lunedì 18 dicembre 2017

+Europa con Emma Bonino (e un quarto delle firme)

Alla fine le possibilità che sulle schede arrivi il simbolo di +Europa (assieme a tanti altri) si sono fatte molto, molto concrete. Vedendo più vicina la possibilità che le firme da raccogliere non siano più 750 per ogni collegio plurinominale, ma 375, giusto ieri è stato presentato il simbolo che ormai può dirsi definitivo: oltre che sugli spazi web di Radicali italiani e di Forza Europa, l'emblema è stato mostrato direttamente da Emma Bonino mentre era in collegamento con la trasmissione Che tempo che fa: è stata l'ex ministra degli esteri a ricordare il precedente di Pietro Grasso - che giusto una settimana prima aveva presentato in anteprima nazionale il contrassegno nuovo nuovo di Liberi e Uguali - a un perplesso Fabio Fazio, che forse non vedeva in quell'ostensione simbolica i crismi della novità o, almeno, della notiziabilità.  
Eppure qualcosa di nuovo in quell'emblema c'era e non era nemmeno necessario aguzzare lo sguardo per accorgersene. Già in occasione della presentazione alla stampa del logo, del resto, si era detto che un contrassegno elettorale che avesse contenuto solo la scritta colorata di +Europa sarebbe stato decisamente vuoto e, come tale, tanto semplice da leggere quanto poco armonico sul piano grafico. Così, come annunciato nei giorni scorsi dal segretario di Radicali italiani Riccardo Magi, il fregio elettorale contiene anche il riferimento alla stessa Emma Bonino, nella stessa font stondata utilizzata per il nome, questa volta in colore blu su fondo giallo (ricordando inevitabilmente la coppia di tinte che hanno caratterizzato a lungo la lista Bonino).

* * *

Se il simbolo merita attenzione, ne merita almeno altrettanta l'emendamento che dovrebbe permettere a quel contrassegno di finire con una certa tranquillità sulle schede elettorali. Si tratta, come si è anticipato prima, della proposta di riduzione delle sottoscrizioni necessarie per presentare le liste nei collegi plurinominali, quota che già la legge elettorale approvata poche settimane fa aveva dimezzato con esclusivo riferimento alle prossime elezioni. Evidentemente, però, per molte forze politiche - non certo solo +Europa - quella quota (750 firme) doveva essere parsa irraggiungibile, soprattutto perché non erano note prima le circoscrizioni dei collegi elettorali. 
In soccorso delle liste che già non fruivano di qualche esenzione - per essere state presenti con almeno un gruppo parlamentare alla data del 15 aprile 2017 - giusto una settimana fa è arrivato un emendamento a firma del deputato Pd Alan Ferrari, che recita come segue:

101-quater. 72. Dopo il comma 666, aggiungere il seguente:   666-bis. Al fine di garantire il tempestivo avvio delle procedure connesse all'entrata in vigore del nuovo sistema elettorale, è autorizzata la spesa di 1 milione di euro per l'anno 2018 per l'attuazione degli obblighi di trasparenza previsti dall'articolo 20, ultimo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361, e dall'articolo 4 della legge 11 novembre 2017, n. 165, e per l'implementazione dei sistemi informativi a supporto dei nuovi adempimenti degli uffici elettorali e per la trasmissione in formato elettronico alle Camere di tutti i dati necessari per la proclamazione degli eletti, e, anche in considerazione dei termini connessi alla nuova determinazione dei collegi elettorali in attuazione dell'articolo 3 della legge 11 novembre 2017, n. 165, per le prime elezioni successive alla data di entrata in vigore della presente legge, il numero delle sottoscrizioni di cui all'articolo 18-bis, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361, e all'articolo 9, comma 2, del decreto legislativo 20 dicembre 1993, n. 533, è ridotto ad un quarto. Per liste di cui all'articolo 18-bis, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica n. 361 del 1957, richiamato dall'articolo 9 del decreto legislativo n. 533 del 1993, o di cui all'articolo 2, comma 36, della legge n. 52 del 2015 e successive modificazioni, e per le liste ad esse collegate ai sensi dell'articolo 14-bis del decreto del Presidente della Repubblica n. 361 del 1957 l'indicazione dei candidati nei collegi uninominali è presentata separatamente dalla lista dei candidati nel collegio plurinominale, con la sola sottoscrizione di cui al comma 1-bis, secondo periodo, del medesimo articolo 18-bis.   666-ter. L'autorizzazione di spesa di cui all'articolo 1, comma 200, della legge 23 dicembre 2014, n. 190, è ridotta di 1 milione di euro per l'anno 2018. 
Tutti contenti? Forse (tranne chi si vedrà sottrarre voti da formazioni neonate, ma magari dotate di simboli confondibili o ammiccanti). Tutto bene? Per niente. A parte la formulazione complessa dell'emendamento (ho lasciato volutamente il testo originale e integrale, sottolineando la parte che qui interessa, per far toccare con mano il problema), i problemi sono almeno due, uno di metodo e uno di principio-merito.
Partiamo dal metodo: l'emendamento in questione punta a modificare, per quanto possa sembrare assurdo al lettore, una proposta di legge denominata "Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2018 e bilancio pluriennale per il triennio 2018-2020". In poche parole, la legge di bilancio. E' chiaro a chiunque che la riduzione delle firme non ha alcuna attinenza con questioni finanziarie, quindi semplicemente la disposizione che qui si discute non doveva essere inserita e nemmeno proposta. La soluzione più naturale, ovviamente, sarebbe stata una proposta di legge, che però non avrebbe avuto il tempo di essere esaminata, visto che all'ordine del giorno ci sono altri testi prima; se il governo avesse voluto assumersi la responsabilità di ampliare la partecipazione, avrebbe potuto presentare un decreto-legge ad hoc, ma oggettivamente sarebbe stato un uso distorto dello strumento, non essendovi alcuna reale urgenza e non essendo la situazione affatto straordinaria (di esenzioni una tantum se ne sono già viste varie, sicuramente nelle ultime due elezioni politiche).
Considerando tutto questo, qualcuno deve aver pensato che il "male minore" fosse proprio l'emendamento alla legge di bilancio, probabilmente l'ultima che sarà approvata da questo Parlamento in scadenza (e che, dopo il disco verde di Montecitorio, dovrà comunque tornare al Senato) e che, dunque, appare tanto come una corsia privilegiata, quanto come l'ultimo treno disponibile. Anche chi ha formulato l'emendamento, tuttavia, doveva avere presente il problema dell'incoerenza della questione firme con il contenuto vincolato della legge: del resto, sono state migliaia le proposte di modifica falcidiate dal verdetto d'inammisibilità formulato dal presidente della Commissione bilancio, Francesco Boccia, compresa quella sui vitalizi. 
In questo caso, tuttavia, il verdetto è stato positivo, visto che il taglio delle firme - come si può vedere dal testo - è stato inserito in una disposizione a chiaro contenuto economico, cioè con l'autorizzazione di spesa relativa alle operazioni elettorali (soprattutto con riguardo all'apparato informatico che sarà necessario approntare, in particolare per la fase di conteggio dei voti). Nulla pare sia stato eccepito sulla regolarità di questo emendamento - probabilmente perché ne hanno bisogno tanto nel centrosinistra, quanto nel centrodestra - e, anzi, è tra quelli ufficialmente segnalati dalle forze politiche, su cui dunque si concentreranno gli sforzi per l'approvazione. Il testo non è ancora stato discusso, ma è molto probabile che sia approvato.
Espressi i dubbi citati sul piano formale, c'è però una questione sostanziale non meno importante. Questo emendamento, di fatto, ricrea la stessa situazione che si è avuta nel 2013: anche allora, infatti, si scelse di procedere a una riduzione del 75% delle firme necessarie rispetto a quanto richiesto dalla legge, in aggiunta alle esenzioni totali previste dalle disposizioni o previste dallo stesso decreto-legge che decise il supertaglio. In pratica, dunque, nel 2013 si è assistito e nel 2018 ci si prepara ad assistere alla prevalenza di norme ad hoc (un po' speciali, un po' eccezionali) su quelle generali, che però di fatto finiscono per non essere applicate in nessun caso. Più che un sospetto, è una certezza: nel 2008 si puntò a esentare componenti e gruppuscoli che avessero almeno un simulacro di presenza parlamentare (due eletti a Strasburgo o nelle Camere, anche solo uno alla Camera e uno al Senato, purché dichiarassero di rappresentare la singola forza politica), con un'esenzione davvero generalizzata; per di più, anche allora si procedette inserendo la disposizione in un decreto-legge relativo a vari aspetti della "macchina elettorale".
Oggettivamente, la soluzione che è allo studio è leggermente meno indigesta rispetto a quelle del 2013 e del 2018, sia perché non è stato utilizzato lo strumento del decreto, sia perché questa volta c'è oggettivamente una legge nuova, approvata da poco. Detto questo, però, è l'intero sistema a non funzionare: che senso ha fissare una regola per poi non applicarla mai? E che senso ha - nella legislatura da record per cambi di casacca - considerare un gruppo nato da poco come prova di consistenza nel paese? A quel punto, probabilmente sarebbe stato più opportuno eliminare il privilegio delle esenzioni, chiedendo a tutte le liste un numero limitato di firme (un centinaio), con un controllo molto severo sulla loro autenticità; allo stesso tempo, servirebbe una stretta sui soggetti che possono autenticare le sottoscrizioni (specie con riguardo ai consiglieri comunali), visti i numerosi casi di falso che hanno costellato gli ultimi anni, magari puntando di più sulla sottoscrizione elettronica.
Ha ragione Riccardo Magi quando parla della raccolta firme come "sbarramento all'ingresso", almeno per come è configurata ora; sarebbe più logico però che fosse chiesto a tutti un sacrificio minimo per essere presenti sulla scheda. Certo è che, reso più accessibile quello sbarramento, lo spazio per presentare liste furbette si amplia, di molto: a quel punto, vietato lamentarsi, per tutti...

