Tanto se n’è parlato, che alla fine il partito è arrivato. Oscar Fulvio Giannino, sempre più simile – comunque vesta – al primo vero personaggio da quiz della tv italiana, Gianluigi Marianini di Lascia o raddoppia – ha trasformato ufficialmente in soggetto politico strutturato il suo movimento “Fermare il declino”, nato in estate. Giannino punta a presentarsi alle elezioni politiche e a quelle regionali con la sua squadra di persone, possibilmente in tutta l’Italia: ci sono i 45mila firmatari del manifesto (anche se non parteciperanno di certo tutti all’impresa politica), ci sono docenti di livello come Luigi Zingales e Michele Boldrin, politici di altre epoche (persino Carlo Scognamiglio ha firmato il manifesto, ma c’è anche Giancarlo Pagliarini) e c’è il tentativo di candidare Pietro Ichino, pur avendo egli immaginato una sua disponibilità per una lista Monti in Lombardia (mentre il Monti delle tasse a Giannino non piace proprio).
Le idee sono le stesse dieci proposte messe in campo finora: ridurre il debito pubblico, la spesa pubblica (almeno 6 punti di PIL in 5 anni) e la pressione fiscale (almeno 5 punti in 5 anni); completare in fretta le liberalizzazioni, preferire il sostegno al reddito di chi perde il lavoro alla tutela dei posti esistenti; regolare i conflitti d'interesse; far funzionare la giustizia; liberare le potenzialità di crescita, lavoro e creatività dei giovani e delle donne; rendere di nuovo l’istruzione strumento di emancipazione socio-economica delle nuove generazioni; approdare a un «vero federalismo» che preveda ruoli chiari e coerenti per i vari livelli di governo.
Per Giannino – che peraltro vanta militanze politiche precedenti, dai repubblicani ad Alleanza democratica di Bordon, fino ai Riformatori liberali di Della Vedova e di nuovo al Pri – il movimento crede in una politica «fattiva, pragmatica, con poche chiacchiere e molti fatti. Siamo quelli del Fare, perché è il momento di agire con concretezza per fermare il declino». Non a caso, «Fare» è la parola che campeggia nel contrassegno scelto dalla formazione per le elezioni di febbraio: su fondo rosso, sono particolarmente evidenti la scritta e la frecciona bianca, naturalmente puntata verso l’alto (e verso destra, anche se loro direbbero piuttosto «in avanti»), quasi a pensare alla risalita dopo il declino. La freccia, a dire il vero, è uno dei simboli meno utilizzati nell’iconografica partitica: se ne ricordano obiettivamente poche, almeno tra i partiti di un certo peso, eccetto – si fa per dire – la prima versione dei Moderati italiani in rivoluzione di Samorì. Riuscirà la «piccola pattuglia di rompicoglioni di professione» (© di Giannino) ad approdare in Parlamento, a dispetto di ogni clausola di sbarramento e della mancanza di grandi finanziatori alle spalle?
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