domenica 31 dicembre 2017

Il 2017 finisce, la gratitudine no!

Questione di ore, poche ore e anche il 2017 sarà destinato agli archivi; ognuno di voi sa se il bilancio, per sé, sia positivo, negativo o a metà strada. Per I simboli della discordia, che oggi spegnerebbe cinque candeline e mezza (l'anniversario tondo non è stato festeggiato a dovere, c'era troppo da fare in quel periodo purtroppo), l'anno in scadenza è stato intenso: non tanto per il numero di post (decisamente minore rispetto al passato, per colpa del troppo tempo che il lavoro "vero" ha richiesto), quanto per i contenuti diffusi. 
Se il 2017 non ha brillato per appuntamenti elettorali rilevanti - rispetto soprattutto al precedente e ai due che arriveranno - ci sono però state varie occasioni che hanno portato la materia dei simboli al centro della discussione e, in un modo o nell'altro, il sito è stato presente. Dalle polemiche legate all'ammissibilità del contrassegno dei Fasci italiani del lavoro alla scelta di Fratelli d'Italia di abbandonare la "pulce" di Alleanza nazionale tenendo solo la fiamma, passando per i tentativi dei fuoriusciti dal Pd di darsi un nome e un simbolo senza farsi diffidare da altri, fino alle "foglioline della discordia" di Liberi e Uguali (con relative polemiche ambiental-femministe); e poi, ancora, le lampadine (accese e spente) di Stefano Parisi, le puntuali liti sul simbolo del MoVimento 5 Stelle e la Lega senza più il Nord, senza dire dell'ennesimo tentativo di far tornare sulla scena politica la Democrazia cristiana, che questo sito ha seguito molto da vicino (con qualche puntata che sarà recuperata il prima possibile). 
Questo ha permesso di incrociare gli interessi di diverse persone, in modo che almeno in parte sorprende: non solo il sito ha superato il totale di 500mila visite dalla sua apertura, ma soprattutto dicembre 2017 rappresenta il record assoluto di visite mensili della storia del blog (quasi 28mila: sicuramente poche per un sito di informazioni, tutt'altro che trascurabili per uno spazio "di nicchia" come questo). Ciò fa ben sperare per l'immediato futuro, visto che il mese che si sta per aprire sarà "simbolicamente ragguardevole", una vera manna per i "drogati di politica" che frequentino o meno questo angolino di rete.
A proposito dei #politicsaddicted, fa piacere vedere che la pattuglia dei contributori si è allargata, in modo anche inaspettato: a volte segnalazioni arrivano da persone che seguivano il sito da tempo, ma sempre in modo silenzioso, fino al momento in cui hanno scelto di palesarsi e dare il loro contributo. Un contributo fondamentale, perché permette a chi ha creato e gestisce da oltre cinque anni questo spazio di scoprire ciò che altri impegni avrebbero impedito di venire a sapere oppure le trovate grafiche memorabili - nel bene e soprattutto nel male - del comune più nascosto, di cui magari nessun giornale si è occupato a dovere. Non importa cosa facciano nella vita - che lavorino in banca, siano freschi di laurea o ricercatori di diritto amministrativo, che li si trovi in un sindacato, all'ennesimo evento da raccontare o al Mac a progettare idee, grafiche e comunicazioni: lo spirito del #drogatodipolitica o, semplicemente, del curioso sa sempre come manifestarsi e ogni suggerimento qui è ottimamente accetta (l'unica cosa che manca, a ben guardare, è il tempo di tradurre tutte le proposte in articolo).
In quest'anno non mi sono fatto mancare nemmeno un discreto scivolone - il fantomatico simbolo di Italia sovrana che avrebbe dovuto unire Lega Nord e Fratelli d'Italia e mi era stato segnalato come veritiero - che in qualche modo sono riuscito a rimediare (per fortuna, ad avere tempo e possibilità di spiegarsi, ci si può rialzare) e l'anno, in qualche modo, si chiude -  sempre per i #politicsaddicted - con un altro simbolo farlocco: il simbolo che il sito vuole donare a Sandro Bondi per rendere più acconcia la sua uscita di scena. C'è ancora tempo per inviare le proprie proposte simboliche (la redazione ha già ricevuto una decina di grafiche) e partecipare a un concorso molto goliardico, ma molto serio. Perché il gioco - signori - è una cosa maledettamente seria: va fatta bene e, soprattutto, va fatta in tanti, sennò non ci si diverte. Perché è vero che i #drogatidipolitica stanno bene anche da soli, ma appena trovano qualcuno con cui condividere la propria passione è subito festa: unico problema, se non trovate il tasto per spegnerli, non la smettono più di parlare. Intanto, per non perdere le buone abitudini, ci sono molte persone da ringraziare per avere speso un po' del loro tempo per rendere questo sito un po' meno incompleto
Grazie a Martino Abbracciavento, Ignazio Abrignani, Guglielmo Agolino, Tiziana Aicardi, Tiziana Albasi, Mauro Alboresi, Alberto Alessi, Antonio Angeli, Antonio Atte, Luca Bagatin, Laura Banti, Paolo Barbi, Mario Bargi, Enzo Barnabà, Giovanni Bellanti, Pierpaolo Bellucci, Pierangelo Berlinguer, Roberto Bernardelli, Enrico Bertelli, Giuseppe Berto, Niccolò Bertorelle, Laura Bignami, Raffaella Bisceglia, Mauro Biuzzi, Fabio Blasigh, Paolo Bonacchi, Andrea Boni, Mauro Bondì, Fabio Bordignon, Michele Borghi, Lorenzo Borré, Massimo Bosso, Carlo Branzaglia, Giampiero Buonomo, Giovanni Cadioli, Luca Calcagno, Mauro Caldini, Stefano Camatarri, Elisabetta Campus, Aurelio Candido, Maria Antonietta Cannizzaro, Monica Cappelletti, Luca Capriello, Giovanni Capuano, Francesco Cardinali, Nicola Carnovale, Elena Caroselli, Robert Carrara, Roberto Casciotta, Pierluigi Castagnetti, Marco Castaldo, Filippo Ceccarelli, Luigi Ceccarini, Mirella Cece, Luca Cenatiempo, Raffaele Cerenza, Gioia Cherubini, Giancarlo Chiapello, Giovanni Chiarini, Emanuele Chieppa, Beppe Chironi, Marco Chiumarulo, Giancarlo Ciaramelli, Valerio Cignetti, Valentina Cinelli, Mauro Cinquetti, Giuseppe Cirillo, Roman Henry Clarke, Antonia Colasante, Emanuele Colazzo, Emiliano Colomasi, Daniele Vittorio Comero, Francesco Condorelli Caff, Antonio Conti, Pietro Conti, Francesco Corradini, Carlo Correr, Antonio Corvasce, Andrea Covotta, Francesco Crocensi, Natale Cuccurese, Emilio Cugliari, Johnathan Curci, Francesco Curridori, Francesco D'Agostino, Nicola D'Amelio, Michele D'Andrea, Roberto D'Angeli, Alessandro Da Rold, Paolo Dallasta, Fabrizio De Feo, Pietro De Leo, Stefano De Luca, Pino De Michele, Carlo De Micheli, Roberto De Santis, Donato De Sena, Franco De Simoni, Mauro Del Bue, David Del Bufalo, Maurizio Dell'Unto, Riccardo DeLussu, Alfio Di Costa, Dario Di Francesco, Roberto Di Giovan Paolo, Alfio Di Marco, Marco Di Nunzio, Alessandro Di Tizio, Antonino Di Trapani, Ilvo Diamanti, Federico Dolce, Alessandro Duce, Filippo Duretto, Daniele Errera, Filippo Facci, Leonardo Facco, Arturo Famiglietti, Giovanni Favia, Luigi Fasce, Paolo Ferrara, Emilia Ferrò, Antonio Fierro, Antonio Floridia, Antonio Folchetti, Gianni Fontana, Gabriella Frezet, Iztok Furlanič, Massimo Galdi, Vincenzo Galizia, Vincino Gallo, Uberto Gandolfi, Luciano Garatti, Marcello Gelardini, Alessandro Genovesi, Tommaso Gentili, Alessandro Gigliotti, Marco Giordani, Michele Giovine, Carlo Gustavo Giuliana, Bruno Goi, Roberto Gremmo, Massimo Gusso, Vincenzo Iacovino, Vincenzo Iacovissi, Matteo Iotti, Roberto Jonghi Lavarini, Luca Josi, Tommaso Labate, Orione Lambri, Giacomo Landolfi, Piero Lanera, Calogero Laneri, Lisa Lanzone, Angelo Larussa, Michele Lembo, Pellegrino Leo, Raffaella Leonardi, Ferdinando Leonzio, Raffaele Lisi, Max Loda, Dario Lucano, Nino Luciani, Maurizio Lupi (il Verde Verde), Bruno Luverà, Angela Maenza, Cesare Maffi, Mimmo Magistro, Alex Magni, Francesco Maltoni, Gian Paolo Mara, Roberto Marchi, Federico Marenco, Gherardo Marenghi, Marco Margrita, Marco Marsili, Carlo Marsilli, Antonio Massoni, Angela Mauro, Federico Mauro, Angelo Orlando Meloni, Nicolò Monti, Roberto Morandi, Raffaello Morelli, Mara Morini, Claretta Muci, Paola Murru, Alessandro Murtas, Tomaso Murzi, Antonio Murzio, Cristiana Muscardini, Paolo Naccarato, Donato Natuzzi, Ippolito Negri, Gianluca Noccetti, Matteo Olivieri, Oradistelle, Fabrizio Orano, Libera Ester Padova, Andrea Paganella, Roberto Pagano, Enea Paladino, Lanfranco Palazzolo, Paolo Palleschi, Enzo Palumbo, Max Panarari, Max Panero, Federico Paolone, Fabio Pariani, Ottavio Pasqualucci, Oreste Pastorelli, Alan Patarga, Rinaldo Pezzoli, Antonio Piarulli, Daniele Piccinin, Flavia Piccoli Nardelli, Francesco Pilieci, Marco Pini, Elisa Pizzi, Marina Placidi, Vladimiro Poggi, Carlandrea Poli, Alfredo Politano, Mauro Polli, Giuseppe Potenza, Cesare Priori, Giulio Prosperetti, Carlo Prosperi, Renzo Rabellino, Andrea Rauch, Michele Redigonda, Maurizio Ribechini, Livio Ricciardelli, Egle Riganti, Francesco Rizzati, Lamberto Roberti, Donato Robilotta, Luca Romagnoli, Gianfranco Rotondi, Sergio Rovasio, Roberto Ruocco, Giampaolo Sablich, Stefano Salmè, Angelo Sandri, Maurizio Sansone, Aldo Santilli, Ugo Sarao, Anna Sartoris, Alessandro Savorelli, Jan Sawicki, Gian Franco Schietroma, Renato Segatori, Oscar Serra, Gianni Sinni, Claudia Soffritti, Carlo Antonio Solimene, Simone Sormani, Valdo Spini, Ugo Sposetti, Mario Staderini, Gregorio Staglianò, Lorenzo Stella, Leo Stilo, Francesco Storace, Nicola Storto, Ivan Tagliaferri, Tiziano Tanari, Mario Tassone, Roland Tedesco, Luigi Torriani, Alvaro Tortoioli, Roberto Traversa, Ciro Trotta, Lara Trucco, Fabio Tucci, Andrea Turco, Maria Turco, Maurizio Turco, Massimo Turella, Sauro Turroni, Marco Valtriani, Max Vassura, Margherita Vattaneo, Enrico Veronese, Fiodor Verzola, Ettore Vitale, Maria Carmen Zito, Mirella Zoppi, Roberto Zuffellato, Federico Zuliani, Piotr Zygulski. 
E, già che ci siamo, mille scuse a Porto San Giorgio: Bene Comune e al candidato sindaco Nicola Loira, "depredato" del simbolo che è servito per la grafica di questo post. 

