna modifica, la formazione di coalizioni sarebbe ulteriormente incentivata dal sistema di soglie di sbarramento sopravvissuto al bisturi della Consulta: se infatti alla Camera è prevista un'unica soglia del 3%, uguale per tutti, a Palazzo Madama una lista per essere rappresentata dovrebbe ottenere l'8% a livello regionale se corresse da sola, mentre all'interno di una coalizione le basterebbe raccogliere il 3% in quella regione (purché la coalizione ottenga almeno il 20% nello stesso territorio). 
Al di là delle considerazioni sull'assoluta inopportunità di conservare le coalizioni solo in un ramo del Parlamento e, per giunta, quando il loro unico effetto è abbassare l'asticella dello sbarramento da superare (per cui si rischia seriamente che i partiti maggiori accettino all'interno della coalizione solo le forze minori a loro gradite, facilitando il loro ingresso al Senato abbassando la soglia al 3%, mentre costringerebbero quelle meno gradite a raggiungere l'8% o potrebbero chiedere una contropartita in cambio dell'accettazione in coalizione), è probabile che le schede del Senato continuerebbero a ospitare un certo numero di simboli, in gran parte collegati tra loro. Alla Camera, invece, non ci sarebbe alcun emblema affiancato (non essendo possibili le coalizioni); di più, la possibilità di far scattare il premio di maggioranza al 40% potrebbe indurre alcune forze politiche a federarsi tra loro, sotto un simbolo già noto o con un contrassegno nuovo o composito, che accontentasse le varie anime propense a correre insieme.
Gli elettori di un partito, dunque, potrebbero trovare il proprio simbolo sulla scheda del Senato, mentre su quella della Camera incontrerebbero più facilmente quello cumulativo della federazione. Un po' il contrario, a pensarci bene, di quello che era accaduto negli anni del Mattarellum: alla Camera, sulla scheda del collegio uninominale il candidato poteva essere sostenuto da un massimo di 5 simboli (quelli dei partiti a sostegno della persona, anche se a volte c'era solo l'emblema di coalizione) e su quella della quota proporzionale si trovavano tutti i contrassegni dei partiti, senza che fosse indicato alcun collegamento; al Senato, invece, l'unica scheda riportava a fianco del candidato sempre e solo un simbolo, per cui doveva essere per forza quello di coalizione. Già in quegli anni, insomma, si dovette familiarizzare con gli schemi a geometria variabile, a seconda della scheda: toccherà farlo anche questa volta (e a parti invertite, se non tornerà il Mattarellum)?

