Che da un po' di tempo a questa parte i simboli dei partiti abbiano iniziato a sparire dalle schede delle elezioni amministrative è ormai un fatto: l'estate scorsa, in un suo articolo per la Repubblica, Tommaso Ciriaco aveva notato che la percentuale di comuni al voto solo con liste civiche, senza nemmeno un emblema di partito, era pari al 65,2%. Nelle città più grandi il fenomeno è ovviamente più raro, ma non poteva non destare scalpore l'eventualità che a Palermo il Partito democratico potesse valutare realisticamente l'ipotesi di presentare una lista, senza però schierare il proprio contrassegno tradizionale.
Le ragioni per una scelta tanto drastica sembrano essere essenzialmente due: da una parte l'incapacità di mettere in campo un proprio candidato credibile e realisticamente in grado di vincere, dall'altra la possibilità tutt'altro che remota di sostenere (anche se i rapporti in passato sono stati tutt'altro che buoni) la ricandidatura di Leoluca Orlando, il quale però non avrebbe gradito vedere il simbolo della accanto a quelli della sua coalizione che si sta via via delineando.
A mettere sul tavolo concretamente la possibilità di lasciare da parte il simbolo è stato, il 16 gennaio, addirittura il sottosegretario Davide Faraone, con una sua dichiarazione difficile da equivocare: "Il dialogo [con Orlando] è in corso, ma non deve sbocciare per forza. Potrebbe anche interrompersi, tutto può accadere. Al momento è un percorso avviato. Ma non dobbiamo rischiare di fare accadere ciò che è successo a Torino, ecco perché dobbiamo vincere con un unico candidato con il 40,1 per cento. La forza principale del centrosinistra ha il dovere di costruire un percorso unitario, anche rinunciando a qualcosa". A chi gli chiedeva se questo qualcosa potesse essere il logo dem, Faraone ha risposto: "Non è un problema di simboli, a noi interessa presentare alle amministrative di Palermo un unico candidato del centrosinistra perché vogliamo vincere, non possiamo lasciare Palermo ai Cinque stelle, dobbiamo lasciare da parte gli egoismi".
L'ipotesi di sostenere Orlando senza il proprio marchio politico, tuttavia, ha provocato un'alzata di scudi da parte di persone di rilievo all'interno del partito, così come all'interno della base. Tra i primi a mettersi di traverso, il deputato palermitano dem Giuseppe Lauricella che, senza mai fare il nome di Faraone o di altre persone a lui vicine, non ha usato mezzi termini: "Pensare di trovare a Palermo un accordo di centrosinistra senza presentare il simbolo del Pd sarebbe un atto di resa, oltre che di mortificazione, per un partito che rappresenta la forza politica maggiore nazionale. Certamente, non sarebbe quel modello di cui alcuni dirigenti Pd artatamente parlano, da proporre in seguito a livello regionale e nazionale, perché non credo che alle prossime elezioni regionali e tanto meno alle prossime nazionali il Pd possa presentarsi senza simbolo; in realtà, qualcuno sta barattando il simbolo Pd con spazi politici personali nella futura amministrazione comunale di Palermo. Purtroppo, sono gli stessi che si candidano a rappresentare il Pd e i siciliani alle prossime elezioni regionali".
Che si rischi lo scollamento tra partito ed elettorato, come teme Lauricella, lo dimostrerebbe la "lettera aperta" che ieri un gruppo di dem palermitani - #orgogliopd, primi firmatari Fabio Teresi, Carmelo Greco, Antonio Ferrante, Federica Tarantino e Ruggero D'Amico - ha deciso di inviare al segretario Matteo Renzi:
Caro Segretario, ti scriviamo questa lettera aperta perchè crediamo che in un momento così difficile per il nostro partito che si appresta ad affrontare le amministrative di Palermo, anche un tuo diretto intervento sia necessario perchè il Pd possa giocare un ruolo da protagonista e così ripartire da una delle più importanti città del Sud Italia. Essere militanti del Pd per noi significa mettere la faccia sempre e comunque, soprattutto nei momenti più difficili dove il nostro orgoglio e il nostro spirito di appartenenza e l’amore per la nostra città devono prevalere su ogni tatticismo o interesse di parte. Per questa ragione siamo intervenuti pubblicamente per rivendicare la necessità che il Pd si presentasse con il proprio simbolo senza abdicare ad un "civismo senza anima" in nome dell'unità del centrosinistra. Da attivisti impegnati da anni per la nostra città siamo consapevoli dell’importanza di unire le forze che con noi condividono gli ideali del riformismo provando a ricomporre il centrosinistra e costruire un campo largo capace di frenare l'avanzata populista o di un centrodestra che nella nostra città ha lasciato ferite di mal governo assai profonde. Ma il raggiungimento di tali obiettivi non può passare dal progressivo smantellamento di quello che dovrebbe essere il partito aggregante della coalizione e che oggi invece,nella quinta città d’Italia, viene considerato mero comprimario o addirittura scomoda zavorra. [...] Va bene il centro sinistra allargato ai moderati, va bene Leoluca Orlando ma tutto ciò con il rispetto che la più grande forza politica del paese merita. Chi sceglie di lottare può vincere o perdere, chi si arrende o si nasconde semplicemente ha fallito e non sarà mai in grado di cambiare davvero le cose. E noi vogliamo cambiarle.
E che quella del simbolo a Palermo rischi di diventare una questione nazionale lo dimostra la dichiarazione di oggi di Enrico Rossi, presidente della regione Toscana, ma soprattutto autocandidatosi da tempo alla segreteria del Pd: "Secondo me hanno ragione gli amici e i compagni che chiedono di non rinunciare al simbolo del Pd alle prossime elezioni di primavera per il Comune. Senza il nostro simbolo in una delle più importanti città italiane questo progetto, che considero fondamentale per il Paese, subirebbe un colpo significativo. Il simbolo è ciò che tiene insieme e unisce una comunità. Rinunciarvi sarebbe a mio parere un gesto suicida e per tanti compagni e amici anche fuori dalla Sicilia un'ulteriore umiliazione, che rischia di portare acqua solo al mulino dell'antipolitica e della retorica anti partito come origine di tutti i mali". Per Rossi Orlando, persona degna di stima, potrebbe porre condizioni sul programma, sugli ideali da perseguire e sulle qualità dei candidati, ma non sui simboli da mostrare; d'altra parte, il presidente della Toscana non condivide neppure "coloro che nel Pd con troppa facilità sostengono che l'importante è vincere e che i simboli vengono dopo. Noi abbiamo bisogno di un partito popolare e strutturato, con una forte identità, un radicamento saldo tra i ceti popolari e un programma di cambiamento per Palermo, per la Sicilia e per il Paese". Come dire: i simboli non si toccano e non si accantonano al bisogno, casomai bisogna essere degni di portarli.
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