mercoledì 4 agosto 2021

Scudo crociato, quante (e quali) Dc alle elezioni di ottobre?

Da ieri è nota la data delle elezioni d'autunno, rinviate dalla primavera con il decreto-legge n. 25/2021: si andrà alle urne il 3 e il 4 ottobre (con possibilità di tornarci il 17 e il 18 ottobre per gli eventuali ballottaggi). Non si voterà peraltro solo per rinnovare le amministrazioni di 1162 comuni (inclusi 18 capoluoghi di provincia, a partire da Torino, Milano, Bologna, Roma e Napoli) e vari consigli circoscrizionali, ma anche per le elezioni regionali in Calabria (seguite alla morte di Jole Santelli) e alle suppletive per la Camera nei collegi uninominali Toscana-12 (Siena) e Lazio 1 - 11. Proprio con riguardo a quest'ultimo, nelle scorse settimane in rete si è appreso che sarebbe candidata anche Valentina Valenti, in rappresentanza della Democrazia cristiana, partito che presenterebbe pure Laura Allevi come sindaco alle comunali di Roma, ovviamente qualora andasse a buon fine la raccolta delle firme per le due candidature (almeno 300 per le suppletive e - in base alla riduzione fissata dal decreto n. 25/2021 - almeno 334 per le comunali a Roma). 
Naturalmente occorre subito fare una precisazione: la Democrazia cristiana di cui si parla è quella che riconosce come proprio segretario politico nazionale Nino Luciani e di cui Valenti - peraltro già candidata nel 2006 come sindaca per il Terzo Polo di Vincenzo Scotti e, prima ancora, alle provinciali di Roma del 1998 nella Dc fondata da Flaminio Piccoli e in altre competizioni elettorali per ulteriori soggetti centristi, inclusa la lista dei Popolari per l'Italia - Ppe alle europee 2019 - è vicesegretaria nazionale. 

