giovedì 14 maggio 2015

In fondo a sinistra (1): Gli "ecosocialisti" della Sinistra anticapitalista

Non era una vita fa: era il 2008 (anche se, politicamente, per qualcuno è davvero passata una vita). Alle elezioni politiche in Parlamento entrarono ufficialmente solo cinque partiti (Pdl, Pd, Lega Nord, Idv, Udc) e più di qualcuno - per iscritto o in voce - emise una sentenza lapidaria: "la sinistra non c'è più". Ritennero di averne conferma l'anno dopo, quando alle europee restarono sotto al 4% tanto Sinistra e libertà, quando la Lista anticapitalista (cioè Rifondazione, Comunisti italiani e altri gruppi). E lo avrebbero detto con ancora più forza nel 2013, con l'affondamento della Rivoluzione civile targata Ingroia, se non ci fosse stato l'ingresso alle Camere di Sel a mitigare un po' la situazione.
E invece sbagliavano a certificare la sparizione: d'accordo, la vera sinistra non era riuscita a tornare nel giro che contava (quello della politica nazionale, che portava pure un po' di soldi per l'attività), ma non era scomparsa. Anzi, era cresciuta e si era moltiplicata, se non altro nel numero dei simboli (cosa che, chiaramente, non favoriva la loro consistenza). Anche solo per questo, vale la pena provare ad avventurarsi in quella che Pietro De Leo, in un suo articolo di qualche mese fa sul Tempo, aveva definito "una Terra di Mezzo a sé, cullata dalle utopie, popolata da organigrammi iperburocratici, iconografie dalla Piazza Rossa che fu e linguaggio catapultato direttamente dagli anni '70": un ritratto realistico, con una buona spalmata dell'ironia di chi ha idee diverse, ma forse - chissà, anche inconsapevolmente - anche con un po' di ammirazione per quegli ultimi "soldati fantasma" che ci credono sul serio.
E allora iniziamolo questo viaggio, magari scegliendo come prima tappa la "riserva" della Sinistra anticapitalista. Una scelta casuale? Forse no, visto che proprio da quell'area secondo qualcuno si sono poste le basi per l'uscita dell'estrema sinistra dal Parlamento. Tra le anime di quel partito, infatti, c'era e c'è Franco Turigliatto: con la sua non-fiducia contribuì a far cadere il governo Prodi-bis a Palazzo Madama e già prima - dopo essere stato espulso da Rifondazione comunista nel 2007 - aveva fondato il nuovo partito Sinistra critica (in attività fino al 2013, anno in cui l'associazione si spaccò letteralmente a metà), proprio mentre lo storico segretario del suo partito, Fausto Bertinotti, sedeva sullo scranno più alto di Montecitorio.   
Al di là delle radici politiche, il contrassegno della formazione è uno dei più interessanti e - se si vuole - uno dei più moderni di quest'area. L'elaborazione grafica porta il nome di Salvatore Calamera - lo dice lo stesso sito del partito, che offre pure una versione leggermente diversa per la stampa in bianco e nero - e si presenta come un biglietto da visita che in qualche modo guarda al futuro. Perché sì, è vero, c'è la coppia di falce e martello, un elemento che non poteva mancare; al posto della circonferenza esterna, però, a segnare il confine dell'emblema è uno dei tre archi rossi a mezzaluna, assieme alle tre parole che fanno parte del nome e del programma.
Quei tre vocaboli, del resto, sono un altro dei motivi per cui vale la pena guardare con attenzione questo contrassegno. Non ci si stupisce dell'aggettivo "rivoluzionaria", quasi automaticamente compreso nel pacchetto di un partito di tradizione comunista che si rispetti, ma i concetti si ribadiscono per rafforzarli. Molto interessante la presenza della qualifica "Femminista", quasi mai apparsa in un segno politico-elettorale: quasi, perché proprio nell'antecedente simbolico di Sinistra critica quella parola appariva (e non era un caso che proprio nel 2008 il partito schierasse alla propria guida Flavia D'Angeli), anche se allora era scritta in bianco e non nell'elegante colore viola degli Anticapitalisti. Un po' più di attenzione manifesta alle istanze di presenza, azione e partecipazione delle donne - comunicata a chi incontra il contrassegno - non può che fare bene.
Se invece l'emblema di Sinistra critica portava le due parole "ecologista" e "comunista", quello di Sinistra anticapitalista mostra il termine macedonia "Ecosocialista", questo sì alla prima apparizione (salvo errore, ovviamente). Nello statuto del partito si legge che lo scopo dello stesso è la costruzione di una "società socialista, cioè [...] la tra­sformazione rivoluzionaria in senso comunista e libertario della attuale società". "Ecosocialista", probabilmente, tenta di tenere insieme tutto questo e la sensibilità per l'ambiente e il rispetto che gli è dovuto (si legge infatti nello statuto che il partito lotta "contro [...] la mercificazione dell’ambiente, per la riappropriazione sociale dei beni comuni"). La Sinistra anticapitalista cerca di attuare tutto questo, partendo anche dalla realtà locale (il partito presenta un suo candidato sindaco, ad esempio, a Misano Adriatico): passerà da lì la via che porta al Parlamento?

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