"A volte ritornano". Si tratta probabilmente di una delle frasi più ricorrenti della storia politica italiana (soprattutto recente), fino al punto di apparire abusata e addirittura banale. Eppure è talmente vera da non poter dire altro quando sulla scena ricompaiono formazioni, simboli e nomi che sembravano spariti dalla circolazione da tempo. E' come se si avvertisse una voce diffusa, di un piccolo ma solido coro sparso qua e là che avverte chi vuol sentire: "Uno ad uno, siamo tornando. Tutti quanti".
A meno di due settimane dall'apertura del portone del Ministero dell'interno, è poco rilevante dire che sta tornando lo scudo crociato: dal 1946 in avanti, a pensarci bene, non c'è stata una sola elezione - politica o europea - in cui nelle bacheche non sia finito almeno un simbolo con l'emblema prima democristiano, poi post-democristiano (e spesso duplicato in varie salse diccì-nostalgiche). Più interessante è dire che sta tornando la Democrazia cristiana, ma per il drogato di politica medio che passa da queste parti la risposta è abbastanza insoddisfacente, essendo necessario precisare di quale dei tanti tentativi di riportare sulle schede elettorali il partito che fu di De Gasperi si stia parlando.
Si può allora completare la frase dicendo che è pronta a tornare la Democrazia cristiana "di Pizza". E la notizia per i #politicsaddicted, a questo punto, è davvero succulenta. Perché del percorso che dalla fine del 2001 aveva tentato di rimettere in moto il partito riconvocando l'ultimo organo che a gennaio del 1994 aveva - indebitamente - deciso il cambio di nome da Democrazia cristiana a Partito popolare italiano (vale a dire il consiglio nazionale) e che a partire dal 2003 era stato associato al nome dell'allora segretario Giuseppe Pizza, si erano perse le tracce nel 2013, anno in cui non presentò nemmeno il simbolo - ci pensarono altre tre Dc al posto suo - ma un comunicato annunciò tre candidature diccì nel Pdl, compreso lo stesso Pizza (lui, che sotto l'ultimo governo Berlusconi era stato sottosegretario all'istruzione, non fu eletto, gli altri due sì). Di Pizza in effetti, la cronaca ha raccontato altre vicende non troppo felici, a metà del 2016, ma del "suo" partito non si sapeva più nulla.
A voler far tornare in campo lo scudo crociato rosso bordato di bianco su fondo blu - senza, peraltro, il suo personaggio più noto - sarebbe il suo segretario nazionale, Denis Martucci. E anche questa, per gli appassionati di politica, è una vera chicca. Perché anche quello di Martucci, per i veri appassionati (piemontesi e non solo), è un nome ben noto. Classe 1977, già imprenditore, avvocato del foro di Vercelli, si è avvicinato prestissimo alla politica, iscrivendosi a 17 anni a Forza Italia, con cui fu eletto due volte consigliere circoscrizionale, ma nel 2001 non fu candidato al consiglio comunale dal partito di Berlusconi perché - versione ufficiale - aveva affisso dei manifesti con il suo volto, mentre il partito consentiva di usare solo le foto di Berlusconi e dei candidati sindaci. In seguito è stato candidato altre volte - anche a sindaco a Torino nel 2006, a capo di una coalizione di sei liste - ed eletto in più organi a livello locale; l'attività politica più copiosa, tuttavia, l'ha avuta come segretario regionale per il Piemonte dal 2004 al 2010 proprio della Dc-Pizza: in quel ruolo e in quello di commissario per la Liguria dice di aver presentato "oltre 120 liste comunali e provinciali nel nordovest".
Sarebbe stato proprio lui a tenere in vita la creatura politica di Pizza, anche senza Pizza, preferendo quella strada ad altre che gruppi diversi hanno cercato di battere in questi anni: "Dopo il 2010 - ci spiega - in molti tra coloro che si sentivano ancora democristiani sono stati attratti dall'idea di far tornare la Dc riconvocandone i vecchi organi, magari attraverso i tribunali. Non saremo certo noi a impedirlo; io personalmente, oltre a vedere le difficoltà delle soluzioni effettivamente percorse da chi voleva riattivare così il partito, ho sempre creduto che recuperare il passato fosse una mera testimonianza e servisse a poco se questo non avesse permesso di presentare le liste, come invece eravamo riusciti a fare noi per vari anni".
