Il mese che inizia domani, per chi non ha mai accettato di doversi definire "ex democristiano", dovrebbe essere quello decisivo: l'appuntamento del 25 e 26 febbraio, con l'assemblea dei soci della Democrazia cristiana convocata presso l'hotel Ergife a Roma, è sempre più vicino. E mentre le prime lettere di convocazione sono già arrivate a destinazione, si comincia a sapere di più sulla struttura che dovrebbe avere quell'assemblea, di cui fino a pochi giorni fa era noto essenzialmente l'ordine del giorno. A dare maggiori delucidazioni è soprattutto un messaggio diffuso via e-mail da Nino Luciani, il primo firmatario della richiesta di (auto)convocazione dell'assemblea, designato dal Tribunale di Roma affinché provvedesse a tutte le operazioni necessarie.
Il passaggio cruciale è certamente l'elezione del presidente dell'associazione, colui al quale spetterà la guida (e la rappresentanza) della Dc, nonché la disponibilità - almeno teorica - del vecchio simbiolo dello scudo crociato: guida, la sua, che proseguirà (almeno) fino alla riunione successiva degli associati, in cui è prevista la modifica dello statuto (ma se ne riparlerà). La scelta del presidente è appunto il secondo punto all'ordine del giorno, anche se, curiosamente, lì non si parla di "elezione", ma di "nomina" (e altrettanto faceva il decreto con cui il giudice ha disposto la convocazione dell'assemblea, ma solo perché all'origine erano stati gli stessi ricorrenti a usare quella formula, nell'ordine del giorno da loro proposto); in più, rispetto all'ordine del giorno citato nel dispositivo del tribunale, la convocazione spedita da Luciani ai soci parla anche di scelta del vicepresidente dell'associazione.
In occasione dell'incontro preparatorio - già citato nei giorni scorsi - che si è svolto a Bologna il 21 gennaio, Luciani avrebbe illustrato meglio come operativamente dovrebbe avvenire l'elezione del presidente. Innanzitutto questa avverrebbe "applicando l'art. 21, comma 1 del codice civile" (il che significa decidere a maggioranza e, visto che probabilmente il voto avverrà in seconda convocazione dell'assemblea - stante l'improbabilità che alle 21 di sabato all'Ergife di Roma si trovino oltre 870 soci - la decisione sarebbe valida a prescindere dal numero dei partecipanti).
Sempre Luciani ha dato conto di uno schema di regolamento per il voto (si suppone steso da lui o in suo nome, in qualità di soggetto delegato all'organizzazione dell'assemblea) che prevede una prima fase di "indicazione libera (e segreta) di candidature, da parte di tutti, su un foglio", con la precisazione che ognuno "può scrivere un nome solo, anche il proprio"; subito dopo inizierebbero le votazioni per la presidenza. Al primo scrutinio occorrerebbe la maggioranza assoluta dei voti (anche se probabilmente non ci si riferisce alla metà più uno degli iscritti, ma semplicemente al 50% + 1 dei votanti); se nessuno raggiungesse quella quota, alla seconda votazione sarebbero in lizza i cinque candidati più votati in prima battuta e si dovrebbe ottenere "la maggioranza" (anche qui il 50% + 1? O basta la maggioranza relativa, purché non ci sia un pareggio tra i due più votati?); un eventuale, nuovo esito negativo porterebbe all'ultimo voto, un ballottaggio tra i due più votati al secondo turno.
Il presidente così eletto dovrebbe restare in carica "fino al Congresso, previsto per maggio 2017". Nel mezzo, però, dovrebbe svolgersi - probabilmente in aprile - un'altra assemblea degli iscritti, questa volta per approvare il nuovo statuto, a norma dell'art. 21 comma 2 del codice civile (essendo però necessaria la presenza dei tre quarti dei soci per rendere valido il voto per lo statuto; applicare in questo momento proprio lo statuto della Dc, peraltro, sarebbe quasi impossibile, visto che l'art. 135 dello stesso statuto affida il compito della modifica al "Congresso nazionale del partito a maggioranza assoluta dei voti dei rappresentati" e in questo momento la via della convocazione del congresso in base allo statuto vigente è del tutto impraticabile).
Sempre Luciani ha dato conto di uno schema di regolamento per il voto (si suppone steso da lui o in suo nome, in qualità di soggetto delegato all'organizzazione dell'assemblea) che prevede una prima fase di "indicazione libera (e segreta) di candidature, da parte di tutti, su un foglio", con la precisazione che ognuno "può scrivere un nome solo, anche il proprio"; subito dopo inizierebbero le votazioni per la presidenza. Al primo scrutinio occorrerebbe la maggioranza assoluta dei voti (anche se probabilmente non ci si riferisce alla metà più uno degli iscritti, ma semplicemente al 50% + 1 dei votanti); se nessuno raggiungesse quella quota, alla seconda votazione sarebbero in lizza i cinque candidati più votati in prima battuta e si dovrebbe ottenere "la maggioranza" (anche qui il 50% + 1? O basta la maggioranza relativa, purché non ci sia un pareggio tra i due più votati?); un eventuale, nuovo esito negativo porterebbe all'ultimo voto, un ballottaggio tra i due più votati al secondo turno.
Il presidente così eletto dovrebbe restare in carica "fino al Congresso, previsto per maggio 2017". Nel mezzo, però, dovrebbe svolgersi - probabilmente in aprile - un'altra assemblea degli iscritti, questa volta per approvare il nuovo statuto, a norma dell'art. 21 comma 2 del codice civile (essendo però necessaria la presenza dei tre quarti dei soci per rendere valido il voto per lo statuto; applicare in questo momento proprio lo statuto della Dc, peraltro, sarebbe quasi impossibile, visto che l'art. 135 dello stesso statuto affida il compito della modifica al "Congresso nazionale del partito a maggioranza assoluta dei voti dei rappresentati" e in questo momento la via della convocazione del congresso in base allo statuto vigente è del tutto impraticabile).
