La tv ha trasmesso le sequenze
della conferenza stampa di Mario Monti fino alla nausea, ma vale la pena
concentrarsi sulla frase più commentata: “Se una o più forze politiche con una
credibile adesione a questa agenda […] manifestassero il proposito di
candidarmi a presidente del Consiglio, valuterei la cosa. […] A priori,
verificate tantissime condizioni, sì. Che è altra cosa dal dare il nome ad
altri per liberi utilizzi». Monti, dunque, sembra non gradire l’uso indistinto
del suo nome sulle schede e nella propaganda, a meno che alcune forze politiche
condividano la sua “ricetta” e lo convincano a dirsi disponibile a guidare il
nuovo Governo.
Ora, per l’articolo 14-bis del decreto legislativo n. 361/1957,
il nome «della persona […] indicata come capo della forza politica» o «come unico
capo della coalizione» dev’essere contenuto nel programma, depositato assieme
al contrassegno con cui le liste vogliono distinguersi alle elezioni. Quel nome
è scritto solo lì, non ci sono indicazioni sulla scheda accanto a ciascun simbolo
o sul manifesto delle candidature: si ritiene che questo contrasterebbe con il
dettato dell’articolo 92 della Costituzione, per cui è il Presidente della
Repubblica a nominare il Presidente del Consiglio, non direttamente i cittadini.
Da anni però – anche prima dell’entrata
in vigore del Porcellum – molti partiti
e liste indicano il nome del loro “candidato” alla Presidenza del Consiglio anche
all’interno del contrassegno da stampare sulle schede, anche con diciture
esplicite come «Berlusconi presidente» o «Veltroni presidente» e col nome molto
più in evidenza delle altre parole. Il Ministero dell’interno ha ammesso quella
pratica, se non altro perché quei nomi sono considerati un’evidente indicazione
del programma politico della lista che li usa e consentono un rapporto più
chiaro con gli elettori.
Mettendo insieme tutto ciò, il
nome di Mario Monti dovrebbe apparire solo nei contrassegni di quelle liste
che, entro il 13 gennaio – termine per il deposito dei contrassegni al Viminale
– abbiano indicato lo stesso Monti come capo della forza politica o della
coalizione nel loro programma. Altre liste che si riconoscessero in quelle priorità
senza indicare Monti come potenziale Presidente (magari perché lui non l’ha
voluto), inserendo quel cognome nel simbolo si vedrebbero ricusare il segno per
confondibilità (con la situazione imbarazzante per cui, a giudicare sulla “genuinità”
degli emblemi riferiti a Monti, sarebbe una struttura guidata da un ministro
del governo Monti).
E se per caso il Professore
decidesse che non è il caso di tornare a Palazzo Chigi? A parte lo spiazzamento
di Casini, Montezemolo e compagnia centrante, i montiani di ogni parte
dovrebbero rassegnarsi a servirsi unicamente dei loro emblemi (tradizionali o
creati ad hoc)? Di certo non
potrebbero candidare Monti senza il suo consenso: ne sa qualcosa Luca Cordero
di Montezemolo, che nel 2006 era stato indicato come potenziale capo del
Governo per il «Partito di centro» dal suo segretario Ugo Sarao (già
cancelliere in Corte d’appello a Milano), ma l’ufficio elettorale presso la
Cassazione confermò l’esclusione della lista perché, anche se la legge non lo
chiede espressamente, chi viene candidato alla guida del Governo deve
acconsentire ad assumere nuove responsabilità. Il Viminale però chiede anche il
consenso dell’interessato al trattamento dei dati personali –applicando la
normativa a tutela della privacy – quando
il suo nome sia riportato sul contrassegno: i partiti e le forze sociali che
finora hanno sostenuto Monti e volessero tentare di capitalizzare l’opera dell’ultimo
anno dovrebbero superare questo ostacolo non da poco. A meno che …
A meno che qualcuno non provi a
mettere sull’emblema non Monti, ma la “sua” agenda. È stato proprio il Professore
a dire nel sito www.agenda-monti.it che
la paternità dell’espressione non è sua, ma di «diverse forze politiche e della
società civile che hanno così inteso ispirarsi all’azione del governo ». Quindi,
se non è stato Monti a inventare l’espressione «agenda Monti» nel suo
complesso, perché se ne dovrebbe impedire l’uso in un emblema, se uno o più
partiti decidono di aderire a quelle 25 pagine e vogliono distinguersi da chi
non lo fa? L’Udc, per dire, potrebbe presentare il proprio simbolo («lo scudo
crociato ha un suo valore alle urne – ha ricordato Casini secondo l’Huffington Post – dobbiamo valutare bene
la questione») e sostituire la scritta «Italia» nel segmento rosso con «Agenda
Monti per l’Italia», ponendo guarda caso il cognome del Professore in grande
evidenza; altrettanto potrebbero fare le liste costituite appositamente, inventando
nuove grafiche o prendendo spunto da quelle esistenti. Convincere i funzionari
del Ministero non sarebbe ovvio, ma si potrebbe tentare: gli interessati prendano
il suggerimento come regalino di Natale…
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