sabato 1 aprile 2017

Energie per l'Italia, varo senza simbolo (che non serve subito)

Era lecito aspettarsi uno scatto simbolico proprio oggi, che si compiva il primo vero atto politico del percorso di Stefano Parisi. Invece niente: chi si è trovato nella sala Leptis Magna dell'hotel Ergife a Roma - la stessa che poco più di un mese fa ospitò il tentativo di risvegliare la Democrazia cristiana, ma con molta più gente - ha assistito al lancio - dopo i primi passi iniziati a settembre - di Energie per l'Italia, ha visto una lunga sfilata di soggetti e a un'affollatissima foto di gruppo finale, ma non è stato lanciato alcun simbolo similelettorale.
L'ex candidato sindaco di Milano ha iniziato con orgoglio ("Hanno detto che non c'eravamo più da novembre, Parisi non c'è più, invece siamo tanti"), rivendicando l'impegno di molti, sottovoce, per mesi ("un lavoro enorme, duro, intenso ed emozionante, che ha dato un risultato straordinario"): lo scopo è mettere in piedi non un partito, ma una comunità, un popolo ("e non la società civile della sinistra") che ricostruisca un rapporto sano con la politica, oggi del tutto assente ("Siamo stati abbandonati nelle scuole, dalla giustizia, sulla nostra sicurezza, hanno abbandonato e nostre città, le nostre famiglie, le nostre imprese"). 
La politica per Parisi dev'essere improntata alla dignità, all'onestà e al "saper fare", non alla povertà a ogni costo ("Basta con questo schifo di populismo: la politica deve essere sobria, ma la democrazia costa"). Una politica che deve reagire in fretta perché "siamo sull'orlo di un baratro gravissimo", tutto è peggiorato rispetto a vent'anni fa, l'economia non cresce, la burocrazia è un inferno perché i burocrati sono mediocri, arroganti e sospettosi. 
Per il leader di Energie per l'Italia c'è bisogno di "liberare il Paese dalla retorica della comunicazione, della narrazione", inaugurata dalla sinistra e adottata dal centrodestra. Perché il problema è lì: "Non ho ascoltato una Destra liberale in grado di contrapporre uno stile, un modo di fare politica; a metà degli anni '90 era nata un grande aspettativa - con Berlusconi, ndb - ma poi si è omologata, senza più la capacità di prendere decisioni vere". 
L'ex city manager milanese ne è convinto: "la crescita non la fa la spesa pubblica, ma l'energia che c'è nel Paese e dev'essere liberata". E la soluzione non è uscire dall'euro, cosa che per Parisi avrebbe effetti negativi; il problema, casomai, è il debito pubblico creato negli anni, insostenibile e limitativo della libertà dell'Italia. Parole d'ordine del nuovo corso auspicato da Parisi sono sviluppo e sicurezza: questi però passano attraverso una liberazione dalla burocrazia, dalla spesa pubblica, dal costo dell'amministrazione pubblica, da una scuola e un'università che non sanno dare qualità e non insegnano a lavorare, da un fisco inutilmente oppressivo, dall'odio verso chi ha successo, magari anche dallo Statuto dei lavoratori "per difendere il lavoro, non i garantiti dalla Cgil" e da un'Europa inefficace.
Parisi si è educatamente e fermamente candidato a incarnare tutto ciò, perché "quella realtà nata nel 1994 oggi si sta spengendo (sic), perché non ha avuto la capacità di rigenerarsi", chiaro riferimento a Forza Italia. Non ama il sistema maggioritario ("E' antidemocratico, ci ha costretti a votare per realtà in cui non ci si riconosceva") e preferisce il proporzionale, "nell'ambito del quale prima o poi noi saremo una grande forza". Il suo disegno Parisi lo dice apertamente: "Facciamo una grande costituente, misuriamoci col nostro popolo, andiamo a votare al nostro interno". Dà una data - l'8 ottobre - per le primarie di centrodestra: "io mi candido a fare il leader di questa grande area politica, chi vuole stare con noi venga con noi", nel nuovo soggetto politico: una casa per l'umanesimo cristiano, la cultura riformatrice cattolica, quella liberale e quella federalista, una casa in cui nessuno è certo dell'elezione ("da noi i capilista non ci saranno").
La candidatura, in ogni caso, si pone fin d'ora dei tempi lunghi, compatibili con quelli delle elezioni politiche (possibilmente non anticipate), ma che vanno ben oltre i termini per presentare le candidature alle amministrative di primavera. Anche per questo, probabilmente, non c'è stato bisogno di presentare alcun simbolo, mancando reali urgenze. Questo non toglie che, in rete, un paio di emblemi tondi sia stato avvistato. Quello che figura come foto profilo della pagina Facebook, per esempio, rende ben visibile il nome tutto maiuscolo del movimento, in font Nexa, con "Per" marcato; subito sotto al nome ci sono le ormai note tre lampadine, disposte in modo da formare il tricolore. Sono rimaste spente, ma oggettivamente nell'immagine risultano un po' più chiare rispetto alla grafica originale, anche perché le ombreggiature sono state attenuate; in compenso, quelle stesse lampadine sono attorniate da un'ombra che sembra incollata sul fondo giallo carico parisiano (e lo stesso effetto lo si è visto, a volte, nella grafica proiettata sugli schermi dell'evento).
Qualche settimana prima, in compenso, si era vista una variante di quel contrassegno e, in fondo, non sgradevole. Il nome, infatti, era stato alleggerito nelle parole diverse da "Per" anche se questo aveva leggermente spostato il peso dell'immagine (ponendo forse troppo l'accento sulla preposizione); alle lampadine vere, invece, si erano sostituite tre stilizzazioni a riempimento uniforme - al di fuori dell'attacco a tortiglione - decisamente più armoniche e luminose rispetto all'altra ipotesi. Pur mancando ora un simbolo, a questo punto c'è il tempo per mettere in pratica il suggerimento, mettendo a disposizione un nome chiaro e una grafica che parli da sé. E' un'operazione, in fondo, che richiede poca energia... 

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