giovedì 26 gennaio 2017

La Destra e Azione nazionale, verso il Polo sovranista

Febbraio si presenta, fin d'ora, come mese di nuovi inizi, politicamente parlando. Nei giorni 25 e 26, come ho scritto più volte in questo sito, un gruppo di persone pensa seriamente di risvegliare la Dc all'Ergife di Roma; il fine settimana precedente, al PalaCongressi di Rimini, Sinistra italiana celebrerà il suo congresso fondativo. In quegli stessi giorni, però, sarà Roma a ospitare un altro evento importante, sia pure nell'area politica opposta. E' stato infatti annunciato per il 18 e 19 febbraio - al Marriott Park Hotel - il congresso di fondazione del nuovo soggetto politico in cui confluiranno La Destra e Azione nazionale, assieme a "tutte le associazioni e gli esponenti politici che credono al valore centrale della sovranità nazionale e popolare". Questo, per lo meno, è l'obiettivo che le due formazioni - legate rispettivamente a Francesco Storace e a Gianni Alemanno - si pongono, cercando di estendere il loro progetto innanzitutto ai due partiti sovranisti più forti in questo momento, vale a dire Lega Nord e Fratelli d'Italia (sebbene Azione nazionale sia nata non proprio in rapporti amichevoli con Fdi), nella speranza di "creare insieme questo Polo in modo unitario, inclusivo e pluralista", per dare a chi lo desidera un riferimento alternativo "alla sinistra di Matteo Renzi e all'antipolitica demagogica del Movimento 5 Stelle". 
La collocazione del nuovo soggetto politico - provvisoriamente denominato Polo sovranista - è ovviamente il centrodestra, come a quell'area vengono ricondotte dai due gruppi dirigenti idee e valori che si stanno facendo spazio "in tutto il mondo, dall'America di Trump alla Russia di Putin, dalla spinta conservatrice che ha portato la Gran Bretagna alla Brexit, ai molteplici movimenti che stanno nascendo in ogni nazione europea". Dalle esperienze estere, dunque, i gruppi di Storace e Alemanno traggono linfa per cercare di spingere in Italia su identità e sovranità nazionale (contro la tecnocrazia), sulla critica alla globalizzazione, sul rifiuto dei vincoli europei, sulla lotta all'immigrazione di massa e al fondamentalismo islamico, tutto ciò attraverso un contenitore politico nuovo e aperto.
Già, perché se il congresso di metà febbraio rappresenta un punto d'inizio, è allo stesso tempo il capolinea per le due formazioni che del nuovo Polo sovranista e identitario costituiranno l'anima, anche se le loro storie sono piuttosto diverse, anche per lunghezza: il cammino della Destra di Storace è durato quasi dieci anni, essendo nata nell'estate del 2007 in risposta a uno spostamento troppo al centro di Alleanza nazionale; è molto più giovane (un anno e qualche mese di vita) Azione nazionale, strumento nato per cercare di riunire "la destra dispersa e sommersa" e voluto da Alemanno e dai "quarantenni" che avevano visto sconfitta la propria mozione all'assemblea della Fondazione An. Pur nella non coincidenza totale delle storie, i valori che i due gruppi vogliono perseguire nel nuovo soggetto politico sono quelli di sempre della destra italiana: il presidenzialismo, la solidarietà sociale, la difesa dei redditi popolari e del ceto medio, l'attenzione per il Sud perché possa riscattarsi e conservare l'unità nazionale, la difesa della famiglia e della vita, nonché "l’ordine nella libertà, la giustizia e la legalità".
L'idea, almeno in un primo tempo, è di costruire qualcosa che somigli a una federazione di sigle diverse, ma che possa diventare in un futuro non lontano un partito unitario e che, nel frattempo, pensi a radicarsi sul territorio, puntando "sulla collaborazione tra le diverse generazioni e anime della Destra, senza verticismi, cerchi magici e settarismi". L'ambizione c'è: in prospettiva, infatti, il gruppo potrebbe essere parte attiva - lo si propone nella nota che accompagna verso il percorso congressuale - delle primarie del centrodestra, concorrendo con i Conservatori e riformisti di Fitto (che vogliono assolutamente quella consultazione), Forza Italia (da sempre meno interessata) e le altre forze che possono riconoscersi in quell'areaCerto i tempi sono stretti, ma la cosa è voluta: "Abbiamo scelto una data ravvicinata per il nostro Congresso - dichiarano i gruppi dirigenti della Destra e di Azione nazionale - perché chiediamo l’immediato svolgimento delle elezioni politiche con una legge maggioritaria con collegi e preferenze, che garantisca agli italiani il diritto di scegliere i propri eletti e la maggioranza di governo". 
Meglio prepararsi per tempo, dunque: già lunedì, in una conferenza stampa, dovrebbero conoscersi ancora più dettagli, ma già ora il cammino verso il congresso è delineato. Si inizierà costituendo una segreteria unitaria dell'assise (una trentina di membri) per approvare il regolamento congressuale, nominare la Commissione per lo Statuto e una Commissione per la mozione congressuale, incaricata di scrivere le tesi da sottoporre ai diversi momenti congressuali; nei giorni successivi si terranno i congressi regionali che eleggeranno i delegati al congresso nazionale (si parla di 1500 persone) e inizieranno a discutere le tesi congressuali. Già in questa fase, il percorso verso l'assise romana sarà aperto ad associazioni, movimenti e liste civiche che sottoscriveranno una richiesta di adesione, concordando la loro partecipazione agli organi del nuovo soggetto politico.
