lunedì 31 gennaio 2022

Democrazia compiuta: un simbolo per regolare i partiti

Chi studia i simboli dei partiti o è a caccia di novità da trasformare in notizie compie periodiche esplorazioni della banca dati dell'Ufficio italiano brevetti e marchi, per vedere se qualcuno ha avuto l'idea di depositare domande di marchio per emblemi tondi pronti a diventare simboli dei partiti (un malvezzo poco ragionevole e da vari punti di vista poco utile, ma ugualmente diffuso). A volte si cerca avendo obiettivi precisi, altre volte si scartabella senza particolari intenzioni, giusto per vedere se ci sono novità interessanti.
Capita così di imbattersi in una domanda di marchio che non può lasciare indifferente un costituzionalista, a maggior ragione se quel costituzionalista si occupa di partiti. L'occhio, infatti, cade inevitabilmente su un "marchio di forma rotonda, con cornice del tricolore della bandiera italiana, concentrica, lungo tutto il perimetro; sfondo celeste di tutta l'area delimitata dalla cornice tricolore. Scritta su tracciato circolare lungo il perimetro: 'Democrazia compiuta' nel carattere Century Schoolbook Bold, di colore blu; scritta nella zona centrale: 'una legge sui partiti art. 49' nel carattere Franklin Gothic Heavy, di colore rosso". Quella appena citata è appunto la descrizione del simbolo depositato come marchio ormai a novembre del 2020 - per la sola classe 41 (Educazione; formazione; divertimento; attività sportive e culturali) - dal cagliaritano Andrea Maria Pirro
Il messaggio che esce da questo emblema, per chi ha familiarità con il diritto costituzionale, è chiaro: l'art. 49 di cui si parla è quello della Costituzione, che recita "Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale". Per anni si è interpretato l'articolo intendendo che il "metodo democratico" fosse necessario e richiesto soltanto nel confronto tra un partito e l'altro e nell'azione sulla scena politica, parlamentare ed elettorale; ci si è ben guardati, invece, dall'applicare lo stesso requisito anche alla vita interna dei partiti, richiedendo che questi avessero una struttura e procedure decisionali democratiche, che - in particolare - garantissero diritti agli iscritti e dessero loro la possibilità di influire sulla selezione delle candidature alle elezioni. Alla Costituente si esclusero formule testuali che andavano in quella direzione (che sarebbe poi stata seguita in Germania e, più avanti, in Spagna e Portogallo, per fare qualche esempio) innanzitutto per l'opposizione del Pci, che non voleva rischiare di essere messo fuorilegge (o comunque fuori dal gioco politico) sulla base del proprio principio organizzativo del "centralismo democratico"; anche in seguito, in ogni caso, non si cercò mai seriamente di passare a un regime diverso, visto che in fondo anche agli altri partiti faceva gioco non dover rendere conto ad alcuno - specie ai giudici - della propria organizzazione interna. 
Anche per questo, dunque, per decenni nessuna legge si è occupata dei partiti (definendoli e regolandoli), al di là delle disposizioni approvate dal 1974 in avanti per prevedere il finanziamento pubblico. In effetti, il decreto-legge n. 149/2013 - oltre a sostituire i "rimborsi" elettorali con il finanziamento ai partiti con il 2x1000 Irpef - ha dettato le prime regole in materia di "democrazia interna" dei partiti, in particolare sul contenuto e sul controllo degli statuti, regole il cui rispetto è necessario per poter godere delle risorse pubbliche; molti studiosi - incluso chi scrive - sono però convinti che quelle regole non siano state e non siano sufficienti, quindi l'articolo 49 della Costituzione deve ancora essere attuato con una vera "legge sui partiti". Il segno depositato come marchio da Andrea Maria Pirro sembra avere la stessa idea: solo una buona "legge sui partiti" e, di conseguenza, l'avere partiti autenticamente democratici (anche al loro interno) può portare a una Democrazia compiuta, che è proprio il nome che si legge all'interno del cerchio. 

La diagnosi del male

Ma cos'è, appunto, Democrazia compiuta? Un movimento? Un partito? Un'associazione di cittadinanza attiva? Al momento Democrazia compiuta è soprattutto un sito web, curato appunto da Pirro e aperto nel mese di luglio dell'anno scorso, che ospita vari contributi del curatore legati soprattutto (ma non solo) al tema dei partiti e della democrazia. Nella home page figura proprio il simbolo depositato come marchio, mentre nella pagina delle informazioni si capisce qualcosa di più sull'intento di Pirro: "Una volta nella vita passa per la mente di tutti il pensiero di provare a fare la propria parte in politica anziché cavarsela con le solite imprecazioni contro i politicanti di mestiere.  A me è capitato di uscire dalle esperienze politiche con la convinzione di essere stato usato da persone che agitavano una bandiera allo scopo di piazzarsi in una poltrona. Per questo ho pensato a Democrazia Compiuta. Democrazia Compiuta mira alla promulgazione di una legge sui partiti che faccia del partito l'associazione di cittadini prevista dalla Costituzione. Poche regole rivolte a definire la funzione pubblica dei partiti politici, imporgli un'organizzazione interna democratica, responsabile e trasparente, per tutelare la fiducia degli elettori, la buona fede e la dignità di chi offre il proprio contributo per il bene comune. L'idea di una legge sui partiti non è una novità assoluta, nel Parlamento Italiano giacciono alcuni disegni di legge sul tema, ma sono proposte che hanno il difetto di provenire dai vecchi partiti politici, mediano con l'andazzo attuale, non puntano alla svolta decisiva verso una democrazia compiuta".
In quello stesso testo, Pirro ricorda come padri e madri costituenti "decisero di astenersi dal regolamentare i partiti per garantire la massima libertà all'associazionismo politico e limitare il potere d’intervento della magistratura nella loro vita interna", evitando dunque di prevedere nell'art. 49 una personalità giuridica specifica dei partiti, una definizione (più compiuta) della loro funzione e - soprattutto - "princìpi organizzativi, anche solo di massima, cui i partiti politici dovrebbero attenersi". Ciò soprattutto considerando che gli stessi giudici hanno sempre interpretato il riferimento al "metodo democratico" al sistema politico italiano e non alla "democrazia interna" ai partiti. Per Pirro, però, un principio basilare in quella disposizione c'è: il diritto dei cittadini di associarsi in partiti. "L'associazione di cittadini è una comunità ordinata da regole, non un'adunanza casuale, non un affollamento, non una platea. Le associazioni sono disciplinate dal codice civile, ma a prescindere dall'aspetto giuridico che pure è importante, chiunque si avvicini alla politica nel secondo millennio si aspetta di partecipare alla vita del partito con la dignità del socio".
Ciò, tuttavia, secondo Pirro non è accaduto e non accade. Più che associazioni di persone, per il curatore di Democrazia compiuta molti partiti (incluse le nuove formazioni che si presentano via via alle elezioni) erano e sono "scatole vuote, sigle dietro le quali magari si celano vecchi notabili", ma che "propongono candidati" per il Parlamento e, in via mediata, per il governo del Paese. Pirro riconosce poi l'errore di fondo della "legge Piccoli" che introdusse il finanziamento pubblico ai partiti, ma senza prevedere alcun controllo sulla loro democraticità interna (e senza riuscire a evitare, alla lunga, il ricorso a forme illecite di finanziamento, come varie inchieste avrebbero dimostrato in seguito): a suo dire "il partito deregolamentato, la zona franca preclusa alla magistratura, si presta all’insediamento di una casta interna che lo padroneggia e lo sfrutta a proprio vantaggio" e "il partito personale, come quello dominato da una consorteria, sono l'esatto contrario dell'associazione rivolta a determinare la politica nazionale". Eppure chi si affaccia alla politica vorrebbe esattamente partiti democratici anche al loro interno (e, una volta scoperto il deficit di democrazia interna, secondo Pirro si può solo decidere "se adattarsi o rimanere emarginato"); in compenso, la situazione è stata peggiorata dall'avvento del partito "liquido", sempre più diffuso e sempre più verticistico (con tutti i difetti che la nuova forma porta con sé: i partiti di oggi sminuiscono i problemi, evocano soluzioni propagandistiche e demagogiche, non si impegnano davvero per una selezione responsabile della classe dirigente; soprattutto, però, i partiti non sono davvero contendibili). Per Pirro anche le coalizioni elettorali hanno i loro lati negativi: "nella coalizione le criticità del partito si moltiplicano, si ripropongono per ciascun membro. [...] Quasi sempre le compagini sono mascheramento di partiti personali, partecipano alla coalizione per riservare ruoli preminenti di governo ai rispettivi notabili".
In sostanza, per Pirro le storture del sistema dei partiti attuale sono soprattutto due: la collegialità delle scelte e delle persone viene elusa (quindi manca il controllo democratico da parte della base) e il partito di fatto non è contendibile in modo democratico, come invece dovrebbe accadere per ogni associazione (specie se intende concorrere a determinare la politica nazionale); a ciò si aggiungerebbe il motore del tornaconto per gran parte delle scelte politiche. Nemmeno le primarie, presentate e vissute come strumento di democrazia per la scelta delle candidature alle elezioni, sarebbero davvero democratiche: "la scelta del popolo è palesemente pilotata perché una persona normale, per quanto di ottima reputazione, difficilmente possiede la notorietà che serve per prevalere in una votazione su larga scala. Anzi un galantuomo solitamente non va alla ricerca di generica fama. In conclusione, lo scopo delle primarie è ancora una volta propagandistico. Gli occupatori del partito le utilizzano per dare l’impressione del partito partecipato. E se il risultato delle primarie sfuggisse di mano, lo si può sempre truccare". 

