lunedì 28 febbraio 2022

La Casa dei Liberali, un simbolo per federare un'area politica

In politica accade spesso, in particolare nell'ultimo quarto di secolo, che si evochi il concetto di "casa", per indicare un soggetto politico in cui ritrovarsi e sentirsi a proprio agio. Non di rado capita che qualcuno chieda una casa perché manca o non l'ha trovata; altre volte quel nome diventa esso stesso una formazione politica o almeno elettorale (si pensi alla Casa delle libertà varata nel 2001). Quel termine sembra piuttosto sentito nell'area laico-liberale del centrodestra: si pensi al concetto di "Casa laica - Casa dei laici" sviluppatosi tra il 2004 e il 2006 (soprattutto grazie ad Arturo Diaconale e alle forze politiche interessate, tra Psi, Pri e Pli). Da circa un anno e mezzo il concetto è stato sviluppato proprio in un soggetto politico, che si pone come federazione ancora una volta proprio nel mondo liberale: non a caso, La Casa dei liberali è il nome scelto per questo progetto federativo, che non esclude di comparire anche sulle schede elettorali.
La data di nascita "ufficiale" del progetto, vale a dire quella dell'atto costitutivo notarile rogato a Brindisi, è il 27 ottobre 2020: in quel giorno Angelo Caniglia ha scelto di fondare una "federazione di associazioni, movimenti, partiti politici e di cittadini di area liberaldemocratica, che si riconosce negli ideali propri delle tradizioni liberali e democratiche", precisamente con lo scopo di "riunire in un'unica Federazione tutti i liberali d'Italia", condividendo e facendo propri i valori del manifesto di Oxford del 1947, delle dichiarazioni di Oxford del 1967 e dell'appello di Roma del 1981 emanate ed approvate dall'Internazionale Liberale, ispirandosi nell'azione "ai valori universali di libertà, giustizia e solidarietà, a difesa del primato della persona in ogni sua espressione, per lo sviluppo di una moderna economia di mercato e una corretta applicazione del principio di sussidiarietà". Tra i promotori c'era anche Andrea Pruiti, che figura come presidente nazionale (ed è pure membro della delegazione di Democrazia liberale all'assemblea del Movimento Europeo Italia).
Nello statuto, l'art. 3 ribadisce l'ambizione di questo disegno federatore: vi si legge infatti che la Casa dei Liberali "nasce, come associazione politico culturale, per volontà di numerosi cittadini italiani e dell'Unione Europea residenti stabilmente in Italia, di diversa matrice sociale ma di eguale esperienza politica, che attraverso iniziative di carattere culturale, socio-politico ed elettorale, si [propongono] lo scopo di promuovere in Italia gli ideali liberaldemocratici e progressisti, come i principi del liberalismo e della grande tradizione Italiana ed Europea. La Federazione lavorerà per favorire la nascita e lo sviluppo di tutte le forme e le esperienze di democrazia diretta e dal basso, e sarà ben lieta di collaborare con i soggetti politici e sociali che perseguano i suoi stessi obiettivi, che siano dotati di regole interne democratiche, di un bilancio trasparente (depositato in tribunale), che dicano quello che fanno e facciano quello che dicono, che non partecipino al teatrino della politica ma operino tenendo sempre al centro il bene comune; la Federazione sarà loro alleata nella società e nelle prove elettorali". L'art. 4, per parte sua, ricorda che può aderire ogni cittadino o cittadina dell'Unione europea di almeno 16 anni e che "l'adesione alla federazione non è esclusiva rispetto all'adesione e/o partecipazione ad altre formazioni politiche associazioni e movimenti, purché aventi finalità e azione politica compatibili con quelli della Federazione".
Lo stesso statuto contiene anche la descrizione del simbolo: "due cerchi concentrici di colore nero, tra un cerchio e l'altro una base di colore giallo in cui in alto, lungo il perimetro, vi è la scritta virgolettata di colore nero a caratteri maiuscoli, "LA CASA DEI LIBERALI", mentre nella parte sottostante sempre lungo il perimetro dei due cerchi vi è riportata la scritta con caratteri maiuscoli in nero, Libertà... L..., nello spazio centrale di colore blu vi sono 12 stelle tutt'attorno di colore giallo ed al centro la bandiera italiana con a sinistra il colore verde, al centro il bianco ed a destra il rosso, sostenuta da un'asta color bronzo". Non sfuggono alcuni dettagli, in particolare l'inserimento in un simbolo dei puntini di sospensione e di una parola lasciata volutamente incompleta, anzi, solo accennata con l'iniziale. Un elemento decisamente inedito, che il segretario e fondatore Caniglia spiega così, a modo suo: "la libertà è un sostantivo e non un aggettivo, che non ha confini, è una parola senza limiti". Nessuna sorpresa per la scelta di inserire le stelle d'Europa su fondo blu nel simbolo o la bandiera tricolore, patrimonio da sempre del Partito liberale italiano, tanto quello storico, quanto quello rifondato nel 1997 da Stefano De Luca (partito al quale lo stesso Caniglia ha aderito per vari anni, salvo poi lasciarlo nel 2020 per non avere condiviso la linea politica del vertice). Colpisce anche l'uso del colore giallo per la corona, tipica dei liberali soprattutto a livello internazionale, ma già vista anche in Italia (si pensi alla lista Liberiamo Roma, presentata dal Pli nel 2013, ma anche a un uso fatto esattamente dieci anni prima - a Roma e non solo - di cui si parlerà nei prossimi giorni). 
Finora non pare che siano state presentate liste con quel simbolo, ma potrebbe accadere in futuro, soprattutto se riuscisse l'idea di federare sotto un unico emblema tutte le sensibilità liberali. Il compito sembra molto difficile (le differenze periodicamente riemergono e i progetti si moltiplicano), ma l'ambizione resta.

martedì 22 febbraio 2022

Di Stefano: "Exit, liberi dall'emergenza con un simbolo non identitario"

Ha fatto non poco rumore, all'inizio di febbraio, la scelta di Simone Di Stefano di lasciare CasaPound Italia "p
er libera e sofferta scelta" e per ragioni "esclusivamente di natura politica" (come dichiarato da lui stesso in un tweet). Il 16 febbraio, sempre attraverso il suo account Twitter, Di Stefano ha lanciato un nuovo progetto politico, denominato Exit e creato con il principale scopo di opporsi - come si legge sul sito aperto da pochi giorni - al "clima di emergenza permanente", che secondo il suo fondatore "da troppo tempo e con modalità sempre più oppressive" sarebbe creato dalla "narrazione corale" della "maggioranza dei media, sapientemente manovrati". Ciò non riguarderebbe solo l'era pandemica, ma sarebbe iniziato prima ("emergenza clima, emergenza immigrazione, emergenza razzismo, emergenza virus, emergenza energetica, emergenza spread, emergenza debito pubblico, emergenza democratica, emergenza bullismo e così via all’infinito"), avendo lo scopo di far abbassare alle persone la soglia di attenzione e far loro accettare "supinamente scelte dipinte come 'inevitabili' da chi è in cima alla scala gerarchica, da chi viene indicato come 'competente tecnico' in un determinato settore, da chi si propone o viene proposto come 'risolutore deciso' dell'emergenza in atto"; "Tutti coloro che non si adeguano ed uniformano al sentimento e alla direzione del gregge spaventato - si legge sempre nella pagina iniziale - vengono inizialmente additati come pericolosi, poi stigmatizzati come folli, infine emarginati e messi in condizione di 'non nuocere' alla 'salvezza' della massa terrorizzata".
Il soggetto politico appena nato si dichiara nettamente contrario al green pass (quale mezzo di "controllo digitale del cittadino" e di "riduzione dell’essere umano a dispositivo digitale da accendere o spegnere su decisione dello Stato") e all'obbligo vaccinale ("Va eliminato a prescindere perché lo Stato dovrebbe convincere, dovrebbe infondere fiducia tramite la sua autorevolezza e non con la coercizione, con il ricatto, con la tortura, con il terrorismo psicologico e mediatico. Ed oggi lo Stato non ha più nessuna autorevolezza. Proprio perché sottratto al controllo popolare e tramutato da interessi privati e sovranazionali in un feroce aguzzino al loro servizio").
Queste e altre posizioni sono riassunte in un simbolo che presenta "un cerchio con all'interno la parola 'exit' rappresentata dal font Montserrat a caratteri minuscoli. Dall'estremità in alto a destra della lettera x si estende una freccia in direzione obliqua verso l'alto, che termina in corrispondenza della lettera i": questa è la descrizione dell'emblema per il quale è stata depositata giusto ieri domanda di marchio anche da Simone Di Stefano, per le classi 35 (Pubblicità; gestione di affari commerciali; amministrazione commerciale; lavori di ufficio) e 41 (Educazione; formazione; divertimento; attività sportive e culturali), curiosamente non per la 45 (Servizi giuridici; servizi di sicurezza per la protezione fisica di beni e di individui; servizi personali e sociali resi da terzi destinati a soddisfare necessità individuali) spesso impiegata per gli emblemi di area politica. 
Si tratta, senza dubbio, di un simbolo molto diverso - per colori, contenuto, linguaggi - da quello cui finora Simone Di Stefano è stato legato. "Il simbolo è stato immaginato proprio così, nella sua semplicità - spiega a Isimbolidelladiscordia.it -. Abbiamo preferito togliere piuttosto che aggiungere, non c'era necessità di specificare altro". L'indirizzo del sito, in effetti, contiene anche la parola "libertà", che invece nel nome non c'è: "Il dominio Exit.it era già occupato, usare altre estensioni ci sembrava inutile, così abbiamo aggiunto l'altra parola che ci sembrava pertinente. Avevamo valutato la possibilità di inserire la parola 'Libertà' anche nel simbolo, ma alla fine abbiamo ritenuto di ridurre all'osso il messaggio: la comunicazione moderna secondo noi dev'essere ristretta all'ultimo concetto, perché un nome di partito possa funzionare crediamo debba essere immediato e restare in memoria. Il concetto ultimo dunque per noi è 'uscire', ovviamente adattato alla volontà di avere nel simbolo questo nome di uso sempre più comune e di farlo ricollegare in fretta al nostro progetto".
In effetti, però, in politica da oltre un anno e mezzo è presente ItalExit di Gianluigi Paragone, che dalla metà di settembre ha anche una componente nel gruppo misto del Senato: non c'è il rischio che parlare di Exit faccia pensare più a Paragone? "Mi pare che lui in effetti ora usi soprattutto il suo nome - continua Di Stefano - anche se naturalmente sappiamo bene che il suo soggetto politico si chiama ItalExit. Quell'espressione, però, innanzitutto restringe il concetto politico essenzialmente all'uscita dell'Italia dall'Unione europea o dall'euro, istanze che comunque restano tra i nostri obiettivi; tuttavia la nostra intenzione era spostare l'attenzione soprattutto sulla libertà personale che ci è stata conculcata e sulla nostra convinzione che con il nostro movimento politico si possa trovare una via d'uscita all'oppressione. Ovviamente quell'oppressione è legata anche al vincolo esterno dell'Unione europea e alla perdita di sovranità monetaria, ma per noi non ci si può limitare a questo, sono concetti importanti ma che sono solo una parte del 'tutto' che vogliamo evocare con Exit".
Non passa inosservato il colore giallo che tinge il fondo del cerchio e sul quale risalta la scritta nera: "Abbiamo fatto una scelta d'impatto grafico - prosegue Di Stefano - ritenendo che il giallo sia un colore piuttosto trascurato nella politica italiana: in tempi recenti poteva forse essere riconducibile al MoVimento 5 Stelle, ma ora di fatto l'hanno abbandonato anche loro". In effetti in passato il giallo è stato il colore soprattutto della Lista Pannella, mentre all'estero caratterizza soprattutto i Iibdem: "Sì, è vero, ma non ci riconosciamo certo nell'ideologia liberale o liberista, anche se ovviamente la libertà è uno dei nostri valori fondanti: i nostri concetti via via emergeranno meglio. Volevamo dunque un colore che, come tinta dominante, fosse assente dal panorama politico italiano e volevamo evitare connotazioni ideologiche: niente blu da centrodestra, ovviamente niente rosso, ma anche niente tricolore ovunque, per evitare di far pensare che il movimento si basasse sull'identitarismo spinto o che queste idee fossero collocate in cima alle priorità di Exit". In effetti, a prima vista, la scelta cromatica e grafica di un simbolo solo letterale comunica l'impressione di un simbolo piuttosto anonimo e, appunto, per niente identitario (anche in questo, molto distante dall'emblema cui prima Di Stefano era legato). "Credo che in politica pochi amino l'Italia e tengano alla storia di questa nazione quanto me, ma abbiamo necessità di comunicare in modo diverso per far concentrare gli italiani sui problemi, senza partire da un concetto - come l'identitarismo spinto - che purtroppo può essere anche divisivo: tanta gente non lo ritiene il principale movente dell'agire politico e forse ora è così anche per noi, vogliamo concentrarci su altre cose, dunque sull'uscita da questo stato di emergenza permanente, spesso veicolato anche in termini identitari, penso al concetto della 'emergenza immigrazione'. Credo che questo modo di vivere la politica non ci porti da nessuna parte, anzi, ci allontani dalla risoluzione dei problemi". 
Unico elemento grafico riconoscibile, volendo, è la freccia che parte dalla "x". Quel segno, a dire il vero, in passato non ha portato benissimo a chi l'ha utilizzato (3L di Tremonti, Fare per Fermare il declino, Popolari per l'Italia, per indicare i più noti; lo stesso Paragone usa una freccia che punta a destra, in quel caso solo orizzontale, mentre ancora diversa è quella di Azione): evidentemente chi ha dato avvio al nuovo soggetto politico non è scaramantico... "Ovviamente no - puntualizza Di Stefano -. Per noi la freccia è il segno della direzione, della via d'uscita verso il futuro, il futuro possibile che per chi si occupa di grafica sta proprio in alto a destra; in più ci siamo resi conto che scrivere solo "Exit" non sarebbe bastato, la freccia dà una caratterizzazione di movimento". La freccia abbinata ai colori, da ultimo, rimanda a qualcosa di già visto, che con la politica non ha nulla a che vedere: "Di fatto - conclude il fondatore di Exit - il nostro nome e il nostro simbolo richiama qualcosa che sta in tutti gli aeroporti e in varie stazioni, dove l'uscita spesso è segnalata anche con la parola 'Exit' scritta in giallo su fondo nero o a tinte invertite, tra l'altro accanto a una freccia: in pratica chi vede il nostro simbolo potenzialmente ci ha già visto ovunque".