La posizione di Luciani

Per Nino Luciani quella guidata da lui è l'unica Dc legittima, in base al XIX congresso celebrato (in videoconferenza) il 24 ottobre 2020 e in piena continuità storico-giuridica con la Dc del 1994, sulla base del percorso iniziato con la richiesta di convocazione dell'assemblea degli iscritti (ex art. 20 del codice civile) accolta prima facie dal Tribunale di Roma nel 2016 e cui aveva proceduto lo stesso Luciani (dando luogo all'assemblea del febbraio 2017 all'Ergife di Roma, durante la quale era stato eletto come presidente dell'associazione-partito Gianni Fontana). In seguito il percorso, piuttosto accidentato, ha contemplato già un XIX congresso nel 2018 (peraltro già il terzo con quella numerazione, o il quarto a seconda del modo di conteggiarli), con l'elezione alla segreteria di Renato Grassi, varie accuse di irregolarità in quell'assise, sfociate nella nuova convocazione - operata materialmente da Luciani, su impulso di Fontana come presidente eletto nel 2017 - dell'assemblea dei soci: questa, il 12 ottobre 2019, avrebbe revocato gli atti del congresso, avviando così l'iter per celebrare di nuovo quelle stesse assise, concluso appunto il 24 ottobre 2020.
In seguito, dunque, gli organi della Dc guidata da Luciani hanno deliberato di presentarsi alle elezioni con il proprio nome e il proprio simbolo (scudo crociato su fondo blu, sia pure nella forma in uso dal 2006 da parte della Dc-Pizza e non in quella del 1992-1994), facendo appello ai cattolici e ai "laici con uguali valori". Con particolare riguardo alle elezioni amministrative, Luciani ha precisato che, non volendo "gestire in monopolio il nuovo strumento giuridico, ma metterlo a disposizione di tutti", la "sua" Dc "darà la delega a fare le liste elettorali sulla base di principii e criteri direttivi, quali il possesso dei requisiti di legge (es., non avere pendenze penali) e avere la stima dei cittadini. Chi fa la lista è tenuto a farla, possibilmente, completa di tutti i nominativi consentiti, e a fare un programma economico sociale per la gestione del Comune. Per essere candidati non occorre essere iscritti alla Dc, ad eccezione di chi organizza la lista o di chi è candidato a Sindaco". Lo stesso messaggio (del 24 giugno) specificava che "per le liste di iniziativa di personalità riconducibili al dott. Angelo Sandri" è stata data delega al maceratese Giovanni Monorchio: ciò lascia intendere che tra i percorsi guidati da Luciani (dal 2016-17 e soprattutto dal 2020) e da Angelo Sandri (almeno dal 2002, ma in particolare dal 2013, anno del congresso di Perugia) è in atto un avvicinamento (altrove si è parlato tecnicamente di "negoziazione assistita") e un inizio di percorso comune (anche se, sul Popolo, Sandri si è mostrato tutt'altro che conciliante verso la candidatura di Laura Allevi a Roma).
Sempre Nino Luciani, nella sua comunicazione via e-mail di giugno - e nel sito web www.democraziacristianastorica.it - ha voluto precisare alcune questioni a proposito dell'uso del simbolo storico, dichiarando che la direzione del partito "è fortemente fiduciosa di ri-averlo riconosciuto". Egli ritiene che ora - dopo il congresso del 2020 - sia stata dimostrata la continuità storico-giuridica con la Dc del 1994 (cosa che era stata chiesta tanto dalla sentenza della Corte d'appello di Roma del 2009, quanto dall'Ufficio elettorale nazionale prima delle elezioni europee del 2019) e che non possa essere più accordata alcuna preferenza all'Udc, che non avrebbe avuto eletti in Parlamento nel 2018; cita poi due decisioni di due diversi tribunali (Palermo e Roma), in particolare delle loro sezioni specializzate in materia di impresa e proprietà industriale, dalle quali si dovrebbe dedurre che "per i simboli non si applica più la normativa sulle imprese, ma sulle associazioni (art. 7 c.c.) e dunque essi non sono scindibili dai nomi e, in caso di confondibilità, si applica l'ordine storico della presentazione (la Dc nel 1948; l'Udc nel 2005)".