Prospettive di azione

Da parte di Andrea Maria Pirro c'è la consapevolezza che "il partito è fragile, come è fragile la democrazia"; lui, tuttavia, è convinto che per evitare molte distorsioni lo strumento principale sia l'alternanza. A suo dire, una "legge sui partiti" dovrebbe prevedere - come il limite alle ricandidature dei sindaci - un limite temporale oltre il quale i dirigenti regionali e nazionali di un partito dovrebbero necessariamente essere sostituiti, così da rendere più difficile l'occupazione del partito e favorire la partecipazione (e limiti analoghi dovrebbero essere posti ai mandati delle cariche elettive); allo stesso tempo, però, l'autore auspica l'introduzione di altre regole "sulla trasparenza dei finanziamenti, sul nome del partito, sul rispetto dello statuto che la forza politica si è data, sulla pubblicità dell’archivio degli iscritti", che possano aiutare il partito a selezionare con responsabilità la classe politica e lo rendano degno di "un sobrio finanziamento pubblico". Certo, non ogni soluzione potrebbe essere soddisfacente: Pirro sa che "una legge sui partiti, se fatta in un certo modo, potrebbe essere la tomba della democrazia italiana". Al centro di tutto, in ogni caso, c'è la contendibilità che si ha solo se il concorso previsto dall'articolo 49 della Costituzione è garantito e realmente tutelato. Di certo, senza partiti come "associazioni autentiche, intrinsecamente democratiche, neppure il governo del Paese sarà democratico".
Pirro ha cercato di dare il suo contributo ad affrontare la situazione formulando una proposta di legge, articolata in 11 articoli: chiunque li legga può farsi un'idea, eventualmente condividendo alcune disposizioni o ritenendone altre non pienamente efficaci (magari perché teoriche e senza strumenti concreti per l'applicazione). Proprio per promuovere quella proposta (e sostenere una campagna di raccolta firme), a quanto si comprende, Pirro aveva depositato come marchio il logo visto prima: non c'era e non c'è, dunque, l'idea di usarlo come simbolo di un nuovo progetto politico. Eppure, considerando che cosa è stato presentato al Viminale come contrassegno nel corso degli anni, si deve dire che un emblema come questo di certo non passerebbe inosservato all'interno delle bacheche dei simboli depositati; anzi, il deposito costituirebbe un'ottima occasione per il depositante per parlare dell'articolo 49 della Costituzione e convincere i giornalisti dell'importanza di attuarlo e di parlarne nei loro articoli o nei loro servizi filmati. Anche per poche righe, anche per pochi secondi: parlarne, spiegare e far capire sono elementi essenziali. Pirro può pensarci su: ha ancora poco meno di un anno per farlo.

domenica 30 gennaio 2022

Caserta che non c'è, l'ultima "follia creativa" di Giuseppe Cirillo

Diventerà un simbolo?
Sarà per deformazione passionale o professionale, ma quando chi appartiene alla schiera dei #drogatidipolitica legge o ascolta i nomi di certe persone notevoli (per la loro storia o per i loro "precedenti" politico-elettorali), lo sguardo si fa subito attento, le orecchie si tendono come antenne e ci si prepara ad accogliere eventuali novità da approfondire, da meditare o da raccontare. Non importa che il nome sia noto ai più o solo a una ristretta cerchia di aficionados: basta incontrarlo e la reazione è automatica. Senza alcun dubbio, tra i nomi scatenanti c'è quello di Giuseppe Cirillo: proprio lui, il Dr. Seduction, il demiurgo del Partito delle Buone Maniere, l'alfiere dei Preservativi gratis (puntualmente dedotti dalle imposte) e il disvelatore degli Impotenti esistenziali. Tutti progetti con un respiro sovralocale, anche quando si sono tradotti in liste elettorali presentate in realtà contenute: di solito hanno ottenuto pochi voti, ma sono sempre riuscite a non passare inosservate (e, per i #drogatidipolitica, farsi notare e ricordare è persino più importante che raccogliere i voti).
Questa volta, invece, proprio Cirillo si sta occupando espressamente di Caserta, con un progetto che anche in questo caso promette di non restare sullo sfondo. Il progetto si chiama Caserta che non c'è e nei giorni scorsi è apparso su vari manifesti, affissi in diversi punti della città. In effetti il nome del dr. Cirillo non è presente sulle affissioni, ma a chi gli chiede se per caso sia stato lui a concepire quei manifesti, lui conferma: "Caserta è un territorio ricco di talenti e intelligenze - spiega - ma anche molto trascurato: lo dimostra anche l'ultima indagine sulla qualità della vita del Sole 24 Ore, che ha collocato la provincia di Caserta al 100° posto su 107, con una perdita secca di sei posizioni rispetto all'anno precedente. Nella provincia la presenza della 'terra dei fuochi' è purtroppo nota a livello nazionale; nel capoluogo, osservando la presenza notevole di barriere architettoniche, la persistenza di amianto nei tetti di alcune scuole che attenta alla salubrità di chi le frequenta, un piano traffico che penalizza molto i commercianti e altri dettagli, la situazione è tutt'altro che rosea. Si dice che servono soldi, che dovrebbero arrivare con il Pnrr, ma si tratta comunque di somme a debito, non se ne può parlare con leggerezza. Ci sarebbe dunque bisogno di una 'Caserta che non c'è', nel senso di un'altra Caserta, che 
sta nella mente delle persone ma non c'è ancora nella realtà".
Per questo Cirillo ha dato impulso a Caserta che non c'è, con l'idea di ascoltare i cittadini casertani per guardare a "una città immaginata in modo più vivibile ed europeo, ma che appunto per ora sta solo nella testa di chi la vuole migliore". Quello stesso concetto viene espresso dal logo disegnato apposta per questo movimento, che raffigura una testa di donna dalla quale esce la città come la si vorrebbe, o almeno come l'ha in mente Cirillo: c'è l'ambiente di cui occorre prendersi cura, l'energia più pulita (rappresentata dalle pale eoliche e dai pannelli fotovoltaici sul tetto di una casa), una mobilità sostenibile (con l'autobus elettrico e la bicicletta) e una maggiore connessione col mondo esterno (rappresentata dall'antenna parabolica); c'è anche una torre, che vuole simboleggiare la necessità di una maggior attenzione per il patrimonio storico e artistico (può anche far pensare alla torre di Casertavecchia, anche se in realtà il profilo è diverso).
Al momento Caserta che non c'è è solo un movimento d'opinione, ma non si può escludere che - alla pari di altre imprese politico-civiche del dr. Cirillo - quel logo si trasformi in simbolo, anzi in contrassegno elettorale e finisca sulle schede delle prossime elezioni. Certo, non passa inosservato già ora il fatto che questo "movimento di ascolto" sia stato annunciato a fine gennaio, quando dalle ultime elezioni comunali sono trascorsi poco più di tre mesi e alle prossime - in base alle previsioni di legge - mancano oltre quattro anni e mezzo: per quanto sia opportuno prepararsi in anticipo, in questo caso sembra leggermente eccessivo. 
Il simbolo presentato
dal 2019 al 2021
Qualche motivo di insoddisfazione locale che abbia suggerito di organizzare quest'iniziativa dev'esserci stato e Cirillo non lo nega: "Ricorda innanzitutto che da alcuni anni, quando presento candidature, nel programma elettorale inserisco sempre l'idea di istituire un assessorato o comunque una delega alla follia, da declinare anche come 'assessorato alla follia creativa' o come 'assessorato alla follia e alla gioventù'. Si tratta di una proposta che io ho registrato e tutelato, ispirandomi alla famosa frase di Steve Jobs stay hungry, stay foolish: l'ho formulata nel mio programma, come dicevo, tanto quando mi sono candidato alla guida della regione Umbria, nel 2019, per cui il tuo sito aveva gentilmente invitato alla raccolta firme, quanto alle regionali campane del 2020 e alle comunali del 2021 a Roma, quando avevo presentato una lista del Partito delle Buone maniere, pur senza avere alcuna pretesa". Una campagna indimenticabile quella, soprattutto per le romane e i romani ("Vero: 
l'auto rosa con cui circolavamo ha avuto più selfie di Renzi o Salvini e le signore che incontravo ai mercatini si sono innamorate delle mie strisce pedonali portatili!"), anche se alla fine erano arrivati solo 340 voti per Cirillo e 253 al Partito delle Buone maniere. 
L'idea di quell'assessorato però non si è fermata: "Finito il primo turno delle elezioni romane - continua Cirillo - a Caserta ero stato cercato da entrambi i candidati sindaci arrivati al ballottaggio. Dissi, credendo di porre un paletto insormontabile a ogni collaborazione, che avrei sostenuto chi avesse accettato di impegnarsi per iscritto con me e con i casertani a istituire l'assessorato alla follia. Con mia grande sorpresa, Carlo Marino accettò, organizzai una manifestazione a tema il 15 ottobre e al ballottaggio Marino vinse di duemila voti. La delega effettivamente è stata istituita e assegnata, ma non a me e comunque senza riconoscere pubblicamente che l'autore di quell'idea sono io: questo non mi sta bene e intendo tutelare il mio diritto a essere riconosciuto autore". Anche per questo, al dr. Cirillo è venuta voglia di avviare con Caserta che non c'è un "movimento politico e sociale per colmare i vuoti sulle richieste e i diritti dei cittadini che oggi i partiti non riescono a soddisfare", con l'idea di organizzare ogni due mesi "tre incontri in diversi punti della città" per ascoltare i cittadini e indirizzarli agli uffici e alle figure competenti per semplificare la soluzione ai loro problemi. Forse parlare di follia è esagerato (anche se, in fondo, "l'impresa eccezionale, dammi retta, è essere normale", come diceva Lucio Dalla, quindi voler fare da soli ciò che un tempo facevano i consigli di quartiere magari un po' folle lo è); in compenso, sulla creatività di Giuseppe Cirillo non si discute. Chissà se l'idea prenderà piede e, magari, finirà sulle schede la prossima volta... 

sabato 29 gennaio 2022

Nuova Democrazia.it, per mettere la Persona al centro della politica

In questi giorni gli occhi di chi appartiene alle variegate comunità - per esempio - degli studiosi, dei costituzionalisti e dei #drogatidipolitica sono inevitabilmente puntati sugli scrutini per eleggere il Presidente della Repubblica. Nel frattempo, però, qualcosa si muove, dentro le aule parlamentari e anche fuori. Alcuni media, per esempio, in questi giorni hanno dato la notizia della nascita di un movimento denominato Nuova Democrazia, che ha Emanuele Mosca come presidente, Marcello Silvestri come segretario e il giornalista e comunicatore Biagio Maimone come vicepresidente. In effetti già alcuni mesi fa, alla fine di luglio, la notizia aveva iniziato a circolare e si era parlato di questo nuovo soggetto (tra il movimento e la corrente di pensiero) al convegno organizzato a Saint Vincent dalla Fondazione Democrazia cristiana di Gianfranco Rotondi (nel quale si è parlato soprattutto di Verde è Popolare).
"Siamo donne e uomini - si legge nel sito internet del soggetto politico - che, animati dal desiderio di vedere migliorata la realtà nella quale vivono, si impegnano per realizzare un progetto di vita che veda attuata concretamente la democrazia, intesa come unica espressione politica per poter garantire la parità e la pari dignità di ogni essere umano ed il rispetto di ogni essere vivente, nell'ottica di un progetto di armonia universale che veda coinvolti donne, uomini e tutte le restanti creature che abitano il cosmo. Desideriamo superare la retorica che avvolge la parola democrazia al fine di concretizzare un contesto socio-economico e politico realmente democratico. [...] Nuovademocrazia.it tutti accoglie in un disegno di emancipazione morale, umana, sociale e culturale. Essa è da intendersi come un processo in continua evoluzione, che si arricchisce, sempre più, di contenuti vitali, rendendo, pertanto, vitale ed emancipata la società civile e, conseguentemente, la vita di ogni singolo essere umano".
Lo stesso sito segnala che il movimento "si qualifica come progetto futuristico in quanto nella sua denominazione introduce '.it' che rimanda all'utilizzo del web quale veicolo dei suoi contenuti affinché essi possano , attraverso esso, raggiungere tutti i cittadini, sia in Italia, sia all'estero". Per i fondatori, il progetto più importante e ambizioso ha lo scopo di "diffondere, in tutto il mondo, la nostra concezione di democrazia, attualizzata in quanto rispondente alle esigenze della donna e dell'uomo contemporaneo, sia di natura materiale, sia di natura morale, nonché di natura spirituale". Ciò si deve ottenere mettendo al centro dell'azione politica "l'Uomo-Dignità, l'Uomo-Diritti umani e civili, l'Uomo-Universo e l'Uomo-Lavoro perché l'Italia possa, finalmente, tornare a vivere e a crescere". 
In effetti, a guardare lo statuto di Nuova Democrazia.it, si scopre che "La Nuova Democrazia.it" (questo il nome intero ufficiale) ha sì la forma dell'associazione - e fin qui nulla di strano, visto che questa è la norma per i partiti in Italia - ma più esattamente si tratta di una associazione di promozione socialecon sede a Genova, che "persegue finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale attraverso lo svolgimento continuato di attività nell’interesse generale ai sensi dell’art. 5 del d.lgs. 3 luglio 2017, n. 117". Leggendo il lunghissimo art. 2 dedicato agli scopi associativi, si vede che Nuova Democrazia.it "è un movimento democratico, pacifista ed umanista, di ispirazione laica,  composto da donne e uomini che credono nella giustizia sociale e nella sacralità e dignità di ogni essere umano e vogliono impegnarsi, attraverso un programma politico che, sulla base dei principi di libertà, democrazia, giustizia, solidarietà sociale, miri a superare le forme più dolorose della povertà ed ogni discriminazione socio-economica promuovendo l'occupazione, l’impresa, l'iniziativa privata e la tutela dei lavoratori dipendenti di imprese, enti e dipendenti Statali". Il soggetto collettivo "si prefigge il riscatto della verità negata dalla politica attuale, ossia la necessità di far vivere l'eguaglianza che non deve essere intesa come massificazione, ma deve essere intesa inesorabilmente come parità di condizioni di vita, di diritti e conseguenti doveri"; l'idea è di "far rivivere la fede degli albori dei movimenti che ponevano al centro l'essere umano, ritenuto soggetto ed oggetto di uno Stato veramente democratico", per cui occorre ridefinire "innanzitutto, i valori morali e, conseguentemente, i valori sociali ed economici della vita politica e di quella umana, partendo dal messaggio cristiano che vede nella religione cattolica la sua espressione più eminente". 
Tutto questo dovrebbe essere riassunto nell'emblema che l'associazione ha scelto di darsi, fondato sul blu e sull'azzurro. Il blu tinge il fondo, sul quale spiccano le lettere N e D (la prima bianca, la seconda azzurra), leggermente sovrapposte tra loro e con il suffisso ".it", bianco e molto piccolo, accostato alla D. La parte inferiore è occupata da un segmento azzurro dal profilo bicurvo, ripetuto da due linee (una azzurra e una bianca) sul fondo blu: la forma richiama tanto il profilo di un libro aperto e da sfogliare, quanto un volatile stilizzato, ad ali aperte, pronto a volare più in alto che può. Non è detto che il simbolo arrivi sulle schede, nazionali o locali, ma essendo stato concepito in forma rotonda sarebbe già pronto per finirci. Se servisse ad avere una società migliore, perché no?