Può la Margherita strappare la margherita di Lorenzin e Dellai?

Lo si è detto molte volte in queste pagine: sciogliere un partito in Italia è difficilissimo. Ciò comporta, tra l'altro, che soggetti ritenuti politicamente estinti o consunti in realtà siano giuridicamente vivi e ci sia ancora qualcuno in grado di parlare a nome loro. Ne saprebbero qualcosa Beatrice Lorenzin e i suoi compagni di viaggio della nuova lista Civica Popolare: non appena si è saputo che la formazione, pronta ad allearsi con il Pd, avrebbe avuto una margherita nel simbolo, hanno ricevuto subito uno stop dai legali rappresentanti della Margherita, decisi a negare la possibilità di usare l'emblema del partito e preannunciando di fatto diffide se gli interessati dovessero insistere.
Non si tratta del primo "risveglio" margheritino: la memoria corre all'inizio del 2012, quando era emerso il caso dei fondi sottratti dal tesoriere allora in carica, l'avvocato Luigi Lusi: molte persone, più o meno interessate alla politica, non credevano ai loro orecchi, sentendo dire che il progetto politico nato come alleanza elettorale ed evolutosi come partito - legato al nome di Francesco Rutelli - non solo esisteva ancora pur avendo smesso di operare nel 2007, ma aveva continuato a ricevere i rimborsi elettorali della legislatura iniziata nel 2006 e finita nel 2008 (allora le regole prevedevano questo). 
Anche per cercare di mettere un punto a quella vicenda, il 16 giugno di quell'anno l'Assemblea federale del partito - meglio: di quello che restava - optò per lo scioglimento. Era la chiusura del sipario? Nemmeno per sogno, visto che la vicenda processuale di Lusi era ancora aperta (al pari di altre) e occorreva recuperare il denaro sottratto indebitamente: lo scioglimento aprì semplicemente la liquidazione dell'associazione Democrazia è libertà - La Margherita, un procedimento che non si è ancora chiuso. La Margherita, dunque, esiste ancora - e fino alla fine del 2013 la sua targa era rimasta affissa al Nazareno, sede allora sublocata al Pd - e a rappresentarla sono  i liquidatori, il cui collegio è presieduto dal commercialista Roberto Montesi (gli altri sono Salvatore Patti e Walter Ventura).
Alla notizia dell'iniziativa elettorale guidata da Lorenzin, qualche ex "margheritino" dev'essersi allarmato: si badi bene, nella nota ufficiale nessuno dei promotori aveva parlato di quella Margherita (con tanto di maiuscola che si scrive ma non si legge), ma tanto è bastato al collegio dei liquidatori attraverso Montesi, unitamente al collegio dei garanti rappresentato dal presidente Vincenzo Donnamaria (gli altri componenti sono Giovanni Grasso e Fabrizio Figorilli) per alzare un muro
"Nessuno può usare un simbolo della Margherita in elezioni politiche. Esperienze locali - come quella del Trentino - consentono un uso locale. Ma non nelle elezioni legislative: il marchio è tutelato, e non può essere usato, neppure in modo 'surrettizio'". 
I rappresentanti della Margherita aggiungono che "sarebbe incomprensibile se tentassero di usare questo simbolo anche esponenti politici che si candidarono contro la Margherita", probabilmente pensando a soggetti in precedenza riferiti al centrodestra, a partire da Fabrizio Cicchitto. Hanno ragione? In origine sì, ma fino a un certo punto. In fondo, è tutta una questione di maiuscole. E' evidente, infatti, che per Lorenzin e altri quella del loro simbolo dovrebbe essere una margherita qualunque, mentre chi vuole tutelare la Margherita (meglio: Democrazia è libertà - La Margherita) lo fa ritenendo di essere "La Margherita" per antonomasia: per loro quindi - maiuscola o no - il fiore bianco a petali, se richiamato in politica, sarebbe sempre riferito al partito che fu di Rutelli.
Può essere, per carità, ma qualche paletto è necessario. Perché parlare di "esperienze locali - come quella del Trentino" è profondamente ingeneroso nei confronti di Lorenzo Dellai, animatore della Civica per il governo del Trentino (tra l'altro, anche allora, chiamata Civica - La Margherita) che fu diretta ispiratrice della Margherita nazionale cui proprio Dellai aderì. La Margherita disegnata da Andrea Rauch per il nascente partito rutelliano (sedici petali, disposti su due livelli) era diversa da quella utilizzata da Dellai in Trentino (dodici petali tutti allo stesso livello): non a caso, il successivo partito di Dellai, Unione per il Trentino, riprende il fiore della vecchia Civica, limitandosi a modernizzarlo e a renderlo tridimensionale.
Se è legittimo che la Margherita cerchi di tutelare se stessa, dovrebbe almeno lasciare via libera a chi usava lo stesso fiore prima di lei - avendone addirittura ispirato la scelta - e chiede di apportare nel nuovo emblema quella versione, tra l'altro presente in Parlamento - al Senato - nella legislatura appena conclusa, dunque assai più di recente rispetto all'ex partito rutelliano (che pure aveva ben altra consistenza). E se di margherite - con la minuscola - parliamo, non risulta che alla Margherita abbiano mai fatto storie i Verdi arcobaleno, politicamente inattivi dalla fine del 1990 ma sciolti realmente chissà quanto tempo dopo (allora le cose erano un po' più semplici). D'accordo, tra i promotori ci fu proprio Rutelli, ma qualche dubbio sul fatto che altri compagni di strada (da Mario Capanna a Franco Corleone) avrebbero gradito vedere il loro stesso fiore su un simbolo di un partito tutto diverso è lecito averlo...