Ora, nel pieno rispetto delle tesi altrui, qualche ulteriore precisazione va fatta. Innanzitutto, pur riconoscendo i vari tentativi di riottenere la piena legittimazione, bisogna rilevare che non sembra pienamente e incontestabilmente dimostrata la continuità tra la Dc "storica" e la Dc guidata da Luciani. Posto che - salvo errore o novità non note - pende ancora un contenzioso (avviato da Raffaele Cerenza e Franco De Simoni) sulla validità della convocazione dell'assemblea del 2017, evento certamente alla base del congresso 2020 che ha eletto Luciani alla segreteria, occorre sempre considerare un fatto rilevante: è molto difficile dimostrare la continuità giuridica con la Dc del 1994, se si considera che quel soggetto politico-giuridico è tuttora esistente, pur essendo noto con il nome di Partito popolare italiano (posto che la modifica della denominazione è avvenuta in modo irregolare, anche se non ha certo fatto nascere un soggetto giuridico diverso dalla Dc) e pur avendo sospeso la propria attività politica nel 2002. Almeno due sentenze rilevanti (Corte d'appello di Roma del 2009 e Corte di cassazione del 2010) hanno affrontato la questione - sia pure "di striscio", al punto che solo volendo leggere bene quelle decisioni la si può capire - e formalmente nessun'altra sentenza passata in giudicato ha messo in dubbio questo punto tutt'altro che secondario. Quanto alla presenza di eletti dell'Udc in Parlamento, è vero che formalmente la lista Noi con l'Italia - Udc non ha avuto eletti, ma è altrettanto vero che il sito del Senato (che non vale meno di quello del Viminale) riporta regolarmente tra i gruppi parlamentari quello di Forza Italia - Berlusconi presidente - Udc, perché a quel gruppo aderiscono Paola Binetti, Antonio De Poli e Antonio Saccone, eletti nei collegi uninominali per la coalizione del centrodestra in quota Udc: dal momento, dunque, che a rilevare per la tutela dei contrassegni elettorali è la presenza in Parlamento (e non tanto l'elezione diretta con la propria lista, cosa che può costituire un "di più"), non può dirsi che l'Udc non sia rappresentata almeno in un'assemblea parlamentare.
Con riguardo, infine, alle due pronunce citate da Luciani, la prima - ordinanza emessa dal Tribunale di Palermo nel 2015, sulla contesa legata all'associazione Democrazia in movimento - in effetti nega che la contesa su un emblema di un'associazione possa veder applicate le regole dei marchi, ma quelle sui diritti della personalità dei soggetti; la seconda - emessa dal Tribunale di Roma nel 2018 dopo il ricorso della fondazione "Amici del Colosseo" (legata a Diego Della Valle) contro l'associazione "Veri amici del Colosseo" (legata al Codacons) - in qualche modo conferma la questione, sottolineando che la disciplina sui marchi si applica quando "l'utilizzo del segno avvenga nel commercio ovvero nell'attività economica ed abbia l'effetto di occupare uno spazio di mercato". Non si tiene però conto del fatto che nelle competizioni elettorali non si applica il diritto civile (quindi quello relativo alle associazioni), ma il diritto elettorale, in quanto lex specialis: il diritto elettorale si limita a dire che "Non è ammessa [...] la presentazione da parte di altri partiti o gruppi politici di contrassegni riproducenti simboli o elementi caratterizzanti simboli che per essere usati tradizionalmente da partiti presenti in Parlamento possono trarre in errore l'elettore" (art. 14, comma 6, d.P.R. n. 361/1957 per le elezioni politiche) e che sono ricusati i contrassegni "riproducenti simboli o elementi caratterizzanti di simboli che, per essere usati tradizionalmente da partiti presenti in Parlamento, possono trarre in errore l'elettore" (artt. 30 e 33, d.P.R. n. 570/1960 per le elezioni amministrative). 
I partiti presenti in Parlamento (non importa se in forza di elezioni con quel simbolo oppure no: lo dimostra il caso di Fratelli d'Italia nel 2013) ricevono dunque di fatto una tutela privilegiata, difficilmente superabile (anzi, per l'esattezza sono tutelati i loro elettori, più che i partiti), che ovviamente andrebbe a vantaggio dell'Udc, presente al Senato nel gruppo di Fi, e non della Dc che non vanta presenze parlamentari. Va ammesso che le norme vigenti prevedono la ricusazione di simboli "confondibili [...] con quelli riproducenti simboli, elementi e diciture, o solo  alcuni  di  essi, usati tradizionalmente da altri partiti" (elezioni politiche) "che si possano facilmente confondere [...] con quelli notoriamente usati da altri partiti o raggruppamenti politici" (elezioni amministrative), per cui la Dc potrebbe sperare non solo di poter usare senza molestie lo scudo crociato, ma addirittura di far escludere per questo motivo l'Udc; è altrettanto vero però che si dovrebbe pur sempre dimostrare di essere il partito storico che per primo aveva usato il simbolo e - se pure questo sembra essere accaduto in pochissimi casi, di cui si spera di poter parlare in futuro - si è già detto che la continuità giuridica non sembra pienamente dimostrata, a dispetto dei tanti sforzi compiuti.