sabato 22 gennaio 2022

Coraggio Sant'Onofrio, tra simboli, ricorsi, elezioni salvate e riflessioni

Dare uno sguardo alle decisioni dei giudici amministrativi in materia elettorale è interessante per gli studiosi di diritto e pratica elettorale non solo quando precedono il voto, ma anche ex post: in questo modo, infatti, si contribuisce a chiarire ulteriormente il quadro anche in materia di presentazione delle candidature, fase che - almeno alle elezioni amministrative - include anche la scelta e l'indicazione dei simboli. Spesso le "grandi piazze elettorali" offrono casi interessanti, ma spunti utili emergono anche da realtà decisamente più piccole. L'ultimo, giusto in ordine di tempo, è spuntato pochi giorni fa, dopo che il Tar di Catanzaro ha emesso una sentenza generata da un ricorso relativo alle ultime elezioni comunali a Sant'Onofrio, località di circa tremila abitanti in provincia di Vibo Valentia. 
Sulla scheda distribuita a elettrici ed elettori il 3 e il 4 ottobre dello scorso anno, le candidature alla guida del comune erano due: quella del sindaco uscente Onofrio Maragò, sostenuto dalla lista Tre Spighe (la stessa presentata nel 2016), e quella di Antonino Pezzo, appoggiato dalla lista Coraggio Sant'Onofrio. Proprio quest'ultima formazione è risultata vincitrice, prevalendo sull'altra con 920 voti su 802 (con 87 schede non valide). All'indomani della conclusione dello spoglio, si è registrata una dichiarazione di Francesco Bevilacqua, già parlamentare di An e Pdl (e poi di Fratelli d'Italia), dall'inizio del 2021 aderente a Cambiamo! e, dopo l'avvicinamento di Toti e Brugnaro, ora legato a Coraggio Italia: sui media ha espresso la sua soddisfazione per i risultati delle liste Coraggio Filadelfia e, appunto, Coraggio Sant'Onofrio ("I sindaci eletti, rispettivamente Anna Bartucca e Antonino Pezzo, sapranno certamente fornire risposte adeguate alle esigenze delle comunità di Filadelfia e di Sant'Onofrio e di proiettarle in una ulteriore dimensione di modernità e sviluppo"), aggiungendo che "nel Vibonese e dal Vibonese Coraggio Italia ha lanciato un messaggio di impegno forte che predilige le soluzioni delle criticità, purtroppo, ancora emergenti in Calabria".
Eppure, proprio quel collegamento ha rischiato di mettere in dubbio la validità delle elezioni. Maragò, infatti, quale aspirante sindaco sconfitto (ma eletto come consigliere comunale di minoranza) aveva impugnato gli atti di ammissione della lista Coraggio Sant'Onofrio e messo in dubbio, di conseguenza, la validità del risultato elettorale. Il problema era proprio il simbolo utilizzato: per Maragò la lista era stata presentata in nome e per conto del partito Coraggio Italia, dovendosi considerare "espressione, 
anche per facta concludentia, di tale partito", ma mancava la "dichiarazione sottoscritta e autenticata dal presidente o dal segretario del partito o del gruppo politico" o dal rispettivo presidente o segretario provinciale per attestare che tale lista era presentata, appunto, in nome e per conto del partito. In più, sempre secondo Maragò, anche a non voler considerare la lista come presentata in nome e per conto di Coraggio Italia (cosa che non avrebbe resto necessaria la citata dichiarazione), si sarebbe allora dovuto ritenere illegittimo il contrassegno, perché avrebbe indebitamente riprodotto "elementi caratterizzanti ed individualizzanti" l'emblema di Coraggio Italia, risultando confondibile con questo e rendendo, dunque, inammissibile la lista in quella forma (per aver indotto in errore il corpo elettorale). Altri vizi, infine, avrebbero riguardato alcune autenticazioni delle firme dei sottoscrittori di lista o delle accettazioni di candidatura (nonché lo squilibrio di genere nella composizione della lista, benché non sanzionato dalla legge per i comuni sotto i 5000 abitanti: il ricorrente chiedeva infatti che fosse sollevata una questione di costituzionalità in proposito, richiamandosi alla questione tuttora pendente davanti alla Corte costituzionale).
La prima sezione del Tar Catanzaro, nella sentenza n. 51/2022 (del 19 gennaio, pubblicata il giorno dopo), ha ritenuto di doversi occupare delle lamentele del ricorrente (negando in particolare che questi, non avendo impugnato a suo tempo l'ammissione della lista poi risultata vincente, avesse perso il diritto di contestare la partecipazione di quella lista e, con questa, il risultato - quell'ammissione, in fondo, non poteva considerarsi direttamente lesiva del diritto del ricorrente a partecipare alle elezioni), ma le ha respinte. I due motivi di ricorso relativi alla lista presentata "in nome e per conto" di Coraggio Italia e al contrassegno della lista stessa, in particolare, sono stati ritenuti infondati: la decisione su questi punti merita uno sguardo più attento.
I giudici hanno richiamato le disposizioni relative alle elezioni amministrative nei comuni inferiori che censurano l'uso di "contrassegni di lista che siano identici o che si possano facilmente confondere con quelli presentati in precedenza o con quelli notoriamente usati da altri partiti o raggruppamenti politici, ovvero riproducenti simboli o elementi caratterizzanti di simboli che, per essere usati tradizionalmente da partiti presenti in Parlamento, possono trarre in errore l'elettore" (d.P.R. n. 570/1960, art. 30) e che richiedono, per la presentazione di una lista con il nome e il simbolo di un partito che abbia eletto rappresentanti in una Camera o conti su almeno un gruppo parlamentare, la menzionata "dichiarazione sottoscritta dal presidente o dal segretario del partito o gruppo politico o dai presidenti o segretari regionali o provinciali di essi, che tali risultino per attestazione dei rispettivi presidenti o segretari nazionali ovvero da rappresentanti all'uopo da loro incaricati con mandato autenticato da notaio, attestante che le liste o le candidature sono presentate in nome e per conto del partito o gruppo politico stesso" (d.P.R. n. 132/1993, art. 2). Il collegio ha poi citato una sentenza del 2004 del Tar Genova in base alla quale, tenendo insieme le due regole, per presentare una lista alle elezioni amministrative legata a un partito presente in Parlamento con il simbolo di quest'ultimo occorre anche "apposita attestazione che le liste stesse vengono presentate in nome e per conto del partito o gruppo"; se questa manca, "è necessario utilizzare un simbolo [...] che non sia identico o facilmente confondibile con quelli presentati in precedenza o con quelli notoriamente usati da altri partiti o raggruppamenti politici, ovvero riproducente simboli o elementi caratterizzanti di simboli [...] usati tradizionalmente da partiti presenti in Parlamento".
Dopo aver esaminato la documentazione presentata, tuttavia, per i giudici non risultava "che la lista Coraggio Sant'Onofrio [avesse] utilizzato il simbolo del partito politico Coraggio Italia né [...] il nome del suddetto partito politico": basta questo, secondo loro, perché la norma che esige la dichiarazione di presentazione della lista "in nome e per conto" non debba applicarsi. Il Tar ha mostrato di conoscere le dichiarazioni dei dirigenti locali alla stampa che rivendicavano il collegamento tra partito e liste (anche perché certamente sono state inserite nel ricorso), ma ha precisato in motivazione che quelle dichiarazioni e altre informazioni affini risultano "priv[e] di pregnanza" e comunque "non possono surrogare la mancata utilizzazione di simbolo e nome del suddetto partito politico". Per i giudici che si sono espressi in questo caso, la norma aggiunta nel 1993 serve a "evitare che una lista possa 'collegarsi' ad un partito o gruppo politico presente in Parlamento nazionale o al Parlamento europeo, utilizzandone il simbolo, qualora non abbia avuto l'avallo del segretario politico di quest'ultimo": su questa base, "gli elementi indiziari offerti da parte ricorrente", più che far emergere una mancanza di chi ha presentato la lista (da sanzionare con l'esclusione), confermerebbe l'esistenza dell'avallo che la legge richiede, dunque non potrebbero avere conseguenze negative per la lista.
Posto che la dichiarazione di presentazione della lista Coraggio Sant'Onofrio in nome e per conto di Coraggio Italia non c'era (e, secondo i giudici, di fatto non era essenziale), poteva forse porsi qualche problema di confondibilità per il contrassegno usato? No, almeno per il Tar. Da una parte, secondo il collegio, nel giudizio di confondibilità si doveva tenere conto "del più elevato livello di maturità e di conoscenze acquisite dall'elettorato rispetto alla situazione apprezzata dal legislatore del 1960", nel senso che occorre riferirsi "alla normale diligenza dell'elettore medio di oggi, notoriamente munito di un bagaglio di conoscenze e di una capacità di discernimento ben superiori a quelli d'un tempo": non ci sarebbe pericolo di confondere due simboli qualora esistessero "elementi di differenziazione presenti prevalenti sugli elementi accomunanti i due contrassegni" (così la sentenza n. 1439/2020 del Tar Catanzaro, sez. I). Dall'altro lato, non coincidevano né i nomi dei due soggetti politici ("Coraggio Italia" e "Coraggio Sant'Onofrio", di cui si è notata la differenza anche delle "relative dimension[i] tipografiche"), né la struttura del simbolo: poiché "il cerchio esterno del simbolo Coraggio Sant'Onofrio presenta un unico colore blu" mentre quello di Coraggio Italia "reca per l’intera metà superiore il tricolore italiano" (dunque sarebbe stato, "all'evidenza, ben più elaborato e composto di quattro colori nettamente distinti tra loro e ben distinguibili"), per i giudici gli elementi distintivi erano "ragionevolmente maggiori" di quelli comuni (e il fatto che alcuni elettori abbiano indicato le preferenze di alcuni candidati al consiglio comunale sulla scheda delle contemporanee elezioni regionali, ovviamente accanto al simbolo di Coraggio Italia, sarebbe comunque poco consistente, visto che ciò si sarebbe verificato al massino in otto casi, un numero ininfluente rispetto al totale degli elettori.
La sentenza emessa dal Tar Catanzaro presenta alcuni profili condivisibili, mentre altri meriterebbero qualche riflessione in più. Da un parte si può concordare con i giudici sulla ratio della norma che chiede di dimostrare che esiste l'avallo da parte del partito rappresentato in Parlamento in modo qualificato (Coraggio Italia non ha eletto nessuno, essendo nato a legislatura in corso, ma ha formato un proprio gruppo alla Camera), essendo importante soprattutto evitare che una lista usi un segno grafico legato a un partito senza il consenso del partito stesso. Allo stesso modo, bisogna ricordare che la legge elettorale amministrativa censura, oltre che i contrassegni identici, quelli "facilmente confondibili" e non quelli solo "confondibili": si tratta dunque di un metro meno rigido e severo rispetto a quello valido per le elezioni politiche ed europee, che lascia spazio a simboli che "occhieggiano" a quelli dei partiti di riferimento pur senza citarli espressamente. Ciò, tra l'altro, vale perché formalmente alle elezioni amministrative non sono i partiti o gruppi politici che presentano le candidature, ma i sottoscrittori delle liste: non si tratta di una differenza di poco conto e questa, a sua volta, produce degli effetti tangibili.
Detto questo, fa una certa impressione leggere che la lista Coraggio Sant'Onofrio non avrebbe utilizzato né il nome né il simbolo di Coraggio Italia, così come si dubita che il diverso rilievo tipografico dei due nomi nel contrassegno possa avere qualche peso per diminuire la confondibilità (in fondo la dimensione diversa è necessitata dalla maggiore lunghezza del nome). Sarebbe stato più corretto dire che si sono apportate modifiche al simbolo e al nome; entrambi, tuttavia, restano oggettivamente riconoscibili e ricollegabili. Probabilmente questo non sarebbe stato sufficiente a far considerare illegittima la lista (in effetti la sanzione sarebbe parsa e parrebbe eccessiva); occorre però domandarsi cosa sarebbe accaduto se l'oggetto della somiglianza non avesse riguardato semplici campiture cromatiche, ma un elemento figurativo ben preciso o comunque identificabile e ricollegabile. In passato, infatti, è capitato che in mancanza di espressa dichiarazione dei dirigenti partitici competenti non fossero ammessi contrassegni contenenti, pur in un contesto più ampio e variegato, elementi caratterizzanti simboli rappresentati in Parlamento, anche in legislature precedenti (un garofano, una fiamma, il gabbiano arcobaleno dell'Idv): questi sono stati tolti, salvo quando è stata prodotta la dichiarazione del partito dimenticata in un primo tempo, per cui quegli emblemi sono stati riammessi. Sembra di poter dire, dunque, che la progressiva trasformazione di molti simboli di partito in loghi (o simil-marchi) abbia avuto anche quest'effetto: un maggior agio per chi vuole presentare candidature legate al partito, modificando il minimo indispensabile il simbolo per evitare aggravi di documentazione. Chi scrive non è convinto che sia una buona notizia; l'importante, comunque, è saperlo... 

