martedì 9 febbraio 2016

Copioni, per colpa di una fiaccola

Chi pratica la politica lo impara abbastanza in fretta. Quando qualcuno si sente offeso o defraudato di qualcosa, non c'è vicinanza ideologica che tenga: si reagisce e basta, magari con stile e ironia ma di certo non si resta a guardare. Accadde qualcosa di simile all'inizio di luglio del 2007, quando Francesco Storace decise di lasciare Alleanza nazionale per varare un nuovo partito, la Destra, dopo uno scontro tutt'altro che amichevole con Gianfranco Fini sul futuro e sulla collocazione politica del partito. Nulla di eclatante o di particolarmente nuovo fin qui: in politica divisioni, abbandoni, espulsioni o porte sbattute si sono sempre viste, a volte inattese, altre volte improvvise.
Il fatto è che, per la sua nuova formazione politica, aveva scelto di mettere su un fondo quadricolore una fiaccola dorata. E non era una fiaccola qualunque: per chi aveva militato a destra fin da ragazzo, era proprio lo stesso disegno della fiaccola che aveva contrassegnato i vari gruppi organizzati di quell'area politica. Il riferimento non era ovviamente casuale, ma per chi era rimasto nel partito "ufficialmente" e giuridicamente legato a quella tradizione (cioè An), l'idea che una persona di destra uscita volontariamente da quel sentiero potesse servirsi di quel segno era del tutto inconcepibile.  
Non a caso, se il 3 luglio 2007 Storace svelò il suo simbolo, il giorno dopo tentò di bloccarlo Giorgia Meloni, all'epoca vicepresidente della Camera per An e presidente nazionale di Azione giovani, associazione giovanile legata al partito. Per lei il simbolo aveva una storia che doveva essere rispettata da tutti, anche da Storace: per questo, doveva togliere quella fiaccola dal suo simbolo e lasciarla a chi l'aveva usata da sempre. Fece così diramare un comunicato e scrisse un articolo sul Secolo d'Italia, mettendo in chiaro la situazione:   
"Consideriamo non condivisibile la scelta di Francesco Storace di lasciare Alleanza nazionale ma la rispettiamo, come rispettiamo la sua storia. Proprio per questo però ci aspettiamo lo stesso rispetto per la nostra organizzazione giovanile. Storace sa bene che quella fiaccola, il simbolo che ha scelto per il suo nuovo movimento appartiene, storicamente ai giovani della destra, dalla Giovane Italia, al Fronte della Gioventù fino ad Azione Giovani. Storace sa bene che in quella fiaccola si riconoscono migliaia di ragazzi [...] sa bene quanto sia per noi rappresentativa ed identitaria la fiaccola, come sa bene che pur mantenendo fermo il principio di autonomia i ragazzi di Azione Giovani si riconoscono in Alleanza nazionale. Utilizzare il nostro simbolo per lanciare un diverso movimento significa impropriamente coinvolgere la nostra organizzazione in una diatriba che non ci interessa. Chiediamo a Storace di modificare il suo logo, perché non vorremmo mai trascinare un simbolo così importante e ricco di storia nello strumento di un'imbarazzante querelle legale".
Al di là della risposta "ufficiale", i giovani di Alleanza nazionale reagirono in modo pungente al "furto" del logo: misero in giro una taroccatura del neonato simbolo della Destra, con al posto del nome l'eloquente parola "Copioni", in un Helvetica Inserat impossibile da non vedere. A complicare le cose, peraltro, provvide un comunicato di Franco Pettenati, segretario dell'Associazione studentesca d'azione nazionale Giovane Italia, il quale sosteneva che la sua associazione non era mai stata sciolta (anzi, era giusto impegnata in un contenzioso con Stefania Craxi che nel 2004 aveva fondato un gruppo con lo stesso nome) ed era ancora titolare del simbolo rivendicato da Azione giovani e di fatto appena adottato dalla Destra; lo statuto della "vecchia" Asan-Giovane Italia, per l'esattezza, a novembre 2006 sarebbe stato "aggiornato nel corso di un'assemblea che ha riconfermato il logo", con tanto di deposito degli atti presso un notaio. 
A Storace, in ogni caso, l'attacco della Meloni e di Azione giovani non piacque per niente, a giudicare anche dalla risposta di cui è rimasta traccia in rete (almeno nella voce di Wikipedia, anche se non c'è più la pagina da cui era tratta): "Manderò la richiesta della vicepresidente della Camera alla mia mailing list, insieme al suo indirizzo di posta elettronica, così saprà direttamente da tantissimi militanti che un simbolo non è proprietà privata ma appartiene a una comunità libera di scegliere le proprie strade". Il tono - bisogna ammetterlo - era vagamente minaccioso, ma qualcuno dovette consigliare all'ex presidente della Regione Lazio di evitare grane per il futuro: tempo qualche settimana e la fiaccola prese un altro disegno, mentre anche il tricolore divenne molto più elegante e meglio disegnato. La rinuncia sarà costata, ma il simbolo ne guadagnò di certo.

Grazie di cuore a Giovanni Cadioli, giovane ricercatore, autentico politics addicted (visti i suoi studi oxoniani) e infaticabile raccoglitore di curiosità simboliche, che mi ha trovato grazie al sito e mi ha ricordato l'episodio dei "copioni".

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