La posizione di Cerenza e De Simoni

La posizione di Luciani, tuttavia, non è l'unica, dal momento che - come sa bene chi è abituato a frequentare questo sito - si riconoscono varie "Democrazie cristiane", a seconda del percorso seguito per riattivare il partito. Per esempio, quello che fa capo a Franco De Simoni e a Raffaele Cerenza, basato sull'assemblea costituente autoconvocata del 12 ottobre 2019 e sul successivo XIX congresso del 12 settembre 2020, sta seguendo un dialogo con l'Udc. Il partito guidato da Lorenzo Cesa, a sua volta, aveva già iniziato un percorso comune con Forza Italia, volto intanto a costituire una lista comune alle amministrative a Roma (e magari anche altrove), con la possibilità di lavorare in seguito a un soggetto politico più ampio.
Alla Dc di Cerenza e De Simoni Cesa avrebbe proposto - nell'ambito di una coalizione unitaria di centrodestra (a sostegno, a Roma, di Enrico Michetti) - di entrare nella lista comune rafforzando l'Udc, entrando nella stessa direzione del partito quale "organo di garanzia". Il momento non sarebbe più favorevole a una riconfigurazione del centrodestra in senso proporzionale, ma per Cesa è comunque il caso di tenersi pronti anche a quello scenario, impegnandosi comunque a rafforzare il centrodestra o a evitare la sua frammentazione. Non si tratterebbe, in fondo, di una proposta molto diversa da quella già fatta in passato agli esponenti della Federazione popolare dei democratici cristiani, volta a rafforzare l'Udc (oltre che a non disperdere voti su altre liste): proprio come allora, tra l'altro, si faceva presente che in questo modo si evitavano problemi di controversie civili ed elettorali sull'uso del simbolo dello scudo crociato, regolarmente presente nel simbolo comune grazie alla delega dell'Udc (controversie che, evidentemente, potrebbero invece sorgere con altre formazioni che volessero usare il simbolo della Dc autonomamente).
A proposito di simbolo, alla fine di luglio era stato annunciato anche il contrassegno composito della lista presentata da Forza Italia e Udc, con lo spazio per il partito di Cesa ridotto al segmento inferiore (meno di un terzo del cerchio). Gli esponenti della Dc avevano proposto di sostituire l'espressione "Unione di centro" con "Unione democratici" o, meglio ancora, "Democrazia cristiana"; non sarà semplice farlo, proprio per ragioni di spazio, ma ci si dovrebbe provare (la lista, naturalmente, dovrà raccogliere le firme alle amministrative, non essendo prevista alcuna esenzione). In ogni caso, pare che il gruppo di De Simoni e Cerenza abbia accettato la proposta di Cesa, aderendo a quella "piattaforma di garanzia", pur mantenendo in vita "quella" Dc in forma autonoma (collocata peraltro nel centrodestra)
. Nel frattempo, Cerenza e De Simoni avevano diffidato i vertici della Dc-Sandri affinché non tenessero a Latina i lavori della direzione nazionale del 16 e 17 luglio, ritenendo del tutto illegittimo l'uso del nome e del simbolo.

La posizione di Grassi e Alessi, nonché quella di Cugliari

Ancora diversa è la posizione espressa dalla Democrazia cristiana che si riconosce nella segreteria di Renato Grassi (eletto dal XIX congresso celebrato nel 2018) e che ha come vicesegretario Alberto Alessi (già parlamentare e figlio di Giuseppe Alessi, presso il cui studio nacque la Dc, scudo crociato incluso). In effetti non si parla di partecipazioni elettorali da parte di quel gruppo, ma Alessi ha sempre contestato la legittimità di ogni progetto politico ed elettorale portato avanti in nome della Dc da parte degli altri gruppi, in particolare da quello che si riconosce in Nino Luciani (e in quello di Angelo Sandri): rivendica infatti come il congresso del 2018 - al netto delle contestazioni che hanno preso la via della revoca o dell'autoannullamento - non sia mai stato annullato o dichiarato nullo da un giudice, dunque si debba considerare pienamente valido ed efficace. 
Non si esclude in ogni caso che qualcosa si muova sul piano elettorale anche da quelle parti: è alla Dc-Grassi, infatti, che si riconduce l'azione capillare di Salvatore Totò Cuffaro in Sicilia, che avrebbe convinto molti amministratori locali ad aderire al progetto politico di Grassi. Nel frattempo, anche la Dc-Grassi ha dichiarato il proprio sostegno ai referendum sulla giustizia giusta, raccogliendo firme insieme al Partito radicale e alla Lega (nonché all'Udc, a Fi, al Psi e al Nuovo Psi).
Da ultimo, giusto per completare (e complicare) il quadro, ha annunciato di avere quasi completato la preparazione della lista della Dc a Milano - nella coalizione che sostiene il candidato sindaco del centrodestra Luca Bernardo - Emilio Cugliari, a sua volta presidente (facente funzione) della Dc, eletto dopo che alcuni soci del partito a luglio dell'anno scorso avevano contestato il modo di procedere di Luciani sfiduciandolo (atto ovviamente non riconosciuto da Luciani); in quella Dc si riconosce anche Raffaele Lisi.
Difficile dunque, per ora, sapere quali e quante Democrazie cristiane presenteranno liste e quante di queste saranno effettivamente ammesse (e con quali simboli). Il deposito delle candidature è previsto tra il 3 e il 4 settembre: occorre aspettare ancora un mese per avere notizie certe. Nel frattempo, con la fantasia ci si può sbizzarrire e immaginare anche quattro varianti di scudi crociati. O, all'opposto, un unico scudo crociato usato da quattro soggetti diversi, almeno fino al giudizio delle competenti commissioni elettorali.

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