6 commenti:

  1. la legge elettorale è stata costruita ad hoc e votata con la fiducia. cosa gravissima. ora i radicali vogliono riscriversela a loro uso e consumo utilizzando la legge finanziaria, complimenti che bella democrazia. con tutti i soldi che hanno preso i radicali per decenni non riescono in un mese a raccogliere 50000 firme in italia per presentarsi? ennesima schifezza,alla fine ci troveremo un lenzuolo di simboli sulla scheda, simboli che rappresentano lobbies senza popolo.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Comprendo il disagio. Eppure - al di là di Emma Bonino - questi non sono i radicali di allora. E' un altro soggetto giuridico (Radicali italiani ufficialmente non è mai entrato in Parlamento e di soldi pubblici non ne prende da tempo, sicuramente dal 2013, cioè da quando coloro che erano stati eletti nel Pd non sono più parlamentari) e i tempi, rispetto a quei decenni di cui parla, sono davvero molto cambiati.

      Elimina
    2. disagio non esageriamo, la mia è una critica ai "metodi radicali", che parte dal suo interessantissimo articolo. si figuri sono un simpatizzante del movimento politico "popolo della famiglia no gender nelle scuole", soggetto autenticamente autonomo dalla destra e dalla sinistra.

      Elimina
  2. dott maestri ci aggiorni su come finirà' la "partita" della riduzione delle firme per presentare una lista alle elezioni politiche 2018. cordiali saluti

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Ne ho scritto oggi altrove: http://www.lacostituzione.info/index.php/2017/12/25/prossime-elezioni-lemendamento-tagliafirme-e-un-regalo-scomodo/

      Elimina