sabato 30 dicembre 2017

Il "nuovo" M5S: la terza associazione, con simbolo in prestito

La marcia del MoVimento 5 Stelle verso le elezioni politiche del 2013, in realtà, era iniziata il 14 dicembre 2012, quando Beppe Grillo, assieme al nipote Enrico Grillo e a Enrico Maria Nadasi, nella sua casa di Genova aveva sottoscritto con l'assistenza di un notaio l'atto costitutivo dell'associazione "Movimento 5 Stelle": partecipare alle elezioni era la prima sfida seria per il movimento e non era il caso di rischiare di scontrarsi contro uffici e funzionari, che avrebbero potuto bloccare il cammino elettorale di una "non associazione".
A distanza di cinque anni, dev'essersi ripetuta una scena simile: giusto oggi, nel primo pomeriggio, il sito www.beppegrillo.it ha reso noto - oltre che il regolamento per le prossime Parlamentarie - un nuovo statuto di una nuova associazione, denominata sempre MoVimento 5 Stelle e costituita nei giorni scorsi - non è stato diffuso il contenuto dell'atto costitutivo, ma la data dovrebbe essere il 20 dicembre 2017 - dallo stesso Grillo, da Luigi Di Maio e da Davide Casaleggio, come era stato anticipato dai media nelle scorse ore.
Si tratta, dunque, di un terzo soggetto giuridico denominato "MoVimento 5 Stelle" (per convenzione M5S-3), distinto tanto dalla "non associazione" omonima (per convenzione M5S-1), nata come ente di fatto alla fine del 2009, quanto dall'associazione omonima (per convenzione M5S-2) costituita nel 2012. Il M5S-3 sembra essere stato costituito allo stesso scopo del secondo: "Per poterci presentare alle elezioni ci siamo dovuti dotare di un nuovo Statuto e di un nuovo Codice Etico", si legge nel post firmato da Di Maio, che del nuovo soggetto giuridico riveste il duplice ruolo di Capo politico e di Tesoriere. In realtà, probabilmente, sarebbe bastato - e, in altre circostanze, sarebbe stato logico - utilizzare l'associazione fondata cinque anni fa, con il nuovo testo dello statuto adottato alla fine del 2015: finora è stato il M5S-2 a depositare le candidature alle elezioni del 2013 e alle europee del 2014, nonché a presentare i documenti di bilancio richiesti dalla legge n. 96/2012 e di problemi, da quel punto di vista, non ne aveva mai avuti.
Partendo da quest'osservazione, per il tecnico è naturale pensare che le ragioni che hanno suggerito di fondare un'altra associazione siano diversi (senza ovviamente evocare complotti o macchinazioni). Vale allora la pena di leggere le undici pagine che riproducono in pdf e in carta libera il contenuto dello statuto sottoscritto davanti al notaio. Alcune delle informazioni più importanti si trovano, come è normale, all'inizio, già all'articolo 1: la sede del M5S-3 è a Roma, in via Nomentana 257 (diversa da quella del M5S-1, cioè l'indirizzo www.movimento5stelle.it, e da quella del M5S-2, cioè via Roccatagliata Ceccardi,  1/14, residenza genovese di Enrico Grillo). Un indirizzo, peraltro, non casuale: si tratta della sede dello studio di Andrea Ciannavei, avvocato di Beppe Grillo. Quanto al simbolo, questo resta di proprietà del M5S-2, che alla nuova associazione si limita a concedere l'uso: non si tratta naturalmente di una novità (basti pensare al "simbolo in affitto" - parole di Enrico Boselli - della Rosa nel Pugno utilizzato dal cartello di socialisti e radicali alle politiche del 2006, oppure al simbolo di Alleanza nazionale concesso dalla Fondazione An a Fratelli d'Italia), ma è inevitabile che desti un minimo di curiosità sapere che un'associazione (di cui è legale rappresentante Beppe Grillo) abbia concesso in uso il proprio segno distintivo a un'associazione omonima, di cui lo stesso Grillo fa parte senza esserne però il rappresentante.

venerdì 29 dicembre 2017

Civica popolare, gli alleati centristi del Pd (con Lorenzin e margherita)

E se il simbolo fosse così?
Era curioso, in fondo, che in un paese in cui tradizionalmente si vince al centro (centro centro, centrodestra o - più raramente - centrosinistra), in entrambi gli schieramenti principali tra le poche liste ancora da presentare ci fossero proprio i raggruppamenti saldamente ancorati al centro, ciascuno dalla propria collocazione. Mentre si aspetta ancora di vedere il simbolo della lista del centrodestra a trazione Udc (unica certezza, ci sarà lo scudo crociato, ma il nome esatto della formazione è ancora tutto da stabilire, ammesso che la strada non sia comune con Fitto, Lupi e gli altri di Noi con l'Italia), oggi, all'indomani dello scioglimento delle Camere da parte del Quirinale, è stata annunciata la lista centrista che sarà coalizzata con il Partito democratico
Il simbolo ancora non c'è, ma l'accordo sul nome e su chi la comporrà e la guiderà sì: dopo l'uscita di scena volontaria di Angelino Alfano, sarà Beatrice Lorenzin a guidare la lista Civica popolare, alla quale contribuirà ovviamente Alternativa popolare, ma anche i Centristi per l'Europa di Pierferdinando Casini e Gianpiero D'Alia (con cui Ap aveva già corso, senza troppa fortuna, in Sicilia), Democrazia Solidale di Lorenzo Dellai e Andrea Olivero, L'Italia è Popolare, ossia l'area politica cattolico-democratica che fa capo a Giuseppe De Mita (con la benedizione dello zio Ciriaco); più sorprendente, volendo, è che del cartello elettorale faccia parte anche l'Italia dei valori, fondata da Antonio Di Pietro e probabilmente pensata agli antipodi di qualunque formazione anche solo lontanamente democristiana, ma che ha stretto l'accordo con le altre forze nella persona del suo segretario, Ignazio Messina. 
Per carità, parlare di cartello elettorale starebbe stretto ai promotori: in una nota, infatti, hanno precisato che questo sarebbe "il primo passo per la costituzione di una forza politica di ispirazione popolare europeista e riformista, per fronteggiare ogni deriva populista e proseguire sul sentiero della ricostruzione civile, sociale e materiale del Paese". Evidentemente, un nuovo partito diverso da quelli esistenti (e anche per questo stupisce trovare l'Idv tra i promotori), che però è già convinto di far parte "dell’area politica che ha supportato fino in fondo i governi di questa legislatura": nella nota la parola "centrosinistra" non c'è, ma considerando che per De Mita jr era necessario opporsi "alle due destre oggi presenti in Italia: il residuo berlusconiano e quella grillina", non restano altre possibili collocazioni, anche se resta da parte di tutti i promotori l'esigenza di rimanere distinti dal Pd. 
E il simbolo? Come detto, la grafica non è stata svelata, forse perché ancora non esiste, eppure la nota dà qualche indicazione: la lista, infatti, "avrà come denominazione 'Civica Popolare' e nel simbolo una margherita che simboleggia la convergenza di diverse sensibilità su un progetto politico al servizio del Paese. Nel rispetto di questa impostazione, l’iniziativa è fin da subito aperta a tutte le esperienze civiche e politiche e a quanti intendono concorrervi"; c'è poi chi dà per certo l'inserimento del cognome di Lorenzin all'interno dell'emblema, un nome che a detta di alcuni - come Fabrizio Cicchitto, tra coloro che non hanno seguito Maurizio Lupi nel ritorno nel centrodestra - potrebbe rappresentare un punto di riferimento positivo.
L'attesa sarà questione solo di qualche giorno, naturalmente, ma intanto si può iniziare a immaginare e, per quanto alla fine la grafica possa risultare tutta diversa, certe supposizioni sarebbero fatte a buon diritto. L'aggettivo "popolare", infatti, sembra apportato soprattutto dalla formazione di Lorenzin, mentre qui "Civica" non sembra un aggettivo, ma un sostantivo. Perché prima di Scelta civica c'era la Civica per il governo del Trentino, progetto politico nato nel 1998 e legato proprio a Lorenzo Dellai che ora è della partita (e che a inizio legislatura, tra l'altro, è stato eletto in Scelta civica). Oltre alla parola principale a caratteri cubitali, poi, nel simbolo di Civica c'era anche la margherita, idea che - assieme al progetto - sarebbe stata poi ripresa a livello nazionale da Francesco Rutelli. La stessa margherita, giusto un po' "rinfrescata" graficamente, sarebbe poi finita nel contrassegno dell'Unione per il Trentino, che della Civica è l'erede diretta e ha fatto comunque riferimento a Dellai (che pure ora ha creato DemoS). Così, a voler metter insieme elementi grafici di ieri e dell'altro ieri, si potrebbe prendere quella stessa margherita e sfumarla leggermente (com'era nel simbolo della Civica trentina) sopra alla prima parola del nome, piuttosto imponente; nome che potrebbe essere scritto nella stessa font Nexa Black usata da Scelta civica, dal Nuovo centrodestra e ora da Alternativa popolare, mantenendo magari anche il suo fondo blu scuro e il bordo del cerchio più chiaro. E se, ridendo e scherzando, ci si fosse avvicinati al vero?