Ma come sarebbe riuscito Martucci a tenere in vita quella Dc? Lui per ora preferisce non entrare nei dettagli: ha parlato di un percorso dipanatosi entro un notevole riserbo, avviato "una volta compreso che Pizza non era personalmente interessato a proseguire quell'esperienza" e continuato con vari passi, tra cui un congresso nazionale celebrato nel 2015, per cui "sarà il Viminale a dirci se il nostro percorso è stato corretto". Ora quell'attività, nell'intenzione di Martucci, dovrebbe portare a un risultato importante, ossia la presenza dell'ex Dc-Pizza sulle schede elettorali, legittimata sul piano giuridico e pratico: "Sul piano giuridico - spiega - per noi vale ancora quanto detto dalla sentenza Manzo nel 2006, per cui il cambio di nome della Dc era stato illegittimo e nessuna delle formazioni venute dopo può impedire a noi l'uso del nome e del simbolo, perché nessuna ne è legittimamente titolare"; per completezza, Martucci sa bene che altre sentenze sono state emesse in seguito, ma per lui "il punto fondamentale delle decisioni resta quello, nessuno ha titolo per impedire l'uso del nome e dello scudo".
Sul piano pratico, il ritorno sarebbe a un passo perché sarebbero già state raccolte le firme necessarie per presentare le liste: "Ci eravamo mossi subito dopo l'approvazione della legge elettorale - precisa Martucci - immaginando che ne servissero 750 per ogni collegio plurinominale; quando il numero è stato ulteriormente dimezzato, in pratica avevamo già raggiunto il traguardo". La lista, peraltro, non sarà presentata dalla sola Dc, ma anche da Italia Reale, ossia la forza politica che rappresenta l'evoluzione di Alleanza monarchica, formazione guidata da Roberto Vittucci Righini e Massimo Mallucci, e che dal 2006 si sono presentate in alcuni appuntamenti elettorali con il simbolo storico di Stella e corona su fondo blu: lo hanno anche depositato per due volte al Viminale prima delle elezioni politiche, nel 2006 con la dicitura "Monarchici uniti" e nel 2013 appunto con il nuovo nome "Italia Reale".
Il progetto politico-elettorale che vede uniti l'ex Dc-Pizza e Italia Reale è stato chiamato Blocco nazionale per le libertà, un nome simbolico che richiama in qualche modo il Blocco nazionale delle libertà che si presentò alle elezioni per la Costituente nel 1946 ed era d'ispirazione conservatrice e monarchica (non a caso, nel simbolo c'era la stella d'Italia). Il simbolo scelto per le liste sarà presentato il 12 gennaio, in una conferenza stampa a Roma, presso l'Hotel Nazionale di piazza Montecitorio. Punti fondanti del programma sarebbero la difesa della famiglia (da attuare con sgravi fiscali proporzionali al numero di figli e rivedendo le norme introdotte sulle unioni civili), della vita (riesaminando le norme su aborto e fine vita) e del risparmio, la valorizzazione delle professioni e dell'identità nazionale, la tutela del Parlamento dalle lobby, l'eliminazione di alcuni enti (città metropolitane, regioni ordinarie, prefetture), ma anche una riforma attraverso l'elezione "di una Assemblea Costituente ampiamente rappresentativa per restituire al popolo la politica e riavvicinare l'Italia agli Italiani" e un no deciso allo ius soli (propendendo invece per l'acquisto della cittadinanza italiana dopo cinque anni dal compimento della maggiore età, "con comprovata condotta lavorativa e scolastica e assenza di reati").
Tutto questo dovrebbe risultare dalla joint venture tra democristiani di ritorno e monarchici convinti. Una collaborazione che, secondo Martucci, partirebbe con un precedente significativo: la lista che a Genova ottenne l'1,77%, non arrivando troppo lontano dall'ottenere un eletto (si spera però che il risultato grafico stavolta sia più gradevole).
"In quell'occasione avevamo lavorato bene insieme e vale la pena riprovare - precisa Martucci -. Siamo tra l'altro convinti che, essendo necessaria una maggiore pubblicizzazione di tutte le nostre eccellenze nel mondo, sia attribuito al Principe Emanuele Filiberto di Savoia, all'interno del prossimo governo, un ruolo che gli attribuisca funzioni operative volte a promuovere l'immagine dell'Italia all'estero, nonché le nostre potenzialità economiche e culturali: tutto questo sarebbe possibile grazie alle ottime relazioni internazionali costruite nel corso degli anni, godrebbe davvero della fiducia di molti." Dopo il ritorno in patria delle salme di re Vittorio Emanuele III e della regina Elena e la conseguente nuova visibilità di Emanuele Filiberto sui media, il 2018 può forse essere un anno buono per il figlio di Vittorio Emanuele? "Nel 2009, candidato dall'Udc alle europee, si era ben battuto, riuscì a ottenere 22500 preferenze ma nella I circoscrizione scattò un solo seggio e lo ottenne Magdi Allam. I numeri per ottenere risultati importanti li ha", conclude Martucci.
