Simbolo sì, simbolo no? Tra i rumors più gettonati delle ultime settimane sembra avere conquistato un certo fascino la discussione sull'opportunità di presentare, alle prossime elezioni amministrative, liste con l'emblema dei singoli partiti: l'alternativa sarebbe inserire propri candidati all'interno di formazioni civiche, o che almeno appaiano come tali.
L'operazione avrebbe vantaggi e svantaggi e quasi i partiti interessati, temendo soprattutto i secondi, hanno di solito smentito le voci. Chi medita di non correre con il proprio simbolo lo fa perché, temendo un risultato insoddisfacente, pensa di non rovinare il proprio marchio tenendolo lontano dalle schede; tuttavia, dare agli elettori l'idea di non voler nemmeno provare a schierare un emblema per paura non è esattamente un toccasana per l'immagine di un partito.
I primi retroscena, come si sa, hanno riguardato Forza Italia e la sua possibile sparizione dalle amministrative a causa di sondaggi poco promettenti. Chi di dovere ha chiaramente bollato come sciocchezze queste tesi; non è stata trattata meglio l'idea di Walter Tocci per Roma, che suggeriva di mettere da parte il simbolo del Pd per creare una lista unica di centrosinistra (anche se, ovviamente, le percentuali in gioco sono ben diverse rispetto a quelle della bandierina tricolore). L'ultimo partito per cui si è voluto immaginare una sorta di cupio celandi è il Nuovo centrodestra.
L'idea emerge da un articolo di Cesare Maffi pubblicato su Italia Oggi pochi giorni fa. In un periodo in cui a più di qualche dem (specie in periferia) l'idea di essere alleati di Alfano procura l'orticaria e, dall'altra parte, Matteo Salvini è sempre più categorico nell'esclusione di Ncd da un eventuale lista unitaria di centrodestra, nel partito del titolare del Viminale la soluzione sarebbe a portata di mano: "evitare la presentazione di liste col proprio simbolo alle prossime comunali" per "aggirare compromissioni". E non sarebbe, a ben guardare, nemmeno la prima volta: alle scorse regionali in Liguria (vinte dal centrodestra), non era forse stato utilizzato il "marchio" di Area popolare, lasciando stare quello di Ncd?
"In molti casi - continua Maffi - la questione è semplice: bisogna non farsi contare" e per l'autore dell'articolo è facile enumerare, uno dopo l'altro, i casi di formazioni che avrebbero tutto l'interesse a non misurare la propria consistenza nell'urna: c'è ovviamente l'Udc, sodale di Ncd all'interno di Area popolare, ma accanto si ritrovano anche Scelta civica, Centro democratico, i Conservatori e riformisti di Fitto, i Popolari per l'Italia di Mauro, e poi ancora i tosiani di Fare! e la penultima nata, l'IDeA di Quagliariello, fino ad arrivare a formazioni note essenzialmente ai politics addicted come Democrazia solidale (di Lorenzo Dellai) e i Moderati (di Giacomo Portas). Senza contare l'Ala verdiniana, che un simbolo al momento nemmeno ce l'ha.
Lo stratagemma per tutti questi gruppi, a prescindere dalla collocazione politica, sarebbe mimetizzarsi nelle liste civiche, potendo "fingere di essere presenti per interposta formazione, senza subire direttamente l'onta dello zero virgola" e riuscendo anche ad "affiancare, già nel primo turno oppure nel ballottaggio, lo schieramento preferito (nazionalmente o localmente, secondo opportunità, vale a dire secondo possibilità di vittoria)". Tentazioni diffuse dunque, da cui è e deve essere immune (per la propria storia) solo il MoVimento 5 Stelle. Occhio dunque ai simboli civici: i partiti che giocano a nascondino si mimetizzeranno bene o lasceranno qualche traccia sul contrassegno?
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