Non sarà da trascurare nemmeno l'aspetto identitario-simbolico del nascituro movimento. Sarà ovviamente il congresso di metà febbraio a esprimersi ufficialmente e a determinare tanto il nome, quanto il simbolo del nuovo soggetto politico; nel frattempo, tuttavia, "tutto il popolo della destra" sarà chiamato a esprimersi direttamente attraverso un sondaggio da effettuare su internet, così da sottoporre direttamente alla potenziale base gli elementi in cui potrebbero identificarsi in futuro. Nel frattempo, Alemanno ha precisato che "Azione Nazionale e La Destra saranno caratterizzati fino al Congresso con i due simboli legati insieme dalla scritta 'Per il polo sovranista'", giusto per sottolineare che il cammino è avviato, la direzione è chiara e indietro non si torna.

mercoledì 25 gennaio 2017

Verso il ritorno della Dc: spedite le convocazioni per l'assemblea

Un altro passo verso il ritorno alla Democrazia cristiana, per chi ci crede veramente, è stato fatto. Le lettere di convocazione degli oltre 1740 iscritti al partito - per lo meno secondo l'elenco prodotto dalle parti, quelli che risultavano aderenti in base all'ultimo tesseramento valido, datato 1992, e che nel 2012, nel tentativo di riattivazione della Dc guidato da Gianni Fontana, avevano confermato la loro iscrizione - sarebbero state spedite da Nino Luciani (primo firmatario della richiesta di convocare l'assemblea dei soci Dc e incaricato alla convocazione dal Tribunale di Roma a metà dicembre) o, per lo meno, risultano in via di spedizione da parte di Poste Italiane. 
A dare notizia del nuovo passaggio - dopo giorni in cui non erano mancate polemiche e proteste di alcuni soggetti nei confronti di Luciani, "reo" di non aver provveduto alla convocazione subito dopo la decisione del giudice sull'assemblea - è Pellegrino Leo, tra coloro che negli anni si sono spesi di più per cercare di "risvegliare" il partito dello scudo crociato e che, tra la sua Sicilia e Roma, ha continuato agguerrito la sua battaglia per far tornare la Dc, in un modo o nell'altro.
Una parte significativa del denaro che Luciani aveva chiesto per poter provvedere alla convocazione (con raccomandata) è stata versata, così come documentato sul sito curato dallo stesso Luciani, e alla fine le lettere sono state spedite: tutto, dunque, sembra sempre più pronto (o quasi) alla riunione che si terrà tra un mese, il 25 e il 26 febbraio, alla sala Leptis Magna dell'hotel Ergife di Roma. L'ordine del giorno, come è noto, si era già "cristallizzato" nei tre punti fissati nel decreto del giudice Guido Romano: nomina del presidente pro tempore dell'assemblea e del segretario verbalizzante; nomina del presidente dell’associazione (art. 36 c.c. e principi generali del diritto); varie ed eventuali. 
L'adempimento più importante sarà certamente la nomina - rectius: l'elezione - del presidente dell'associazione, che nell'ipotesi di Luciani guiderà la Dc fino alla celebrazione di una seconda assemblea che approvi un nuovo statuto per il partito, in modo da consentirgli di operare nuovamente; proprio sul nome del possibile presidente pare si siano consumati alcune incomprensioni, perché qualcuno avrebbe proposto fin dai giorni scorsi di eleggere a quella carica l'ex parlamentare ed eurodeputato di lungo corso Giuseppe Gargani, un nome non gradito a molti dei "rinnovati" democristiani, specie a chi ritiene che l'assemblea dei soci debba essere del tutto sovrana nel decidere il suo presidente e che chi aveva avuto ruoli di peso nella "vecchia" Dc non debba per forza riproporsi.
In ogni caso, a un mese dall'assemblea, il gruppo è determinato a riportare la Democrazia cristiana sulla scena politica, possibilmente "con un programma diverso e nuovo, perché parla al portafogli della gente", come rivendica Pellegrino Leo, che vorrebbe puntare soprattutto sull'introduzione della moneta complementare come biglietto di Stato a corso legale, "senza uscire minimamente dal sistema Euro, ma ovviando alla mancanza di danaro stampandolo e recuperando sovranità monetaria". Di certo il gruppo mostra di non aver paura di eventuali azioni legali da parte di coloro - dirigenti del Ppi compresi - che negli anni hanno ritenuto di rappresentare correttamente la Democrazia cristiana e i suoi interessi: "Loro ormai sono prossimi al rinvio a giudizio... divino - li liquida con sarcasmo Leo - ripeto per l'ennesima volta che noi il patrimonio che fu della Dc non lo vogliamo, se lo tengano pure se vogliono, risponderanno con la loro coscienza delle loro colpe. A noi interessa semplicemente riavere il nostro partito, dopo che per anni era stato dato per morto".  