giovedì 17 febbraio 2022

Territori in Movimento, il simbolo M5S per la città metropolitana di Napoli

Ogni vicenda politica, statuaria ed elettorale che possa riguardare il MoVimento 5 Stelle è guardata con particolare attenzione in questo periodo. Dopo l'ordinanza del tribunale di Napoli che ha sospeso le delibere di approvazione del nuovo statuto e con cui si è eletto Giuseppe Conte alla presidenza del soggetto politico, ogni piccolo evento è fonte di curiosità, riflessioni, speculazioni (e anche fraintendimenti: cercare di far capire a chi non pratica i documenti giuridici che i giudici non hanno censurato vizi del nuovo statuto e nemmeno di quello vecchio, ma il fatto che - a quanto risulta per ora - non siano state seguite in toto le procedure previste dallo statuto vigente a febbraio è una sfida quasi persa in partenza).
In tutto ciò, il 13 marzo è previsto che si vada a votare per rinnovare - tra l'altro - il consiglio della Città metropolitana di Napoli: voteranno, come avviene per le elezioni provinciali, soltanto i sindaci e i consiglieri dei comuni ricompresi nel territorio della città metropolitana (già provincia). Entro le ore 12 del 21 febbraio dovranno essere presentate le liste (nelle quali potranno candidarsi, di nuovo, solo sindaci e consiglieri comunali in carica nello stesso territorio), sostenute ciascuna da almeno 78 firme raccolte nella stessa platea di aventi diritto. In questo sito ci si è sempre occupati poco delle elezioni provinciali, specialmente da quando sono state trasformate in elezioni di secondo grado; raramente i simboli impiegati fanno notizia, soprattutto perché sono noti solo ai consiglieri e ai sindaci interessati a partecipare al voto, tranne i casi in cui c'è qualche elemento strano che colpisce chi vede i simboli e fa parlare anche al di fuori della cerchia degli eletti (come la gaffe della Lega alle provinciali di Rieti del 2019, che aveva messo sulla scheda la silhouette dell'Umbria). In questo caso le elezioni metropolitane di Napoli fanno notizia perché un articolo di Valerio Valentini, pubblicato oggi sul sito del Foglio, parla di un nuovo possibile simbolo legato al M5S, da sperimentare a livello locale
C'è il profilo stilizzato di un arco, un sole che sorge, tre foglie verdi a indicare lo zelo ambientalista, e le cinque stelle di prammatica: tutto racchiuso dal solito cerchio rosso, e in alto la scritta: "Territori in Movimento". Eccolo, il nuovo simbolo del M5S, che debutterà alle elezioni provinciali di Napoli. "So che non è un capolavoro, ma ho dovuto realizzarlo in tutta fretta", dice Antonio Caso, consigliere comunale a Pozzuoli. E del resto alla decisione ci si è arrivati in preda all'ansia di chi teme di mancare la scadenza. Ordini da Roma: arrivati direttamente dal sancta sanctorum grillino. Perché Giuseppe Conte, nel pantano della baruffa giudiziaria che lo ha investito, ora si muove sulle uova: "Meglio evitare ulteriori grane. Usiamo un altro simbolo". 
Prima di ogni altra cosa, è opportuno tranquillizzare Antonio Caso (che nel 2017 era il candidato sindaco del M5S a Pozzuoli ed è stato eletto consigliere in quell'occasione, ottenendo la sua lista il 7,78%): per conto di chiunque sia stato presentato, il simbolo è decoroso e fa una figura migliore rispetto a vari contrassegni elettorali presentati altrettanto in fretta e furia da amministratori che mettono insieme liste destinate a essere viste e votate da alcune centinaia di persone (gli aventi diritto al voto nella città metropolitana di Napoli sono 1543) e dimenticate piuttosto in fretta. In ogni caso, considerando che le 78 firme devono essere raccolte e consegnate entro le ore 12 del 21 febbraio, il tempo per ottenerle non è moltissimo.
In qualche modo la scelta di non presentare il simbolo del M5S ricorda i tempi passati, nei quali il MoVimento sceglieva di non partecipare alle elezioni provinciali, ritenendo che quell'ente non avesse ragione di esistere; da tempo il M5S partecipa comunque . L'effettiva ragione alla base di una diversa scelta grafica (pur se riconoscibile) starebbe invece, secondo l'articolo, nella delicata situazione associativa e statutaria del momento: la presentazione di un simbolo diverso da quello ufficiale (o comunque di una delle varianti che si sono impiegate nel corso del tempo) sarebbe stata concordata da Paola Taverna (che, in base all'organigramma di ottobre, sarebbe vicepresidente vicaria del M5S) e da Roberta Lombardi (responsabile del comitato Enti locali). In particolare, posto che l'impiego dell'emblema ufficiale del MoVimento sarebbe stato rischioso (qualcuno avrebbe potuto contestare il titolo della lista a fregiarsi di quel simbolo), sarebbe stato più sicuro schierare un contrassegno nuovo; questo avrebbe potuto comunque contenere alcuni elementi che permettessero ad elettrici ed elettori di questo voto di secondo grado di riconoscere la provenienza della lista.
Oggettivamente sarebbe stato difficile immaginare in concreto qualche ricorso consistente in quest'occasione: i semplici iscritti non avrebbero avuto titolo di contestare l'ammissione di una lista o di un contrassegno, così come chi scrive avrebbe ritenuto improbabile qualche azione legale in sede amministrativa da parte di consiglieri del M5S (in qualità di elettori). Certo però la prudenza non è stata eccessiva, considerando che la lista avrebbe dovuto produrre l'autorizzazione, con tanto di firma autenticata, all'uso del simbolo del MoVimento (quale partito rappresentato in Parlamento) da parte della figura di vertice del soggetto politico, che a livello nazionale al momento non esiste (non è mai stato eletto il comitato direttivo e nemmeno il soggetto chiamato a fare da rappresentante legale al suo interno); la presentazione di un simbolo diverso da quello di partito, invece, non richiede particolari formalità (la lista è presentata dai suoi candidati e sottoscrittori, non da un partito), così Antonio Caso si è messo al lavoro (anche perché, come racconta lui stesso, bisognava raccogliere di nuovo le firme su moduli con il simbolo nuovo, quindi il tempo era davvero poco). Certamente qui non si rischia che qualche soggetto apicale del M5S (secondo il nuovo statuto, sospeso, o secondo quello precedente) si lamenti dell'uso delle 5 stelle nel simbolo, compresenti con la parola "Movimento" (scritta in modo diverso e accompagnata ad altri elementi), né ci saranno problemi di ammissione dell'emblema.
Più delicato è il futuro, con riguardo alle elezioni amministrative: a livello comunale, infatti, è molto più facile attendersi ricorsi (anche per chi avesse interesse per altri motivi a far invalidare il risultato elettorale: potenzialmente basta essere cittadini elettori per lamentare come l'ammissione indebita di una lista abbia falsato l'esito del voto). Per qualcuno il simbolo M5S può essere meno forte di un tempo, dunque il cambio di simbolo non sarebbe traumatico; per altre persone invece il fregio nazionale resta un elemento di riconoscibilità, che sul territorio è in grado di ottenere voti - non sempre nella stessa misura - a prescindere dalle persone che lo impiegano, per cui cambiare emblema potrebbe essere un autogol (perfino più concreto del rischio di ricorsi). 