A meno di due settimane dall'apertura del portone del Ministero dell'interno, è poco rilevante dire che sta tornando lo scudo crociato: dal 1946 in avanti, a pensarci bene, non c'è stata una sola elezione - politica o europea - in cui nelle bacheche non sia finito almeno un simbolo con l'emblema prima democristiano, poi post-democristiano (e spesso duplicato in varie salse diccì-nostalgiche). Più interessante è dire che sta tornando la Democrazia cristiana, ma per il drogato di politica medio che passa da queste parti la risposta è abbastanza insoddisfacente, essendo necessario precisare di quale dei tanti tentativi di riportare sulle schede elettorali il partito che fu di De Gasperi si stia parlando.
Si può allora completare la frase dicendo che è pronta a tornare la Democrazia cristiana "di Pizza". E la notizia per i #politicsaddicted, a questo punto, è davvero succulenta. Perché del percorso che dalla fine del 2001 aveva tentato di rimettere in moto il partito riconvocando l'ultimo organo che a gennaio del 1994 aveva - indebitamente - deciso il cambio di nome da Democrazia cristiana a Partito popolare italiano (vale a dire il consiglio nazionale) e che a partire dal 2003 era stato associato al nome dell'allora segretario Giuseppe Pizza, si erano perse le tracce nel 2013, anno in cui non presentò nemmeno il simbolo - ci pensarono altre tre Dc al posto suo - ma un comunicato annunciò tre candidature diccì nel Pdl, compreso lo stesso Pizza (lui, che sotto l'ultimo governo Berlusconi era stato sottosegretario all'istruzione, non fu eletto, gli altri due sì). Di Pizza in effetti, la cronaca ha raccontato altre vicende non troppo felici, a metà del 2016, ma del "suo" partito non si sapeva più nulla.
A voler far tornare in campo lo scudo crociato rosso bordato di bianco su fondo blu - senza, peraltro, il suo personaggio più noto - sarebbe il suo segretario nazionale, Denis Martucci. E anche questa, per gli appassionati di politica, è una vera chicca. Perché anche quello di Martucci, per i veri appassionati (piemontesi e non solo), è un nome ben noto. Classe 1977, già imprenditore, avvocato del foro di Vercelli, si è avvicinato prestissimo alla politica, iscrivendosi a 17 anni a Forza Italia, con cui fu eletto due volte consigliere circoscrizionale, ma nel 2001 non fu candidato al consiglio comunale dal partito di Berlusconi perché - versione ufficiale - aveva affisso dei manifesti con il suo volto, mentre il partito consentiva di usare solo le foto di Berlusconi e dei candidati sindaci. In seguito è stato candidato altre volte - anche a sindaco a Torino nel 2006, a capo di una coalizione di sei liste - ed eletto in più organi a livello locale; l'attività politica più copiosa, tuttavia, l'ha avuta come segretario regionale per il Piemonte dal 2004 al 2010 proprio della Dc-Pizza: in quel ruolo e in quello di commissario per la Liguria dice di aver presentato "oltre 120 liste comunali e provinciali nel nordovest".
Sarebbe stato proprio lui a tenere in vita la creatura politica di Pizza, anche senza Pizza, preferendo quella strada ad altre che gruppi diversi hanno cercato di battere in questi anni: "Dopo il 2010 - ci spiega - in molti tra coloro che si sentivano ancora democristiani sono stati attratti dall'idea di far tornare la Dc riconvocandone i vecchi organi, magari attraverso i tribunali. Non saremo certo noi a impedirlo; io personalmente, oltre a vedere le difficoltà delle soluzioni effettivamente percorse da chi voleva riattivare così il partito, ho sempre creduto che recuperare il passato fosse una mera testimonianza e servisse a poco se questo non avesse permesso di presentare le liste, come invece eravamo riusciti a fare noi per vari anni".