martedì 24 gennaio 2017

Serve un nuovo Ulivo, anzi c'è già (ma non dovrebbe esserci)

"Quella del centrosinistra unito non penso sia un'esperienza irripetibile. Non penso sia irripetibile, soprattutto dopo quello che sta succedendo. Io vedo che la gente ha bisogno di sentirsi unita in questo mondo che si disgrega, con Trump, con la Brexit, con le crepe che arrivano dappertutto. Io vedo che c'è un naturale desiderio di riunirsi ma è uno sforzo che non mi sembra impossibile". Sono bastate queste parole di Romano Prodi, tre giorni fa, nella sua Bologna, per far parlare da più parti di un possibile Ulivo 2.0: lo ha evocato il vicesegretario dem Lorenzo Guerini, unitamente al ventilato ritorno alla "legge Mattarella" ("Il Pd ritiene il Mattarellum lo strumento migliore per corrispondere alla sfida dell'Ulivo") e lo ha auspicato Pier Luigi Bersani, ritenendo che quelle siano "parole sacrosante e che sia l'ora, per chiunque la pensi così, di metterci impegno e generosità".
A dispetto di questa dichiarata coincidenza d'intenti, tuttavia, ciascuna delle due parti del Partito democratico sembra leggere l'orizzonte dell'Ulivo a modo suo: così, se per Roberto Speranza l'unità del centrosinistra si può perseguire se si rimette al centro la questione sociale e si archivia "la stagione dell'uomo solo al comando", non mancano gli interventi di chi ritiene che il disegno (neo)ulivista dei cosiddetti "nemici di Matteo Renzi" rappresenti un passo indietro rispetto a quanto già c'è, decisamente da evitare. L'ultimo in ordine di tempo è Fabrizio Rondolino, che oggi sul sito dell'Unità ha aperto con convinzione un suo articolo con queste parole: "L'Ulivo esiste già, e si chiama Partito democratico". 
In quel commento, il giornalista ricorda come lo stesso Manifesto dei valori del Pd, approvato all'inizio del 2008, dicesse con chiarezza che il partito rappresentava "lo sviluppo e la realizzazione dell’Ulivo, come soggetto e progetto di centrosinistra nel quadro di un bipolarismo maturo", ma lo faceva impegnandosi a costruire "un bipolarismo nuovo, fondato su chiare alleanze per il governo e non più su coalizioni eterogenee, il cui solo obiettivo sia battere l’avversario". Certamente qualcosa di diverso da quello che fu l'Unione del 2006, che fece vincere di nuovo Prodi "salvo poi sfarinarsi in meno di due anni", come dice correttamente Rondolino. 
Non si può dire però che l'Ulivo del 1996 fosse davvero eterogeneo. Il primo governo Prodi cadde col ritiro della fiducia di Rifondazione comunista, ma questa non faceva parte del "progetto Ulivo": al massimo il noto accordo di desistenza con Bertinotti può far parlare di carenza di "chiare alleanze per il governo". Era invece molto più promettente il rapporto tra i due principali attori dell'Ulivo, il Partito democratico della sinistra e il Partito popolare italiano (assieme ai "prodiani doc" dell'associazione L'Ulivo - I Democratici: non a caso, la legale rappresentanza della coalizione e ogni decisione sull'uso del simbolo era affidata congiuntamente a Stefano Ceccanti per i prodiani, Giovanni Lorenzo Simula per il Pds e Nicodemo Oliverio per il Ppi): benché si guardassero ancora un po' (troppo) con sospetto tra loro, gli eredi diretti di Pci e Dc avevano già intuito che le loro "grandi tradizioni" erano inadeguate "da sole, a costituire un nuovo quadro politico di riferimento", mentre insieme avrebbero potuto "elaborare una visione condivisa del mondo, costruendo su questa base il progetto di una nuova Italia". Le parole vengono ancora dal Manifesto dei valori del Pd, ma potevano applicarsi già agli sforzi fatti nel 1996, benché allora non si pensasse a costruire una nuova casa comune duratura.
L'Ulivo alle politiche del 1996
Questo Rondolino non lo dice, ma non sembra smentirlo, nel ricordare che l'assemblea costituente del Pd - Milano, 27 ottobre 2007 - elesse come presidente proprio Prodi; sbaglia invece nel dire che le due "principali forze politiche che avevano dato vita all'Ulivo" erano Ds e Margherita, visto che come si è detto i due protagonisti dell'Ulivo furono il Pds e il Ppi, principali "azionisti" rispettivamente dei Ds e della Margherita (per inciso, l'Unità farebbe bene a controllare ciò che pubblica, visto che una sua firma "storica" come Roberto Roscani oggi ha scritto in prima pagina che "l’ultima volta che il simbolo dell’Ulivo è comparso su una scheda delle elezioni politiche era il 2001, sedici anni fa", dimenticando clamorosamente che l'emblema è apparso sulle schede della Camera anche nel 2006). 
Tornando a Rondolino, per lui "il Pd nasce per dare forma e continuità politica" all'esperienza dell'Ulivo, "eliminandone tuttavia gli aspetti più critici (a cominciare dalla frammentazione esasperata), e ancorandosi saldamente nella democrazia del maggioritario", mentre i nemici di Renzi sembrerebbero voler costruire qualcosa che somiglia molto al contrario dell'Ulivo, alludendo "a tutto ciò che ha contribuito al fallimento di quell'esperienza, e che è stato giustamente messo da parte proprio con la nascita del Pd: la frammentazione esasperata del quadro politico, il moltiplicarsi dei 'cespugli', le 'coalizioni omnibus' che prendono i voti ma non riescono a governare, la debolezza di un leader senza partito prigioniero dei partiti che lo sostengono, una certa aria di proporzionale, le sante alleanze contro qualcuno (ieri Berlusconi, oggi Grillo) anziché per il Paese, e una cronica, strutturale incapacità a decidere per via dei veti reciproci".
Tutto ciò per Rondolino va evitato, così a maggior ragione non serve creare un nuovo Ulivo, perché ci sarebbe già. E per sostenere la coincidenza tra Ulivo (2.0?) e Pd, il giornalista suggerisce di dare "uno sguardo al simbolo per averne contezza: il ramoscello che fa capolino fra 'Partito' e 'Democratico' è lo stesso che adornava il simbolo della coalizione guidata da Romano Prodi nel 1996". Il problema, però, sta proprio in questo. Dimentica forse Rondolino che già alla fine del 2013 Andrea Rauch, il creativo che nel 1995 aveva disegnato il simbolo dell'Ulivo (a partire da un rametto di una pianta di casa sua), aveva scritto a Matteo Renzi chiedendogli di togliere dall'emblema del Pd concepito da Nicola Storto il vecchio ramo d'ulivo: questo soprattutto perché rappresentava un elemento di disturbo di pochi millimetri sula scheda elettorale, ma anche perché "Il Partito democratico di oggi è molto diverso dall'Ulivo del 1996 per intenti, strategia, programmi". A distanza di qualche anno, lo scorso giugno, Rauch ha ribadito su questo blog il suo pensiero, segno che evidentemente - a dispetto di quanto detto da Rondolino - tutta questa coincidenza tra Pd e Ulivo non c'è e non basta la permanenza del rametto nel simbolo a garantirla.  