Nel frattempo, non è passata sotto silenzio la decisione con cui il Consiglio di garanzia - cioè l'organo giurisdizionale interno del Senato - ha dichiarato nulle le espulsioni di sei tra senatrici e senatori (Barbara Lezzi, Elio Lannutti, Rosa Silvana Abate, Luisa Angrisani, Margherita Corrado e Fabio Di Micco) dal gruppo del MoVimento 5 Stelle a Palazzo Madama. Non si tratta, in effetti, di una notizia del tutto nuova: già il 22 dicembre scorso l'organo di autodichia si era pronunciato, ribaltando la decisione che la Commissione contenziosa aveva preso il 26 maggio 2021, quando non aveva accolto il ricorso che quegli stessi membri del Senato avevano presentato contro il provvedimento della Presidente del Senato con cui il 24 febbraio 2021 erano stati iscritti d'ufficio al gruppo misto e, a monte, contro le espulsioni dal gruppo senatoriale del M5S (dopo il mancato sostegno al governo Draghi). Di fatto, però, solo il 9 febbraio si è conosciuto il contenuto della decisione con cui il collegio di cinque senatori si è espresso in secondo grado sul ricorso: un provvedimento davvero importante e interessante per i giuristi, anche perché in primo grado la Commissione contenziosa aveva dichiarato inammissibile il ricorso, ritenendo - tra l'altro - di avere seri dubbi sulla propria giurisdizione (non riguardando il ricorso alcun atto dell'amministrazione parlamentare) e comunque di non poter giudicare né l'annuncio dell'iscrizione al gruppo misto dei parlamentari espulsi, né gli atti interni ai gruppi parlamentari, qualificati come "soggetti interni alle Camere che svolgono funzioni parlamentari, meramente politiche, e non anche amministrative" (in altre vicende, peraltro, i giudici ordinari avevano escluso che toccasse a loro occuparsi delle espulsioni dai gruppi delle Camere: si veda in particolare l'ordinanza n. 6458/2020 delle sezione unite civili della Cassazione, pronunciata su ricorso del senatore Gregorio De Falco e ben commentata da Daniele Coduti).
Per prima cosa il Consiglio di garanzia ha richiamato le varie tesi delle studiose e degli studiosi sulla natura dei gruppi parlamentari: parlando per sommi capi, c'è chi li ritiene istituzioni dell'ordinamento parlamentare (dunque "strumenti" delle Camere, chi li vede come associazioni di diritto privato (proprio come i partiti), chi ancora individua una natura intermedia e ibrida, per cui i gruppi sarebbero "associazioni di natura privatistica quanto alla loro struttura di base ed alle tipologie di rapporti che possono intrattenere nei confronti dei terzi, ma sarebbero al contempo soggetti a vincoli giuridici di natura pubblicistica" per i compiti svolti nelle Camere, essendo anche soggetti collettivi costituzionalmente necessari. Sarebbe questa, per il collegio di giustizia interna, la tesi da preferire: il ruolo essenziale svolto nella vita parlamentare basterebbe per escludere la giurisdizione del giudice ordinario; la necessità di non lasciare senza tutela (cioè "senza giudice" e senza contraddittorio) i ricorsi dei parlamentari contro gli atti del proprio gruppo da questi ritenuti lesivi ha fatto decidere al Consiglio di garanzia di avere titolo di esprimersi sul ricorso (cosa di cui era convinta, peraltro, anche la difesa del M5S nella "causa De Falco" e che avrebbe evitato pericolose intromissioni dei giudici ordinari nella vita parlamentare interna).
Sul piano del merito, il Consiglio di garanzia ha sostanzialmente confermato di non poter decidere sull'annuncio della presidenza del Senato circa l'iscrizione al gruppo misto delle senatrici e dei senatori espulsi dal gruppo M5S: si sarebbe trattato appunto di un annuncio, frutto automatico dell'applicazione delle norme del regolamento di Palazzo Madama (per cui, in base all'art. 14, tutti i senatori debbono appartenere a un gruppo parlamentare e chi non ha fatto alcuna dichiarazione di appartenenza viene iscritto ipso facto al gruppo misto) e senza alcuna valutazione sindacabile. Diverso è stato il discorso per i provvedimenti di espulsione dal gruppo del MoVimento 5 Stelle: a detta del collegio, le disposizioni del regolamento del gruppo del M5S Senato "evidenziano [...] un penetrante potere decisionale degli organi del movimento sul gruppo e l'assenza di garanzie per i membri del gruppo che siano sanzionati", facendo sorgere dubbi di compatibilità con i regolamenti parlamentari e le norme costituzionali; è vero che non sono previsti meccanismi di controllo del Senato sui regolamenti dei gruppi, ma per il Consiglio di garanzia "sarebbe necessario che i regolamenti dei gruppi parlamentari delineassero un iter per l'adozione delle sanzioni che sia effettivamente interno al gruppo e non il mero riflesso della decisione di soggetti ad esso esterni", garantendo anche il diritto di difesa del parlamentare sanzionando e assicurando il coinvolgimento "dell'assemblea degli iscritti al gruppo come forma di appello avverso le sanzioni comminate".
A nulla importa, insomma, che l'eventuale espulsione avvenga conformemente alle regole del gruppo (prese dunque sul serio): il problema è che quelle regole, secondo il giudice d'appello interno di Palazzo Madama, non vanno bene, perché non tutelano in modo adeguato il parlamentare sottoposto a iter sanzionatorio, siccome "manifestano una connessione tra il gruppo ed il movimento talmente stretta da causare una prevalenza dei vertici del secondo sul primo". Non potendo dunque invalidare (anche solo in parte) il regolamento del gruppo, il collegio di senatori ha colpito i provvedimenti di espulsione, ritenendo violati l'art. 15 del regolamento senatoriale (sulla convocazione, costituzione e regolazione dei gruppi, anche se non si chiarisce quale comma sia violato esattamente: forse quelli che riguardano le variazioni nella composizione dei gruppi e l'adozione del regolamento di gruppo, senza che peraltro quei commi parlino di procedimenti sanzionatori) e gli articoli 49 e 67 della Costituzione (in materia di democrazia dei e nei partiti e di divieto di mandato imperativo). Non per questo, ovviamente, l'espulsione smette di essere un atto politico (il che, inevitabilmente, rende molto delicata la soluzione individuata dal collegio); di fatto è un atto politico con conseguenze giuridiche, che vengono rimosse non perché difformi rispetto alle regole da applicare, ma perché conformi a regole ritenute sbagliate (ma che al momento non possono essere demolite). Si tratta di una costruzione argomentativa un po' complessa e, forse, non pienamente lineare, anche se era importante tutelare i principi di democrazia interna (che dovrebbe valere nelle articolazioni delle assemblee democratiche, ma anche nei partiti) e di libertà dal vincolo di mandato.
In effetti la decisione fa un po' di confusione, parlando di annullamento delle espulsioni nella motivazione e di nullità nel dispositivo (i giuristi conoscono la differenza), ma in concreto questo ha avuto come conseguenza la "immediata reintegrazione nel gruppo parlamentare MoVimento 5 Stelle" degli appellanti. Bisogna dire che le senatrici e i senatori che avevano presentato il ricorso in realtà sono tuttora parte del gruppo misto al Senato e, di fatto, non lo hanno mai lasciato dalla fine di settembre. In effetti l'affermazione non è esatta, perché non tiene conto del fatto che il 27 gennaio 2022 tutte/i coloro che in base alla decisione del Consiglio di garanzia dovevano essere reinseriti nel gruppo del MoVimento 5 Stelle avevano concorso, insieme ad altre quattro persone, alla formazione del gruppo CAL (Costituzione, Ambiente, Lavoro) - Idv, (auto)scioltosi peraltro nel giro di una manciata di ore. In ogni caso, a distanza di quasi due mesi dalla comunicazione del dispositivo, la decisione è rimasta inattuata (e può essere che le stesse persone che avevano fatto ricorso non abbiano insistito per rientrare nel gruppo): tra le varie vicende giuridiche delicate, ancora da risolvere nell'ambito del MoVimento 5 Stelle c'è anche questa.

venerdì 11 febbraio 2022

Alla Camera nasce la componente di Europa Verde (e si parla di nuovo di esenzione dalla raccolta firme)

