lunedì 31 dicembre 2012

Il Partito dei poveri ... che non troverete sulle schede

La politica non è cosa per poveri: è questa la sgradevolissima impressione che si ha da tempo, ancora prima dei vari Lusi, Belsito, Fiorito, Maruccio e compagnia spendente. Eppure qualcuno non sembra pensarla così: gli increduli possono rivolgersi a «Trevisol Giuseppe, classe 50», come lui stesso si definisce, che è l’ideatore del PdP. Non è la sigla di Paperon de' Paperoni di disneyana memoria, bensì del Partito dei poveri. 
Emigrato dal Veneto in Lombardia, Trevisol ha lavorato da quando aveva 15 anni, poi ha operato nel campo delle assicurazioni e della mediazione immobiliare; non nasconde i suoi limiti, ma sceglie con trasparenza di confessarli dall’inizio («non sono un santo, mi sono rovinato al casinò e ho avuto qualche problema con la legge per il fallimento delle mie società, però quando è successo avevo venti anni in meno»). Non nasconde nemmeno di avercela con gli italiani, perché «continuano a sostenere i vecchi politici furbacchioni che ci hanno portato in questa situazione: per finta litigano ma nella sostanza fanno un governo insieme, sostengono le banche anche se queste i soldi non li prestano più a nessuno o quasi, preferiscono investire o soldi che ricevono dall'Europa comprando il debito italiano, guadagnando interessi pagati con le nostre tasse». Trevisol ce l’ha anche con le banche per i consigli «volutamente sbagliati» dati ai clienti e per le quali non hanno mai pagato, nonché con la stampa, considerata «parte della casta».
Per l’ex imprenditore si è di fronte a un fallimento dell’economia e della politica: «I politici oltre a dare lavoro ad amici e parenti aumentando il debito pubblico non sanno fare, il lavoro vero lo danno solo gli imprenditori, ma questo stranamente non viene mai detto sui giornali ed in televisione facendo credere che il lavoro si crea facendo una legge». Non risparmia i politici dunque, ma nemmeno i dirigenti dei sindacati, «mangia pane a tradimento, affamano gli operai facendo fare loro degli scioperi di facciata ma mai andando allo scontro totale per migliorare gli stipendi».
Trevisol ha in testa un programma preciso, riducibile in quindici punti. In gran parte si tratta di misure economiche per aiutare chi è in difficoltà, dalle mense per i poveri a carico dello stato, ai mercati statali con generi di prima necessità a prezzo politico, fino allo stipendio e alla pensione garantiti anche alle casalinghe e alle pensioni minime di 1200 euro mensili: ci sono anche gli sgravi fiscali per persone separate, divorziate o tenute a pagare gli alimenti e la possibilità di avere case in affitto al 20% dello stipendio, nonché sostegni mirati a famiglie a basso reddito e anziani (per gli asili o le case di riposo) e ai disoccupati (con l’obbligo di frequentare corsi professionali). Altri punti sono inquadrabili come “moralizzazione” del denaro pubblico, dalla fine delle missioni di pace al tetto di 2500 euro per gli stipendi dei dirigenti pubblici, alla nazionalizzazione delle banche per evitare speculazioni; Trevisol propone anche la riabilitazione per i falliti che non abbiano procurato danni gravi ad altri e una legge contro l'iscrizione di ipoteca per recuperare un credito.
Tutti questi punti fanno parte del programma del Partito dei poveri, che l’ex imprenditore ha fondato nel 2009 con l’amico Giancarlo Aragona: ne hanno addirittura depositato il simbolo all’Ufficio brevetti e marchi, un emblema molto semplice, con la sigla e la denominazione in font Bodoni bold, bianche su fondo rosso. L’obiettivo della formazione è la tutela dei poveri, tra i quali «non ci sono solo gli indigenti, ma anche persone o famiglie che fino a ieri erano la classe media o benestante e che all’improvviso si trovano senza nessun sostegno».
Sulle schede elettorali, purtroppo, il Partito dei poveri non ci sarà: «Purtroppo, non essendo in grado di raccogliere firme per partecipare alle elezioni – dichiara lo stesso Trevisol nel sito del partito – mi vedo costretto a chiedere a qualche deputato se ha voglia di mettersi in giuoco con noi». Non sarà facile trovarlo ma, ove ci fosse, sarebbe davvero una novità…

2 commenti:

  1. Concordo quasi in toto, ma conosco famiglie cosiddette "indigenti" (nel mio piccolo paese di 5000 abitanti, sono più di una) in cui nessuno della famiglia lavora (neanche in nero...) e vivono esclusivamente con il sussidio comunale, della caritas ecc... Perchè quelli onesti devono lavorare per mantenere questi nullafacenti che passano la giornata a fumare al bar, che mandano i bimbi alla mensa scolastica senza oneri, e che si lamentano che il cibo che ottengono dalle associazioni non è di loro gradimento? Magari viaggiano anche in macchine all'ultimo grido...
    Deve ripartire l'economia per tornare al benessere di qualche anno fa, cambiando le regole in modo che non ci possano essere "furbacchioni" che ne approfittano a spese degli altri che invece lavorano onestamente e con fatica. Ammiro il vostro impegno. Distinti saluti

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