"Quella del centrosinistra unito non penso sia un'esperienza irripetibile. Non penso sia irripetibile, soprattutto dopo quello che sta succedendo. Io vedo che la gente ha bisogno di sentirsi unita in questo mondo che si disgrega, con Trump, con la Brexit, con le crepe che arrivano dappertutto. Io vedo che c'è un naturale desiderio di riunirsi ma è uno sforzo che non mi sembra impossibile". Sono bastate queste parole di Romano Prodi, tre giorni fa, nella sua Bologna, per far parlare da più parti di un possibile Ulivo 2.0: lo ha evocato il vicesegretario dem Lorenzo Guerini, unitamente al ventilato ritorno alla "legge Mattarella" ("Il Pd ritiene il Mattarellum lo strumento migliore per corrispondere alla sfida dell'Ulivo") e lo ha auspicato Pier Luigi Bersani, ritenendo che quelle siano "parole sacrosante e che sia l'ora, per chiunque la pensi così, di metterci impegno e generosità".
A dispetto di questa dichiarata coincidenza d'intenti, tuttavia, ciascuna delle due parti del Partito democratico sembra leggere l'orizzonte dell'Ulivo a modo suo: così, se per Roberto Speranza l'unità del centrosinistra si può perseguire se si rimette al centro la questione sociale e si archivia "la stagione dell'uomo solo al comando", non mancano gli interventi di chi ritiene che il disegno (neo)ulivista dei cosiddetti "nemici di Matteo Renzi" rappresenti un passo indietro rispetto a quanto già c'è, decisamente da evitare. L'ultimo in ordine di tempo è Fabrizio Rondolino, che oggi sul sito dell'Unità ha aperto con convinzione un suo articolo con queste parole: "L'Ulivo esiste già, e si chiama Partito democratico".
In quel commento, il giornalista ricorda come lo stesso Manifesto dei valori del Pd, approvato all'inizio del 2008, dicesse con chiarezza che il partito rappresentava "lo sviluppo e la realizzazione dell’Ulivo, come soggetto e progetto di centrosinistra nel quadro di un bipolarismo maturo", ma lo faceva impegnandosi a costruire "un bipolarismo nuovo, fondato su chiare alleanze per il governo e non più su coalizioni eterogenee, il cui solo obiettivo sia battere l’avversario". Certamente qualcosa di diverso da quello che fu l'Unione del 2006, che fece vincere di nuovo Prodi "salvo poi sfarinarsi in meno di due anni", come dice correttamente Rondolino.
Non si può dire però che l'Ulivo del 1996 fosse davvero eterogeneo. Il primo governo Prodi cadde col ritiro della fiducia di Rifondazione comunista, ma questa non faceva parte del "progetto Ulivo": al massimo il noto accordo di desistenza con Bertinotti può far parlare di carenza di "chiare alleanze per il governo". Era invece molto più promettente il rapporto tra i due principali attori dell'Ulivo, il Partito democratico della sinistra e il Partito popolare italiano (assieme ai "prodiani doc" dell'associazione L'Ulivo - I Democratici: non a caso, la legale rappresentanza della coalizione e ogni decisione sull'uso del simbolo era affidata congiuntamente a Stefano Ceccanti per i prodiani, Giovanni Lorenzo Simula per il Pds e Nicodemo Oliverio per il Ppi): benché si guardassero ancora un po' (troppo) con sospetto tra loro, gli eredi diretti di Pci e Dc avevano già intuito che le loro "grandi tradizioni" erano inadeguate "da sole, a costituire un nuovo quadro politico di riferimento", mentre insieme avrebbero potuto "elaborare una visione condivisa del mondo, costruendo su questa base il progetto di una nuova Italia". Le parole vengono ancora dal Manifesto dei valori del Pd, ma potevano applicarsi già agli sforzi fatti nel 1996, benché allora non si pensasse a costruire una nuova casa comune duratura.