mercoledì 19 gennaio 2022

"L'altra storia" del socialismo in Italia: il racconto visivo di Molaioli

Gli anniversari in politica sono sempre utili, anche quando non sono proprio tondi: danno infatti l'occasione per guardarsi indietro tracciare bilanci, riproporre materiali più o meno noti ma che meritano di essere visti tutti insieme. Considerando che nel 2022 cade il 130° anniversario della fondazione del Partito socialista italiano (nato nel 1892 a Genova come Partito dei lavoratori italiani, trasformatosi l'anno dopo a Reggio Emilia in Partito socialista dei lavoratori italiani e nel 1895 a Parma nel Psi), l'occasione è ghiotta per ripercorrere la storia almeno del primo centenario del partito, quello della sua reale e tangibile influenza nella vita politica e sociale italiana. Lo si può fare sul piano delle vicende storiche e politiche, dell'azione degli iscritti e dei dirigenti della forza politica, dell'operato dei suoi eletti nelle assemblee rappresentative o negli organi amministrativi e di governo, delle memorie di chi ha agito, collaborato, assistito: un compito certamente gradito a chi si occupa di storia. 
Proprio in politica - e soprattutto se si ha a che fare con il socialismo - è però altrettanto interessante (se non di più) ripercorrere gli strumenti con cui il partito si è manifestato, ha cercato di diffondere le proprie idee, di raggiungere e mobilitare i propri iscritti e simpatizzanti oppure di convincere altre persone ad abbracciare o a sostenere le tesi socialiste, iscrivendosi al partito o almeno votandolo alle elezioni. Si tratta dunque di analizzare i manifesti, le grafiche, le pubblicazioni del Psi, che hanno caratterizzato per decenni la propaganda del partito e, negli ultimi anni del suo secolo di vita, la sua attività di comunicazione politica: un punto di vista "alternativo", meno tradizionale e spesso visto come complementare (se non ancillare) rispetto a quello indicato per primo, ma in realtà fondamentale, proprio per l'impatto che ha avuto su chi ha permesso a quel partito di vivere e "contare". Non stupisce dunque che si intitoli L'altra storia. Comunicazione politica e propaganda socialista dal 1892 al 1992 l'ultimo volume - di quasi 300 pagine - realizzato e diffuso dalla Fondazione Bettino Craxi, formalmente negli ultimi mesi del 2021 ma in realtà pronto in sufficiente anticipo per la ricorrenza dei 130 anni.
Stupisce ancor meno che autore/curatore e trait d'union della pubblicazione sia Angelo Molaioli, una figura chiave per chi voglia occuparsi della (storia della) propaganda e della comunicazione socialista. Classe '44, Molaioli nei primi anni '70 ha militato nel Movimento politico dei lavoratori di Livio Labor (occupandosi già in quella sede della propaganda-comunicazione): c'era anche lui tra i candidati alla Camera alle elezioni politiche del 1972 (nella circoscrizione Roma-Viterbo-Latina-Frosinone il suo nome figura accanto a quelli di Gennaro Acquaviva, Luciano Benedusi e Luigi Covatta), anche se dal voto non arrivò nemmeno un eletto. Una parte consistente dei dirigenti di quel partito continuò la propria attività nel Psi e lo stesso Molaioli entrò nel comitato centrale della Federazione giovanile socialista italiana, divenendo nel 1974 (a 28 anni) direttore del suo periodico nazionale, Giovane Sinistra. Proprio in quel 1974 Molaioli iniziò a collaborare con la sezione Stampa e propaganda del Psi (allora guidata da Fabrizio Cicchitto), fino a divenirne a sua volta coordinatore nel 1981 (dopo Francesco Tempestini) e a restare alla guida della struttura anche dopo che, nel 1989, fu riorganizzata come Ufficio comunicazione e immagine del partito (direttamente legato alla segreteria); l'impegno terminò soltanto nel 1994, con lo scioglimento del partito, ma anche in seguito non ha smesso di occuparsi della storia del socialismo italiano (curando varie pubblicazioni).
Alla fine del 2020 la Fondazione Craxi ha acquisito il Fondo Angelo Molaioli (qualificato come di particolare interesse storico): oltre al materiale relativo all'attività nel Mpl, contiene fascicoli di manoscritti e dattiloscritti riconducibili ai suoi anni nella Fgsi e nel Psi, vari volantini, pieghevoli, manifesti e altro materiale di propaganda socialista in un arco di tempo che va dal 1955 al 1994, nonché altra documentazione iconografica sulla storia del socialismo italiano (il volume illustra più a fondo il contenuto di quel fondo). Dal suo ruolo di "osservatore partecipante" Molaioli è stato di certo attore e allo stesso tempo osservatore privilegiato della propaganda e della comunicazione politica del Psi, come dimostrano numerose pubblicazioni da lui curate nel corso del tempo (e dalle quali provengono buona parte dei testi raccolti nel volume della Fondazione Craxi): la più famosa e corposa, oltre che la più rilevante per l'argomento di cui si parla, è probabilmente Le immagini del socialismo, volume mastodontico di oltre 500 pagine (e numero speciale dell'Almanacco socialista, pubblicazione storica rilanciata dallo stesso Molaioli) uscito nel 1984 e compendio più che esauriente dell'espressione grafico-politica del socialismo italiano fino a quel momento.
Quella ripercorsa nel volume è davvero "l'altra storia", sia perché è fatta per immagini (dunque non con i documenti tradizionalmente maneggiati da certi storici, nei quali il testo è il contenuto più rilevante), sia perché pagina dopo pagina si scorre un secolo d'Italia attraverso lo sguardo di un partito e il suo punto di vista, a costo di (anzi, proprio con l'intento di) offrire una narrazione della Prima Repubblica (specie dei suoi ultimi quindici anni) "molto diversa da quella [...] raccontata nei tre decenni che hanno seguito la distruzione del più antico Partito italiano e del suo leader Bettino Craxi, della sua politica riformista e del suo modo di comunicarla", come si legge nella pagina (non firmata) che apre il volume. Quella del libro di Molaioli poi è "l'altra storia" (o, volendo, "l'una e l'altra storia") perché passa in rassegna una successione ricca, complessa e sfaccettata di vicende, persone, azioni e programmi lunga un secolo, riproposta con il piglio di chi - Molaioli - ha contribuito a una rivoluzione comunicativa (con il segretario Craxi e figure chiave di quel processo iniziato prima della sua segreteria, a partire certamente da Ettore Vitale e Filippo Panseca) e, allo stesso tempo, ha ricostruito in modo certosino le "puntate precedenti" della propaganda, diverse da quelle successive per messaggi e tecniche impiegate ma perfettamente in grado di parlare del loro tempo, dei loro artefici e dei loro destinatari. In più - e ciò non sembri un elemento minore - quella che emerge dal volume di Molaioli è "l'altra storia" perché - attraverso le sue scelte politiche, testuali e grafiche - ha parlato a ciascuna persona (che fosse o meno tra i "destinatari naturali" delle idee socialiste), ma è riuscita a colpire "l'altra Italia", cioè quella minoranza di italiane e italiani che (come scrisse Valeria Scrivani in un articolo uscito su Pubblico nel 1990 e contenuto nel libro) riesce a ricordare almeno una campagna politica. Anzi, in questo il Psi - quel Psi - ci è riuscito meglio di altri soggetti.
Tutto questo fa di L'altra storia "un libro di testa e di cuore, dove ragione e sentimenti, storie personali e collettive si amalgamano", come si legge in modo condivisibile nella prefazione firmata da Stefania Craxi. E in quell'amalgama di ragione e sentimenti si può trovare di tutto, anche il misto di sofferenza (per la storia del partito, gloriosa ma interrotta), rabbia (per gli errori - propri e altrui - in un periodo di attacco concentrico, talora inevitabile e talora eccessivo) e orgoglio puntiglioso (verso chi ha pensato di trarre giovamento dalla fine di quella storia) che traspare dall'introduzione di Fabrizio Cicchitto (che - come detto - aveva avviato il lavoro di Molaioli la Sezione stampa e propaganda, ma che aveva anche iniziato una collaborazione con Ettore Vitale che si sarebbe dimostrata duratura e decisamente fruttuosa). Chi scorre le pagine del volume può ovviamente avere sentimenti affini, distanti o del tutto opposti a quelli appena indicati, a seconda del proprio percorso e della storia maturata, ma questo è del tutto naturale quando è in gioco il racconto della politica, della sua storia e - appunto - delle sue storie, tanto ideali quanto concrete (visto che si traducono nelle persone).