Il gruppo misto della Camera dei deputati in questo periodo appare molto simile a un crogiuolo, che contiene materiale fuso, fluido, dal quale si possono forgiare nuove entità, in questo caso nuove componenti. Dopo l'annuncio della nascita di Manifesta, Potere al Popolo, Partito della Rifondazione comunista - Sinistra europea, dato in aula tre giorni fa, questa mattina la seduta si è aperta con un nuovo annuncio, dato questa volta dal vicepresidente di turno Fabio Rampelli: a sorgere, questa volta, è la componente politica Europa Verde - Verdi Europei, la cui formazione è stata chiesta il 9 febbraio ed è stata autorizzata dalla Presidenza della Camera ieri. Anche di quest'articolazione fanno parte quattro tra deputate e deputati, che hanno in comune - di nuovo - l'elezione sotto le insegne del MoVimento 5 Stelle: 
Cristian Romaniello (indicato come rappresentante della componente e vicepresidente del gruppo misto), Elisa Siragusa, Paolo Nicolò Romano e Devis Dori (nel proprio testo pronunciato in aula, Rampelli ha precisato - fatto piuttosto insolito, salvo errore - che gli ultimi due deputati nominati provengono rispettivamente dalla componente Alternativa e dal gruppo Liberi e Uguali).
Il caso di cui si parla ora non è del tutto assimilabile all'ultimo visto, anche se si fonda sulle stesse norme di diritto parlamentare già passate in rassegna molte volte. La nuova componente, in particolare, è stata autorizzata sulla base dell'art. 14, comma 5 del Regolamento, che consente la formazione di una componente politica di almeno tre tra deputate e deputati, purché costoro "
rappresentino un partito o movimento politico la cui esistenza, alla data di svolgimento delle elezioni per la Camera dei deputati, risulti in forza di elementi certi e inequivoci, e che abbia presentato, anche congiuntamente con altri, liste di candidati ovvero candidature nei collegi uninominali". In questo caso, il soggetto politico che ha partecipato alle ultime elezioni politiche è la Federazione dei Verdi, che aveva inserito una miniatura del proprio simbolo all'interno del contrassegno della lista Italia Europa Insieme, accanto alle "pulci" del Partito socialista italiano e di Area civica (oltre che al rametto di Ulivo richiamato in modo leggerissimo).
Si ricorderà che già in passato - con riferimento ovviamente a questa legislatura - la Federazione dei Verdi ha consentito la nascita di una componente politica del gruppo misto, vale a dire Facciamo Eco, autorizzata a marzo dello scorso anno. Alla metà di luglio, tuttavia, sempre la Federazione dei Verdi (anzi, più esattamente Europa Verde, soggetto politico che rappresenta la continuità giuridica dei Verdi e che ha la disponibilità dei suoi segni distintivi) ha scelto di revocare l'uso del simbolo alla componente: coloro che erano parte della componente hanno così deciso di scioglierla direttamente (prima che fosse rilevato il venir meno della rappresentanza di un partito titolato a costituirsi in componente), salvo poi unirsi all'articolazione formata dal Maie e dal Psi, aggiungendo il loro nome alla componente all'inizio di agosto.
Tornando all'articolazione del gruppo misto appena nata, questa volta non c'è un soggetto politico nato all'interno della Camera che ha avuto bisogno dell'avallo di una forza politica esterna ma titolata a formare la componente: qui è direttamente la forza politica esterna ad aver formato un proprio raggruppamento a Montecitorio, costituito da propri iscritti. La pagina Fb di Europa Verde, infatti, segnala che le quattro persone che hanno presentato la richiesta "già avevano formalizzato l'iscrizione a Europa Verde": si allunga dunque l'elenco di persone elette con il MoVimento 5 Stelle che hanno aderito a Europa Verde, dopo soprattutto Eleonora Evi, europarlamentare e dall'estate scorsa co-portavoce - con Angelo Bonelli - di Ev. Vale giusto la pena precisare che, benché formalmente il diritto di formare la componente spettasse alla Federazione dei Verdi e non a Europa Verde (sorta nel 2019 come associazione che ha presentato liste alle elezioni europee), un rapido sguardo alla pagina del Registro dei partiti politici conferma che la Federazione dei Verdi con debite modifiche statutarie si è trasformata nella Federazione "Europa Verde - Verdi", per cui si tratta dello stesso soggetto giuridico-politico che poteva chiedere e ottenere la formazione della componente, sussistendone le condizioni.

La notizia della creazione della componente è certamente rilevante per chi studia il diritto parlamentare o ne è incuriosito. C'è però un'altra notizia altrettanto significativa, che merita di essere già ora considerata con attenzione, anche se la nascita delle ultime due componenti non dovrebbe avere effetti da questo punto di vista. Tra gli emendamenti presentati al disegno di legge di conversione del "decreto milleproroghe" (A.C. n. 3431), in discussione presso le commissioni riunite Affari costituzionali e Bilancio della Camera, ce ne sono alcuni che vorrebbero prevedere nuove ipotesi una tantum di esenzione dalla raccolta delle firme per le forze politiche con qualche forma qualificata di rappresentanza parlamentare (estendendo, ovviamente, il regime attuale che esonera dalla ricerca delle sottoscrizioni solo le forze politiche costituite in gruppo parlamentare in entrambe le Camere dall'inizio della legislatura). Si tratta, in particolare, di sei emendamenti che in un primo tempo erano stati ritenuti inammissibili, ma il 1° febbraio sono stati riammessi e saranno discussi nelle prossime sedute (in quella di ieri si è deciso di accantonarli): essi puntano ad aggiungere un comma all'art. 19 del d.l. n. 228/2021 (cioè il "milleproroghe") - con cui si sono prorogate le disposizioni sulle modalità operative, precauzionali e di sicurezza in materia elettorale per applicarle anche alle ultime suppletive - oppure a introdurre subito dopo un art. 19-bis, da collocare lì per ovvia vicinanza della materia. 
Chi in questi giorni ha evidenziato la presenza di questi emendamenti ha fatto notare che la discussione sull'esenzione dalla raccolta firme questa volta è iniziata molto prima del consueto, visto che di solito a operazioni simili (di esenzione o riduzione sensibile del numero di sottoscrizioni necessarie) si è provveduto sul finire della legislatura, grazie a decreti-legge o addirittura a disposizioni di natura finanziaria dal calendario "a tappe forzate" (visto come corsia preferenziale). Le cose in effetti stanno così, ma non è così strano e, anzi, è una buona notizia: il Codice di buona condotta in materia elettorale adottato nel 2002 dalla Commissione europea per la democrazia attraverso il diritto (c.d. "Commissione di Venezia", organo legato al Consiglio d'Europa) stigmatizza le modifiche alle norme elettorali che intervengano meno di un anno prima dalla data del voto (punto n. 65), soprattutto per quanto riguarda "gli elementi fondamentali del diritto elettorale, e in particolare del sistema elettorale propriamente detto, la composizione delle commissioni elettorali e la suddivisione delle circoscrizioni". Posto che, da questo punto di vista, l'Italia si è dimostrata assai inadempiente (con riguardo alle elezioni del 1994 - anche se, essendo anticipate, non erano del tutto prevedibili - a quelle del 2006 e del 2018, benché nell'ultimo caso abbia pesato la sentenza n. 35/2017 della Corte costituzionale su alcune disposizioni dell'Italicum approvato nel 2015), formalmente l'esenzione dalla raccolta firme non è parte degli "elementi fondamentali del diritto elettorale" citati prima; di certo però è un elemento molto rilevante. Discutere ora delle ipotesi di esonero consentirebbe di determinare con ragionevole anticipo (di circa un anno) sulla data del voto quali forze politiche dovranno raccogliere le firme; questo, ovviamente, non esclude che - complice anche la riduzione dei parlamentari - nei prossimi mesi si discuta di significativi ritocchi alla legge elettorale, anche se "fuori tempo massimo" in base a quanto si è visto prima.
Tornando agli emendamenti, è significativo e - lo si conceda - illuminante collegare gli effetti di ciascuno di essi alla situazione delle forze politiche dei proponenti. In particolare, l'emendamento 19.3 a firma di Maurizio Lupi (
Noi con l'Italia) propone, "in considerazione della situazione epidemiologica da COVID-19, al fine di prevenire i rischi di contagio nonché di assicurare il pieno esercizio dei diritti civili e politici", di estendere l'esenzione prevista una tantum dalla legge n. 52/2015 (l'Italicum) e già applicata alle elezioni del 2018 (esentando coloro che disponevano almeno di un gruppo parlamentare in un ramo del Parlamento al 15 aprile 2017, data ritoccata rispetto al 1° gennaio 2014 originariamente previsto) anche alle prime elezioni successive all'entrata in vigore della norma, peraltro ampliandola anche ai partiti o gruppi "costituiti in gruppo parlamentare, o in una componente del gruppo misto, in almeno una delle due Camere all'inizio della legislatura in corso". Secondo questa soluzione, oltre a MoVimento 5 Stelle, Partito democratico, Lega, Forza Italia e Fratelli d'Italia (e ai partiti rappresentativi di minoranze linguistiche che abbiano ottenuto almeno un seggio alle ultime elezioni politiche: stavolta, Svp-Patt e Union Valdôtaine), sarebbero esenti Liberi e Uguali (in virtù del gruppo alla Camera, autorizzato quasi subito, e in ogni caso delle componenti create alla prima occasione disponibile), Noi con l'Italia (guarda caso), +Europa, Psi, probabilmente l'Udc e il Partito sardo d'Azione (se riuscissero a far valere il fatto che il loro nome fa parte dall'inizio delle denominazioni dei gruppi di Fi e Lega al Senato) e quasi certamente Civica popolare, Centro democratico, Maie e Usei (visto che le componenti sono sorte pochi giorni dopo).
Gli emendamenti 19.2 e 19.05, presentati da Riccardo Magi (+Europa) ed Enrico Costa (Azione) mirano - rispettivamente aggiungendo un comma all'art. 19 o prevedendo un art. 19-bis - estendere l'esenzione dalla raccolta firme ai soggetti politici 
"costituiti in gruppo parlamentare in almeno una delle due Camere al 15 settembre 2021 o che nelle precedenti elezioni politiche abbiano ottenuto almeno un seggio con un proprio contrassegno". Se si guarda ai gruppi, risulterebbero esenti (oltre ai cinque partiti e alle due forze di minoranze linguistiche visti) Coraggio Italia, Italia viva, Liberi e Uguali e forse il Psd'az (come visto prima). A questi si dovrebbero aggiungere le forze che hanno eletto "almeno un seggio con un proprio contrassegno", frase che porta con sé qualche problema di interpretazione: posto che si fanno ovviamente rientrare in questa categoria i partiti che hanno eletto persone candidate nei collegi uninominali, non è chiaro se con "contrassegno" ci si riferisce al contrassegno di lista (per cui l'esenzione vale per un'unica forza politica, anche se il contrassegno era composito) oppure ai singoli simboli contenuti nel contrassegno (dunque "moltiplicando" l'esenzione per tutte le forze politiche visibilmente contenute nei contrassegni e che siano riuscite a eleggere almeno un loro candidato). In quest'ultima ipotesi, dell'esonero fruirebbero Udc (anche a non voler riconoscerle un gruppo parlamentare), Noi con l'Italia, +Europa (ovvio), Centro democratico, Psi, ma anche Alternativa popolare e Centristi per l'Europa.
Resta da dire degli emendamenti 19.4, 19.06 e 19.07, presentati da Felice Maurizio D'Ettore e Marco Rizzone (Coraggio Italia). Il primo e l'ultimo intendono esentare le forze politiche che al 31 dicembre 2021 disponevano di un gruppo parlamentare almeno in una Camera: oltre ai "magnifici sette" già ricordati sopra, non dovrebbero raccogliere le firme Coraggio Italia (chiaro...), Italia viva, Liberi e Uguali e forse (se si considera la loro presenza nei nomi dei gruppi al Senato) Udc, Psi e Psd'az. L'emendamento centrale, invece, aggiunge a questi soggetti quelli che alle ultime elezioni politiche hanno ottenuto "almeno un seggio con un proprio contrassegno". Di fatto si tratta dello stesso emendamento presentato da +Europa e Azione: è vero che quest'ultimo indica come data il 15 settembre 2021 mentre Coraggio Italia propone il 31 dicembre dello stesso anno, ma non esistono gruppi che si siano formati o siano cessati in quel periodo, tali dunque da coprire un arco diverso di forze politiche.
Restano invece esclusi dal beneficio dell'esenzione in base a tutti gli emendamenti i soggetti politici che hanno costituito componenti durante la legislatura senza trasformarle in gruppo (Azione, Radicali italiani, Europa verde, Alternativa, Rinascimento, Alleanza di centro, Italexit, Europeisti, Potere al popolo!, Partito comunista, Noi di centro, etc.), per non parlare ovviamente del gruppo dalla vita più breve della storia, vale a dire Cal (Costituzione, Ambiente, Lavoro) - Italia dei valori, durato solo un giorno al Senato tra il 27 e il 28 gennaio 2021. Queste riflessioni, ovviamente, non tengono conto di eventuali altre proposte di modifica che dovessero essere presentate in seguito; su questi emendamenti il governo non ha mosso obiezioni e risulta essersi rimesso al parere dell'aula, quindi la partita è aperta.
Vale la pena aggiungere, infine, che tra gli emendamenti che gravitano intorno all'art. 19 del decreto "milleproroghe" ce ne sono tre di Italia viva sulle elezioni dei parlamentari della circoscrizione Estero (con varie norme procedimentali) e uno - il 19.1 - a doppia firma Magi-Costa che cerca di riproporre - dopo la bocciatura "da pareggio" di un testo analogo discusso in sede di conversione del "decreto Pnrr" - la possibilità di raccogliere le firme a sostegno delle liste delle elezioni politiche "anche su documento informatico, sottoscritto con firma elettronica qualificata" (consentendo dunque anche l'uso dello Spid). Si tratterebbe di una novità oggettivamente dirompente per la raccolta firme delle elezioni politiche - come lo è stato per alcune delle richieste di referendum che la Corte costituzionale sta per valutare, dopo l'emendamento a prima firma Magi, preparato da Mario Staderini - almeno per le forze politiche che sceglieranno di avvalersi di quello strumento. Non si tratta di una strada priva di problemi (oltre alla sicurezza, c'è la questione per niente trascurabile dei costi legati alla tecnologia da utilizzare), ma questa è probabilmente l'ultima occasione seria e consistente per introdurre questa novità. Non sembra opportuno perdere la possibilità di rifletterci sopra.