L'Ulivo alle politiche del 1996 |
Tornando a Rondolino, per lui "il Pd nasce per dare forma e continuità politica" all'esperienza dell'Ulivo, "eliminandone tuttavia gli aspetti più critici (a cominciare dalla frammentazione esasperata), e ancorandosi saldamente nella democrazia del maggioritario", mentre i nemici di Renzi sembrerebbero voler costruire qualcosa che somiglia molto al contrario dell'Ulivo, alludendo "a tutto ciò che ha contribuito al fallimento di quell'esperienza, e che è stato giustamente messo da parte proprio con la nascita del Pd: la frammentazione esasperata del quadro politico, il moltiplicarsi dei 'cespugli', le 'coalizioni omnibus' che prendono i voti ma non riescono a governare, la debolezza di un leader senza partito prigioniero dei partiti che lo sostengono, una certa aria di proporzionale, le sante alleanze contro qualcuno (ieri Berlusconi, oggi Grillo) anziché per il Paese, e una cronica, strutturale incapacità a decidere per via dei veti reciproci".
Tutto ciò per Rondolino va evitato, così a maggior ragione non serve creare un nuovo Ulivo, perché ci sarebbe già. E per sostenere la coincidenza tra Ulivo (2.0?) e Pd, il giornalista suggerisce di dare "uno sguardo al simbolo per averne contezza: il ramoscello che fa capolino fra 'Partito' e 'Democratico' è lo stesso che adornava il simbolo della coalizione guidata da Romano Prodi nel 1996". Il problema, però, sta proprio in questo. Dimentica forse Rondolino che già alla fine del 2013 Andrea Rauch, il creativo che nel 1995 aveva disegnato il simbolo dell'Ulivo (a partire da un rametto di una pianta di casa sua), aveva scritto a Matteo Renzi chiedendogli di togliere dall'emblema del Pd concepito da Nicola Storto il vecchio ramo d'ulivo: questo soprattutto perché rappresentava un elemento di disturbo di pochi millimetri sula scheda elettorale, ma anche perché "Il Partito democratico di oggi è molto diverso dall'Ulivo del 1996 per intenti, strategia, programmi". A distanza di qualche anno, lo scorso giugno, Rauch ha ribadito su questo blog il suo pensiero, segno che evidentemente - a dispetto di quanto detto da Rondolino - tutta questa coincidenza tra Pd e Ulivo non c'è e non basta la permanenza del rametto nel simbolo a garantirla.
Tutto ciò per Rondolino va evitato, così a maggior ragione non serve creare un nuovo Ulivo, perché ci sarebbe già. E per sostenere la coincidenza tra Ulivo (2.0?) e Pd, il giornalista suggerisce di dare "uno sguardo al simbolo per averne contezza: il ramoscello che fa capolino fra 'Partito' e 'Democratico' è lo stesso che adornava il simbolo della coalizione guidata da Romano Prodi nel 1996". Il problema, però, sta proprio in questo. Dimentica forse Rondolino che già alla fine del 2013 Andrea Rauch, il creativo che nel 1995 aveva disegnato il simbolo dell'Ulivo (a partire da un rametto di una pianta di casa sua), aveva scritto a Matteo Renzi chiedendogli di togliere dall'emblema del Pd concepito da Nicola Storto il vecchio ramo d'ulivo: questo soprattutto perché rappresentava un elemento di disturbo di pochi millimetri sula scheda elettorale, ma anche perché "Il Partito democratico di oggi è molto diverso dall'Ulivo del 1996 per intenti, strategia, programmi". A distanza di qualche anno, lo scorso giugno, Rauch ha ribadito su questo blog il suo pensiero, segno che evidentemente - a dispetto di quanto detto da Rondolino - tutta questa coincidenza tra Pd e Ulivo non c'è e non basta la permanenza del rametto nel simbolo a garantirla.
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