Ci si trova così davanti un "immenso sistema di frammenti visivi" legato a quelle storie, che riesce a unirle tutte. L'espressione citata è di Stefano Rolando, già docente di Teoria e tecniche della comunicazione pubblica (nonché dirigente Rai e per dieci anni alla Presidenza del Consiglio per occuparsi di informazione ed editoria, arrivato li su impulso di Craxi e di Giuliano Amato): per la Fondazione Craxi aveva già curato il saggio (con inserti di varie figure, tra ex dirigenti socialisti e di altri partiti, studiosi, giornalisti) Una voce poco fa. Politica, comunicazione e media nella vicenda del Partito socialista italiano dal 1976 al 1994 e quel libro conteneva, in appendice, quaranta pagine a colori con materiali rilevanti dell'iconografia, propaganda, comunicazione ed editoria del Psi (purtroppo allora senza l'opportuno spazio per citare chi a quelle grafiche aveva lavorato). Il volume di Molaioli completa di fatto lo studio di Rolando del 2009 e lo stesso Rolando in un suo saggio (dal titolo Parole, simboli, significati) inquadra in modo proficuo sia l'attività del partito, sia "l'altra storia" che il libro ripercorre, analizzando la "scelta politica, culturale ed estetica" dei comunicatori del Psi, il passaggio dalla propaganda alla comunicazione (dedicando spazio anche al significato e al "peso" di questi termini) e il diverso destino riservato agli emblemi del socialismo (per cui la bandiera rossa è stata vissuta in modo assai meno divisivo rispetto a falce e martello). 
Alcuni testi già editi di Molaioli (a partire da quello presente nel citato Almanacco socialista '84 - Le immagini del socialismo) fanno capire la necessità - parafrasando un commento pubblicato da Filippo Turati in Critica sociale - di "aprire anche per il Partito socialista i volumi della storia", volumi ricchissimi e decisamente illustrati di una storia ancora più ricca. Si va dall'iconografia delle cartoline, delle pubblicazioni e delle testate dei primi anni (ricche, tra l'altro, di garofani in vario stile) ai materiali dei decenni successivi (nei quali si colloca anche l'avvento di Avanti!, le cui copertine inizialmente sono vere opere d'arte), sempre più diffusi, variegati e differenziati anche a livello locale.
Un approfondimento specifico è dedicato alle tessere del Partito socialista (cui Molaioli aveva dedicato una pubblicazione specifica): queste sono analizzate una per una, per i loro soggetti, per il contesto nel quale sorgono, per le evoluzioni palpabili di anno in anno. E se tutto ciò che le tessere contengono ha la dignità di simbolo (nel senso di qualcosa che "sta al posto" di un complesso di idee, di un progetto, di una campagna, della vita di un personaggio notevole), in vari momenti le tessere danno spazio proprio ai simboli del partito, a volte consolidati, a volte destinati a durare pochissimo (come quello sulla tessera del 1969, crasi degli emblemi di Psi e Psdi dopo la "bicicletta" elettorale dell'anno prima), altre volte ancora rappresentano il mezzo più efficace per comunicare il nuovo emblema (come avvenne nel 1979 con il garofano disegnato poco prima da Ettore Vitale).
Un altro spazio ad hoc è dedicato ai manifesti, senza dubbio parte preziosissima del patrimonio iconografico socialista; sfogliando le pagine però si trovano tante testimonianze delle scenografie dei vari eventi (congressi e conferenze), svariati appunti di lavoro (con tanto di parti manoscritte con grafie inconfondibili) e tanto - giustissimo - spazio per le pubblicazioni curate per investire sulla formazione politica e sul modo migliore di comunicare, a ogni livello (il compagno, argomenti socialisti), senza contare gli Almanacchi socialisti e i tanti libri e opuscoli composti, stampati e messi in circolazione (a cura dell'Ufficio Attività editoriali). Anche chi non ha condiviso quella storia (perché è nato più tardi o perché era di idee diverse), non può che restare ammirato - soprattutto dopo un rapido, desolante confronto con il panorama odierno - dalla quantità di materiale prodotto e dalla mole di pensiero e studio alla base di ogni singola iniziativa e del loro complesso. Beninteso, ciò vale anche per l'attività degli altri partiti (a partire da quanto era stato fatto dalla Spes per la Dc e da coloro che nel Pci si occupavano di grafica e propaganda), ma per il Psi - stretto tra due partiti più grandi - gli sforzi per emergere devono essere stati ancora più grandi. Non di rado sono andati a segno.
Tra le ultime pagine dedicate alla comunicazione politica, oltre a un interessante approfondimento sulle campagne elettorali, c'è una parte dedicata espressamente al simbolo del partito, in particolare al codice di applicazione del nuovo emblema che Ettore Vitale volle preparare nel 1979, per rendere più facile l'uso del simbolo da lui concepito ed evitare errori o ingenuità grafiche. Chi segue da tempo questo sito ricorderà che all'inizio del 2020, nell'intervista allo stesso Vitale, si era già dato il giusto spazio a questo passaggio importante nella costruzione e nella proposta dell'immagine del Psi; ci sarà occasione di tornarci - si spera - molto presto, in occasione di un nuovo appuntamento editoriale ormai alle porte. In compenso, il volume della Fondazione Craxi riporta il testo di Angelo Molaioli che accompagna il citato codice di applicazione, che merita di essere in parte riprodotto di seguito, giusto per far capire quanto un cambio di simbolo, all'epoca, fosse innanzitutto un passaggio politico e concreto (inserendo qui anche il tema della comunicazione), non di mera immagine: 
Con il nuovo simbolo del Partito l'impegno di aggiornamento della linea propagandistica fa un ulteriore passo avanti. Diventa adeso determinante il ruolo delle strutture periferiche, che devono compiere il massimo sforzo non solo di pubblicizzazione del simbolo, ma anche e soprattutto di adeguamento alla stessa linea grafica, al fine di dare al Psi un'unica immagine esterna, più incisiva e chiara. [...] Non si tratta [...] di imporre qualcosa dall'alto, o di comprimere la creatività di base. Si tratta più semplicemente di capire che è necessario, per una forza politica, presentarsi nel modo più corretto e lineare possibile. [...] Il cambio del nuovo simbolo, inoltre, comporta, nel breve periodo, una serie di problemi per le strutture del Partito: dal cambio della targa delle Sezioni e delle bandiere, a quello della carta intestata; da quello della stampa di nuovi manifesti contenitori e di materiale che era sempre valido per ogni occasione e che, se ha invece il vecchio simbolo, deve essere logicamente ristampato. E' bene, comunque, che per alcuni mesi il nuovo simbolo venga riprodotto sul materiale propagandistico in un formato più grande, proprio per visualizzarlo al massimo.
Pur non potendo contenere tutto (altrimenti non sarebbero bastate, forse, 1000 pagine...), il volume di Angelo Molaioli è un ottimo strumento per farsi guidare in una storia che merita di essere conosciuta più a fondo: chi la ricorda bene ha la possibilità di approfondire, chi non l'ha vissuta o non l'ha apprezzata troverà di certo elementi per "trovarne il buono". Al di là di qualche imperfezione qua e là (ma, per nostra fortuna, nelle opere umane la perfezione non esiste...), il libro L'altra storia merita di stare in ogni biblioteca dei #drogatidipolitica, dei curiosi della comunicazione o anche di chi, semplicemente, vuole avere una chiave di lettura per ripercorrere un secolo di storia, soprattutto - è inevitabile - gli anni dell'era craxiana. Avrà tutto il diritto di non rimpiangerla o non rivalutarla, ma a fine lettura ne saprà certamente di più e avrà messo a posto qualche tessera in più. Anche a costo di non pensarla in tutto e per tutto come all'inizio del percorso.

martedì 18 gennaio 2022

Primi passi del Fronte di liberazione nazionale (di Gilet arancioni e altri)