mercoledì 9 febbraio 2022

Manifesta, nuova componente alla Camera grazie a Potere al Popolo! (così torna anche Rifondazione comunista)

Le soddisfazioni per chi osserva con particolare attenzione le dinamiche del gruppo misto alla Camera non si interrompono, anzi: si aggiunge un'altra puntata rilevante: il riaffacciarsi in Parlamento, dopo 14 anni, di Rifondazione comunista. Ciò  è stato possibile sempre grazie alle disposizioni regolamentari sulle componenti del gruppo misto e alla particolare lettura che ne viene data da anni, oltre che grazie all'indispensabile apporto di Potere al popolo!, senza il quale quel ritorno non sarebbe stato comunque possibile. 
Ma cos'è accaduto, dunque? Scorrendo il resoconto stenografico della seduta di ieri dell'assemblea di Montecitorio, verso la fine della seduta stessa, si può leggere questo intervento del presidente di turno (in quel momento il forzista Andrea Mandelli): 
Comunico che, a seguito della richiesta pervenuta in data 28 gennaio 2022, è stata autorizzata in data odierna, ai sensi dell'articolo 14, comma 5, del Regolamento, la formazione della componente politica denominata "Manifesta, Potere al Popolo, Partito della Rifondazione Comunista - Sinistra Europea" nell'ambito del gruppo parlamentare Misto, cui aderiscono le deputate: Doriana Sarli, Simona Suriano, Yana Chiara Ehm e Silvia Benedetti. La deputata Simona Suriano ne è stata designata rappresentante. 
Vale la pena ricordare che Potere al popolo! era già entrato nelle aule parlamentari, quando lo scorso 20 luglio era stata accolta la richiesta del senatore Matteo Mantero di rappresentare nel gruppo misto di Palazzo Madama il soggetto politico di sinistra che aveva presentato liste alle elezioni politiche del 2018, pur senza eleggere parlamentari non avendo raggiunto la soglia del 3%: ciò era stato ritenuto possibile in ossequio al parere della Giunta per il regolamento reso a maggio che - intervenendo in sostanza sul regolamento del Senato, ma senza il regolare procedimento per modificarlo - apriva alla costituzione di 
componenti del gruppo misto anche dopo le modifiche delle norme sulla formazione dei gruppi di fine 2017, purché quelle componenti fossero espressione di una forza politica candidata col proprio contrassegno alle ultime elezioni politiche e i membri della componente fossero espressamente autorizzati a rappresentare quel partito al Senato.
Al Senato una componente (che non è né più né meno che un'etichetta, che figura nei resoconti e nelle riprese televisive ma non ha altre implicazioni organizzative o economiche) può essere formata anche da una sola persona eletta; alla Camera, invece, ne occorrono almeno tre. Come si è ricordato più volte, l'art. 14, comma 5 del regolamento di Montecitorio indica come requisiti per formare una componente l'adesione di almeno dieci persone (componente "maggiore"); il numero può scendere a tre (componente "minore"), a patto che i suoi membri "rappresentino un partito o movimento politico la cui esistenza, alla data di svolgimento delle elezioni per la Camera dei deputati, risulti in forza di elementi certi e inequivoci, e che abbia presentato, anche congiuntamente con altri, liste di candidati ovvero candidature nei collegi uninominali". Si è già ricordato come quel rapporto di rappresentanza sia ormai dal 2005 interpretato - tra le proteste di varie voci della dottrina costituzionalistica - come possibilità per un partito che ha partecipato alle elezioni ma non ha ottenuto eletti di dirsi rappresentato da deputate e deputati che non aderiscono a quel partito, ma desiderano comunque formare un'articolazione autonoma nel gruppo misto (cosa che consente, in base al regolamento, di ottenere tempi dedicati di intervento in aula, spazi e risorse per il personale). Nella denominazione di quelle componenti, dunque, figura il nome del partito che consente il sorgere di quell'articolazione parlamentare, di solito accanto al nome della forza politica o delle forze politiche (magari sorte in corso di legislatura) cui effettivamente i membri della componente aderiscono.
Tornando al caso di cui ci si occupa ora, in aula ieri si è annunciato il sorgere della componente 
Manifesta, Potere al Popolo, Partito della Rifondazione Comunista - Sinistra Europea. Come si è detto, l'indicazione di Potere al Popolo! (qui senza apostrofo) consente all'articolazione parlamentare di quattro deputate - tutte elette nel 2018 con il MoVimento 5 Stelle - di nascere. Rifondazione comunista (qui riportata con il suo nome integrale), per parte sua, riappare nei resoconti della Camera dei deputati - salvo errore - dopo esservi comparsa per l'ultima volta il 9 aprile 2008, nell'ultima seduta della XV Legislatura: in seguito non ha più eletto parlamentari, né con liste proprie (non più presentate dal 2008 in avanti) né all'interno di altre formazioni (non hanno avuto fortuna le esperienze elettorali della Sinistra - L'Arcobaleno, di Rivoluzione civile e, appunto, di Potere al Popolo! di cui è stata parte; fa eccezione, in questo senso, L'Altra Europa con Tsipras, che ha portato al Parlamento europeo nel 2014 Eleonora Forenza). Occorre ricordare che circa un anno fa si era dibattuto, a Palazzo Madama, sulla possibilità di costituire la componente del gruppo misto del Prc, in base alla richiesta presentata da Paola Nugnes; la questione - in parte problematica, visto che Rifondazione comunista non aveva presentato liste nel 2018 e non era nemmeno ufficialmente tra i soggetti fondatori di Pap! - è rientrata con il venir meno della domanda (ora Nugnes rappresenta Sinistra italiana). Ora che la componente alla Camera è nata grazie a Potere al Popolo!, invece, è tranquillamente possibile aggiungere il nome del Prc alla denominazione della componente stessa.
Resta da capire a cosa faccia riferimento invece Manifesta, che apre il nome dell'articolazione del gruppo misto e verosimilmente è il nome in cui si identificano di più le deputate che hanno chiesto di costituirla. Formalmente non esiste una forza politica con quel nome, né pagine "ufficiali" sui social network così denominate; su Facebook si trova un gruppo denominato "Manifesta", creato un anno fa come strumento che "diffonde le idee del MoVimento 5 Stelle", ma evidentemente le deputate della nuova componente non fanno riferimento a quel gruppo. Spiega il senso del nome e dell'operazione la deputata Simona Suriano, rappresentante della componente stessa nel gruppo misto, interpellata da chi scrive attraverso la sua pagina Facebook: "Manifesta vuole essere un appello ad alzare la testa, a reagire per rivendicare i propri diritti, e soprattutto a partecipare attivamente alla costruzione di un modello di società più equo e più giusto. Ancora non abbiamo una grafica: è una cosa nata dall'esigenza di portare i temi di sinistra in Parlamento".
La nascita della nuova componente rappresenta un fatto da registrare, al momento per quello che è (il modo, appunto, per dare voce ai temi di sinistra e, già che ci si è, anche ad alcune sue sigle). Non si può escludere - ma questa è solo un'idea dell'autore di questo contributo e ovviamente è presto per dirlo - che questo raggruppamento parlamentare possa essere l'occasione per la nascita di nuovi progetti politico-elettorali; sarà anche interessante vedere se, nei mesi che restano della legislatura, nel mettere mano alle norme elettorali sarà prevista qualche forma di esenzione per i partiti che hanno un solo gruppo parlamentare (ora ne occorre uno in entrambe le Camere, per giunta dall'inizio della legislatura, condizione che riguarda solo M5S, Pd, Lega, Forza Italia e Fratelli d'Italia) o, magari, una componente del gruppo misto. Comunque vadano le cose, Rifondazione comunista nei prossimi mesi avrà la possibilità di far sentire la propria voce e di far risuonare il proprio nome in aula alla Camera (e Potere al Popolo! potrà farlo anche a Montecitorio, oltre che a Palazzo Madama).

lunedì 7 febbraio 2022

M5S, sospesi statuto (simbolo nuovo incluso) e presidenza di Conte

Quando un apparecchio presenta problemi, è esperienza comunque che spesso sia più conveniente cambiarlo che ripararlo. Anche con questo spirito, da quanto si sa, alla fine del 2017 si era fondata un nuovo soggetto denominato MoVimento 5 Stelle (il terzo, dopo la "non associazione" del 2009 e l'associazione del 2012), senza procedere a nuove modifiche dello statuto del M5S-2 (2012) e del "non statuto" del M5S-1 (2009) che potessero essere contestate in sede giudiziaria; anche le norme statutarie del 2017, però, sono state modificate due volte, a febbraio e ad agosto del 2021, dando al MoVimento l'assetto attuale. Le ultime modifiche allo statuto, tuttavia, al momento risultano sospese, dopo che il tribunale civile di Napoli ha accolto - in sede di reclamo - la richiesta di tre iscritti al M5S e residenti nel capoluogo partenopeo; la stessa ordinanza ha sospeso anche la successiva delibera con cui è stato indicato Giuseppe Conte come presidente.  

