Il 9 dicembre 2010 è stato un
giorno da ricordare, a suo modo, per il Parlamento italiano: quel dì, la
filosofia confuciana e la religione taoista hanno messo piede nella sala delle
conferenze stampa a Montecitorio. O, per lo meno, il loro simbolo più noto, il T'ai Chi T'u, quel cerchio bianconero
che rappresenta l’unione, la complementarietà e la commistione dei due principi
opposti, lo yin e lo yang: lo stesso finito in varie
rappresentazioni, compresi braccialetti, pendagli e disegnini vari.
A portarlo in Parlamento, a dire
il vero, ci avevano provato i radicali, presentando quell’emblema alle
politiche del 1979, ma il Viminale lo bocciò perché si trattava di un simbolo
in sovrannumero (al pari della storica Marianna con berretto), visto che era
già stata accettata la “rosa nel pugno”. Ci è riuscito, invece, l’ineffabile Domenico
Scilipoti, «laureato in medicina e chirurgia», con «specializzazione in
ginecologia e ostetricia» e dedito all’agopuntura. Sarà forse questa
familiarità con la medicina non convenzionale ad avere ispirato al medico di
Barcellona Pozzo di Gotto (già nota per aver dato i natali ad Emilio Fede) la
scelta di quel simbolo per la sua creatura nuova nuova, il «Movimento di
responsabilità nazionale»: lui, che aveva abbandonato l’Italia dei Valori al
suo primo mandato parlamentare, cofondò il Mrn assieme ai transfughi Massimo
Calearo (Pd) e Bruno Cesario (Api, già Pd) e coniò la maggiore distorsione che
il termine «Responsabili» abbia mai conosciuto.
Dunque, T'ai Chi T'u fu, sia pure piegato alle italiche esigenze, per cui
fu colorato di verde e di rosso. Quel simbolo, piuttosto cheap nella grafica, con le sue sfumaturine sottili e quel «di» in
stile Script quasi bambinesco, visse giusto un giorno: il tempo di disegnarlo,
stamparlo, mostrarlo ai giornalisti in conferenza stampa e archiviarlo: un
record, senza dubbio. Fin dai giorni successivi, infatti, fu utilizzato un nuovo
contrassegno, con il simbolo accerchiato dall’immancabile blu (un po’ italiano,
un po’ democristiano, un po’ berlusconiano). Tempo qualche settimana e l’emblema
cambiava di nuovo, quasi a voler trovare il bilanciamento perfetto: fondo
bianco stavolta, simbolo taoista ridotto per lasciare spazio al nome del
partito e, soprattutto, alla sigla in formato gigante, proposta in un vezzoso
tono azzurrino.
Tre simboli in tre mesi e mezzo
di vita era un primato invidiabile, che meritava una certa riflessione, così
Scilipoti per un po’ ha trovato requie, almeno fino al tesseramento 2012,
quando ha sfoderato la quarta puntata della storia, tanto per dire chiaramente
dove voleva collocarsi. Ecco allora il suo emblema precedente dovutamente
ridotto, per lasciare il posto al suo cognome in bella vista, bianco su fondo
blu, con arcobalenino tricolore a linee rette a suddividere il campo blu da
quello bianco. Una clonazione del Pdl, ovviamente, e un occhio strizzato ai
tentativi fatti dalla Fiamma tricolore già nel 2009, per ricordare un po’ il
vecchio contrassegno di Alleanza nazionale: il simbolo multiuso, signori, è
servito.
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