lunedì 23 gennaio 2017

Palermo, il simbolo "fantasma" del Pd diventa un caso nazionale

Che da un po' di tempo a questa parte i simboli dei partiti abbiano iniziato a sparire dalle schede delle elezioni amministrative è ormai un fatto: l'estate scorsa, in un suo articolo per la Repubblica, Tommaso Ciriaco aveva notato che la percentuale di comuni al voto solo con liste civiche, senza nemmeno un emblema di partito, era pari al 65,2%. Nelle città più grandi il fenomeno è ovviamente più raro, ma non poteva non destare scalpore l'eventualità che a Palermo il Partito democratico potesse valutare realisticamente l'ipotesi di presentare una lista, senza però schierare il proprio contrassegno tradizionale
Le ragioni per una scelta tanto drastica sembrano essere essenzialmente due: da una parte l'incapacità di mettere in campo un proprio candidato credibile e realisticamente in grado di vincere, dall'altra la possibilità tutt'altro che remota di sostenere (anche se i rapporti in passato sono stati tutt'altro che buoni) la ricandidatura di Leoluca Orlando, il quale però non avrebbe gradito vedere il simbolo della accanto a quelli della sua coalizione che si sta via via delineando. 
A mettere sul tavolo concretamente la possibilità di lasciare da parte il simbolo è stato, il 16 gennaio, addirittura il sottosegretario Davide Faraone, con una sua dichiarazione difficile da equivocare: "Il dialogo [con Orlando] è in corso, ma non deve sbocciare per forza. Potrebbe anche interrompersi, tutto può accadere. Al momento è un percorso avviato. Ma non dobbiamo rischiare di fare accadere ciò che è successo a Torino, ecco perché dobbiamo vincere con un unico candidato con il 40,1 per cento. La forza principale del centrosinistra ha il dovere di costruire un percorso unitario, anche rinunciando a qualcosa". A chi gli chiedeva se questo qualcosa potesse essere il logo dem, Faraone ha risposto: "Non è un problema di simboli, a noi interessa presentare alle amministrative di Palermo un unico candidato del centrosinistra perché vogliamo vincere, non possiamo lasciare Palermo ai Cinque stelle, dobbiamo lasciare da parte gli egoismi". 
L'ipotesi di sostenere Orlando senza il proprio marchio politico, tuttavia, ha provocato un'alzata di scudi da parte di persone di rilievo all'interno del partito, così come all'interno della base. Tra i primi a mettersi di traverso, il deputato palermitano dem Giuseppe Lauricella che, senza mai fare il nome di Faraone o di altre persone a lui vicine, non ha usato mezzi termini: "Pensare di trovare a Palermo un accordo di centrosinistra senza presentare il simbolo del Pd sarebbe un atto di resa, oltre che di mortificazione, per un partito che rappresenta la forza politica maggiore nazionale. Certamente, non sarebbe quel modello di cui alcuni dirigenti Pd artatamente parlano, da proporre in seguito a livello regionale e nazionale, perché non credo che alle prossime elezioni regionali e tanto meno alle prossime nazionali il Pd possa presentarsi senza simbolo; in realtà, qualcuno sta barattando il simbolo Pd con spazi politici personali nella futura amministrazione comunale di Palermo. Purtroppo, sono gli stessi che si candidano a rappresentare il Pd e i siciliani alle prossime elezioni regionali".
Che si rischi lo scollamento tra partito ed elettorato, come teme Lauricella, lo dimostrerebbe la "lettera aperta" che ieri un gruppo di dem palermitani - #orgogliopd, primi firmatari Fabio Teresi, Carmelo Greco, Antonio Ferrante, Federica Tarantino e Ruggero D'Amico - ha deciso di inviare al segretario Matteo Renzi: 

Caro Segretario, ti scriviamo questa lettera aperta perchè crediamo che in un momento così difficile per il nostro partito che si appresta ad affrontare le amministrative di Palermo, anche un tuo diretto intervento sia necessario perchè il Pd possa giocare un ruolo da protagonista e così ripartire da una delle più importanti città del Sud Italia. Essere militanti del Pd per noi significa mettere la faccia sempre e comunque, soprattutto nei momenti più difficili dove il nostro orgoglio e il nostro spirito di appartenenza e l’amore per la nostra città devono prevalere su ogni tatticismo o interesse di parte. Per questa ragione siamo intervenuti pubblicamente per rivendicare la necessità che il Pd si presentasse con il proprio simbolo senza abdicare ad un "civismo senza anima" in nome dell'unità del centrosinistra. Da attivisti impegnati da anni per la nostra città siamo consapevoli dell’importanza di unire le forze che con noi condividono gli ideali del riformismo provando a ricomporre il centrosinistra e costruire un campo largo capace di frenare l'avanzata populista o di un centrodestra che nella nostra città ha lasciato ferite di mal governo assai profonde. Ma il raggiungimento di tali obiettivi non può passare dal progressivo smantellamento di quello che dovrebbe essere il partito aggregante della coalizione e che oggi invece,nella quinta città d’Italia, viene considerato mero comprimario o addirittura scomoda zavorra. [...] Va bene il centro sinistra allargato ai moderati, va bene Leoluca Orlando ma tutto ciò con il rispetto che la più grande forza politica del paese merita. Chi sceglie di lottare può vincere o perdere, chi si arrende o si nasconde semplicemente ha fallito e non sarà mai in grado di cambiare davvero le cose. E noi vogliamo cambiarle.
E che quella del simbolo a Palermo rischi di diventare una questione nazionale lo dimostra la dichiarazione di oggi di Enrico Rossi, presidente della regione Toscana, ma soprattutto autocandidatosi da tempo alla segreteria del Pd: "Secondo me hanno ragione gli amici e i compagni che chiedono di non rinunciare al simbolo del Pd alle prossime elezioni di primavera per il Comune. Senza il nostro simbolo in una delle più importanti città italiane questo progetto, che considero fondamentale per il Paese, subirebbe un colpo significativo. Il simbolo è ciò che tiene insieme e unisce una comunità. Rinunciarvi sarebbe a mio parere un gesto suicida e per tanti compagni e amici anche fuori dalla Sicilia un'ulteriore umiliazione, che rischia di portare acqua solo al mulino dell'antipolitica e della retorica anti partito come origine di tutti i mali". Per Rossi Orlando, persona degna di stima, potrebbe porre condizioni sul programma, sugli ideali da perseguire e sulle qualità dei candidati, ma non sui simboli da mostrare; d'altra parte, il presidente della Toscana non condivide neppure "coloro che nel Pd con troppa facilità sostengono che l'importante è vincere e che i simboli vengono dopo. Noi abbiamo bisogno di un partito popolare e strutturato, con una forte identità, un radicamento saldo tra i ceti popolari e un programma di cambiamento per Palermo, per la Sicilia e per il Paese". Come dire: i simboli non si toccano e non si accantonano al bisogno, casomai bisogna essere degni di portarli.