sabato 23 dicembre 2017

Insieme, dell'Ulivo restano solo le foglie (per prudenza)

Una regola non scritta in materia di contrassegni elettorali? "Partita finisce quando arbitro fischia"La massima del venerato maestro Vujadin Boškov è già stata ospite in questo sito, generalmente per dire che i simboli presentati prima che la campagna elettorale inizi sul serio possono dissolversi anzitempo; in questo caso, tuttavia, si intende sottolineare che gli emblemi - pur resistendo - possono essere ritoccati fino all'ultimo momento disponibile, ossia quello del deposito presso gli uffici elettorali competenti (e a volte anche dopo, se a chiederlo sono gli stessi uffici o i giudici). 
Alla presentazione dei fregi elettorali mancano ancora meno di tre settimane, ma qualcuno ha già pensato di cambiare il simbolo di Insieme, quello presentato da Psi, Verdi, Area civica e ulivisti. La notizia è stata data sui siti della lista "Insieme 2018" e del Partito socialista, con tanto di nota ufficiale diramata dai promotori del progetto politico-elettorale:
I promotori della Lista di ispirazione ulivista 'Insieme', Angelo Bonelli, Riccardo Nencini e Giulio Santagata hanno oggi visionato ed approvato il piccolo restyling del simbolo della lista: "Abbiamo pensato che il ramoscello avrebbe potuto ingenerare confusione al momento del voto, per questo abbiamo deciso che il richiamo all'esperienza dell'ulivo potessimo lasciarlo con le foglie. In questo caso per noi le foglie sono sostanza e contenuto. Ma stanno lì anche per indicarci la strada: lavorare per l'unita del centrosinistra, come auspicato da Romano Prodi anche nell'ultimo suo messaggio, nel quale ci ha incoraggiato sottolineando che 'conta l'ispirazione ulivista' e aggiungendo di essere sicuro 'che questa iniziativa possa dare un utile contributo'.""Siamo consapevoli che l'obiettivo comune di tutti i nostri compagni di strada sia quello di sconfiggere il populismo e la destra. 'Insieme' è nata per influenzare le politiche di governo del centrosinistra e siamo convinti che la coalizione sia l'unica strada percorribile e giusta". Lo hanno spiegato Bonelli, Nencini e Santagata licenziando il simbolo definitivo. 
Si temeva, dunque, una possibile confusione al momento del voto e, dunque, anche possibili accuse di avere messo in campo una "furbata" per recuperare qualche voto in più. Senza bisogno che si arrivasse alla fase del voto, tuttavia, la scelta di non presentare esattamente lo stesso ramo che aveva caratterizzato l'Ulivo evita fin dall'inizio che possa sorgere qualche controversia presso il Viminale sull'eventuale confondibilità tra contrassegni. Si era detto che l'uso del rametto disegnato da Andrea Rauch era stato concesso direttamente dall'associazione I Democratici, di cui è legale rappresentante Arturo Parisi (ma forse no, visto che tre giorni fa su Repubblica si leggeva in un articolo di Giovanna Casadio che "è assai probabile che non ci sia neppure il ramoscello d'Ulivo, che è il marchio politico della lista, dal momento che l'Associazione che ne detiene il brand, costituita da Romano Prodi, Arturo Parisi, Franco Monaco e Marina Magistrelli, presieduta dall'avvocato Mario Epifani, ha diffidato i neo ulivisti dall'uso"); soprattutto, però, il Pd è presente in Parlamento dal 2008 e da allora ha sempre avuto il rametto ulivista nell'emblema, dunque qualche problema di confondibilità (non lamentato dal Pd, ma sollevato dal Ministero nell'interesse dell'elettore, a norma dell'art. 14, comma 6 del testo unico per l'elezione della Camera) si sarebbe potuto porre.
Oltre a togliere il ramo, si è deciso di spostare le foglie nella parte destra del contrassegno, ponendole sopra la "e" di "insieme": in questo modo, tra l'altro, sulla seconda "i" (che nascondeva in parte il rametto, per cui la rinuncia a questo non è nemmeno troppo pesante) è diventato necessario ripristinare il puntino, colorato di rosso come per quello della prima lettera. Si deve in ogni caso ammettere che, anche senza legnetto, ridotto di dimensioni e decentrato, l'Ulivo è comunque visibile (benché sulla scheda finisca per misurare pochi millimetri) e l'equilibrio generale della composizione non risulta alterato. Altri problemi non ce ne dovrebbero essere, dunque il simbolo di Insieme può considerarsi definitivo: unica preoccupazione, ora, sarà raccogliere voti e portarli alla coalizione.

giovedì 21 dicembre 2017

Lega, via il Nord e prima volta di un "premier"

Dopo molti rumors e annunci, da oggi la Lega è davvero tale, nel senso che dal nome è sparito il riferimento al Nord: è stato il segretario federale Matteo Salvini a presentare il simbolo con cui la formazione intende correre alle prossime elezioni politiche, dopo che, nel consiglio federale del 27 ottobre, era stata approvata la decisione di utilizzare soltanto la denominazione "Lega".
Se ne parlava ormai da mesi e, in modo più insistito, da settimane, soprattutto da quando un esponente storico della Lega Nord come Roberto Calderoli aveva lasciato il gruppo parlamentare del Carroccio al Senato per costituire il 3 novembre, nel gruppo misto, la nuova componente Lega per Salvini Premier. C'era chi aveva letto dietro a quel gesto motivi piuttosto pratici - si veda in particolare l'articolo del Corriere della Sera, secondo il quale era urgente evitare il blocco di svariati conti correnti del partito, seguito alla condanna in primo grado di Umberto Bossi e Francesco Belsito (rispettivamente ex segretario federale e tesoriere del Carroccio) e soprattutto evitare che finissero sotto sequestro le provvidenze pubbliche spettanti - ma la vera notizia era che per la prima volta, da quando il partito fondato da Bossi ha disposto di un gruppo parlamentare (cioè dal 1992), una compagine dichiaratamente leghista appariva sprovvista della parola "Nord".
Che l'operazione fosse più seria - e foriera di sviluppi - di una semplice mossa tecnica l'ha dimostrato il fatto che pochi giorni fa la Gazzetta Ufficiale ha pubblicato lo statuto della Lega per Salvini Premier, che l'apposita Commissione aveva valutato e ritenuto conforme alle previsioni di legge. Il contrassegno, tuttavia, era rettangolare e riprendeva la grafica "Salvini premier" utilizzata negli ultimi mesi dallo staff di comunicazione del segretario leghista nel corso della sua campagna in giro per l'Italia. Era chiaro, tuttavia, che - nell'impossibilità di utilizzare alle elezioni un contrassegno rettangolare - quell'immagine sarebbe stata solo provvisoria, nell'attesa di presentare il nuovo emblema rotondo. Proprio quello mostrato alla stampa da Matteo Salvini questo pomeriggio.
A dispetto della sparizione - non certo indolore - della parola "Nord", il simbolo leghista resta perfettamente riconoscibile: il fondo bianco è quello di sempre, la font Optima e il colore blu sono gli stessi dal 1992 (da quando le schede sono a colori); soprattutto, nessuno ha voluto toccare - né potrebbe farlo - l'immagine di Alberto da Giussano a spada sguainata, con l'immagine del leone di San Marco collocata sullo scudo, a ricordare l'originaria joint-venture primaria tra Lega Lombarda e Liga Veneta. Il piede del guerriero, come ci siamo abituati a vederlo negli ultimi anni, è ancora poggiato su un segmento circolare blu, in cui per molto tempo è stato scritto "Padania" e ora si legge - in giallo, come più di recente ci siamo abituati a vedere - il cognome di Matteo Salvini. 
Al di sotto del riferimento al segretario, peraltro, appare anche la parola "premier": si tratta, salvo errore, della prima comparsa in assoluto di quella parola in un contrassegno elettorale (finora ci si era limitati, eventualmente, a un più nostrano "presidente"): l'inserimento di quella parola introduce dunque un accento "straniero" alle prossime elezioni - dal punto di vista costituzionale, non è corretto definire come premier il Presidente del Consiglio dei ministri - come non accadeva dalla seconda metà degli anni '90, quando nel 1996 si presentarono i Federalisti liberali di Alberto Michelini e, soprattutto, quando nel 1999 si fronteggiarono idealmente l'asinello prodiano dei Democratici e l'elefantino conservatore del cartello (non troppo fortunato) che unì in quell'occasione Alleanza nazionale e il Patto Segni.
E, a proposito di memoria, la struttura del nuovo simbolo ha qualcosa di familiare: chi ha buona memoria può ricordare che nel 1990 alle elezioni regionali apparve dal Lazio in giù il simbolo della Lega Italia Federale, con la parola "Lega" in alto (in Calabria già con la font Optima) divisa in due dalla spada di Alberto da Giussano e, in basso, il resto della dicitura, con il riferimento alla regione interessata nella parte sinistra. In seguito, il simbolo della Lega Italia Federale si stabilizzò e divenne un vero progetto rivolto alle regioni del centro-sud, con il coordinamento di Cesare Crosta; candidò Maria Ida Germontani a sindaca di Roma nel 1993 e Gianfranco Vestuto (promotore della Lega Sud) in un'elezione suppletiva per la Camera nel 1995, per poi finire accantonato con la svolta secessionista del Carroccio nel 1996. Se si rimpicciolisse Alberto da Giussano e si coprisse con il segmento blu la parte inferiore del cerchio, si otterrebbe esattamente lo stesso simbolo: in qualche modo, dunque, anche la grafica della Lega-non-più-Nord sa di antico.
In compenso, proprio il dimezzamento del nome della Lega potrebbe essere stato studiato dal partito di via Bellerio per risolvere un problema anch'esso antico: dal 1992 in avanti, infatti, sono stati presentati una marea di simboli di forze politiche contenenti la parola "Lega" e, sebbene il Carroccio abbia cercato di contestarne la validità, gli uffici elettorali e i giudici amministrativi hanno sempre sostenuto che il termine "Lega", come sinonimo di "unione", è a disposizione di tutti e non è "privatizzabile". Finora, dunque, la Lega Nord ha dovuto tollerare la presenza di altre Leghe, con relative perdite di voti; ora però che "la Lega" per antonomasia diventa semplicemente "Lega", il giudizio degli organi preposti a valutare i simboli potrebbe cambiare (soprattutto ove altri contrassegni portassero solo la parola "Lega" in evidenza e fosse più facile ravvisare la confondibilità).

