"C’è tanta gente che guarda al Pd: parlano del partito della nazione. Ma semplicemente perché c’è tra tanti cittadini un partito della ragione, perché ci vedono alternativi al nichilismo e al disfattismo". Ha detto anche questo Matteo Renzi nel suo discorso che ha chiuso l'ultima (per ora) edizione della Leopolda e più di un giornale ha utilizzato la frase come spunto per il titolo. L'impressione, in effetti (e salvo smentite), è che la dicitura "Partito della nazione" non piaccia granché a Renzi, forse anche perché almeno in parte ha giù subito una certa usura: l'espressione, infatti, è in uso almeno dal 2010, da quando l'Udc aveva pensato di voltare pagina e di costruire un soggetto politico nuovo, dichiaratamente moderato. Un partito, per intendersi, che non è mai nato, né nel 2011 né in seguito.
Se però finora quell'etichetta non è stata molto fortunata, il discorso non sembra diverso per il "Partito della ragione", anche se forse occorre un po' di memoria in più. Correva l'anno 2004 e si preparavano le elezioni europee, in pieno governo Berlusconi; contro Forza Italia, Alleanza nazionale, Lega Nord e Udc che si presentavano per conto proprio, il centrosinistra tentava la carta comune di Uniti nell'Ulivo, tenendo sotto lo stesso simbolo molto prodiano Ds, Margherita, i socialisti dello Sdi e il Movimento dei repubblicani europei di Luciana Sbarbati. E gli altri repubblicani, quelli di Giorgio La Malfa e Francesco Nucara? Nel 2001 si erano schierati con Berlusconi e il centrodestra, ma visto che alle europee non c'erano coalizioni, fecero una lista autonoma e la condivisero con la formazione messa in campo da Vittorio Sgarbi, I Liberal.
I media, naturalmente, non avrebbero potuto trascurare "la strana coppia", nata peraltro grazie all'intervento dell'autoproclamato uomo-medicina della politica italiana, Francesco Cossiga (lo raccontò lo stesso La Malfa a Giancarlo Perna per Il Giornale) e non lo fecero: diedero immancabilmente più attenzione a Sgarbi e alle sue uscite, ma anche La Malfa jr riuscì a ritagliarsi alcuni spazi. E se per il critico d'arte c'era drammaticamente bisogno di "creare in Italia, in ragione della straordinaria concentrazione di beni storici, artistici e ambientali che ne costituisce la peculiarità, 'Il Partito della Bellezza'", per l'allora presidente dei repubblicani era tempo di riprendere un antico slogan di Giovanni Spadolini, che qualificava "il Pri come Partito della Ragione". Sgarbi e La Malfa scrissero un libro a testa (il primo Per un partito della bellezza, il secondo Per un partito della ragione) che circolò anche in versione double face, quasi a sottolineare che le anime dei ben culturali e del liberalismo erano le due facce della stessa formazione politica.
Il contrassegno composito dei due gruppi non riportava riferimenti alle denominazioni coniate dai leader, ma nei comunicati si cercò di denominare la lista come "Partito della Bellezza e della Ragione", con ciascuno dei due fondatori che metteva per primo il termine cui teneva di più. Il risultato quasi inevitabile, per l'alto tasso di bomberismo (© Livio Ricciardelli) vulcanico di Sgarbi, fu che quasi sempre si parlò molto più del Partito della bellezza che di quello della ragione, anche se la lista era una sola; lo spazio dato dai media, tuttavia, non riuscì a portare oltre lo 0,72% "la strana coppia", che rimase a bocca asciutta per un soffio (alla Fiamma tricolore, per eleggere al Parlamento europeo Luca Romagnoli, basto lo 0,73%, con una differenza di meno di 4mila voti). Di Partito della bellezza non si parlò più, di Partito della ragione neppure. Ora la denominazione rispunta con Renzi: forse non ricorda il precedente poco felice di undici anni fa, o semplicemente non gli interessa. Di sicuro, non rischia di restare sotto l'1%
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