domenica 22 gennaio 2017

Sinistra comune, con Orlando per re-immaginare Palermo

Il simbolo votato ieri mattina
Si avvicina il tempo per le elezioni amministrative a Palermo e il sindaco uscente, Leoluca Orlando, che aprirà la sua campagna elettorale per il mandato di riconferma (in caso di vittoria sarebbe il quinto, anche se ovviamente i precedenti non sono stati consecutivi), può già contare sul sostegno sicuro di una lista messa in campo dalle forze di sinistra. Al progetto si lavorava da mesi, ma ieri il gruppo che raccoglie Sinistra italiana, Rifondazione comunista, L’Altra Europa, come pure movimenti ambientalisti e di altra natura, reti associative operanti sul territorio e non pochi singoli, si è riunito a Palazzo Cefalà e si è dato un nome, un manifesto e un simbolo, ufficializzando il loro impegno a favore del nuovo mandato di Orlando. 
Il gruppo di lavoro, pronto a tradursi in una lista, si chiama Sinistra comune, senza connotazioni territoriali nel nome, ma con due parole di sicuro richiamo identitario: la parola "comune", tra l'altro, sembra riferirsi tanto all'obiettivo di prendersi cura del comune (e della città come "bene comune") e di entrare in municipio, quanto all'impegno a tenere insieme forze diverse, non sempre concordi nella loro azione pur essendo piuttosto omogenee, innanzitutto nel loro ritenersi "di sinistra".
Ciò emerge anche da una nota emessa a margine dell'incontro di ieri: "Sinistra comune - si legge - nasce dopo un lungo e faticoso lavoro, iniziato circa due anni fa, perché riteniamo che in Sicilia sia necessario costruire una forza di alternativa che passi da una nuova idea di governo delle città, capace di legare la visione globale al progetto locale. [...] pensiamo che a Palermo sia necessario uno sforzo che metta insieme le forze politiche della Sinistra e le tante e varie esperienze di civismo democratico presenti sul territorio [...]. L’insieme di soggettività plurali, che animano già la nostra città, è stato, infatti, decisivo per cominciare un cammino che non solo guardi alle prossime amministrative, ma sappia anche andare oltre, costruendo una soggettività politica di Sinistra. Non è stato facile ma, mettendo da parte i vecchi rancori, ce l'abbiamo fatta, perché abbiamo capito che uniti possiamo essere una forza determinante". 
I simboli in gioco (foto di Gaspare Semprevivo
- grazie a Maruzza Battaglia per l'indicazione)
Per contrassegnare davvero un percorso unificante, probabilmente, l'emblema votato in maggioranza dagli oltre 200 presenti di questa mattina - tra tre possibili opzioni - non contiene falci e martelli o altri simboli tradizionali della sinistra: a farla da padrone, in ogni caso, è il colore rosso, che tinge (ovviamente) la parola "Sinistra" e la parte superiore del cerchio di sfondo. In quel semicerchio, un po' obliquo, trova posto la S di "Sinistra" (stavolta bianca, per farla risaltare sullo sfondo) e, al fianco, una X gialla tendente all'arancione, stile pennellato, un po' per ricordare la croce del voto (e, visto il colore e le dimensioni, non c'era alcun rischio di confonderla con il segno della matita copiativa), un po' per far leggere Sx (come abbreviazione di "Sinistra") e un po' per evocare il concetto di "per", del lavoro e dell'impegno a favore di Palermo.  
C'era soddisfazione tra i partecipanti - compresi il deputato di Sinistra italiana Erasmo Palazzotto, l'assessore uscente alla mobilità Giusto Catania e il segretario provinciale del Prc Vincenzo Fumetta - per essere arrivati a definire l'identità e i segni per individuare questo percorso comune. Del resto, la prima scelta qualificante aveva riguardato il tempo e il luogo della riunione di ieri: "I simboli sono importanti – scriveva su Facebook Catania - Non è un caso che, per presentare il simbolo e il manifesto della Sinistra Unita palermitana, abbiamo scelto luogo e data simbolici. A Palazzo Cefalà, nel maggio del 1893, si svolgeva il congresso fondativo del Partito socialista dei lavoratori italiani e del Movimento dei fasci dei lavoratori siciliani; il 21 gennaio del 1921, a Livorno, nasceva il Partito comunista italiano".
Il progetto è ambizioso, non certo al ribasso: "Vogliamo provare a ripensare la nostra città - continua la nota precedente - osservando anche tutti i limiti che vorremmo contribuire a superare e le potenzialità ancora inespresse. E re-immaginare Palermo vuol dire, innanzitutto, ripartire dalla comunità, affidandole il potere decisionale, l’organizzazione dello spazio urbano, la bellezza dei luoghi da difendere e valorizzare, la promozione e lo sviluppo di forme di mutualismo e welfare dal basso".
Tutto questo, per chi ha dato vita all'iniziativa, può essere fatto a fianco di Orlando, che avrebbe lavorato bene fin qui, ma non in collaborazione con il Pd, soprattutto dopo le ipotesi dei giorni scorsi, che ritenevano plausibile un sostegno dem al sindaco uscente, ma senza simbolo di partito. Se per Palazzotto, al di là dei simboli, conta il fatto che "Noi non condividiamo con i democratici né idee né programma. Privatizzazioni e disattenzione per le classi più deboli, iniziative e atteggiamento costante dei dem al governo, non ci appartengono. E poi come si può pensare di riunire il centrosinistra quando a livello regionale e nazionale il Pd va a braccetto con un partito che si chiama Nuovo centrodestra?", per altri i dem sono semplicemente "ospiti non graditi" e su questo chiederanno garanzie a Orlando. Il percorso, in ogni caso, è iniziato e chissà che, da Palermo, l'idea di camminare insieme a sinistra non si estenda anche altrove... 

venerdì 20 gennaio 2017

Come far nascere un simbolo... a Mercatello sul Metauro (di Tommaso Gentili)