Potere al popolo, per la sinistra basta la stella

Non sono ancora noti i giorni in cui si dovranno depositare i contrassegni delle liste per le elezioni politiche (anche se è facile prevedere che, se si dovesse votare il 4 marzo, il deposito si svolgerà dal 19 al 21 gennaio, dal 44° al 42° giorno precedente al voto); già ora, tuttavia, è possibile immaginare che il numero di falci e martelli sulla scheda elettorale sarà decisamente ridotto rispetto al passato. Se era prevedibile che il segno social-comunista non apparisse nell'emblema di Liberi e Uguali, da alcuni giorni si ha la certezza che questo non sarà presente nemmeno nel simbolo della lista di sinistra che - dopo la raccolta firme - si presenterà agli elettori.
L'emblema, presentato domenica all’Ambra Jovinelli a Roma (e disegnato probabilmente da Totore Caruso), contiene essenzialmente il nome scelto per la lista, cioè Potere al popolo!: si tratta del progetto politico-elettorale che ha fatto seguito all'appello lanciato il 18 novembre dagli attivisti napoletani dell’Ex Opg Je so’ pazzo (il cui logo, peraltro, sarebbe stato un discreto simbolo...). Accanto a realtà civiche e sociali di tutta l'Italia, sindacati di base e comitati ambientali, sono parte dell'iniziativa soggetti politici come Rifondazione comunista, Rete dei comunisti, Sinistra anticapitalista e il rifondato Partito comunista italiano: sono ben tre, dunque, le coppie falce-martello che non arriveranno sulla scheda (nemmeno quella del Pci, sebbene da più parti fosse sentita l'esigenza di concorrere alle elezioni con il simbolo tradizionale dei comunisti in Italia), anche se è molto probabile che almeno Prc e Pci depositino comunque il loro emblema al Viminale, per evitare iniziative di disturbatori.
Il nome scelto - che intende parafrasare il concetto di democrazia - è scritto in gran parte con una font "bastoni" imponente (probabilmente Granby Elephant Pro), tranne la preposizione "al", decisamente più leggera e scritta in corsivo e in colore rosso scuro, tra il bordeaux e il carminio. La stessa tinta caratterizza la stella (presente negli emblemi di Prc e Pci) e due archi di circonferenza "a mezzaluna", che delimitano quasi per intero lo spazio del simbolo (riprendendo, almeno in parte, un escamotage grafico usato nell'emblema della Sinistra anticapitalista).
Quel colore, peraltro, era stato inizialmente utilizzato come tinta di fondo per il simbolo preferito tra le opzioni di un piccolo sondaggio creato da un militante sul gruppo Fb di Potere al popolo!: si trattava di un sistema molto artigianale per rilevare le preferenze della base sull'emblema che sarebbe stato utilizzato per la lista. Alla fine il contrassegno è risultato a fondo bianco, ma il colore diverso dal nero è proprio quello preferito da oltre un centinaio di persone. 
L'effetto finale sembra gradito alla maggior parte dei militanti, come giusto equilibrio tra modernità e tradizione, dotato di semplicità, efficacia e pulizia. Certamente non è mancato chi ha lamentato l'assenza della falce e del martello, ma per altri la stella - simbolo comunista da pari tempo - e il nome scelto sono sufficienti a caratterizzare politicamente la proposta della lista e, anzi, sono in grado di andare oltre le originarie appartenenze per raccogliere fiducia e consenso di un maggior numero di persone.

martedì 19 dicembre 2017

Noi con l'Italia, una "quarta gamba" che sa di antico (e di già visto)

L'avevano detto, l'hanno fatto. Questa mattina, com'era stato annunciato da giorni, è stato presentato il simbolo della "quarta gamba" del centrodestra al Grand Hotel de la Minerve - lo stesso, per gli amanti del, in cui il 18 gennaio 1994 nacque il Centro cristiano democratico. Stavolta però Pier Ferdinando Casini non c'è e non ci sono nemmeno i centristi veterodemocristiani, che probabilmente sceglieranno una diversa via, sempre centrista ma meno liberale e meno spersonalizzata.
Il contenitore scelto come lista, infatti, si chiama Noi con l'Italia, quasi una risposta nominale a Noi con Salvini coniato alla fine del 2014 (e che, salvo sorprese, non dovrebbe presentarsi come lista, potendo al massimo essere contenuto come pulce nell'emblema della Lega-non-più-Nord): non si sta con un personaggio, ma con il Paese intero. Certo, a dispetto del "noi" identitario, il nome e il concetto di fondo sono piuttosto generici e non poteva essere diversamente: all'interno del progetto politico-elettorale, infatti, trovano posto i gruppi di Direzione Italia di Raffaele Fitto, Fare! di Flavio Tosi, Cantiere popolare (ex Popolari per l'Italia domani) di Saverio Romano, nonché - in qualità di "transfughi" - quello che resta dell'esperienza "ufficiale" di Scelta civica con Enrico Zanetti e coloro che nelle ultime settimane hanno abbandonato Alternativa popolare per fare ritorno nel centrodestra, in particolare gli ex ministri Enrico Costa e Maurizio Lupi. All'ultimo minuto, peraltro, si è sfilato un quinto ministro, vale a dire Gaetano Quagliariello, fondatore di Idea: su Repubblica Monica Rubino scrive che si sarebbe "defilato con tanto di rinuncia davanti al notaio, nonostante sia stato tra i promotori dell'iniziativa", anche se per qualcuno - come riporta sempre il quotidiano romano - sarebbe pronta una sua candidatura "garantita da Silvio Berlusconi".
Era così ampio e variegato - per non dire disomogeneo, se si guarda a Tosi rispetto alle altre figure coinvolte - il ventaglio di soggetti coinvolti da Niccolò Ghedini in quest'impresa politica (nata, si dice, per portare almeno due punti in più al centrodestra, senza dunque che sia scontata l'elezione di qualche esponente della stessa lista, vista la soglia del 3%) che ci voleva un simbolo piuttosto generico, senza troppe connotazioni anche se chiaramente identificabile come "di centrodestra". La soluzione? "Riverniciare" il simbolo del Popolo della libertà, quanto bastava per adattarlo al nuovo marchio politico. Così riecco il fondo blu (certamente più scuro rispetto al passato, con lo stesso carta da zucchero mutuato da Scelta civica - Cittadini per l'Italia, ma anche dal vecchio Ncd), riecco il nome bianco in Helvetica Inserat o Black Compressed (e con un piccolo, lezioso inserto di un carattere graziato corsivo, così da far risaltare come nome "Noi Italia") e riecco anche l'arcobalenino tricolore, per l'occasione trasformato in una pennellata.
Insomma, il simbolo che secondo Silvio Berlusconi non scaldava il cuore dei suoi elettori (anche a causa del nome), va invece bene per essere sostanzialmente riciclato per la "quarta gamba" che ha soprattutto lo scopo di portare voti ai candidati dei collegi uninominali del centrodestra (e se riuscirà a ottenere seggi superando il 3%, tanto meglio). Per ampio che sia, in ogni caso, il nuovo progetto - "Non è una federazione, né un cartello elettorale, ma un vero e proprio soggetto politico", si dice alla presentazione, come annota puntualmente Maurizio Ribechini - non comprende tutti: non vi rientrano, per esempio, Energie PER l'Italia di Stefano Parisi, né Rivoluzione cristiana di Gianfranco Rotondi (per lui la candidatura sarà direttamente in Forza Italia); si sta lavorando, come si diceva, anche a una lista post-democristiana, che sotto il simbolo appena un po' modificato dell'Udc potrebbe raccogliere anche il ridestato Udeur(2) di Clemente Mastella, il Nuovo Cdu di Mario Tassone e - se non ci saranno scontri in merito - la presunta riattivata Dc guidata da Gianni Fontana.
La "quarta gamba", insomma, parte con un simbolo usato (e, nell'ultima parte della sua vita, nemmeno particolarmente gradito da chi l'aveva voluto). Anche il nome scelto, tuttavia, non è del tutto nuovo: Noi con l'Italia, in particolare, è già un'associazione che opera da anni essenzialmente nel comune salernitano di Angri sul piano della cittadinanza attiva e dell'impegno sociale. Ovviamente questo non dovrebbe creare nessun problema alla neonata forza politica, che opererebbe su un territorio molto più vasto e non era certo tenuta a conoscere anche quella realtà associativa molto più piccola; si può solo rilevare che le combinazioni della fantasia politica sembrano essere limitate, anche per chi rinuncia alla parola "partito" (o rifugge da questa).