Mentre la maggior parte delle energie e dell'attenzione dei #drogatidipolitica in questi giorni si concentra sugli ormai prossimi scrutini per l'elezione del nuovo Presidente della Repubblica (e dopo che si è consumato l'altro evento elettorale di gennaio, vale a dire l'elezione suppletiva nel collegio camerale di Roma-Trionfale), occorre non perdere di vista ciò che accade dentro i Palazzi, ma soprattutto al di fuori. In mancanza, ad esempio, di nuove mirabolanti novità in tema di componenti del gruppo misto (alla Camera l'ultima modifica rilevante si è avuta il 1° agosto, con l'aggiunta di FacciamoEco al nome della componente Maie-Psi; al Senato dopo il 23 dicembre ci si è concentrati per un attimo sul nuovo nome della componente IDeA-Cambiamo!-Europeisti-noi Di Centro (Noi Campani), ma ormai è passato quasi un mese), è il caso di vedere cosa si muove altrove, a partire dall'area Gilet Arancioni.
Giorni fa si era già detto che il movimento legato ad Antonio Pappalardo sul proprio nuovo sito aveva sfoggiato un simbolo modificato, con il gilet catarifrangente che aveva fatto la sua comparsa al centro del cerchio e le scritte principali (oltre alla chiave di violino) erano state volte all'arancione, utilizzando il contorno bianco per renderle visibili. Ora vale la pena dire che l'8 e il 9 gennaio si è svolta a Marina di Carrara (presso l'Area Paradiso) una manifestazione organizzata dai Gilet Arancioni e da altri gruppi per riunire un'Assemblea costituente per la Libertà e la Democrazia. Si è trattato di un passaggio volto alla costruzione di un nuovo movimento politico ("e non sociale, culturale o filosofico, perché solo con la politica si salva il paese, non con le chiacchiere", ha detto Pappalardo), un soggetto che - secondo i promotori - dovrebbe opporsi "all'attuale regime postcomunista, che invece di scomparire dopo la caduta del muro di Berlino [...] si è rafforzato in Italia, raggiungendo accordi internazionali per abbattere la sovranità nazionale; imporre in modo esclusivo una moneta, l'euro, così eliminando la sovranità monetaria nazionale; imporre l’adesione ad una Unione Europea, in mano al Nuovo Ordine Mondiale, in dispregio della volontà popolare". Quel soggetto politico - si legge sempre nell'atto costitutivo diffuso prima dell'evento - dovrebbe "raccogliere le istanze della maggioranza del Popolo Italiano, che non si riconosce negli atti liberticidi dei Parlamenti e Governi, che si sono succeduti nel tempo, che hanno cercato di violare e cambiare a proprio uso e consumo i principi fondamentali della Carta Costituzionale con DPCM, illegittimi e anticostituzionali"; tra i suoi primi atti, dovrebbe "invitare la maggioranza degli Italiani a unirsi, per creare le basi per formare una nuova maggioranza parlamentare la quale dovrà istituire un Tribunale Storico delle Verità, contro gli attuali governanti e vertici delle aziende sanitarie, che si sono macchiati di gravissimi delitti contro l'umanità", preparando in seguito "radicali trasformazioni dello Stato Italiano e delle sue relazioni internazionali, con l'obiettivo di cambiare l'attuale sistema politico, economico, sociale e finanziario, creato per ulteriormente arricchire lobby di potere, riunite sotto la sigla 'Nuovo Ordine Mondiale'".
Il nuovo soggetto - che ha come presidente lo stesso Pappalardo e come segretario Nicola Franzoni - si chiamerà Fronte di liberazione nazionale, evitando di proposito parole come "Partito" o anche solo "Movimento". Si è elaborato anche un simbolo, con una R nera pennellata al centro, su fondo bianco, con intorno una corona rossa che contiene il nome scelto. "La R al centro - ha spiegato Franzoni - per me sta per 'Rivoluzione', ma ognuno può vederci la rinascita, la risurrezione o qualunque altra cosa voglia. Il simbolo è semplice e non pasticciato perché deve avere impatto, deve restare impresso in chi va a votare". Tra i soggetti collettivi costituenti, oltre ai Gilet arancioni, c'è Onda popolare (soggetto fondato e guidato proprio da Nicola Franzoni, che nel simbolo mostra un'onda tricolore).
Occorre considerare anche Italia Unita, movimento politico da poco trasformatosi in partito - e guidato dal ristoratore (e fondatore) Francesco Nappi, che ne è il presidente - nonché animato innanzitutto dall'idea di tornare alla moneta nazionale e di abbandonare l'Unione europea e i suoi vincoli (come dimostra il motto #stopEuropa scritto al di sotto della "punta europea" della stella che si distacca. Tra i fondatori del Fronte c'è poi il Movimento Liberazione Italia, di cui si è parlato su questo stesso sito pochi giorni fa anche per il suo simbolo più recente rinnovato: all'evento di Marina di Carrara dell'8-9 gennaio ha infatti partecipato anche la sua figura di riferimento, Giuseppe Pino.
Tra i soggetti promotori della nuova esperienza politica c'è anche Motore Italia, partito fondato il 16 ottobre 2020 ad Ancona da Carlo Negri, con l'idea di tutelare soprattutto la libertà individuale e collettiva e operare per un "rinascimento economico italiano" (che prevede, anche in questo caso, l'abbandono dell'Euro); l'idea di una rinascita, sia pure in ambito economico-produttivo, deve aver suggerito di adottare come simbolo un sole che sorge all'interno di una ruota dentata azzurra (ma con un tocco di tricolore sui denti). La versione dell'atto costitutivo divulgata prima dell'evento nomina anche Grande Nord (guidato da Roberto Bernardelli), Italia sovrana (il nome è quello di un gruppo Facebook, non è dato sapere se legato a una forza politica in particolare) e Noi Piccoli Italiani (progetto politico recentissimo, legato a Wally Bonvicini).
Il nuovo soggetto politico intende avere vari principi ispiratori (centralità della vita e dell'essere umano; istituzione dell’Italia Paese della Pace, al di fuori di una Europa in mano ai poteri forti; adozione della Carta Universale dell’Umanità; abolizione di privilegi e caste; annullamento progressivo delle tasse; creazione del Quarto potere, cioè il potere del popolo che elegge la Corte costituzionale; attuazione del Multipolarismo nella politica internazionale) e nel suo programma (che comprende anche l'uscita dall'Unione europea, dall'Onu e dalla Nato), c'è anche il progetto di battere moneta, cioè la "Lira Italica", prima parallela all'Euro (con il cambio "1 a 1") e comunque da distribuire subito a tutti gli italiani (1500 lire italiche al mese), poi sostitutiva.
Il primo appuntamento pubblico del Fronte di liberazione nazionale è stato sabato pomeriggio a Napoli in piazza Dante. Al di là delle notizie sulla scarsa partecipazione riportate dai media, qui rileva il fatto che un nuovo soggetto politico cerca di muovere i primi passi per tenere insieme posizioni fin qui magari vicine, ma pur sempre distinte. Si vedrà nelle prossime settimane se il simbolo circolerà, se conoscerà qualche variazione e se avrà gambe sufficienti per presentarsi alle elezioni.