Benché una bozza di statuto già circoli, Luciani avrebbe fatto la proposta di un lavoro in due fasi: prima la formazione di "una commissione interna di esperti per concordare alcune linee guida del partito", poi la nomina di "un Coordinamento composto dai rappresentanti di tutti i partiti e gruppi della diaspora, che desiderano rientrare". Il tutto, peraltro, dovrebbe avere tempi brevissimi: il congresso, come si diceva, è stato previsto per maggio, anche se naturalmente i programmi potrebbero cambiare; quell'assise, in ogni caso, segnerebbe la fine della fase transitoria inaugurata con il decreto del tribunale e darebbe alla rianimata Dc nuovi dirigenti nazionali, per poi arrivare all'indicazione di quelli locali.
Un percorso di questo tipo servirebbe a riportare la Democrazia cristiana sulla scena politica e a riorganizzarla, non certo a scioglierla: ancora ieri Nino Luciani si premurava di rispondere, in replica a chi domandava se l'assemblea di fine febbraio servisse a "ratificare la nomina del liquidatore" della Dc, che si trattava "di tutt'altro". Per capire a chi toccherà gestire la fase transitoria bisognerà aspettare il 26 febbraio, anche se per la presidenza restano in campo alcune proposte di nomi, compreso quello - che starebbe riprendendo quota rispetto ai giorni scorsi - di Gianni Fontana, anche per riannodare in qualche modo i fili del tentativo di risvegliare la Dc messo in atto nel 2012: proprio Fontana, a novembre, era diventato segretario nel XIX congresso (il cui elenco di iscritti è stato utilizzato ora per far convocare l'assemblea), almeno fino a quando il Tribunale di Roma ha prima sospeso, poi dichiarato nullo quel congresso e anche il consiglio nazionale di fine marzo 2012 da cui il tentativo era ripartito.
Nomi a parte, sarà interessante vedere in che clima si svolgerà l'assemblea all'Ergife, fin dal suo insediamento: l'apertura toccherà certamente a Luciani, come soggetto designato dal Tribunale di Roma "a presiedere detta assemblea". Vista la formula usata dal giudice, potrebbe essere proprio lui il "presidente pro tempore della riunione" di cui parla l'ordine del giorno (motivo per cui Luciani nella convocazione ha aggiunto, rispetto al primo punto enunciato dal Tribunale, la "presa d'atto che a tale funzione di presidente il decreto del Tribunale ha designato il prof. Luciani", anche se non è chiaro se egli immagini una presa d'atto del solo presidente provvisorio o dell'intera assemblea); non manca però chi pensa che a Luciani toccherebbe solo l'apertura, con la nomina del presidente pro tempore da parte sua (potendo nominare, ovviamente, anche se stesso) o almeno la sua proposta di un nome, poi rimesso al voto dell'assemblea. Di certo, quel ruolo sarebbe decisamente marginale, rispetto a quello del presidente che uscirebbe dall'assemblea: toccherà a lui, infatti, cercare di rianimare lo scudo crociato ed, eventualmente, reagire a chi dovesse mettersi di traverso con qualche azione giudiziaria.
Un percorso di questo tipo servirebbe a riportare la Democrazia cristiana sulla scena politica e a riorganizzarla, non certo a scioglierla: ancora ieri Nino Luciani si premurava di rispondere, in replica a chi domandava se l'assemblea di fine febbraio servisse a "ratificare la nomina del liquidatore" della Dc, che si trattava "di tutt'altro". Per capire a chi toccherà gestire la fase transitoria bisognerà aspettare il 26 febbraio, anche se per la presidenza restano in campo alcune proposte di nomi, compreso quello - che starebbe riprendendo quota rispetto ai giorni scorsi - di Gianni Fontana, anche per riannodare in qualche modo i fili del tentativo di risvegliare la Dc messo in atto nel 2012: proprio Fontana, a novembre, era diventato segretario nel XIX congresso (il cui elenco di iscritti è stato utilizzato ora per far convocare l'assemblea), almeno fino a quando il Tribunale di Roma ha prima sospeso, poi dichiarato nullo quel congresso e anche il consiglio nazionale di fine marzo 2012 da cui il tentativo era ripartito.
Nomi a parte, sarà interessante vedere in che clima si svolgerà l'assemblea all'Ergife, fin dal suo insediamento: l'apertura toccherà certamente a Luciani, come soggetto designato dal Tribunale di Roma "a presiedere detta assemblea". Vista la formula usata dal giudice, potrebbe essere proprio lui il "presidente pro tempore della riunione" di cui parla l'ordine del giorno (motivo per cui Luciani nella convocazione ha aggiunto, rispetto al primo punto enunciato dal Tribunale, la "presa d'atto che a tale funzione di presidente il decreto del Tribunale ha designato il prof. Luciani", anche se non è chiaro se egli immagini una presa d'atto del solo presidente provvisorio o dell'intera assemblea); non manca però chi pensa che a Luciani toccherebbe solo l'apertura, con la nomina del presidente pro tempore da parte sua (potendo nominare, ovviamente, anche se stesso) o almeno la sua proposta di un nome, poi rimesso al voto dell'assemblea. Di certo, quel ruolo sarebbe decisamente marginale, rispetto a quello del presidente che uscirebbe dall'assemblea: toccherà a lui, infatti, cercare di rianimare lo scudo crociato ed, eventualmente, reagire a chi dovesse mettersi di traverso con qualche azione giudiziaria.
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