L'atto introduttivo

La nuova vicenda contenziosa è sorta nel mese di settembre 2021, quando - come si diceva - tre persone residenti a Napoli, iscritte al MoVimento 5 Stelle e difese dall'avvocato Lorenzo Borré avevano citato l'associazione (nella persona del presidente Giuseppe Conte), chiedendo di dichiarare nulle o annullare le delibere con cui si era approvato il testo del nuovo statuto (2-3 agosto 2021) e si era eletto Conte alla presidenza del M5S (5-6 agosto 2021); in alternativa, nell'atto di citazione si chiedeva al tribunale di dichiarare nulli o annullare, all'interno dello statuto vigente, almeno gli artt. 10, lett. c) (relativo alle forme di convocazione dell'assemblea degli iscritti), 23 (sulla previsione di un preventivo tentativo di conciliazione delle controversie, da devolvere in caso di insuccesso a un collegio arbitrale) e 25 (disposizione che contiene le norme transitorie, nelle quali si regola tra l'altro la designazione del primo Presidente del MoVimento, indicato dal Garante ed eletto dall'Assemblea a maggioranza semplice). In attesa del giudizio di merito, peraltro, gli attori avevano chiesto di sospendere in via cautelare le stesse delibere.
L'atto introduttivo del processo aveva lamentato vari vizi degli atti. In particolare, secondo gli attori era già invalida la convocazione, non essendo avvenuta con le forme previste dallo statuto allora vigente (cioè "sul sito internet del MoVimento 5 Stelle", che per gli iscritti coincideva con "il sito www.movimento5stelle.it della piattaforma Rousseau", l'unico richiamato nello statuto, mentre si è utilizzato il nuovo sito www.movimento5stelle.eu, non indicato dallo statuto e - per gli attori - non autorizzato dal comitato direttivo né comunicato ufficialmente agli iscritti) e non essendo comunque stata estesa a tutte le persone iscritte all'associazione M5S. In particolare, sarebbero state esclusi dal voto (e non convocate all'Assemblea) tutti gli associati da meno di sei mesi: ciò sulla base dell'art. 6, lettera a) dello statuto allora in vigore, in base al quale "l’Assemblea è formata da tutti gli iscritti con iscrizione in corso di validità al momento della sua convocazione. Con regolamento adottato dal Comitato di Garanzia, su proposta del Comitato direttivo, può essere introdotta una restrizione alla partecipazione alle Assemblee con riferimento agli iscritti da meno di 6 mesi ed agli iscritti destinatari di provvedimenti disciplinari di sospensione od espulsione". Il regolamento citato (e contenente l'esclusione dal voto in Assemblea degli iscritti da meno di sei mesi) esiste, ma - stando alle lamentele degli attori - a monte sarebbe mancata la proposta del comitato direttivo, non essendo mai stato eletto (per cui il comitato di garanzia non avrebbe potuto deliberare di sua iniziativa) e comunque il regolamento non sarebbe stato pubblicato. 
Non sarebbe stato legittimo, così, escludere dal voto gli iscritti con "anzianità" minore di sei mesi: questo, a sua volta, avrebbe avuto effetti sulla validità delle deliberazioni. In particolare, il quorum di validità delle votazioni doveva calcolarsi sul numero degli iscritti e non su quelli con diritto di voto aventi almeno 6 mesi di "anzianità" (più basso), in base al testo allora vigente dell'art. 6 dello statuto. Di più, il voto non su singole e individuate disposizioni statutarie rinnovate, ma su uno statuto del tutto nuovo avrebbe di fatto cambiato alla radice l'identità dell'associazione, richiedendo - a detta degli attori - l'unanimità o almeno il consenso ben più oneroso rispetto all'ordinario, previsto dall'art. 21, commi 2 e 3 del codice civile.
Anche il fatto che la votazione sia avvenuta sulla piattaforma SkyVote, diversa da quella prevista sullo statuto (cioè Rousseau) sarebbe stato - per chi aveva iniziato il giudizio - fonte di invalidità: non sarebbe stato rispettato lo statuto (nelle parti in cui prevedeva il voto su Rousseau: lo stesso Grillo, del resto, aveva chiesto e ottenuto che il voto sul comitato direttivo avvenisse su Rousseau - a dispetto dei problemi già in essere con l'associazione omonima - proprio per evitare che vi fossero ricorsi sul punto) e il cambio di piattaforma sarebbe stato il motivo di varie illegittime esclusioni dal voto.
Quanto alle singole illegittimità delle nuove disposizioni statutarie fatte valere nell'atto di citazione, esse colpivano - oltre all'art. 10 nella parte in cui prevede nuove regole sulla convocazione dell'Assemblea - l'art. 23 (che sacrificherebbe il diritto dei soci di rivolgersi direttamente al tribunale per tutelare i loro diritti, "imponendo" la via dell'arbitrato) e l'art. 25 (perché, nel dettare regole ad hoc per l'indicazione del primo Presidente del MoVimento 5 Stelle, con il voto su un candidato unico indicato dal garante, avrebbe violato il diritto di ciascun associato di candidarsi alle cariche elettive).
Sulla base di queste lamentele, un'eventuale dichiarazione di nullità o annullamento del voto sul nuovo statuto avrebbe travolto anche la validità del voto sulla presidenza di Giuseppe Conte; per coloro che hanno intrapreso l'azione, in ogni caso, l'esito di quel voto sarebbe stato comunque invalido per autonomi vizi di quella procedura (tra questi, anche il fatto che lo stesso Conte non sarebbe risultato iscritto all'associazione in tempo utile e, dunque, non sarebbe stato eleggibile).

La decisione

In sede cautelare - dunque quando non si discute sul merito, ma si valuta con una cognizione sommaria se è opportuno adottare i provvedimenti richiesti dalle parti prima che queste ricevano pregiudizi gravi e irreparabili - il tribunale di Napoli in un primo tempo (per l'esattezza il 24 dicembre) ha respinto le domande degli iscritti al MoVimento 5 Stelle (non si dispone dell'ordinanza, dunque non si possono analizzare più in dettaglio le argomentazioni del primo giudice). Coloro che avevano interpellato il tribunale, però, hanno scelto di impugnare quella decisione e - come previsto dal codice di procedura civile - la questione è stata riesaminata da un collegio di tre giudici, che ha deciso giovedì 3 febbraio, ma l'ordinanza è stata resa nota oggi. 
Il collegio ha risolto in fretta una questione relativa alla competenza (toccherà al giudice in sede di merito decidere se sarà competente a pronunciarsi su quella causa in particolare, ma di certo sulle domande in sede cautelare deve decidere lo stesso tribunale investito della causa di merito), per poi concentrarsi sul merito del contenzioso, anche se in modo non troppo approfondito, trattandosi appunto di un procedimento cautelare.
I giudici del collegio, dunque, hanno ritenuto che le deliberazioni dell'Assemblea del MoVimento 5 Stelle sullo statuto e sull'elezione del Presidente dello stesso M5S fossero invalide, sospendendole entrambe. Quanto al voto sullo statuto, l'unico motivo di nullità di cui si occupa l'ordinanza è l'assenza del quorum deliberato richiesto dallo statuto allora vigente: occorreva che partecipasse almeno la maggioranza assoluta degli iscritti e quella quota della metà più uno si doveva calcolare sul totale dei soci (come prevedeva l'art. 6 dello statuto), non "depurato" degli iscritti da meno di sei mesi (come suggerito dal diverso art. 4, relativo invece alle consultazioni degli iscritti). 
Dalla lettura dell'ordinanza emerge che, secondo il MoVimento, la mancanza di proposte da parte del comitato direttivo circa la partecipazione degli iscritti da meno di sei mesi non avrebbe comunque impedito al comitato di garanzia di escludere questi dal voto attraverso la redazione del regolamento relativo alle assemblee. I giudici del collegio di reclamo non hanno contestato l'esclusione in sé: del resto, storicamente i partiti hanno richiesto la maturazione di una minima "anzianità" di iscrizione per accedere ai momenti qualificanti della loro vita interna, per evitare di riconoscere troppo peso a persone iscritte poco prima dei congressi o di altri eventi assembleari. Il problema, invece, è stato aver praticato quell'esclusione senza seguire la procedura indicata dallo statuto stesso, dunque una proposta di regolamento da parte del comitato direttivo (mai eletto) e la successiva adozione del testo regolamentare da parte del comitato di garanzia (un iter espressamente previsto dall'art. 6 dello statuto allora vigente per l'Assemblea degli associati - organo cui spetta decidere sulle modifiche statutarie - e non dall'art. 4 per la consultazione degli iscritti; il fatto che il nuovo testo dell'art. 10 preveda l'automatica esclusione dei soci "non abbastanza anziani" dalle deliberazioni, poi, per i giudici significa che prima occorreva seguire il percorso espressamente previsto per ottenere il medesimo risultato). 
A onor del vero, come si intuisce dalle comunicazioni ufficiali pubblicate sul sito del M5S, esisteva una proposta di regolamento contenente l'esclusione di coloro che avevano un'insufficiente "anzianità", ma era stata fatta nel 2018 dal capo politico secondo il testo previgente dello statuto (quello del 2017) e poi approvata dal Comitato di Garanzia: probabilmente chi esercitava le funzioni di guida del MoVimento al momento della convocazione dell'Assemblea (Vito Crimi, come Presidente del Comitato di Garanzia) ha ritenuto che quel regolamento approvato dal Comitato di Garanzia fosse ancora valido e applicabile, visto che il comitato direttivo previsto dallo statuto modificato a febbraio 2021 non era mai stato eletto e dunque non avrebbe potuto proporre nulla. Questo ragionamento, però, evidentemente non ha convinto i giudici del reclamo.
Il mancato conteggio, ai fini della determinazione della platea degli elettori, degli iscritti con meno di sei mesi di anzianità per i giudici di reclamo ha alterato in modo determinante l'esito del voto. Il quorum strutturale della maggioranza assoluta degli aventi diritto al voto richiesto in prima convocazione doveva infatti essere calcolato non sui 113.894 iscritti da almeno sei mesi, ma sui 195.387 associati effettivamente iscritti al momento del voto; considerando che hanno votato 60.940 soci (già di per sé meno degli 81.839 iscritti non considerati), il quorum richiesto in prima convocazione risultava non raggiunto, dunque la delibera risultava annullabile per violazione dello statuto e qualunque socio poteva chiederne l'annullamento. Ciò, per il collegio, è sufficiente per travolgere anche la validità del voto che ha portato Giuseppe Conte alla presidenza del M5S (carica che, peraltro, non era prevista dallo statuto vigente di certo fino ad agosto).
Stabilita l'esistenza del fumus boni iuris (dunque del concreto sospetto che le lamentele di chi aveva iniziato il giudizio fossero fondate), i giudici hanno ritenuto verificato anche l'altro requisito, cioè il periculum in mora: se la delibera sullo statuto e quella sulla presidenza avessero continuato a produrre effetti, si sarebbero creati "pregiudizi molto rilevanti per la stabilità della stessa organizzazione associativa". Tanto i soci quanto l'associazione, anzi, avrebbero interesse a che l'associazione funzionasse "nel rispetto delle regole statutarie che nel loro insieme ne sovraintendono la forma, lo scopo e l’agire": inutile invocare, secondo il collegio, la l'opportunità di non turbare l'attuale vita del M5S "se ciò si fonda su comportamenti che risultano contrari alle regole che fondano l’esistenza dell’associazione". 