Ma come sarebbe riuscito Martucci a tenere in vita quella Dc? Lui per ora preferisce non entrare nei dettagli: ha parlato di un percorso dipanatosi entro un notevole riserbo, avviato "una volta compreso che Pizza non era personalmente interessato a proseguire quell'esperienza" e continuato con vari passi, tra cui un congresso nazionale celebrato nel 2015, per cui "sarà il Viminale a dirci se il nostro percorso è stato corretto". Ora quell'attività, nell'intenzione di Martucci, dovrebbe portare a un risultato importante, ossia la presenza dell'ex Dc-Pizza sulle schede elettorali, legittimata sul piano giuridico e pratico: "Sul piano giuridico - spiega - per noi vale ancora quanto detto dalla sentenza Manzo nel 2006, per cui il cambio di nome della Dc era stato illegittimo e nessuna delle formazioni venute dopo può impedire a noi l'uso del nome e del simbolo, perché nessuna ne è legittimamente titolare"; per completezza, Martucci sa bene che altre sentenze sono state emesse in seguito, ma per lui "il punto fondamentale delle decisioni resta quello, nessuno ha titolo per impedire l'uso del nome e dello scudo".
Sul piano pratico, il ritorno sarebbe a un passo perché sarebbero già state raccolte le firme necessarie per presentare le liste: "Ci eravamo mossi subito dopo l'approvazione della legge elettorale - precisa Martucci - immaginando che ne servissero 750 per ogni collegio plurinominale; quando il numero è stato ulteriormente dimezzato, in pratica avevamo già raggiunto il traguardo". La lista, peraltro, non sarà presentata dalla sola Dc, ma anche da Italia Reale, ossia la forza politica che rappresenta l'evoluzione di Alleanza monarchica, formazione guidata da Roberto Vittucci Righini e Massimo Mallucci, e che dal 2006 si sono presentate in alcuni appuntamenti elettorali con il simbolo storico di Stella e corona su fondo blu: lo hanno anche depositato per due volte al Viminale prima delle elezioni politiche, nel 2006 con la dicitura "Monarchici uniti" e nel 2013 appunto con il nuovo nome "Italia Reale".
Il progetto politico-elettorale che vede uniti l'ex Dc-Pizza e Italia Reale è stato chiamato Blocco nazionale per le libertà, un nome simbolico che richiama in qualche modo il Blocco nazionale delle libertà che si presentò alle elezioni per la Costituente nel 1946 ed era d'ispirazione conservatrice e monarchica (non a caso, nel simbolo c'era la stella d'Italia). Il simbolo scelto per le liste sarà presentato il 12 gennaio, in una conferenza stampa a Roma, presso l'Hotel Nazionale di piazza Montecitorio. Punti fondanti del programma sarebbero la difesa della famiglia (da attuare con sgravi fiscali proporzionali al numero di figli e rivedendo le norme introdotte sulle unioni civili), della vita (riesaminando le norme su aborto e fine vita) e del risparmio, la valorizzazione delle professioni e dell'identità nazionale, la tutela del Parlamento dalle lobby, l'eliminazione di alcuni enti (città metropolitane, regioni ordinarie, prefetture), ma anche una riforma attraverso l'elezione "di una Assemblea Costituente ampiamente rappresentativa per restituire al popolo la politica e riavvicinare l'Italia agli Italiani" e un no deciso allo ius soli (propendendo invece per l'acquisto della cittadinanza italiana dopo cinque anni dal compimento della maggiore età, "con comprovata condotta lavorativa e scolastica e assenza di reati").
Tutto questo dovrebbe risultare dalla joint venture tra democristiani di ritorno e monarchici convinti. Una collaborazione che, secondo Martucci, partirebbe con un precedente significativo: la lista che a Genova ottenne l'1,77%, non arrivando troppo lontano dall'ottenere un eletto (si spera però che il risultato grafico stavolta sia più gradevole).
"In quell'occasione avevamo lavorato bene insieme e vale la pena riprovare - precisa Martucci -. Siamo tra l'altro convinti che, essendo necessaria una maggiore pubblicizzazione di tutte le nostre eccellenze nel mondo, sia attribuito al Principe Emanuele Filiberto di Savoia, all'interno del prossimo governo, un ruolo che gli attribuisca funzioni operative volte a promuovere l'immagine dell'Italia all'estero, nonché le nostre potenzialità economiche e culturali: tutto questo sarebbe possibile grazie alle ottime relazioni internazionali costruite nel corso degli anni, godrebbe davvero della fiducia di molti." Dopo il ritorno in patria delle salme di re Vittorio Emanuele III e della regina Elena e la conseguente nuova visibilità di Emanuele Filiberto sui media, il 2018 può forse essere un anno buono per il figlio di Vittorio Emanuele? "Nel 2009, candidato dall'Udc alle europee, si era ben battuto, riuscì a ottenere 22500 preferenze ma nella I circoscrizione scattò un solo seggio e lo ottenne Magdi Allam. I numeri per ottenere risultati importanti li ha", conclude Martucci.
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