Trasportatevi nella seconda metà
del 1996, prendete un ex missino che abbia scelto di seguire Gianfranco Fini in
Alleanza nazionale e parlategli di «quelli della Fiamma tricolore»: come minimo
gli rovinate la giornata, se era candidato al Parlamento e non ha avuto lo
scranno probabilmente gli fate venire anche un travaso di bile. Alle elezioni
di quell’anno, infatti, si presenta An nel Polo per le libertà, così come si
presenta la Fiamma di Rauti, senza fare alcuna alleanza con i vecchi compagni
di partito: il simbolo usato è lo stesso del 1995, con la vecchia fiammella
senza base, decentrata e nascosta all’interno della prima «A» della parola «Fiamma».
Alla Camera, nella quota
proporzionale, il partito guidato da Rauti sfiora l’1%, nel maggioritario tocca
1,67%, al Senato addirittura arriva al 2,29% (più della lista Pannella) e porta
a casa un seggio. Le elezioni vedono come vincitore l’Ulivo, guidato da Romano
Prodi, che pure nella quota proporzionale racimola 250mila voti in meno del
Polo. In più di un collegio uninominale, quelli marginali in cui la vittoria
viene decretata per una manciata di voti, i consensi avuti dalla Fiamma
avrebbero potuto far prevalere il centrodestra; invece non c’è stato alcun
accordo di desistenza (sullo stile di quello concluso dall’Ulivo con
Rifondazione comunista), quei voti sono rimasti per conto loro e il seggio se lo
è preso il centrosinistra.
In An (e non solo) sono
arrabbiati neri: sono certi che qualcuno ha confuso le fiamme e, volendo votare
per i finiani, ha finito per scegliere Rauti (sembra confermare la stessa cosa
un sondaggio della Diakron di Gianni Pilo, sondaggista gradito a Berlusconi,
finito più tardi ad occuparsi di metano) e, in definitiva, ha fatto perdere le
elezioni al centrodestra. Se non si incontravano volentieri prima, gli
esponenti dei due partiti, figurarsi ora, dopo un numero di questo tipo.
Eppure, a dispetto degli
scettici, c’è ancora spazio per peggiorare la situazione. Basta aspettare
qualche anno (tre, per l’esattezza) e l’approssimarsi delle elezioni europee. Nel
1999, infatti, Rauti decide di osare di più: la scritta «Fiamma» viene
schiacciata in modo biconcavo, la fiammella ormai sovrasta la «A» (che, anzi, diventa
persino grigia, meno evidente) e si sposta in posizione ancor più centrale. Se
il vecchio simbolo, per La Russa, era ancora «troppo simile» a quello di Alleanza
nazionale, quello nuovo per molti è una vera provocazione: quando il Viminale
accetta l’emblema, An ricorre subito all’Ufficio elettorale per il Parlamento
europeo, presso la Cassazione.
Al partito di Fini, tuttavia, va buca anche stavolta. Il fatto è che An, stavolta, non si presenta da sola alle elezioni, ma con il Patto Segni: nel suo simbolo ha ridotto la fiamma e inserito un elefantino tutto conservatore. Per i giudici, la fiamma è la stessa e in effetti è spostata verso il centro, ma è ben diversa per le dimensioni; in generale, gli emblemi si distinguono perché – fiamme a parte – contengono parole e disegni molto diversi tra loro. Niente confondibilità, dunque, tra i due contrassegni, per cui An deve incassare, mentre la Fiamma tricolore riesce a far eleggere a Strasburgo Roberto Felice Bigliardo.
Al partito di Fini, tuttavia, va buca anche stavolta. Il fatto è che An, stavolta, non si presenta da sola alle elezioni, ma con il Patto Segni: nel suo simbolo ha ridotto la fiamma e inserito un elefantino tutto conservatore. Per i giudici, la fiamma è la stessa e in effetti è spostata verso il centro, ma è ben diversa per le dimensioni; in generale, gli emblemi si distinguono perché – fiamme a parte – contengono parole e disegni molto diversi tra loro. Niente confondibilità, dunque, tra i due contrassegni, per cui An deve incassare, mentre la Fiamma tricolore riesce a far eleggere a Strasburgo Roberto Felice Bigliardo.
Nel frattempo, nell’autunno del
1997, nella politica italiana era spuntata un’altra fiamma: era quella del
Fronte nazionale, fondato da Adriano Tilgher, Tomaso Staiti di Cuddia e altri
personaggi che erano stati espulsi in estate dal Movimento sociale Fiamma
tricolore perché accusati di avere danneggiato e turbato all’interno il partito
con le loro critiche alla segreteria di Rauti. Dall’inizio il nome si richiama
al Front National di Jean-Marie Le
Pen, ma se il partito francese ha adottato da sempre la fiamma del Msi
(semplicemente sostituendo il blu al verde), Tilgher sceglie due triangoli verticali,
affrontati e spuntati in basso, per ricreare l’impressione della fiamma, sia
pure molto stilizzata. Il segno si evolverà nel tempo, divenendo tridimensionale molto in fretta, ma intanto la storia della
Fiamma continua a prendere strade diverse, con distanze impensabili solo poco tempo
prima. Altre ne verranno, giusto qualche anno dopo.
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