giovedì 13 gennaio 2022

Lorenzo Vanni, "IL" mondo (n-uovo) racchiuso in un simbolo

Il tempo delle suppletive è ormai vicinissimo. Tra tre giorni - domenica 16 gennaio - per oltre 185mila tra elettrici ed elettori della Capitale saranno pronte urne e cabine per indicare chi, in quest'ultimo scampolo della XVIII legislatura, siederà alla Camera come persona eletta nel collegio uninominale 01 - Roma Trionfale del collegio plurinominale Lazio 1, prendendo il posto di Roberto Gualtieri (a sua volta eletto due anni fa nelle precedente elezione suppletiva, per sostituire Paolo Gentiloni) e avendo come primo impegno assai rilevante l'elezione del nuovo Presidente della Repubblica. I nomi sulla scheda - con relativi simboli - saranno cinque e sono stati analizzati nei giorni scorsi. Quattro, più o meno noti, sono certamente legati al mondo politico "tradizionale", quello dalle sembianze più consuete, a prescindere dalla parte che propone la candidatura. Il quinto nome - anzi, in ordine di sorteggio è il terzo - è invece legato a tutt'altro mondo, anche se lui - Lorenzo Vanni - tiene a dire che è politica anche la sua, solo sotto altre forme, non meno degne e ugualmente importanti. 
Per chi abita o lavora nel quartiere della Vittoria - in pieno collegio Roma-Trionfale - o per chi lo frequenta abitualmente, il cognome "Vanni" non suona certo nuovo: richiama inevitabilmente il bar attivo da oltre 90 anni da quelle parti (e che da decenni ha la sua frequentatissima sede in via Col di Lana) e le altre attività di ristorazione e banqueting contrassegnate dall'esagono arancione con le due "V". Lorenzo Vanni è appunto il nipote del fondatore di quest'attività di ristorazione, tuttora impegnato in questa ("Ho 56 anni e ho iniziato a lavorare quando ne avevo venti: mi ero iscritto a Scienze politiche, poi mio padre mi ha invitato a confrontarmi con il lavoro 'dell'olio di gomito" ed ecco qui..."). Insieme a Beatrice Gamberini, Valerio Casini, Cecilia D'Elia e Simonetta Matone domenica sulla scheda ci sarà anche lui, incarnando - ne è profondamente convinto - una candidatura diversa, particolare (da Homo Novus, come si legge nel contrassegno), non sovrapponibile ad alcuna altra. Così come non è accostabile a nessun altro il simbolo che accompagna la candidatura, anomalo e stracarico, anche a costo di rischiare di non essere letto e compreso facilmente.
A un primo sguardo non possono sfuggire alcuni dettagli: la convivenza di un "nome politico" ("IL" N-"UOVO" MONDO) e di uno slogan (molto raro nei simboli), l'abbondanza di virgolette e, soprattutto, il disegno di una figura umana davanti a una grossa "V" arancione. Per chi ha esperienza di stili e tratto, quel disegno è chiaramente riconducibile alla mano di Makkox, cioè Marco Dambrosio, ben noto a chi segue da anni Propaganda Live (e prima Gazebo) e a chi vede le sue creazioni sul Foglio, sull'Espresso e sul Post. Siamo dunque di fronte al primo vero simbolo elettorale disegnato da Makkox (oltre ai tanti sfornati durante le sue trasmissioni televisive)? Sì e no, nel senso che il disegno non è nato per il contrassegno elettorale, ma per illustrare la copertina del libro "IL" Sano De-Mente, che Vanni ha pubblicato con Albatros lo scorso anno. A distanza di un anno, "IL" si ritrova, rigorosamente in maiuscolo e tra virgolette, anche nell'emblema offerto ad elettrici ed elettori del collegio Roma-Trionfale: il significato lo spiega lo stesso Vanni. "Ho messo 'IL' tra virgolette perché quelle due lettere, che numerologicamente valgono 12, mi rappresentano: il mio nome e cognome in tutto hanno 12 lettere, in più il mio nome vale 42 e il cognome 24, per cui sono palindromi e la loro somma ancora una volta fa 12. Non solo, come si sa, il 12 è un numero ricorrente nei miti, nelle leggende e in molte religioni, da quella ebraica a quella cristiana, ma c'è di più: questo doppio 12 del mio nome, secondo gli studi alchemici della professoressa Patrizia Pezzarossa, si traduce nella geometria solida in un 'doppio dodecaedro', una forma che addirittura crea un 'tunnel interstellare' nel quale può passare di tutto, un mondo intero o un universo". "IL", dunque, non sarebbe un "semplice" articolo, ma addirittura una porta-finestra su un mondo n-uovo (quello di Vanni) e, insieme, un riassunto concentrato: se Cesare Zavattini sognava di potersi stringere in una parola (Stricarm' in d'na parola), Vanni si stringe in due sole lettere, strette a loro volta dalle virgolette.
In quel mondo rientra a pieno titolo il disegno creato da Makkox: "Tra noi si è creato un bel rapporto di amicizia, che ci ha portato a scambiare vari lati della nostra esistenza. Nel momento in cui gli ho detto che stavo lavorando a un libro e a un progetto di comunicazione, di una nuova 'corrente' (perché non mi piace parlare di 'movimento', dobbiamo dare anche una nuova visione alle persone), gli ho proposto di disegnare per me 'IL supereroe'. Lui mi ha raffigurato così: nella sua genialità è riuscito a inserire i due '12' nella 'V' dietro di me, che si possono intravedere nelle fiamme che la compongono senza che emergano in modo evidente; in primo piano, quindi, c'è la mia raffigurazione e dietro c'è questa 'V' che può voler dire molte cose. Per me non è certo 'V per Vendetta': è innanzitutto la 'V' di 'vittoria', di 'vita' e di 'vivacità'". Non può sfuggire, peraltro, che la "V" richiama anche lo stesso Vanni, per l'iniziale del cognome e per il colore arancione usato da Makkox, lo stesso che da molti anni caratterizza l'insegna-marchio dell'attività di famiglia. A quel supereroe idealizzato e visto da Makkox, genio della penna, ho abbinato la mia creatività verbale, giocando con le parole sulla traccia della 'scuola' francese dell'OuLiPo. Da lì è nato appunto 'IL' Sano De-Mente, che si presenta come libro di aforismi e giochi di parole, fondato su sensi, non-sensi e doppi sensi, in una lingua 'a composizione e modulazione variabile' lasciata nelle mani di chi legge".
Questa lingua si serve delle regole senza farsene ingabbiare e lo stesso ha cercato di fare Vanni con il proprio simbolo, cercando di metterci tutto e di tutto, sperando che chi lo vede si prenda il tempo per capirlo senza liquidarlo in fretta. Se infatti la "grammatica dei simboli" politici ed elettorali limita il più possibile l'uso della punteggiatura, il contrassegno elettorale di Lorenzo Vanni sfoggia ben due coppie di virgolette e aggiunge di buon peso un trattino, senza minimamente preoccuparsi di quanto un segno grafico così piccolo abbia fatto litigare varie forze politiche in passato (vedi alle voci "centro-sinistra" e "centrosinistra"). Ma guai a pensare che si tratti "solo" di punteggiatura. "Il ruolo delle virgolette, come quello dei puntini, delle parentesi, delle virgole, degli stessi accenti chiama in causa direttamente la persona che legge - spiega Vanni - ed è suo compito interpretare, secondo la sua specifica visione, quello che c'è scritto, con un senso che può cambiare anche in base a come ci si sente in un preciso momento. Del resto è quello che ho fatto già nel mio libro: lì ogni aforisma inizia con tre puntini e finisce ancora con tre puntini, perché solo chi legge sa che cosa personalmente viene prima di quella frase, così come tocca a chi legge dare un seguito a quella frase, inventarlo per continuare".
Se la prima coppia di virgolette racchiude "IL" e il mondo numer(olog)ico che riassume in sé, la seconda agisce in sinergia con il trattino e, dalla parola "nuovo", fa emergere il termine "uovo", un'azione tutt'altro che casuale. "Come ben sa chi apprezza la simbologia - continua Vanni - l'uovo rappresenta la rinascita della vita e dell'anima, rappresenta la sorpresa: si può dire che nell'uovo ci sta tutto". Ci sta anche, in fondo, la tentazione di dire che questo stesso simbolo, anche grazie alla sua forma circolare (in un certo senso fin troppo perfetta, cioè poco ovoidale), richiama l'idea dell'uovo per la novità (rispetto al consueto), ricchezza e - non lo si può negare - complessità del contenuto.
Ha pensato almeno una volta Vanni, per essere ancora più dirompente, di chiamare il proprio progetto elettorale proprio "'IL' Sano De-Mente" o ha desistito, ritenendo che quella cartuccia fosse già stata sparata? "Ma in realtà questo simbolo è proprio 'IL' Sano De-Mente" spiega lui: "Dal libro è partito il progetto cui non potrò mai rinunciare: quello del supereroe, della 'V' scintillante, del motto 'Io per tutti - tutti per noi', che ho tratto ovviamente dai Tre Moschettieri ma che ho voluto ribaltare in girato a modo mio, perché se io avrò l'opportunità di andare in Parlamento rappresenterò tutti e sono convinto che quei 'tutti' lavoreranno per la comunità, per 'noi' dunque. In quel progetto rientra anche quella curva che sta in basso, tendente all'arancione, inserita per richiamare la dualità dello yin e dello yang che ci caratterizza". Fino ad ora il Taijitu era stato evocato essenzialmente dai simboli adottati dalla Lista Marco Pannella dal 1992 in avanti, con il primo nato - lo ha ricordato il suo creatore, Aurelio Candido - sostanzialmente per scherzo. "Ma in un certo senso - precisa Vanni - anche questo simbolo è nato 'per scherzo', nel senso che non c'è stato alla base uno studio del simbolo elettorale. Come dicevo, alla base c'è il mio dialogo con Makkox sul mio progetto, lui sulla sua strada ha inventato quell'immagine del supereroe, io sulla mia strada ho aggiunto il resto, prima con il libro e poi con la candidatura che costituisce lo sviluppo del progetto".
Già, com'è nato questo sviluppo? "La candidatura alla fine è nata perché il territorio, la gente nun gliela fa più e mi sono sentito dire: 'Vanni, ma perché nun ce mette un po' del suo e vediamo se si riesce a fare qualcosa?' ed è quello che ho fatto, anche perché per il mio lavoro faccio politica tutti i giorni". In che senso? "Ogni giorno devo relazionarmi con dipendenti, clienti, questioni sindacali... vuole dire rapportarsi con centinaia di persone che hanno milioni di differenti caratteristiche e attitudini; in passato sono stato anche a capo di un'importante associazione di commercianti del centro storico. Per tutte queste ragioni, penso di fare da sempre la politica del territorio, quella 'della strada'. Era già nata l'idea che io potessi presentarmi alle suppletive precedenti, quelle del collegio di Roma-Primavalle, ma quello non era il mio territorio e non mi interessava concorrere lì; questa volta invece è il mio territorio a essere chiamato al voto, quindi ho deciso di presentarmi." Per finire sulla scheda elettorale, Vanni (come le persone candidate da Potere al Popolo! e Italia viva) ha dovuto raccogliere tra 300 e 600 firme di elettrici ed elettori che risiedono nel collegio e ci è riuscito: "Ho fatto una corsa al rush finale, anche perché di queste elezioni suppletive si è parlato e si parla tuttora molto poco, una cosa che fa molto male alla democrazia e finisce per attribuire i seggi parlamentari sempre a persone strettamente legate ai partiti, che magari conoscono ben poco il territorio e in previsione hanno altri incarichi, senza che ci sia davvero spazio per chi con i luoghi in cui si vota ha vere relazioni".
Ora è presto per sapere quante persone andranno a votare e non si può certo sapere quante di loro si saranno interrogate sul significato della candidatura di Lorenzo Vanni, men che meno sull'universo stretto in un cerchio di 3 centimetri di diametro stampato sulla scheda. Di certo la conta dei voti sarà interessante: chi avrà messo la croce su "IL" N-"Uovo" Mondo avrà iniziato un viaggio, durato ben più dei pochi secondi passati in cabina elettorale.