E ora?

L'ordinanza, dunque, ha sospeso le due deliberazioni dell'Assemblea del MoVimento (su statuto e presidenza) "in attesa dell'esito del giudizio di merito" (che, ovviamente, potrebbe confermare quanto deciso in sede cautelare oppure prendere decisioni ancora diverse). I giudici non hanno ritenuto rilevante il fatto che ora potrebbero sorgere vari problemi, a partire dalle questioni legate all'uso della vecchia piattaforma Rousseau: per loro si tratta "di eventuali aspetti di carattere meramente operativo suscettibili di svariate possibili soluzioni la cui individuazione resta concretamente riservata agli organi della associazione".
Cosa comporta questo in concreto? Mentre restano sospese le citate delibere, torna efficace lo statuto previgente (con le modifiche effettuate a febbraio). Molto più delicata è la questione relativa alla governance del M5S: il voto per eleggere il comitato direttivo, previsto per luglio, non si era poi tenuto e si dovrebbe dunque procedere innanzitutto a questo adempimento, toccando al Garante (cioè a Beppe Grillo) avviare le procedure. Come piattaforma, esattamente come a luglio, si dovrebbe usare per sicurezza Rousseau, anche perché formalmente non è previsto che un organo associativo diverso dal comitato direttivo autorizzi l'uso di piattaforme diverse (anche immaginare una nuova supplenza del Garante, per ragionevole che appaia, sarebbe comunque rischioso).
Tra l'altro, fino alla definizione del giudizio di merito, se il MoVimento scegliesse di presentare candidature alle prossime elezioni amministrative, potrebbe scegliere di tornare al contrassegno che contiene il sito Movimento5stelle.it: sarebbe quello, infatti, il simbolo ufficiale del M5S, visto che la sospensione del nuovo statuto (meglio: della delibera che l'ha adottato) riguarda anche l'emblema che contiene il riferimento al 2050. Occorre altrettanto rilevare, però, che l'associazione M5S (quella fondata nel 2017) ha depositato come marchio il simbolo utilizzato negli ultimi mesi: la domanda è ancora in esame, ma questo non ostacolerebbe comunque la possibilità per il MoVimento di usare il segno in sede elettorale, né permetterebbe ad altri soggetti di usarlo.
In ogni caso, quella resa nota oggi è un'altra situazione molto delicata che il MoVimento 5 Stelle è chiamato ad affrontare e su cui ha comunque bisogno di riflettere, innanzitutto per capire come procedere. Certamente il fatto che occorra un intervento della magistratura per ripristinare la "legalità statutaria" all'interno di una forza politica (come di una qualunque associazione) può suonare come una sconfitta, ma non è il caso di lanciare allarmi o gridare allo scandalo: occorre piuttosto - in ognuno dei tanti casi che la politica italiana ha conosciuto e probabilmente conoscerà in futuro - sforzarsi di rispettare in pieno le regole che ci si è dati con lo statuto (e, a monte, è il caso di scriverle cercando di renderle il più possibile realizzabili e chiare). Una volta che il mancato rispetto si è consumato (anche se qui, ovviamente, manca ancora un pronunciamento di merito da parte dei giudici), occorre invece impegnarsi per risolvere i problemi sul tavolo, incluso il valutare le ragioni delle parti che hanno intrapreso l'azione prima che i giudici si esprimano nel merito. Un ragionamento simile, per esempio, ha portato alla recente transazione tra +Europa e coloro che avevano impugnato gli atti del secondo congresso del partito e ad alcuni atti presupposti (incluse le delibere di alcune modifiche statutarie "in zona Cesarini"). Questa certamente è solo una delle opzioni percorribili: toccherà alle parti (tutte) decidere come agire.

