domenica 31 dicembre 2017

Può la Margherita strappare la margherita di Lorenzin e Dellai?

Lo si è detto molte volte in queste pagine: sciogliere un partito in Italia è difficilissimo. Ciò comporta, tra l'altro, che soggetti ritenuti politicamente estinti o consunti in realtà siano giuridicamente vivi e ci sia ancora qualcuno in grado di parlare a nome loro. Ne saprebbero qualcosa Beatrice Lorenzin e i suoi compagni di viaggio della nuova lista Civica Popolare: non appena si è saputo che la formazione, pronta ad allearsi con il Pd, avrebbe avuto una margherita nel simbolo, hanno ricevuto subito uno stop dai legali rappresentanti della Margherita, decisi a negare la possibilità di usare l'emblema del partito e preannunciando di fatto diffide se gli interessati dovessero insistere.
Non si tratta del primo "risveglio" margheritino: la memoria corre all'inizio del 2012, quando era emerso il caso dei fondi sottratti dal tesoriere allora in carica, l'avvocato Luigi Lusi: molte persone, più o meno interessate alla politica, non credevano ai loro orecchi, sentendo dire che il progetto politico nato come alleanza elettorale ed evolutosi come partito - legato al nome di Francesco Rutelli - non solo esisteva ancora pur avendo smesso di operare nel 2007, ma aveva continuato a ricevere i rimborsi elettorali della legislatura iniziata nel 2006 e finita nel 2008 (allora le regole prevedevano questo). 
Anche per cercare di mettere un punto a quella vicenda, il 16 giugno di quell'anno l'Assemblea federale del partito - meglio: di quello che restava - optò per lo scioglimento. Era la chiusura del sipario? Nemmeno per sogno, visto che la vicenda processuale di Lusi era ancora aperta (al pari di altre) e occorreva recuperare il denaro sottratto indebitamente: lo scioglimento aprì semplicemente la liquidazione dell'associazione Democrazia è libertà - La Margherita, un procedimento che non si è ancora chiuso. La Margherita, dunque, esiste ancora - e fino alla fine del 2013 la sua targa era rimasta affissa al Nazareno, sede allora sublocata al Pd - e a rappresentarla sono  i liquidatori, il cui collegio è presieduto dal commercialista Roberto Montesi (gli altri sono Salvatore Patti e Walter Ventura).
Alla notizia dell'iniziativa elettorale guidata da Lorenzin, qualche ex "margheritino" dev'essersi allarmato: si badi bene, nella nota ufficiale nessuno dei promotori aveva parlato di quella Margherita (con tanto di maiuscola che si scrive ma non si legge), ma tanto è bastato al collegio dei liquidatori attraverso Montesi, unitamente al collegio dei garanti rappresentato dal presidente Vincenzo Donnamaria (gli altri componenti sono Giovanni Grasso e Fabrizio Figorilli) per alzare un muro
"Nessuno può usare un simbolo della Margherita in elezioni politiche. Esperienze locali - come quella del Trentino - consentono un uso locale. Ma non nelle elezioni legislative: il marchio è tutelato, e non può essere usato, neppure in modo 'surrettizio'". 
I rappresentanti della Margherita aggiungono che "sarebbe incomprensibile se tentassero di usare questo simbolo anche esponenti politici che si candidarono contro la Margherita", probabilmente pensando a soggetti in precedenza riferiti al centrodestra, a partire da Fabrizio Cicchitto. Hanno ragione? In origine sì, ma fino a un certo punto. In fondo, è tutta una questione di maiuscole. E' evidente, infatti, che per Lorenzin e altri quella del loro simbolo dovrebbe essere una margherita qualunque, mentre chi vuole tutelare la Margherita (meglio: Democrazia è libertà - La Margherita) lo fa ritenendo di essere "La Margherita" per antonomasia: per loro quindi - maiuscola o no - il fiore bianco a petali, se richiamato in politica, sarebbe sempre riferito al partito che fu di Rutelli.
Può essere, per carità, ma qualche paletto è necessario. Perché parlare di "esperienze locali - come quella del Trentino" è profondamente ingeneroso nei confronti di Lorenzo Dellai, animatore della Civica per il governo del Trentino (tra l'altro, anche allora, chiamata Civica - La Margherita) che fu diretta ispiratrice della Margherita nazionale cui proprio Dellai aderì. La Margherita disegnata da Andrea Rauch per il nascente partito rutelliano (sedici petali, disposti su due livelli) era diversa da quella utilizzata da Dellai in Trentino (dodici petali tutti allo stesso livello): non a caso, il successivo partito di Dellai, Unione per il Trentino, riprende il fiore della vecchia Civica, limitandosi a modernizzarlo e a renderlo tridimensionale.
Se è legittimo che la Margherita cerchi di tutelare se stessa, dovrebbe almeno lasciare via libera a chi usava lo stesso fiore prima di lei - avendone addirittura ispirato la scelta - e chiede di apportare nel nuovo emblema quella versione, tra l'altro presente in Parlamento - al Senato - nella legislatura appena conclusa, dunque assai più di recente rispetto all'ex partito rutelliano (che pure aveva ben altra consistenza). E se di margherite - con la minuscola - parliamo, non risulta che alla Margherita abbiano mai fatto storie i Verdi arcobaleno, politicamente inattivi dalla fine del 1990 ma sciolti realmente chissà quanto tempo dopo (allora le cose erano un po' più semplici). D'accordo, tra i promotori ci fu proprio Rutelli, ma qualche dubbio sul fatto che altri compagni di strada (da Mario Capanna a Franco Corleone) avrebbero gradito vedere il loro stesso fiore su un simbolo di un partito tutto diverso è lecito averlo...

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