Concorso semiserio: “Un simbolo per Sandro Bondi”

La fine della legislatura ormai è alle porte, in queste settimane si definiscono le liste e le candidature e – per quanto interessa qui – si preparano i simboli da inserire nelle schede. Alla data del 18 dicembre 2017, sono ben 44 i simboli rappresentati nelle denominazioni dei gruppi e delle componenti presenti nei due rami del Parlamento in scadenza, compresi quelli di partiti cessati o mutati nel nome, ma che sono sopravvissuti nelle aule di Camera e Senato; a questi occorre aggiungere gli emblemi che, pur essendo esistiti negli ultimi cinque anni, non hanno lasciato traccia in questo ultimo scampolo di mandato parlamentare.
Praticamente tutte le “etichette” rappresentate nelle aule hanno un proprio simbolo: soltanto tre ne sono prive. Se due di queste, però, sembrano essenzialmente etichette “di servizio” o provvisorie (Lega dei Popoli, Salute e Ambiente), non così può dirsi per Insieme per l’Italia, nome della componente del gruppo misto con cui si identificano dal 20 giugno 2016 – e già negli ultimi tre mesi del 2015, prima di una breve permanenza in Ala – Sandro Bondi e Manuela Repetti, dopo la loro fuoriuscita dal gruppo di Forza Italia.
Per gli autentici “drogati di politica” che frequentano questo sito, a prescindere dal giudizio politico su di lui, non può non suonare incredibile che un personaggio come Sandro Bondi, che per quasi quindici anni ha calcato la scena politica con visibilità quotidiana o quasi, finisca la legislatura senza un simbolo, mentre figure di secondo o terzo piano e con una storia ben meno significativa ne hanno uno, alle volte quasi personale. L’assurdità è così grande - e acuita dal fatto che in rete un simbolo di Insieme per l'Italia esiste, ma si tratta di una realtà omonima vicina all'ex ministro Andrea Ronchi – da meritare un rimedio, sia pure con il sorriso (mai malevolo).
Per questo, la redazione di www.isimbolidelladiscordia.it invita chiunque si ritenga, in qualunque forma, un “drogato di politica” a inviare le sue proposte di simbolo per la componente di Sandro Bondi e Manuela Repetti: queste dovranno contenere e rappresentare graficamente, nel modo ritenuto più opportuno, la denominazione «Insieme per l’Italia». Non sono previsti premi, men che meno in denaro – questo sito non ha mai avuto fondi a disposizione – ma tutte le idee pervenute saranno valutate da una giuria di “drogati di politica” DOC, che sceglieranno la proposta ritenuta migliore per efficacia o credibilità.
Il senatore Bondi, è doveroso precisarlo, non ha parti o ruoli in quest’iniziativa: alla fine del 2015, intervistato da Dario Cresto-Dina per la Repubblica, aveva espresso il desiderio di «essere dimenticato» e aveva assicurato di aver «chiuso definitivamente con l’impegno politico». Il desiderio va rispettato e anche noi, finita la legislatura, lo faremo; prima che il sipario si chiuda e le luci si spengano, tuttavia, ci sembra giusto non lasciare Bondi e Repetti con un’insegna dimezzata, con un nome spoglio e senza grafica.

Le proposte, nel formato preferito (scegliendo, indicativamente, tra pdf, jpg, gif, png, ai; al limite, sarà possibile disegnare a mano l’emblema e inviare una sua scansione o fotografia) dovranno pervenire all’indirizzo contributi@isimbolidelladiscordia.it entro il 10 gennaio, in tempo per una consegna “simbolica” prima che scada il termine per il deposito dei contrassegni al Ministero dell’Interno. Come anticipato nel titolo, si tratta di un «concorso semiserio», ma va preso sul serio e, se non si vuole certo sfruttare in alcun modo il nome o la fama del senatore Bondi (men che meno per averne un profitto di qualunque genere), non si vuole nemmeno renderlo oggetto di scherno: non saranno presi in considerazione simboli offensivi o denigratori. Anche perché sulla scheda, complice il Viminale, non ci arriverebbero mai.

lunedì 18 dicembre 2017

+Europa con Emma Bonino (e un quarto delle firme)

Alla fine le possibilità che sulle schede arrivi il simbolo di +Europa (assieme a tanti altri) si sono fatte molto, molto concrete. Vedendo più vicina la possibilità che le firme da raccogliere non siano più 750 per ogni collegio plurinominale, ma 375, giusto ieri è stato presentato il simbolo che ormai può dirsi definitivo: oltre che sugli spazi web di Radicali italiani e di Forza Europa, l'emblema è stato mostrato direttamente da Emma Bonino mentre era in collegamento con la trasmissione Che tempo che fa: è stata l'ex ministra degli esteri a ricordare il precedente di Pietro Grasso - che giusto una settimana prima aveva presentato in anteprima nazionale il contrassegno nuovo nuovo di Liberi e Uguali - a un perplesso Fabio Fazio, che forse non vedeva in quell'ostensione simbolica i crismi della novità o, almeno, della notiziabilità.  
Eppure qualcosa di nuovo in quell'emblema c'era e non era nemmeno necessario aguzzare lo sguardo per accorgersene. Già in occasione della presentazione alla stampa del logo, del resto, si era detto che un contrassegno elettorale che avesse contenuto solo la scritta colorata di +Europa sarebbe stato decisamente vuoto e, come tale, tanto semplice da leggere quanto poco armonico sul piano grafico. Così, come annunciato nei giorni scorsi dal segretario di Radicali italiani Riccardo Magi, il fregio elettorale contiene anche il riferimento alla stessa Emma Bonino, nella stessa font stondata utilizzata per il nome, questa volta in colore blu su fondo giallo (ricordando inevitabilmente la coppia di tinte che hanno caratterizzato a lungo la lista Bonino).