domenica 6 febbraio 2022

Nomi, simboli e dintorni: tutti i marchi politici di Gianfranco Librandi

Le ricerche spesso iniziano senza avere bene idea del luogo in cui conducono: si parte per la curiosità e il desiderio di approfondire, nell'ignoranza di cosa si troverà, della mole di informazioni da scoprire (grande o piccola, soddisfacente oppure no) e del tempo che sarà necessario. Ieri, per esempio, si è scritto della domanda di marchio per (la prima versione del logo di) L'Italia c'è, depositata tra la fine del 2021 e l'inizio del 2022 da Piercamillo Falasca e da Gianfranco Librandi. Chi però frequenta - suo malgrado - con una certa assiduità questo sito potrebbe essere stato colto, leggendo l'articolo, da un dubbio: "ma non avevo già trovato altri articoli in cui si parlava di marchi politici depositati da Librandi?"
Il dubbio è legittimo e, soprattutto, fondato: consultando la banca dati dell'Ufficio italiano brevetti e marchi, infatti, risultano ben 42 domande di marchio depositate a nome di Gianfranco Librandi (alcune accolte, altre rifiutate, altre ancora in via di esame)
Alcuni di quei segni distintivi sono di chiara natura imprenditoriale, il che non stupisce, essendo il depositante un imprenditore da anni; proprio in base a quell'approccio imprenditoriale (che porta a tutelare i possibili marchi per la propria attività), tuttavia, lo stesso Librandi - eletto per la prima volta alla Camera nel 2013 in Scelta civica - deve aver ritenuto opportuno depositare a proprio nome - proprio dalla fine del 2013 - ben 38 domande di marchio per segni che appaiono adatti per iniziative collettive civili o politiche e, in effetti, alcuni di questi sono stati usati per questo (pur con qualche adattamento). Curiosamente, non rientra tra queste 39 il simbolo della forza politica fondata da Librandi nel 2009, all'atto della sua uscita dal Pdl, vale a dire l'Unione italiana: quel simbolo - con le iniziali accostate su fondo blu chiaro, un arco di stelle e un nastro tricolore - è comunque stato registrato come marchio, ma direttamente dall'associazione Unione italiana, con sede a Saronno (e a rappresentarla è la stessa persona che si ritrova nelle altre domande. 
Passare in rassegna le domande di marchio presentate da Librandi (a volte da solo, a volte assieme ad altre persone) equivale a un viaggio nell'ultimo decennio politico italiano, almeno in quell'area "moderata" e "centrista" (ammesso che queste parole abbiano davvero un senso) nella quale l'imprenditore e politico ha operato ed è stato candidato ed eletto. La prima domanda di marchio, in effetti, risale alla fine di ottobre del 2013: Librandi aveva cercato di registrare il simbolo di Scelta civica (lista nella quale era stato eletto alla Camera) in un momento già difficile per quel partito (Mario Monti si era dimesso da presidente giusto pochi giorni prima, in un clima di ruggini tra la componente libdem e quella cattolica del soggetto politico): aveva dunque depositato proprio il contrassegno con cui si era candidato, privato però dell'espressione "con Monti per l'Italia"), ma la domanda di marchio fu respinta.
Occorre attendere due anni (dunque il mese di ottobre del 2015) per trovare un'altra richiesta presentata dal deputato (rimasto in Scelta civica) e questa volta andata a buon fine: a giugno del 2017 è stato registrato il marchio We Change, nel corso del tempo associato ad alcune iniziative politiche organizzate dallo stesso Librandi e che hanno visto la sua presenza.
Alla fine del 2015, tuttavia, il parlamentare ha depositato altri due fregi, questa volta di forma rotonda e legati al medesimo tema. Potenzialmente erano già pronti per essere utilizzati i due emblemi della Lega italiana: uno aveva la parola "Lega" in verde (in un tempo in cui nel simbolo della Lega Nord era ancora presente il Sole delle Alpi di quel colore), con tre sagome generiche di persone a mezzo busto e il dettaglio di una spada (cioè l'elsa, l'impugnatura, e una parte di lama, che poteva ricordare una croce pur non essendola); l'altro ripeteva il nome due volte, ad arco, con la spada intera su uno scudo (riprodotti anch'essi due volte), mentre nel cerchio centrale c'erano le figure stilizzate, a clipart, di sei persone su fondo azzurro sfumato. Non si accorse quasi nessuno di quel deposito, almeno fino a quando si iniziò a parlare della trasformazione del Carroccio in partito nazionale e ci si domandava se Matteo Salvini avrebbe semplicemente tolto la parola "Nord" o magari avrebbe percorso altre soluzioni, quali appunto "Lega italiana". 
"Quando ho depositato questo marchio - aveva dichiarato Librandi all'Adnkronos - immaginavo si potesse dare vita a una Lega italiana. Poi dopo invece sono entrato nel Pd e ho fatto altre scelte", precisando che mai avrebbe ceduto il simbolo a Salvini ("Ultimamente è diventato aggressivo e offensivo, si sta avvicinando pericolosamente al M5S e mi spaventa non poco").
Tempo un altro paio di mesi e Librandi depositò due coppie di simboli per ottenerne la registrazione come marchi. Il 9 febbraio e l'11 marzo 2016, infatti, risultano essere state presentate domande di marchio per i simboli di Siamo italiani
associazione fondata dagli europarlamentari di Forza Italia Lara Comi (saronnese come Librandi, il quale aveva anche acquistato il dominio del sito a settembre del 2015), Salvatore Cicu e Aldo Patriciello: di quell'associazione questo sito si era già occupato nell'estate del 2016. Il primo emblema depositato aveva l'Italia tridimensionale sullo sfondo grigio (variante di "Siamo milanesi", altra creatura di Librandi, abbondantemente vista alla fine del 2015 e nei mesi successivi nel capoluogo lombardo, in vista delle elezioni comunali), ma si era scelta di fatto la seconda, con un tricolore su fondo blu e il nome bianco al centro.
Sempre l'11 marzo, lo stesso Librandi risulta aver depositato altre due domande di marchio, relative ai segni denominati Moderati per l'Italia e Siamo moderati: il primo soprattutto testuale, con la bandiera tricolore nella parte alta su fondo bianco; il secondo con il nome raddoppiato e anche qui col cerchio centrale azzurro scuro, ma con il tricolore a nastro leggermente avvolto al centro. La prima domanda non venne accolta (non è dato sapere perché), mentre la seconda è stata regolarmente registrata.
Nulla si sa del progetto cui questi due emblemi potevano essere legati; di certo, però, per Scelta civica si preparavano settimane complesse, con il segretario Enrico Zanetti favorevole a un percorso comune con i verdiniani di Ala e la maggioranza del gruppo parlamentare contraria a questo. Quando - il 12 ottobre 2016 - la Camera decise che il nuovo gruppo che Zanetti e alcuni altri deputati di Sc scelsero di formare assieme ad Ala aveva titolo per rappresentare Scelta civica e per utilizzarne il nome, mentre quello vecchio avrebbe continuato a esistere ma con un altro nome, il gruppo decise di denominarsi Civici e innovatori. Non stupisce così che il 24 ottobre 2016 risultino depositate ben cinque domande di marchio, tutte accolte e tutte variazioni sul tema "Civici e innovatori", con il tricolore e il blu come ingredienti principali (si segnala, in quattro casi su cinque, l'uso dello stesso carattere impiegato da Scelta civica). In una la bandiera tricolore appariva sotto un "lembo piegato" del simbolo, con il nome blu e azzurro sotto; in un'altra (sul modello di soluzioni grafiche già viste qui) il nome si ripeteva due volte con il nastro tricolore un po' arrotolato nel mezzo (su fondo azzurro scuro). Lo stesso nastro tornava in altre tre versioni del simbolo, strettamente imparentate tra loro, con il nome posto sempre nella parte superiore (con la E più grande, azzurra, in una font graziata): una con fondo tutto bianco e nome blu (e azzurro); una uguale a questa, ma con lo sfondo posto sotto al tricolore tinto di blu; una terza a colori invertiti (parte superiore blu, con testo bianco e azzurro, parte inferiore bianca). Com'è noto alla fine Civici e innovatori optò per un altro fregio, mai adattato alla forma rotonda e - che si sappia - mai finito sulle schede.
Gianfranco Librandi ha continuato a depositare marchi "potenzialmente politici" anche in seguito, ma per alcuni mesi si è limitato a quelli denominativi, dunque relativi alle sole parole e non anche a una grafica: Obiettivo Italia a dicembre del 2016, I Dialoganti alla fine di gennaio del 2017, Forza Europa a metà marzo del 2017 (depositato con Benedetto Della Vedova, che avrebbe poi guidato un'iniziativa politica con lo stesso nome, che più avanti avrebbe condotto alla nascita di +Europa) e la denominazione Civici e innovatori un mese più tardi. Con il tempo si avvicinava la fine della XVII legislatura, ma arrivava anche il tempo delle elezioni regionali lombarde. Il 25 ottobre 2017 Librandi depositò il simbolo Obiettivo Lombardia, con la sagoma verde della regione e a fianco un elemento rosso con i rilievi montuosi lombardi stilizzati; il contorno blu spesso del cerchio aveva quattro "tacche" bianche, volendo ricordare un "mirino". Il 2 gennaio la stessa grafica fu ridepositata più elaborata: nel simbolo fu aggiunta l'espressione "per le autonomie" e il cerchio venne inserito in un quadrato verde (colore della regione) a vertici stondati. Il simbolo sarebbe arrivato sulle schede delle elezioni regionali, a sostegno della candidatura di Giorgio Gori, pur non riuscendo a ottenere eletti (mentre Librandi tornò in Parlamento, stavolta nelle liste del Pd, al quale aveva aderito alla fine della XVII legislatura).
Per un anno non risultano altri depositi a nome dell'imprenditore e parlamentare, ma il 14 febbraio 2019 - a circa tre mesi e mezzo dalle elezioni europee - Librandi e Carlo Calenda presentarono domanda di marchio per il simbolo Siamo europei, almeno per la prima versione "ufficiale" svelta proprio da questo sito, ma mai utilizzata dallo stesso Calenda. Il nome in primo piano - composto con due caratteri diversi e piuttosto evidenti - ricordava quello di altri progetti "librandiani" già visti in questa pagina; sul fondo non c'erano ancora le stelle e il fondo blu, ma piuttosto la sagoma dell'Europa. Curioso (e non troppo gradevole all'occhio) lo stratagemma di inscrivere il tradizionale cerchio in un quadrato, scelta fatta forse per evitare seccature in sede di valutazione del marchio (col rischio che segni con significazione politica troppo evidenti potessero avere il parere negativo del Viminale proprio per la forma tonda); in ogni caso, da qui in avanti, sarà proprio la forma quadrata o rettangolare a prevalere nei depositi di Librandi. 
Praticamente un anno dopo (10 febbraio 2020) si trova un'altra domanda di marchio, a nome questa volta del solo Librandi. Dopo il filone "siamo", è stato ripreso il filone "obiettivo", con la presentazione di Obiettivo Italia, anche se in questo caso non si può certo parlare di una grafica pronta per essere spesa sulle schede elettorali: l'idea è di una tessera bianca con il nome stampato sopra in blu e azzurro, con un nastro verde e rosso che la circonda, quasi come fosse un dono. In quel caso, tuttavia, la richiesta è stata respinta e non è dato sapere perché (esito curioso, considerando che il marchio verbale era stato invece regolarmente registrato a nome di Librandi).
A novembre del 2020, un mese e mezzo dopo il primo turno elettorale ampio dell'epoca Covid-19, era già tempo di iniziare a pensare alle elezioni amministrative milanesi dell'anno successivo: se la pandemia non avesse creato altri problemi, si sarebbe votato regolarmente in primavera ed era bene farsi trovare preparati. Il 9 novembre, dunque, Librandi depositò due coppie di domande di marchio, tutte accolte: una si basava sullo slogan A Milano si lavora, l'altra sull'etichetta Lavoriamo per Milano; in entrambi i casi c'era un quadrato diviso in due, la parte superiore bianca (con scritta rossa) e quella inferiore blu o azzurra (con scritta bianca), mentre nella parte superiore potevano essere presenti quattro circonferenze blu e rosse alternate, a richiamare l'idea degli ingranaggi (dunque del lavoro e della "catena").
Qualche mese dopo si sarebbe adottata la seconda denominazione, lavorando però su una diversa idea grafica, cioè quella del fumetto (già in passato adottata da Giuseppe Sala). Il 31 maggio 2021, infatti, Librandi ha depositato il quadrato "Lavoriamo per Milano" con blu e un tocco di fucsia (più affine al partito Italia viva, cui aveva aderito a settembre del 2019) e la parte superiore bianca trasformata in nuvoletta da fumetto; la soluzione sarebbe stata adottata (pur se con la nuvoletta "a specchio") proprio dalla lista Lavoriamo per Milano - I Riformisti, curata appunto da Librandi alle amministrative milanesi del 3-4 ottobre 2021. Il 22 marzo, in compenso, il parlamentare aveva forse pensato di estendere l'idea del lavoro a una dimensione nazionale: aveva infatti depositato i marchi Lavoriamo per l'Italia (con un quadrato tricolore, la struttura simile ai marchi visti prima e, nella parte superiore, ruote dentate stilizzate ma chiaramente riconoscibili) e Officine politiche italiane (qui la grafica non è visibile, ma la descrizione racconta di un "
quadrato bordato di nero diviso orizzontalmente in 2 metà da striscia blu, caricata della parola 'politiche' in maiuscolo bianca font lt Oksana; la parte superiore di bianco caricata in alto di 3 ingra-naggi blu di diverse dimensioni allineati a triangolo e, verso il divisore, della parola 'Officine' in maiuscolo verde font Futura Light; in basso della parola 'italiane' in maiuscolo cremisi font Soeraputera allineata in alto sino al divisore").
Dal mese di novembre 2021, peraltro, Gianfranco Librandi appare in frenetica attività: da allora al 19 gennaio risulta aver depositato ben dieci domande di marchio, inclusa quella relativa a L'Italia c'è. Il 3 novembre, in particolare, risulta presentata domanda di marchio (da Librandi e Piercamillo Falasca) per la Libera associazione i Riformisti italiani europei. Anche qui c'è un quadrato, nella parte inferiore tinto di blu scuro, mentre la parte verbale è concentrata tutta nella metà superiore a fondo bianco: la parte più evidente è rappresentata dall'espressione "i riformisti", giocata sul colore arancione (simile al tono impiegato dalla testata Il Riformista, senza che questo ovviamente dovesse impegnarla in alcun modo, essendo diverso il carattere impiegato).
Il 2 dicembre, invece, le domande depositate risultano essere addirittura sei per altrettante (potenziali) "libere associazioni"; la struttura grafica è la stessa già vista prima, mentre a cambiare è solo il nome e, in due casi, il colore. Quattro marchi sono strettamente imparentati tra loro (nomi scritti in rosso e bianco, nelle due metà del quadrato), per i nomi Fare Repubblica, Nuova Repubblica, Siamo Repubblica e Noi Res Publica: per queste quattro domande 
i richiedenti risultano essere Librandi, Falasca e Gennaro Migliore (deputato di Italia viva, già Pd). Le altre due domande presentate nello stesso giorno impiegano invece le parole Concreta e Concretezza, scritte in arancione nella parte superiore e riflesse nella parte inferiore blu; in questi due casi i richiedenti sono solo Librandi e Falasca.
Il 21 dicembre sempre Librandi e Falasca hanno presentato richiesta di marchio per l'associazione Al lavoro! (un marchio con la grafica ridotta al minimo, al di là di una sottile linea tricolore al di sotto della parola); del segno distintivo L'Italia c'è depositato il 3 gennaio di quest'anno si è già detto ieri. L'ultima domanda - fino al momento in cui si scrive - presentata da Librandi e Falasca risale al 19 gennaio: il nome inserito nella struttura quadrata questa volta è Associazione degli Italici
Con questo post non si intende minimamente dare un giudizio sui segni che Gianfranco Librandi (da solo o con altre persone) ha scelto di depositare nel corso degli anni. Da un certo punto di vista, anzi, la decisione di presentare domanda di marchio per ciascuno di questi - nonostante si traduca nell'uso di uno strumento pensato per un altro ambito: i segni politici o civili, più che protetti come marchi, dovrebbero essere usati in concreto - presenta un risvolto apprezzabile: dal momento che le domande di marchio sono pubbliche, il deposito rappresenta un sistema piuttosto trasparente per conoscere i progetti politici che "bollono in pentola" e (se il deposito è stato curato direttamente da una o più persone) chi li vorrebbe portare avanti, anche a costo di mettere a rischio l'effetto sorpresa. Di certo, nessuna persona impegnata in politica - che si sappia e, ovviamente, salvo errore - risulta avere depositato un numero così alto di domande: già solo per questo, valeva la pena di impegnarsi in questa carrellata.