lunedì 2 dicembre 2019

Il caso del fascio, ammesso nel 1996 alle regionali in Sicilia, senza obiezioni

Si è parlato molto, negli ultimi due anni, della vicenda dei Fasci italiani del lavoro, che nel 2017 avevano conquistato un seggio alle elezioni comunali di Sermide e Felonica (dopo aver partecipato con lo stesso simbolo in cui campeggiava un fascio repubblicano a tre elezioni precedenti nello stesso paese, senza ricevere alcuna contestazione): proprio la loro presenza con quel risultato aveva suscitato varie reazioni indignate, un ricorso per far annullare quelle elezioni (esito raggiunto nel 2018 con una sentenza del Consiglio di Stato) e un'indagine per riorganizzazione del partito fascista e apologia del fascismo; in aprile, però, il tribunale di Mantova aveva assolto gli imputati dalle accuse (sebbene la notizia non abbia avuto la stessa risonanza delle puntate precedenti).  
Chi ha una discreta conoscenza delle vicende elettorali aveva immediatamente collegato la questione legata ai Fasci italiani del lavoro a quella che, a partire dal 1992, aveva interessato il Movimento Fascismo e libertà, formazione cui peraltro appartenevano alcuni dei fondatori dei Fasci. Alle elezioni amministrative in varie occasioni il partito fondato nel 1991 da Giorgio Pisanò era riuscito a partecipare, se non con il simbolo originale integrale, almeno con il fascio interamente visibile, sulla scorta del parere che il Consiglio di Stato aveva rilasciato al Viminale nel 1994 (in base al quale, vista l'origine più risalente del fascio repubblicano e il suo significato non univoco, un contrassegno elettorale che avesse contenuto il fascio senza riferimenti alla parola "fascismo" non sarebbe parso illegittimo). 
Con il passare del tempo - ne do conto anche, per quanto riguarda il contesto piemontese, in M'imbuco a Sambuco assieme a Massimo Bosso - anche il metro delle commissioni elettorali locali si è inasprito, adeguandosi a quello del Ministero dell'interno che non ha praticamente mai ammesso simboli con un fascio ben visibile, pur non accompagnato dalla parola "fascismo": anche nel 2006, quando il contrassegno del partito fu ammesso, due "pecette" avevano coperto tanto la parola "fascismo", quanto il fascio di verghe, lasciando in vista solo la scure posta al centro (anche se l'immagine restava in qualche modo riconoscibile). Dopo il "caso Sermide", peraltro, l'aggiunta di un passaggio ad hoc nelle Istruzioni per la presentazione e l'ammissione delle candidature sembra aver sbarrato del tutto la strada alla presenza di simboli che possano anche solo lontanamente evocare tanto il fascismo, quanto il nazismo. 
Eppure sarebbe sbagliato dire che l'ammissione del fascio ha avuto sempre e solo una dimensione puramente locale. Mentre ero impegnato a ricostruire in modo approfondito la vicenda giuridico-elettorale dei Fasci italiani del lavoro (per un saggio giuridico da poco pubblicato su Democrazia e sicurezza), mi è stato fatto notare che nel 1996 si era verificato un episodio di cui quasi non si trova più traccia, ma che sarebbe stato addirittura determinante per parlare di una "legalizzazione" del simbolo di Fascismo e libertà. Incuriosito, mi sono messo in cerca e qualcosa, in effetti, ho trovato. Il 1996 è stato un anno elettoralmente interessante, non solo per le elezioni politiche che si svolsero in quell'anno, ma anche per le regionali siciliane che si svolsero poco più tardi, il 16 giugno. Spulciando la Gazzetta Ufficiale della Regione Siciliana, quella del 15 maggio del 1996, si trovano tutti i simboli ammessi per quella competizione elettorale. Il drogato di politica, innanzitutto, non può che restare ammirato in contemplazione: in quell'occasione i contrassegni ammessi furono ben 119, considerando anche le varianti e le federazioni tra varie sigle. In quella galleria, rigorosamente in bianco e nero, appaiono emblemi notissimi, simboli sconosciuti, altri di rilevanza solo locale e altri ancora familiari solo ai politics addicted del tutto incurabili (compreso il Partito esecutivo nazionale SOS del compianto Armando Piano Del Balzo da Valguarnera Caropepe). 
Sfogliando le pagine "illustrate" di quell'anno, tuttavia, al numero 42 ci si imbatte proprio nel simbolo del Movimento fascismo e libertà: la descrizione ufficiale, presumibilmente fornita dagli stessi depositanti (se n'era occupato il gruppo palermitano di Mfl), recitava "Cerchio nero su carta lucida recante all'interno la scritta circolare 'Fascismo e libertà' con al centro raffigurato un fascio littorio". Era dunque impossibile equivocare tanto la descrizione, quanto la grafica: non solo il nome del partito era riportato integralmente, comprensivo della parola "incriminata", ma in quell'occasione era stato reso con una font ancora più marcata rispetto all'originale, tanto da non poter passare inosservato. Ciò nonostante, il contrassegno fu ammesso, dal momento che figura tra quelli stampati nella GURS