sabato 8 gennaio 2022

Nel toto-Quirinale rispunta la vela del Ccd: Giugiaro, il Ppe e altre storie

Anche chi non appartiene alla schiera dei #drogatidipolitica può facilmente verificare come la politica sia, tra i tanti volti che può mostrare, anche una storia di storie. Quelle delle persone che si incrociano o camminano parallele, quelle dei loro progetti (tutti rilevanti e da considerare, a prescindere dalla loro riuscita), ma anche quelle dei tanti episodi minori o minuscoli, magari legati a un incontro, a una battuta, anche a un "incidente di percorso" o 
a un particolare trascurabile per i più: si può stare certi, però, che prima o poi questo o quell'episodio tornerà utile in un racconto, per ricordare o "leggere" meglio un'epoca, un passaggio di tempo, oppure anche per ricostruire un personaggio, nelle linee generali ma anche nei suoi risvolti, non meno importanti. 
I dettagli e gli episodi, dunque, sono fondamentali: basta conoscerli (e già non è poco), sapere quando tirarli fuori e - ovviamente - raccontarli bene. Non è facile e non chiunque lo sa fare, ma gli esempi per fortuna non mancano (e in più di un'occasione se n'è parlato in questo sito e se ne riparlerà, si spera, a breve). Il 6 gennaio, a giudizio di chi gestisce questo spazio, ci è riuscito Tommaso Labate, dedicando sul sito del Corriere della Sera un articolo a Pier Ferdinando Casini, uno dei possibili candidati alla Presidenza della Repubblica e probabilmente uno dei più plausibili, per varie ragioni debitamente sgranate da parecchi commentatori che vanno oltre la triade Draghi-Mattarella-Berlusconi. L'articolo merita di essere letto, ma chi scrive ora è rimasto inevitabilmente colpito dall'attacco del pezzo, che si riporta di seguito.
"Aaaaaahhhh, bella, bella!", esclamò in un freddo giorno di gennaio del 1994 Pier Ferdinando Casini mentre guardava, impressa su un foglio di carta, la vela rigonfia di vento dell’arca che l’avrebbe portato in salvo. L’aveva disegnata Giorgetto Giugiaro su richiesta del democristiano Silvio Lega, quella vela destinata a diventare nel giro di pochi giorni il simbolo del Centro cristiano democratico. Neanche qualche settimana prima, la carriera parlamentare del futuro presidente della Camera, eletto per la prima volta a Montecitorio nel 1983, sembrava arrivata al canto del cigno; la dissoluzione della Democrazia cristiana aveva messo lui e molti fedelissimi di Arnaldo Forlani in un angolo soprattutto per volontà di Mino Martinazzoli, che stava trasferendo il poco che restava della storia dello scudocrociato nel Partito popolare italiano. 
E così Casini, inabissandosi come un palombaro alla fine del 1993, era scomparso dai radar fingendo rassegnazione per l'amaro finale di una giovane carriera, che pareva già scritto; salvo poi riemergere a inizio 1994 - insieme a Clemente Mastella - con un partito tutto nuovo (il Ccd), un simbolo figlio della penna del più celebre designer italiano (Giugiaro), una prospettiva diversa da quella di Martinazzoli (l'alleanza col centrodestra), l’accordo con l'uomo che ha scompaginato il finale di una storia già scritta (Silvio Berlusconi) e una carriera nuova di zecca da prim'attore della scena politica (la sua).
Per parlare di oggi, di quello che può accadere da ora fino alla fine del mese, quando (dal 24 in poi) il Parlamento in seduta comune sarà chiamato a eleggere il nuovo inquilino del "Colle più alto", torna utile un piccolo episodio dell'inizio del 1994, tra l'altro centrato su un simbolo: anzi, volendo si tratta di un episodio microscopico, che dura il tempo di un'esclamazione ("Aaaaaahhhh, bella, bella!"), ma ha svariati pregi. Innanzitutto non era mai stato raccontato così, con quel dettaglio, dunque colpisce e va a segno; in più, quei due-tre secondi portano con sé una marea di fatti, ricordi, volti, persone che non ci sono più e altre che resistono tenacemente (Casini ovviamente, ma non è il solo), scelte, comportamenti e - più di ogni altra cosa - scene di quel teatrino, anzi, di quel teatrone della politica (per dirla, con convinzione e con gratitudine, con le parole di Filippo Ceccarelli) che per molte persone è disperante, spesso fastidioso e sgradevole, ma senza dubbio è una continua fonte di interesse anche quando è complesso, proprio perché nella sua complessità è più completo e si mette ancora più passione nel raccontarlo.
Anche il simbolo del Centro cristiano democratico, dunque, è parte di quel teatrone e non può essere certo considerato un arredo o, peggio, un complemento d'arredo, come il cavalletto che lo reggeva il giorno in cui venne presentato (il 23 gennaio 1994, al PalaFiera di Roma). La tentazione di vederlo così, per carità, potrebbe venire: si tratta pur sempre di un partito che ha operato politicamente per otto anni (1994-2002) e che è ormai stato sciolto da molto tempo (ma ci sono voluti, a quanto si sa, vari altri anni per scioglierlo, forse addirittura otto). Eppure quella tentazione va assolutamente repressa: non solo una vita di otto anni in politica oggi appare lunga (rispetto a vari partiti usa-e-getta che durano poche manciate di mesi), ma il 2,6% conquistato dal Ccd alle elezioni europee del 1999 (una delle pochissime occasioni a livello nazionale in cui il partito ha presentato una propria lista autonoma, senza federarsi con il Cdu o altri soggetti) era comunque una percentuale di tutto rispetto, conquistata sul campo e maggiore di quella di tante forze su cui si sono retti vari governi della "Seconda Repubblica". In più, anche dopo essere uscito di scena e avere concorso a creare l'Udc, il Ccd ha continuato a dare le carte nel nuovo partito post-democristiano: benché in primo piano ci sia stato e continui a esserci - per ovvie ragioni di richiamo politico - lo scudo crociato apportato dal Cdu, la vela gonfia del Ccd che spuntava subito sotto (e che nei primi anni non era nemmeno sfumata, come ora) ha sempre contato molto di più. Per averne prova, basta dire che per anni la sede dell'Udc è rimasta in quella vecchia del Ccd (in via dei Due Macelli, anche se da un po' di tempo a questa parte ha traslocato in via in Lucina) e, soprattutto, che dal Ccd provenivano i suoi segretari (Marco Follini e, dal 2005, Lorenzo Cesa) e la figura che per quasi quindici anni - fino alla nascita dei Centristi per l'Europa, nel 2017 - ha rappresentato di più l'Udc. Pier Ferdinando Casini, appunto.
Prima versione ricostruita
In ogni caso, si diceva del simbolo presentato il 23 gennaio 1994. In realtà, il Ccd era stato presentato cinque giorni prima, il 18 gennaio, poche ore in anticipo rispetto al debutto del Partito popolare italiano, previsto nel pomeriggio all'Istituto Sturzo, in via delle Coppelle: 500 metri più in là, al Grand Hotel de la Minerve - a due passi dal Pantheon, quattro minuti a piedi da Piazza del Gesù e cinque dal Senato: era tutto lì il microcosmo della Prima Repubblica in via di frantumazione - Casini aveva annunciato il nuovo partito con Clemente Mastella, Ombretta Fumagalli Carulli, Francesco D'Onofrio, Silvio Lega e altri. Quasi nessuno scrisse del simbolo il giorno dopo (tra i pochi quotidiani ci fu l'Unità); tutti si accorsero invece dell'emblema il 23 gennaio, anche perché la riproduzione mostrata al Palafiera era davvero enorme. A dire il vero, la versione immortalata quel giorno era un po' diversa da quella che sarebbe stata depositata al Viminale entro il 13 febbraio e finita sulle schede elettorali: la parola "Centro" era già allora scritta in carattere Eras (Ultra Bold), ma senza corsivo, così come non erano in corsivo e con un'altra font (simile al Century Gothic) le parole "cristiano democratico", meno evidenti e anche un po' disordinate (non ben allineate tra loro); in seguito tutto il testo sarebbe stato portato in carattere Eras. Il nucleo del simbolo, però, era e sarebbe rimasto quella vela bianca con bordo blu e tricolore, sulla quale c'era comunque (realizzata in negativo), una miniatura blu dello scudo crociato: "l'unico scudo che potrà essere utilizzato dal Ccd", in base alla scrittura privata che Rosa Jervolino Russo e Francesco D'Onofrio avrebbero sottoscritto il 30 gennaio 1994 (soprattutto per accordarsi sul lato economico della scissione).
Difficile dire quando esattamente Casini potrebbe aver esclamato 
"Aaaaaahhhh, bella, bella!" di fronte alla vela. Così come è difficile collocare esattamente il momento in cui Silvio Lega, già esponente di gran rilievo della Dc, avrebbe commissionato il simbolo al pregiatissimo designer Giorgetto Giugiaro, piemontese come lui e già allora celebrato da molti anni per i tanti modelli disegnati in campo automobilistico (e non solo). Forse era la fine del 1993, forse l'inizio del 1994, ma in fondo non conta troppo. Più interessante è, invece, che sia stato Lega a interpellare il futuro autore del simbolo: conquistò il suo primo seggio rilevante al Parlamento europeo nel 1979, quando l'assemblea fu eletta per la prima volta dalle cittadine e dai cittadini della Cee. Nel 1983 fu eletto anche deputato, ma rimase anche a Bruxelles (l'incompatibilità tra le cariche di parlamentare nazionale ed europeo sarebbe stata introdotta solo nel 2004). Proprio nell'ultimo periodo del suo mandato - le elezioni per la seconda legislatura si tennero il 17 giugno 1984 - si dovette organizzare il 5° congresso del Partito popolare europeo e si scelse di tenerlo all'hotel Ergife di Roma, dal 2 al 4 aprile 1984: nel manifesto realizzato per l'occasione campeggiava, in un cielo azzurro, una vela rigonfia
La genesi di quell'immagine l'ha raccontata oltre due anni fa a chi scrive Silvia Costa, in seguito deputata ed europarlamentare, ma che dalla fine di ottobre del 1982 era arrivata a dirigere la Spes, vale a dire l'Ufficio studi, propaganda e stampa (dalla sigla indubbiamente molto cristiana). "Era la prima volta che i partiti democratici cristiani d'Europa realizzavano un manifesto comune - aveva spiegato -. A livello europeo avevano preparato delle proposte di manifesto orrende e io, da non troppo tempo dirigente Spes, dissi che volevo una cosa molto più ariosa, che desse il senso del futuro. Mi dissero di portare una mia proposta, mi rivolsi a uno studio che tuttora conosco e, confrontandoci, ci venne l'idea dello spinnaker, costruito da varie fasce che avevano all'inizio ciascuna una bandiera diversa". La stessa idea grafica sarebbe stata usata poche settimane più tardi per la campagna elettorale della Dc alle elezioni europee. Appare tutto meno che improbabile che, nella ricerca di un'immagine con cui distinguersi (in un'epoca in cui i partiti cercavano ancora dei simboli, dunque immagini facilmente identificabili), a Lega che era stato europarlamentare proprio nel periodo in cui si scelse la vela per quei manifesti sia venuto in mente di suggerire quel fregio centrale per il nuovo simbolo, avendo l'accortezza di inserire anche un richiamo allo scudo crociato (identificabile, ma non evidente al punto da provocare la reazione del Ppi). Silvio Lega è scomparso il 24 aprile dello scorso anno e non può confermare o smentire questa ricostruzione; di certo, quando vide per la prima volta il simbolo del Ccd, Silvia Costa - che era rimasta nel Partito popolare italiano - riconobbe subito l'ispirazione di quell'emblema. "Quando diciamo che vogliamo costruire un polo moderato - disse Francesco D'Onofrio alla prima manifestazione nazionale del 23 gennaio 1994, che si può ascoltare grazie al meraviglioso archivio di Radio Radicale - per la moderazione che vogliamo portare nella costruzione della Seconda Repubblica, non perché vogliamo rimanere tra moderati a conservare le macerie della Prima Repubblica. Ed è questa la ragione per la quale alla fine, dopo tante titubanze, abbiamo scelto di essere rappresentanti da un simbolo che va nel mare, anche agitato, per chi lo sa manovrare: quello della vela, che guarda dove poter andare lontano".
Se il tricolore sostituì la fila di bandiere sul bordo visibile della vela, non è dato sapere chi abbia avuto l'idea di ribaltare la vela, facendola guardare verso sinistra ("ma con il vento che spira da destra", malignò qualche popolare). Del resto, era stato proprio Casini a dire al Palafiera, alla fine del suo intervento: "Siamo partiti in pochi nel gruppo parlamentare a remare controvento, mentre tutti andavano secondo la corrente, dai vertici istituzionali a quelli di partito. Oggi chiediamo a una piccola vela di aiutarci nel nostro cammino per andare contro vento". Ci sarebbe andata, riuscendo a ottenere 27 deputati e 12 senatori alle elezioni del 27 e 28 marzo 1994 (tra eletti nei collegi uninominali con anche il simbolo del Ccd, nelle liste proporzionali di Forza Italia o nelle candidature senatoriali con il Polo delle libertà e il Polo del Buon Governo): una marea, considerando che il Ppi (col proprio simbolo o sotto le insegne del Patto per l'Italia) era riuscito a raccogliere 33 deputati e 27 senatori. L'identificazione con il proprio simbolo, in ogni caso, fu tale che tra la fine di agosto e l'inizio di settembre di quel 1994 si tenne la prima Festa nazionale della Vela: si tenne a Telese Terme, nel beneventano, lo stesso comune che in seguito avrebbe ospitato le feste del Campanile dell'Udeur di Clemente Mastella.
Già, Mastella: proprio lui, come co-coordinatore del nascente Ccd, era intervenuto il 23 gennaio 1994 - nonostante la raucedine - addirittura all'ultimo posto, quello dei discorsi più attesi (persino Casini aveva parlato prima di lui) e subito prima dell'atto - molto scenografico - di svelamento del simbolo. Un simbolo cui evidentemente era legato anche lo stesso Mastella: quando a febbraio del 1998 Francesco Cossiga decise di fare sul serio - ma sempre sul crinale tra il ruolo di fool man e medecine man - con la sua Udr, il Ccd inizialmente fu coinvolto, ma poiché Cossiga escludeva che il suo progetto politico potesse allearsi con il Polo, il 16 febbraio Casini preferì restare fedele agli accordi con Berlusconi, mentre Mastella continuò a essere interessato al progetto cossighiano. Tempo qualche giorno e scattò la guerra nel gruppo alla Camera, con i mastelliani che cercavano di mettere sfiduciare il capogruppo casiniano (Carlo Giovanardi), i gruppi di Forza Italia e Alleanza nazionale che "prestavano" tre deputati a testa al gruppo del Ccd per evitare che i casiniani finissero in minoranza e i deputati del Cdu che chiedevano di entrare sempre nel gruppo del Ccd per cambiare di nuovo gli equilibri (fermati da Giovanardi, che si guardava bene dal ratificare i loro ingressi). E Mastella, che apostrofava Casini accusandolo di aver "invaso e occupato un partito con metodi fascisti" e si preparava a litigare sulla divisione del patrimonio (soprattutto dei finanziamenti spettanti), si premurava di dire a Felice Saulino del Corriere della Sera (21 febbraio) che il suo nuovo gruppo - che il 4 marzo in effetti avrebbe preso il nome di Cdu-Udr - l'avrebbe voluto chiamare "Udr-Ccd. Perché al nome ci tengo e tengo molto pure al simbolo: l'ha disegnato Giugiaro". 
Ci teneva molto, ma probabilmente non glielo aveva mai fatto sapere: l'8 aprile Filippo Ceccarelli - ancora lui, con aumentata riconoscenza - ricordò diligentemente sulla Stampa che il "marchio" della vela era stato "amichevolmente e gratuitamente disegnato da Giugiaro (che comunque ci tiene a far sapere che 'nessuno mi ha mai neppure ringraziato')". Alla faccia del "Aaaaaahhhh, bella, bella!" di Casini...