venerdì 9 agosto 2019

Chi voleva cambiare con l'arancione prima di Toti

L'inattesa decisione di Matteo Salvini e della Lega di considerare conclusa l'esperienza del governo Conte (e, nelle loro intenzioni, probabilmente anche della XVIII Legislatura) non può far allontanare l'attenzione di appassionati e curiosi dalla creatura politica di Giovanni Toti, che potrebbe a questo punto avere poco tempo per farsi conoscere e radicarsi, ma non è affatto detto che non ci provi. E se nel frattempo i commenti al post di Facebook che ha svelato il possibile simbolo di Cambiamo sfiorano i 1400, è già pronta una nuova versione - anzi, un "secondo tentativo", come si legge proprio sulla pagina di Toti - che aggiunge più blu e rende più visibile il tricolore, come avevano chiesto vari commentatori; già che ci si era, anche il riferimento al presidente della Liguria è aumentato di dimensioni ed è sparito il punto esclamativo dal nome, che non è più in corsivo (così è sparito del tutto quel curioso "effetto Mediaset" di cui parlavamo).
Mentre si attende di vedere le reazioni della rete alla nuova release dell'emblema, qualcuno si è ricordato non solo che "Cambiamo" è la prima parte del nome di decine di liste civiche comunali (che di solito partono dall'opposizione), ma anche che l'abbinamento tra l'idea del cambiare e l'arancione non è inedito, ma era stato tentato alla fine della XVI Legislatura. Nel 2012, infatti, era comparso sulla rete il sito www.cambiaitalia.org, come riferimento online di un nuovo movimento culturale, sociale e politico, CambiaItalia appunto, che si proponeva di "cambiare i meccanismi di funzionamento dell'Italia" per allontanarla dal "rischio 'sindrome argentina'", caratterizzato da "perdita di competitività, minore peso su scala mondiale, progressiva colonizzazione economica da parte di Paesi più forti e meglio organizzati". 
In un contesto di crisi quanto a "gestione del territorio, produzione di ricchezza, qualità della società civile, cultura, formazione, carica etica collettiva e persino emozioni tra le persone", si voleva rendere disponibile un progetto portato avanti da persone che avessero come motto una frase di Steve Jobs: "Solo chi è così folle da voler cambiare il mondo lo cambia veramente". La "carta dei valori" del movimento contemplava la "creatività individuale e collettiva come strumento di innovazione e di progresso economico, politico e sociale", l'apertura all'ascolto e al dialogo con tutte le componenti sociali, la passionalità (cioè lo "stretto collegamento di sentimento, pensiero e azione nella formulazione della propria proposta politico-sociale"), l'amore per l’Italia al punto da valorizzarne ogni suo aspetto, la centralità della persona (per promuoverne il pieno sviluppo), la necessità di premiare il merito individuale, la moralità nell'azione politico-sociale, la centralità della cultura "e della produzione di sapere in generale", la pace, la coesione nazionale e la cooperazione internazionale come elementi centrali dell'azione politica, nonché "la tutela dell’ambiente in senso lato (fisico, storico, artistico, culturale)" nell'interesse delle generazioni future.
Ma chi era parte di quel gruppo? Nomi nel sito - ormai dismesso, ma ancora visibile nelle cache conservate in rete - non ce ne sono (o non se ne riescono più a leggere). Altrove in rete si parla dell'esperienza che aveva preso avvio alla fine del 2011 con CambiaMonza, formazione civica che alle amministrative monzesi dell'anno successivo aveva contributo a far eleggere in consiglio l'aspirante sindaco Paolo Piffer. Qualche settimana dopo le elezioni del 6 maggio, precisamente il 1° agosto 2012, nacque su Facebook il gruppo CambiaItalia, con l'idea probabilmente di ampliare il raggio d'azione di rinnovamento all'intero paese, magari con l'aspirazione di organizzare qualcosa in vista delle elezioni politiche dell'anno dopo.
Per uno sguardo a livello nazionale, si pensò a un emblema sempre su fondo arancione (stavolta non sfumato, ma omogeneo); il tricolore da striscetta divenne un arco pronto a mutarsi in coda di un uccello che spiegava le ali - addirittura facendole finire fuori dal contrassegno, cosa che sulle schede non sarebbe stata possibile - per poter volare in alto e cambiare direzione. La sagoma del volatile era il nuovo elemento dominante del simbolo, assieme al nuovo nome, CambiaItalia, assai più grande rispetto a CambiaMonza (schiacciato com'era dal monogramma). Si tentò anche un'esportazione del progetto a livello locale, con il fondatore e presidente di CambiaMonza Beppe Natale che nelle ultime settimane del 2012 andò per esempio a propiziare la nascita di CambiaRoma e CambiaUdine, mantenendo sempre lo stile alato; quelle liste, tuttavia, non arrivarono sulle schede elettorali del 2013.
All'interno del gruppo si segnalavano anche altre presenze rilevanti, da Stefano Merlo (imprenditore attivo nell'ambito del marketing e della comunicazione, CEO & fondatore di Piccoli Borghi) a Daniele Ricossa (che nel 2014 sarebbe stato tra i promotori del progetto berlusconiano Innamorati dell'Italia), fino ad Alessandro Amadori (dottore di ricerca in Psicologia dei Processi Cognitivi Superiori, professore a contratto, partner - già vicepresidente - dell'Istituto Piepoli, ben noto nell'ambiente dei sondaggi, attualmente consigliere per l'analisi politica ed economica della Presidenza del Consiglio dei Ministri, in particolare del vicepresidente - ancora per poco? - Salvini). 
Nel 2014 l'emblema - che non era finito nelle bacheche del Ministero dell'interno l'anno prima in vista delle politiche - cambiò, abbandonando l'arancione e adottando una più sobria freccia tricolore che sforava di poco rispetto al cerchio di fondo blu (ridotto a mezzaluna per un altro cerchio interno, bianco, tangente a sinistra), poi di CambiaItalia si persero le tracce.
Naturalmente non si può dire che i due progetti siano parenti, che vi siano elementi in comune o che ci sia stata una copia o anche solo un'ispirazione (i nomi sono diversi, la grafica pure); non è però vietato dire che è curioso che la coppia "cambiare"-arancione fosse già stata tentata qualche anno prima, anche se non con risultati degni di nota. Toccherà di nuovo a Toti mostrare se ciò è possibile, anche se potrebbe avere meno tempo  a disposizione del previsto per tentare (e magari riuscire).

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