Di storie "simboliche" da raccontare ce ne sono tante: tutte queste hanno un loro valore, nessuna ne è priva. Ho cercato di dimostrarlo negli anni, raccontando anche tante vicende all'apparenza "minori", dando loro spazio e non certo solo come "tappabuchi", come riempitivo per i giorni in cui i partiti e i politici nazionali non inventano nulla di interessante. Certo, io posso limitarmi a raccontare quello che vedo e quello che altri hanno scritto in Rete o mi hanno trasmesso; ognuno, però, se vuole, può raccontare la sua storia. 
Oggi lascio la parola a Tommaso Gentili, lettore di questo sito, che mi aveva scritto per suggerirmi un argomento e mi disse di aver conosciuto I simboli della discordia quando era toccato a lui elaborare un emblema per le elezioni amministrative al suo paese, in provincia di Pesaro e Urbino. Incuriosito, gli ho proposto di raccontare direttamente quella storia: lui ha accettato, dunque eccoci qui a leggere di quell'avventura...

Nel 2014 il piccolo paese di Mercatello sul Metauro fu chiamato alle urne per il rinnovo di sindaco e consiglio comunale, arrivati a naturale scadenza. Per la prima volta accadde di vedere ben tre liste in campo per un paese di appena 1400 abitanti. Ciò accadde perché un membro dell’amministrazione uscente aveva deciso di prendere una strada autonoma proponendo una propria lista.

Io ero entrato nella consiliatura uscente a metà mandato, sui banchi dell'opposizione. In quel momento ero studente fuori sede a Firenze, a oltre due ore di auto, sebbene tornassi a casa ogni weekend. Non vedendo possibilità migliori, decisi di candidarmi a sindaco con una lista civica incentrata su ambiente e beni comuni, ma senza iscritti a partiti, per avere maggior libertà decisionale. 

Il nome della lista, Mercatello Insieme, fu deciso dalle prime persone che aderirono alla lista. A me toccò l’onere e l’onore della scelta del simbolo. L’idea fu semplice e quasi immediata: dimostrare che, in caso di vittoria, tutte le decisioni dell’amministrazione sarebbero state prese nel palazzo comunale, senza ingerenze partitiche o di altro tipo. Il palazzo municipale sarebbe stato il simbolo della lista: un edificio simmetrico costruito alla fine del 1800, per la cui costruzione (assieme a quella dell’antistante piazza) vennero abbattuti una serie di edifici, tra i quali la casa del padre di Ferruccio Parri. 
Ma come rappresentare il palazzo comunale? A questo punto mi venne in aiuto Marco Bartolucci, grafico e architetto, nonché mio compaesano e coinquilino durante gli anni degli studi di architettura a Firenze, che mise giù un disegno stilizzato del municipio. L’idea era quella di creare una sorta di 3D dell’edificio e Marco riuscì a dare profondità al simbolo ponendolo leggermente di traverso e sfalsando le ombre create dalle volte dell’edificio, portandole più avanti rispetto allo stesso. 
Prima bozza del simbolo

La scelta dei colori fu un rimando allo stemma comunale rosso e blu, sebbene con tonalità diverse. Scelsi un rosso pompeiano (come riportato anche nella descrizione del simbolo durante la presentazione delle liste) e un blu, con tonalità tendenti all'azzurro e al viola, per il tetto (molto “alternativo” a dire il vero. Dietro al palazzo due colline verdi, o per meglio dire, due piccole montagne, visto che stiamo nel cuore dell’Appennino, per ribadire la centralità dell’ambiente. 
La font invece fu abbastanza classica, per dare un tono rasserenante al simbolo.
Il giorno delle elezioni mi accorsi che la scheda elettorale era blu anziché celeste. Aggiungendo a ciò il fatto che il simbolo fosse stato stampato più scuro di quanto previsto, risultò meno appariscente degli altri due, ma di sicuro non fu per questo che perdemmo.
Tommaso Gentili