* * *

Se il simbolo merita attenzione, ne merita almeno altrettanta l'emendamento che dovrebbe permettere a quel contrassegno di finire con una certa tranquillità sulle schede elettorali. Si tratta, come si è anticipato prima, della proposta di riduzione delle sottoscrizioni necessarie per presentare le liste nei collegi plurinominali, quota che già la legge elettorale approvata poche settimane fa aveva dimezzato con esclusivo riferimento alle prossime elezioni. Evidentemente, però, per molte forze politiche - non certo solo +Europa - quella quota (750 firme) doveva essere parsa irraggiungibile, soprattutto perché non erano note prima le circoscrizioni dei collegi elettorali. 
In soccorso delle liste che già non fruivano di qualche esenzione - per essere state presenti con almeno un gruppo parlamentare alla data del 15 aprile 2017 - giusto una settimana fa è arrivato un emendamento a firma del deputato Pd Alan Ferrari, che recita come segue:

sabato 16 dicembre 2017

Dc, ricorso dei vecchi iscritti: "L'Udc restituisca lo scudo crociato"

Non può terminare l'anno senza che la vicenda della Democrazia cristiana e dello scudo crociato conosca una nuova puntata. A scriverla, tuttavia, non è la Dc guidata da Gianni Fontana - che sta ancora valutando l'eventualità di partecipare o meno alle elezioni politiche - bensì due di coloro che, in qualità di soci dell'ultimo tesseramento valido (1993), si ritengono legittimati a far valere i diritti del partito che fu di De Gasperi, nei confronti di chi ne avrebbe usurpato il simbolo.
Nei giorni scorsi, infatti, si sono rivolti di nuovo al tribunale civile di Roma - con un ricorso ex art. 700 c.p.c. - Raffaele Cerenza e Franco De Simoni (che già avevano impugnato gli atti dell'assemblea dell'Ergife del 25 e 26 febbraio 2017 e, assieme ad altri soci del 1993, hanno intrapreso un percorso per la riattivazione della Dc che non coincide perfettamente con quello di Fontana e soci), questa volta per chiedere un provvedimento d'urgenza nei confronti dell'Udc guidata da Lorenzo Cesa, che da anni si fregia dell'antico scudo, per poterlo utilizzare di nuovo senza molestie. 
Per prima cosa, i ricorrenti ricordano i passaggi che, a loro dire, li legittimerebbero nelle loro richieste: il riferimento, in particolare, è alla sentenza 1305/2009 della Corte d'appello di Roma, confermata dalla sentenza n. 25999/2010 delle sezioni unite della Cassazione, che ha accertato l'inesistenza degli atti con cui la Democrazia cristiana è stata trasformata nel Ppi nel 1994 (per la mancanza di un congresso), per cui la Dc "non è da considerare né estinta né trasformata né sciolta"; a tutt'oggi, l'unico organo operativo sarebbe "la base associativa, composta dagli iscritti dell'anno 1993" (anche se, in effetti, le sentenze citate non lo dicono espressamente) e, in mancanza degli organi di vertice, toccherebbe ai singoli iscritti "tutti congiuntamente ed anche disgiuntamente" tutelare gli interessi del partito. 
Per Cerenza e De Simoni, stando così le cose, "tutti gli atti dispositivi esplicati nel corso del tempo in danno della Dc e posti in essere da soggetti non legittimati sono nulli ed illegittimi" e, tra l'altro, il patrimonio, il nome e il simbolo democristiani non potrebbero essere attribuiti a nessuno dei partiti che, nel tempo, si sono proclamati eredi (giuridici o anche solo politici) della Dc. Varrebbe per il Ppi (che avrebbe cambiato nome in modo illegittimo), per i dissidenti del Ccd (che ottennero parte del patrimonio ex Dc), per il Cdu di Rocco Buttiglione (che, dopo la lotta intestina del 1995 e gli "accordi di Cannes", ottenne di mantenere lo scudo crociato) e per il Ppi-gonfalone passato da Gerardo Bianco a Franco Marini a Pierluigi Castagnetti (che mantenne il nome e la continuità giuridica), nonché per l'Udc, cui dal 2002 il Cdu ha apportato lo scudo. Scudo che invece, per i ricorrenti, dovrebbe essere restituito al partito che lo aveva usato per decenni e non è mai stato sciolto.
Cerenza e De Simoni, nel ricorso, spiegano di essere mossi "tanto da un impulso etico per la tutela della Democrazia Cristiana e per il ripristino dell’attività politica del partito, quanto dalla volontà di esercitare diritti di rango finanche costituzionale, essendo il patrimonio dell’associazione formato da beni materiali e immateriali": l'idea, infatti, è che restituire il simbolo alla Dc sia necessario affinché questa possa di nuovo liberamente "concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale", come recita l'art. 49 Cost. con riguardo ai partiti. E il solo modo per riottenere il simbolo (parte del patrimonio) è che all'Udc non sia più concesso di utilizzarlo, anche se quel partito è in Parlamento (italiano ed europeo) da più di un decennio: ciò sarebbe avvenuto "in spregio ed in violazione dei diritti inalienabili" della Dc, né l'Udc può esserne erede, essendo la Dc ancora in vita giuridicamente.
L'uso esclusivo del simbolo, in particolare, sarebbe essenziale per partecipare alle elezioni e anche per questo Cerenza e De Simoni hanno scelto di agire in via d'urgenza: la vicinanza del voto politico e amministrativo impone di chiedere (sperando di ottenere) tutela in fretta, prima che l'uso altrui del nome e del simbolo crei ulteriori danni politici, giuridici ed economici alla Dc. I ricorrenti, dunque, hanno chiesto al tribunale di inibire all'Udc l'uso del simbolo dello scudo crociato (e la sua rimozione "da ogni luogo e supporto, fisico e telematico" a partire dalle prossime elezioni).
L'obiettivo di Raffaele Cerenza (che era riuscito a ottenere dai giudici la dichiarazione di nullità del percorso che aveva portato una prima volta Fontana, nel 2012 alla guida della ridestata Dc) e di Franco De Simoni non sarà semplice da ottenere: finora le cause perse dall'Udc sono state pochissime e il percorso di riattivazione della Democrazia cristiana non ha ancora acquisito una stabilità tale - sul piano politico e giuridico - da poter convincere ogni giudice che chi oggi vuole difendere la Dc agisce certamente in nome e per conto dello stesso partito che nel 1994 sarebbe finito in letargo (ammesso e non concesso che questa teoria sia corretta: di essa, in questo sito, si è dubitato più volte). Ogni tentativo, in ogni caso, può contribuire a una maggiore chiarezza sul piano giuridico e, in quel senso, è benvenuto: aspettiamo, allora, il finale di questa nuova puntata della "saga dello scudo crociato", certi già che non sarà l'ultima.

venerdì 15 dicembre 2017

Domani torna l'Udeur di Mastella (ma povera grafica...)

Poi all'improvviso arrivano quelle notizie che, sul piano politico, ti rivoluzionano la giornata: a livello nazionale non sposteranno che qualche manciata di decimali - a voler essere ottimisti - ma qua e là potrebbero rappresentare una svolta attesa da anni (non proprio da tutti, suvvia, ma da qualcuno sicuramente sì). Così, leggendo che Clemente Mastella ha deciso di ridare vita all'Udeur - anzi, di varare "l'Udeur 2", come lo ha chiamato lui stesso - il vero drogato di politica non può non provare, almeno per un secondo, un moto di entusiasmo. 
Intendiamoci: sarebbe facile dire, in modo beffardo, che "se ne sentiva il bisogno!", gridare contro il tentativo di rilanciare un partito scivolato su varie disavventure giudiziarie o rovesciare ettolitri di contumelie marroni su uno degli uomini simbolo di quella Prima Repubblica (e anche della Seconda) che non vuole proprio saperne di giungere alla consunzione. Il fatto è che qualcuno è veramente entusiasta di questo nuovo, ennesimo annunciato ritorno in scena di Mastella con una propria creatura politica. Tra i democristiani impenitenti, i proporzionalisti convinti, i nostalgici delle preferenze si annidano non poche persone che vedono nel desiderio di Mario Clemente da Ceppaloni l'avverarsi almeno parziale del loro sogno: respirare di nuovo un po' di "sana" (de gustibus...) atmosfera primorepubblicana, per spazzare via le ultime, residue tentazioni di maggioritario, che ancora permangono tra chi ha voluto reinserire i collegi uninominali nell'applicatura legge elettorale. Se ci si lascia prendere la mano dal desiderio di distruzione del passato, si rischia di perdere la poesia e il lirismo di questo plotone di reduci, che non necessariamente hanno passato gli "anta" (e qualche volta nemmeno gli "enta").  
Ecco dunque cosa ha pubblicato Mastella sulla sua pagina Facebook:


Fa quasi commuovere - in senso reale o ironico, fate vobis - l'idea che qualcuno si prenda la briga di fare giustizia a "tutti quei militanti Udeur che sono stati ostracizzati e vilipesi in questi anni" e a chi ha frequentato l'ex guardasigilli esperto di pernacchi. Niente rancori o rivincite, per carità: basta dare al Campanile la possibilità di rispuntare. 
Già, il campanile - con la minuscola stavolta - ma non quello colorato delle origini, inaugurato nel 1999 e rimasto sulla scena politica per una decina di anni, bensì quello in bianco e nero con cui Mastella l'anno scorso è riuscito a tornare di nuovo in pista, facendosi eleggere sindaco di Benevento. Anzi, per l'esattezza, il simbolo di quella che si potrebbe definire "Udeur 2" (una sigla divenuta marchio, col serio rischio che qualcuno non si ricordi nemmeno di cosa fosse acronimo) sembra fatto sul calco del contrassegno elettorale di Noi sanniti per Mastellastessa campitura azzurro cielo a pennellate della parte superiore del cerchio interno, stesso campanile (che peraltro sembra la copia carbone, insieme al cielo a pennellate, del simbolo della lista Democratici per cambiare, vista a Sansepolcro, nati nel 2011...), stessa corona blu (con la sigla Udeur, assai meno visibile rispetto al passato, al posto di "Mastella sindaco"). 
I sogni dei democristiani impenitenti, tuttavia, sono a serio rischio di incrinarsi o sgretolarsi alla semplice vista di un paio di particolari del contrassegno che non possono passare inosservati, ma sarebbe meglio non vederli. Innanzitutto il cognome di Mastella, passato dalla corona blu al cerchio interno, ha una qualità grafica decisamente peggiore rispetto al resto del disegno e, con la sua font Helvetica Condensed Black schiacciata in altezza, sembra davvero fuori contesto. Il colpo di grazia tuttavia lo assesta l'elemento tricolore collocato a metà del cerchio: una fascia ondulata che dovrebbe stare dietro al campanile, ma in realtà è costituita da due elementi simmetrici dai contorni smangiucchiati - guardare ai limiti della corona blu, per rendersene conto - evidentemente copia-incollati da un'altra immagine.
Saranno pure particolari, saranno pure dettagli, ma da soli sono capaci di far scemare tutta l'atmosfera da Prima Repubblica. Allora nessun grafico - rigorosamente di partito - sarebbe mai caduto in un errore visivo così dozzinale, mentre qui l'aggiustamento grafico con il tricolore - tutt'altro che migliorativo rispetto alle varie versioni del contrassegno che si sono succedute dal 1999 in avanti - sembra piuttosto frutto della fretta di "rinfrescare" un emblema già usato, giusto per dare l'idea che qualcosa si stia muovendo. La speranza, nemmeno tanto segreta, in fondo è proprio questa: che quella diffusa in rete sia solo una soluzione grafica provvisoria e che domani, alla presentazione ufficiale, spunti il simbolo vero. Un simbolo che, non ci fosse stato l'obbligo di raccogliere le firme, sarebbe sicuramente finito sulle schede delle prossime elezioni politiche in appoggio al centrodestra; anche senza liste alle elezioni politiche, tuttavia, è quasi certo che nei prossimi mesi da qualche parte spunterà. Auspicabilmente, senza questi piccoli obbrobri grafici.

giovedì 14 dicembre 2017

Psi, Verdi e civici "Insieme" e rispunta l'Ulivo

Dopo il ritiro di Giuliano Pisapia e del suo Campo progressista - e in attesa di sapere se Emma Bonino e Riccardo Magi riusciranno a raccogliere le firme per presentare la loro lista di PiùEuropa - da oggi accanto all'emblema del Pd c'è almeno un altro simbolo quasi certo: quello della lista Insieme, che si propone di raccogliere il consenso degli elettori socialisti, ambientalisti e persino - cosa che non mancherà di suscitare interesse - di coloro che ancora si ritengono o sono definiti "prodiani".
A parlare è proprio il contrassegno elettorale in sé, che è stato presentato questa mattina a Roma. I drogati di elezioni potrebbero facilmente ricordare che per la prima volta si appresta a comparire sulle schede elettorali nazionali, anche se miniaturizzato, il simbolo del Partito socialista italiano di Riccardo Nencini (l'ultima apparizione nel 2008, a dire il vero non troppo fortunata - poco al di sotto dell'1% - era stata del quasi identico simbolo del Partito socialista, ancora guidato da Enrico Boselli, con un nome più corto e senza tricolore): proprio la presenza della "pulce" del Psi, tra l'altro, dovrebbe consentire alla lista di essere esentata dalla raccolta firme, vista la presenza consolidata al Senato del gruppo Per le autonomie - Psi - Maie (sperando che il Maie non ambisca allo stesso beneficio); mancava invece dalle europee del 2009 il simbolo della Federazione dei Verdi, quando fu utilizzato - accanto alla rosa del Ps-Pse - per esentare dalle firme la (non fortunata) lista Sinistra e libertà, ma al successivo turno elettorale per l'Europarlamento il sole che ride era comunque presente all'interno della lista Verdi europei (altrettanto sfortunata).
Al di là dei simboli appena citati (accanto a quello dell'Area civica volta a rappresentare le candidature di sindaci ed esponenti della società civile, a partire da Massimo Zedda: si tratta di ciò che resta dell'area Pisapia e il colore arancione non è scelto a caso), anche chi non si ritenesse a ogni effetto un election addicted, tuttavia, non potrebbe non rimanere colpito dalla decisa connotazione "prodiana" della lista - che ha tra i suoi promotori l'ex ministro Giulio Santagata - e dello stesso contrassegno elettorale. Lo dice forte e chiaro il rametto di ulivo, anzi, proprio quel rametto di Ulivo (rigorosamente con la maiuscola) creato alla fine del 1995 da Andrea Rauch e ora posto in decisa evidenza, lo dice il riferimento all'Europa nel simbolo, lo dice anche in qualche modo il nome scelto, "Insieme" - scritto tra l'altro in blu con il puntino rosso della "I", ricordando sia l'apostrofo dell'Ulivo sia la I dei Democratici, successiva reincarnazione dei prodiani. "Insieme", accanto alla parola "Italia", finisce per ricordare lo slogan "Insieme per l'Italia" posto nel simbolo dell'Ulivo nel 2001 (e chissà se è stato lasciato da parte per evitare rimandi alla sconfitta rutelliana, visto che per qualcuno inizialmente il nome usato per la nascente lista era proprio quello).
Potrebbe sembrare strano per qualcuno vedere l'Ulivo "duplicato", in miniatura nel simbolo del Pd (dove sta dal 2007 e dov'è tuttora, a dispetto delle richieste di rimuoverlo da parte del suo creatore) e molto più grande in quello della lista Insieme, al punto che i funzionari del Ministero dell'interno potrebbero anche chiedere alla lista di rimuovere il rametto, per non ingenerare confusione tra le due listeL'ipotesi è estrema, ma non del tutto infondata, visto il metro di giudizio severo impiegato in alcuni casi: alle europee del 2009, per dire, il Viminale si era impuntato anche per far rimuovere una fiammella alta tre millimetri dal contrassegno del cartello L'Autonomia, in cui era presente anche La Destra (in un anno in cui Alleanza nazionale nemmeno si presentava più), così come nel 2013 aveva momentaneamente ricusato il simbolo della Lega perché il cognome di Giulio Tremonti (nella pulce di 3L) era stato scritto con la M in evidenza e avrebbe potuto confondersi con le liste di Mario Monti, Presidente del Consiglio uscente.
Il fatto che l'ipotesi sia fondata, tuttavia, non la rende comunque plausibile: dal momento che la lista sosterrà proprio con il Pd gli stessi candidati all'interno dei collegi uninominali, è molto probabile che il Ministero dell'interno scelga di non ricusare un simbolo verosimilmente concordato con i vertici dem (non è da escludere che vi sia un accordo formalizzato sulla coesistenza dei due Ulivi). Proprio il Pd, del resto, dalla lista Insieme avrebbe tutto da guadagnare: i voti dati a questa, infatti, andranno a vantaggio dei comuni candidati uninominali, mentre la lista stessa rischia di non capitalizzare i consensi ottenuti (la soglia del 3% non è proprio alla portata di questo progetto, ma non si può mai sapere). Ironia della sorte, colpisce vedere rispuntare l'Ulivo in una lista dei prodiani diversa dal Pd (nelle cui candidature si libererebbero tra l'altro dei posti), quando nell'associazione L'Ulivo il rappresentante dei prodiani - e legale rappresentante della stessa, nonché titolare del simbolo assieme al Ppi Nicodemo Oliverio e al (P)Ds Lorenzo Simula - era Stefano Ceccanti, oggi convinto sostenitore del Pd e di Matteo Renzi. Ma dal costituzionalista, a differenza di quanto capitato nei giorni scorsi dopo la comparsa di Liberi e Uguali - certamente questa volta non arriveranno moniti al non uso dell'antico simbolo creato da Rauch.