In rete le cose si muovevano da un po' e la voce si rincorreva, sempre più insistente: da ieri è ufficiale che, pur mancando poco meno di un anno al rinnovo dell'amministrazione comunale di Milano, a Matteo Salvini e Corrado Passera che hanno già annunciato la loro corsa verso palazzo Marino si aggiunge pure Vittorio Sgarbi. Proprio ieri, infatti, al Circolo della Stampa l'assessore alla Rivoluzione del comune di Urbino ha presentato la propria candidatura senza tradire le attese di chi avrebbe voluto un momento sulfureo e scoppiettante.
I giornali hanno parlato soprattutto - ed era prevedibile - degli attacchi al Padiglione Italia di Expo (con la proposta choc della "esposizione dei migranti") e dei progetto di valorizzazione delle risorse culturali meneghine, mentre si sono diffusi assai poco sul simbolo adottato dal critico d'arte, che pure meriterebbe uno sguardo in più.
Per chi ha buona memoria, infatti, la struttura grafica è la stessa del primo movimento fondato dallo stesso studioso nel 1999, "I Liberal Sgarbi", giusto il tempo di presentarlo alle elezioni europee di quell'anno: il tentativo andò male per motivi formali (nel contrassegno c'era anche la "pulce" del Psdi, ma l'Ufficio elettorale della Cassazione negò che essa potesse essere validamente usata da Enrico Ferri, eletto sì nel 1994 a Strasburgo ma non più legale rappresentante del sole nascente), ma l'idea grafica (soprattutto del cognome del critico in font Tw Cen e sottolineato di rosso, con un doppio tratto spesso) e politica messa in campo da Sgarbi rimase e prese strade proprie.
Il movimento, in effetti, aveva aderito a Forza Italia nei mesi successivi, ma in alcune occasioni ha presentato liste autonome, come alle regionali del 2000. In vari territori, infatti, corse come "Liberal Sgarbi - I libertari", virando al blu il cognome ma mantenendo la sottolineatura rossa e il fondo giallo: gli stessi elementi sarebbero rimasti anche nel contrassegno composito con il Pri elaborato per il progetto comune alle elezioni europee, il noto "partito della bellezza".
Ora - dopo la parentesi nera e rossa del Partito della rivoluzione - Sgarbi sembra tornato alle origini, per lo meno per la scelta cromatica: il cognome blu sottolineato di rosso è di nuovo l'elemento principale nel tondo giallo, con in più l'inserimento delle parole "sindaco" e "Milano". Quest'ultima, in particolare, è in rosso al centro di una "lunetta bianca", individuata nella parte bassa del cerchio: non si conoscessero i precedenti, si sarebbe tentati di dire che è stato replicato il modello locale di Noi con Salvini, ma a ben guardare si vede che già in passato quell'area era stata lasciata bianca, per fare posto a un libro aperto o ad altri elementi ("pulci" o altri simboli).
Scritte a parte, l'unico elemento differenziante questa volta sembra costituito dallo stemma di Milano, collocato nella parte alta. Stemma che però dovrebbe sparire, pena la bocciatura del simbolo. A partire almeno dal 2013, infatti, nelle istruzioni per la presentazione delle liste redatte dal Ministero dell'interno è espressamente detto che "deve considerarsi vietato anche l'uso di simboli propri del Comune" e il riferimento è proprio allo stemma: lo scopo è evitare di indurre il cittadino a pensare che esista una lista più "ufficiale" di altre e, dunque, potenzialmente favorita. La disciplina è stata applicata alcune volte, anche in comuni relativamente piccoli (quest'anno, per esempio, è accaduto a Collepietro, in provincia dell'Aquila): in definitiva, dunque, dovrebbe sparire l'intero logo comunale o, alla peggio, dovrebbe essere modificato tanto da non poter automaticamente creare l'associazione di idee. Toccherà a Sgarbi decidere il da farsi: di tempo per pensarci, per ora, ne ha parecchio.
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