mercoledì 18 gennaio 2017

Una nuova Idea (con nuovo simbolo) per far ripartire il centrodestra

Il 13 gennaio, dunque cinque giorni fa, si può dire che abbia rappresentato un nuovo inizio per Idea, la formazione voluta e guidata da Gaetano Quagliariello. Si dovrebbe votare nel 2018, ma il partito non può certo pensare di limitarsi ai parlamentari su cui ora può contare (oltre all'ex ministro per le riforme, Carlo Giovanardi, Eugenia Roccella, Andrea Augello, Luigi Compagna, Guglielmo Vaccaro e Vincenzo Piso), senza cercare di mettere radici nei territori. Poteva cercare di aprire circoli o sezioni città per città; ha invece preferito cercare di coinvolgere nel progetto gruppi già esistenti e presenti nelle istituzioni locali, cercando di preparare così la propria presenza in tutta l'Italia. Nell'incontro tenuto nella sala del Refettorio - nel palazzo che ospita la biblioteca della Camera - e nei giorni successivi, Quagliariello al momento sarebbe riuscito a raccogliere una cinquantina di movimenti, liste civiche e associazioni territoriali, con oltre 300 amministratori locali sparsi in tutte le regioni, tranne Valle d'Aosta e Liguria.  
Quello concluso nei giorni scorsi è stato qualificato come un "patto di federazione" con Idea: i soggetti locali, in particolare, manterrebbero "a livello territoriale tutta la loro autonomia - ha spiegato Quagliariello - devolvendo a un vertice comune la loro rappresentanza nonché la ricerca di una più ampia politica di alleanze". Alcuni dei gruppi che hanno risposto all'appello di Idea sono particolarmente nutriti: è il caso, ad esempio, di Cuori italiani, progetto politico legato ad Andrea Augello che propone nel simbolo il tricolore formato dai tre cuori stilizzati e che, al momento, nel Lazio può contare addirittura su circa 150 amministratori, decisamente la compagine più grande.
Non va comunque sottovalutato l'apporto di altri soggetti politici. Eloquente è l'esempio di Noi Centro, formazione legata a Massimo Ferrarese, ex presidente della provincia di Brindisi, alla quale si riconduce pure l’attuale sindaca della stessa città, Angela Carluccio. Il partito è stato fondato nel 2010 - nato "dall'esigenza - si legge nel sito - di dare una risposta ai bisogni di un Sud ed una Italia in difficoltà" e con lo sguardo volto "verso il Partito della Nazione, la grande forza che dal centro condurrà l’Italia verso un domani migliore" - e si distingue graficamente con un sole senza raggi, che sorge da un mare piuttosto placido (setting poco socialdemocratico quindi); l'emblema denota una certa cura grafica (si vede anche, per dire, un uso studiato delle luci e dei riflessi, come se l'emblema fosse coperto da un vetro). 
Tra gli emblemi che da qui in avanti faranno riferimento a Idea, anche Verona domani, formazione guidata dal consigliere regionale Stefano Casali, già capogruppo in Regione legato a Flavio Tosi, ma allontanatosi dall'attuale sindaco di Verona e probabile aspirante sindaco nella stessa città. L'emblema scelto dalla formazione è dominato dal Ponte Pietra, un segno evidente del territorio veronese, così come sono scaligeri i colori giallo e blu; decisamente originale è un particolare della grafica attualmente in uso, che "ripiega" all'indietro una parte della circonferenza per creare la V di "Verona" (una soluzione certamente interessante, che però non potrebbe essere ripresa in un contrassegno elettorale, dovendo il cerchio comprendere tutti gli elementi). 
Non va lasciato da parte nemmeno Umbria Next, movimento guidato dal consigliere regionale Sergio De Vincenzi, nato il 4 dicembre 2015 e diffusosi via via in tutta la regione. La prima assemblea regionale, tenutasi il 14 gennaio 2017, giusto il giorno dopo l'incontro romano di Quagliariello, è servita appunto ad aderire al patto federativo con Idea, "nell'ottica del rispetto dell'autonomia locale e di un'alternativa cristianamente laica e liberale alla sinistra". Una curiosità: accanto all'emblema (poco originale, con un romboide verde e due bande rosse su fondo bianco e all'interno di una spessa circonferenza blu) non si può non notare la sigla TM, che starebbe per marchio registrato; in effetti, però, cercando nel database dei marchi si scopre che la richiesta di registrazione riguarda solo il nome e, in ogni caso, la domanda risulta "registrabile", senza che il titolo sia stato rilasciato.
L'idea (anzi, Idea) di Quagliariello era di mettere in campo il suo piccolo partito "per coltivare la grande ambizione di contribuire alla costruzione di un forte e ampio partito di centrodestra", sperando di riuscire a mettere in piedi una coalizione "che ambisca a governare questo Paese, nella chiarezza del confronto e nella ricerca di sintesi comuni", mentre continuare ad avere un centrodestra diviso tra particolarismi porrebbe "le premesse perché si ripeta ciò che accadde a Weimar, laddove le cosiddette forze centrali non avevano insieme la maggioranza del Paese e le estreme erano tra loro incoalizionabili".
E mentre il partito si prepara alle assemblee provinciali (da svolgersi dopo il 31 marzo, almeno nelle province in cui sarà stato raggiunto "il numero previsto di iscritti secondo un criterio legato alla popolazione territoriale"), qualcuno si è reso conto che il simbolo era già cambiato da alcune settimane, all'incirca dalla metà dello scorso dicembre. Via il nome "Identità e azione", è rimasta solo la sigla, sempre arancione, tranne che per la "e", bianca sul nuovo fondo blu scuro, ma sempre minuscola: continua infatti a fare da congiunzione, stavolta nell'espressione Popolo e libertà. A prima vista sembrerebbe una riedizione (senza tricolore) del Pdl berlusconiano, in cui ha militato lo stesso Quagliariello; riflettendoci un po', in realtà, il ritocco sembra piuttosto un modo per dare maggiore visibilità all'esperienza dei Popolari liberali di Carlo Giovanardi (anch'egli ex Pdl), che dunque avrebbero pari dignità grafica all'interno dell'emblema.
Nel frattempo, però, chi ha buona memoria potrebbe anche ricordare che la parola "Idea" ben in vista in un emblema - peraltro a fondo blu - c'era già stata. Bisogna tornare indietro al 2010, quando alle elezioni regionali del Veneto a sostegno di Giuseppe Bortolussi era stata presentata anche una lista "verde": il sole che ride (in quel caso rosso a fondo giallo, con la scritta "Nucleare? No, grazie" che riprendeva quella delle origini) era stato piazzato su un cerchio color carta da zucchero con la parola "idea" tutta minuscola, piuttosto visibile. In quel caso la sigla significava "Italia democratica etica ambientalista"; ironia della sorte, nella stessa tornata elettorale Idea era apparsa anche in Basilicata, ma in quel caso era acronimo di "Insieme democrazia economia ambiente". L'Idea di Quagliariello, insomma, non era proprio nuovissima, ma è stato fortunato, perché nessuno se n'era accorto...