Una piccola postilla nell'elenco degli emblemi accettati, in effetti, potrebbe far pensare che la scelta di ammettere quel simbolo non fosse stata pacifica e unanime, magari proprio per la presenza contemporanea di "Fascismo" e fascio: si precisa, infatti, che l'emblema è stato inserito tra gli ammessi "a seguito della delibera dell'Ufficio centrale per l'elezione dell'Assemblea regionale siciliana", organo costituito presso la Corte d'appello di Palermo. Uno stralcio del provvedimento, datato 12 maggio e riportato nello stesso numero della Gazzetta ufficiale siciliana, dà in effetti conto di un reclamo proposto da certo Lorenzo Valle contro l'esclusione del simbolo, salvo poi riportare anche la decisione di ammettere proprio quel contrassegno, con tanto di descrizione. Purtroppo non è stato conservato l'originale di quell'atto, quindi non se ne può conoscere l'esatto contenuto; il decreto 11 maggio 1996 dell’Assessorato degli enti locali, con cui si era deliberata l'ammissione dei simboli, si era però limitato a dire che il contrassegno del Mfl in prima battuta era stato sì ritenuto inammissibile, ma solo perché non risultava documentata la qualità di segretario regionale del depositante. In mancanza di altre indicazioni, si può presumere che l'Ufficio centrale elettorale presso la Corte d’appello di Palermo si sia pronunciato solo sulla questione della legittimazione a presentare l'emblema, senza che la legittimità dell’uso del nome o del simbolo del fascio fosse stata minimamente messa in dubbio in alcun momento
Ora, non è più accaduto in seguito che il contrassegno contenente nome completo e fascio venisse ammesso. Anche se si tratta di un episodio oggettivamente isolato, però, questo dev'essere conosciuto e deve generare qualche riflessione: il fatto che - in base ai documenti che ancora sono consultabili - non si sia allora messa in discussione la legittimità di quel contrassegno ha fatto dedurre a qualcuno che il suo uso fosse di fatto ormai possibile. Di più, le particolari condizioni in cui ciò era avvenuto potevano far scaturire altri pensieri: è vero che il reclamo del depositante probabilmente verteva solo sulla sua qualità di segretario, quindi non è detto che l'Ufficio elettorale centrale abbia discusso della legittimità del simbolo, ma è anche vero che controdeduzioni in tal senso potrebbero essere state fatte, ad abundantiam, dalla Regione per sostenere la scelta della ricusazione. Ora c'è chi sostiene che il deposito del simbolo presso l'assessorato regionale competente anche a beneficio dell'Ufficio elettorale centrale presso la Corte d’appello di Palermo e il fatto che che lo stesso Ufficio abbia riammesso l’emblema senza eccepire nulla potrebbero davvero avere l'effetto di una "legalizzazione" non limitabile ai confini siciliani. In base allo statuto regionale (art. 23, comma 1), avrebbero dovuto essere istituite le sezioni regionali della Corte di cassazione: quell'istituzione non si è mai compiuta, per cui la Corte d’appello di Palermo, massimo organo giurisdizionale siciliano, ne farebbe sostanzialmente le veci. Ciò servirebbe a sostenere, in sostanza, che l'Ufficio elettorale centrale nazionale presso la Corte di cassazione "non poteva non sapere" di quel precedente. 
In realtà, nel 2001, quando il Mfl depositò per le elezioni politiche il contrassegno con il fascio e la sola sigla del partito e il Viminale ne chiese la sostituzione, il delegato al deposito effettivamente si oppose e si rivolse all'Ufficio elettorale nazionale, che però confermò l'esclusione. Dalla decisione dell'organo, in effetti, non risulta alcun riferimento al precedente siciliano del 1996, visto che il depositante aveva fatto leva sul parere del Consiglio di Stato del 1994, ma per i giudici la presenza della sigla del partito dimostrava che il collegamento con la parola "fascismo" permaneva. Non è dato sapere cosa avrebbe deciso l'ufficio se avesse avuto davanti un precedente di ammissione non limitato a competizioni puramente locali (queste sono state sempre considerate di scarso valore in sede nazionale), così come non risultano in seguito opposizioni in seguito al deposito di contrassegni contenenti il solo fascio (quindi non si sa come quel collegio si sarebbe potuto pronunciare).
Sta di fatto che oggi, dopo il "caso Sermide", il precedente delle regionali siciliane del 1996 sembra lontanissimo. In un certo senso lo è, ma è esistito, anzi, esiste. Si può non concordare con l'ammissione del contrassegno, così come mettere in luce i limiti di quel caso per l'impossibilità di ricostruire ogni dettaglio per intero; l'unica cosa che non si può fare è ignorarlo o ragionare come se non si fosse verificato. La tentazione di agire così è forte, a maggior ragione per chi è antifascista, in tempi di allarmi contro il neofascismo (etichetta che, peraltro, forse è impropria: studiosi del fascismo - si veda, per esempio, il consistente volume L'identità fascista, scritto da Marco Piraino e Stefano Fiorito nel 2007 e ripubblicato due anni fa - hanno messo in luce come numerose formazioni qualificate o anche autoqualificatesi come neofasciste, a partire dal Msi fino a Forza Nuova e CasaPound, abbiano finito in realtà "col boicottare e abbandonare progressivamente l'ideologia fascista (mai proclamata dai fascisti come ideale di destra, ma al contrario rivoluzionario e totalitario), per sostituirla con battaglie politiche conservatrici e reazionarie"). Eppure, quando si ragiona di "riorganizzazione del partito fascista" e ipotesi affini, bisogna farlo avendo tutti gli elementi in mano, senza ragionare "in buona sostanza" o "per tagliare corto", per rabbia o per paura. Si può capire che lo faccia la persona comune o chi ha un vissuto particolare alle spalle; non può farlo il giurista e nemmeno il drogato di politica, che hanno e devono avere altri strumenti nel loro armamentario, la conoscenza innanzitutto.

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