In giorni in cui, in attesa di capire che forma avrà il nuovo governo Conte e se otterrà la fiducia delle Camere, ci si interroga a lungo sul futuro del centrodestra (e non solo sulla partecipazione dei forzisti a un'eventuale alleanza tra Lega e Fratelli d'Italia), più di qualcuno avverte il bisogno di un soggetto liberale consistente, che evidentemente non può coincidere con Forza Italia o altre formazioni nazionali esistenti.
Tra coloro che condividono quest'esigenza, che si tradurrebbe in un "partito della borghesia", c'è anche Enzo Palumbo, già senatore del Partito liberale italiano nella IX legislatura (1983-1987) e componente laico del Csm dal 1988 al 1990. Avvocato civilista membro del comitato scientifico della Fondazione Luigi Einaudi di Roma, è noto negli ultimi anni soprattutto per aver partecipato prima al comitato per ottenere il referendum abrogativo per tornare al Mattarellum come legge elettorale, poi alle battaglie per vedere dichiarata l'incostituzionalità dell'Italicum e far prevalere il no alla riforma costituzionale del 2016.
Sul piano politico, dopo lo scioglimento del Pli nel 1994, Palumbo nel 2009 ha concorso al consolidamento del ricostituito Partito liberale italiano, diventandone presidente del consiglio nazionale (carica confermata al successivo congresso a marzo del 2012); nel mese di ottobre 2013 lasciò il partito, aderendo invece a livello europeo all'Alde come membro individuale, senza tuttavia abbandonare l'impegno politico a livello nazionale.
Se un paio di anni fa era stato tra i fondatori di LiberaItalia, altra formazione di area liberale con un respiro europeista, ora Enzo Palumbo è presidente dell'associazione Rete Liberale per la Democrazia liberale (https://democrazialiberale.org/), fondata ufficialmente il 5 gennaio 2018, ma costituita in continuità con la Rete liberale sorta nel 2006 in Sicilia proprio per l'impegno di Palumbo e di altri liberali e nuovamente autonoma a partire dall'ottobre 2013 come "movimento pre-partitico". La continuità è evidente anche sul piano simbolico: la struttura dell'emblema (con tricolore sfumato e una rete stilizzata racchiusi da una corona blu contenente le dodici stelle d'Europa) è rimasta uguale, come pure la dicitura "Liberali democratici riformatori italiani". Solo il nome si è modificato, anche se lo statuto consente l'uso intercambiabile dei nomi "Rete liberale" e "Democrazia liberale". "Del resto - spiega Palumbo - Rete liberale si riferisce alla presenza organizzata territoriale, Democrazia liberale è il nostro traguardo, l'orizzonte cui tendiamo".
Democrazia liberale, in realtà, si qualifica ancora come associazione - magari da tenere pronta per tempi migliori - anche se come i partiti ha una sua struttura (oltre a Palumbo come presidente, ci sono Girolamo Cotroneo come presidente d'onore (massimo teorico della filosofia crociana, recentemente scomparso, già presidente della Società Filosofica Italiana e della Società Italiana di Storia della Filosofia), Pippo Rao come segretario politico e chiari intenti e riferimenti politici: si punta a "ripristinare in Italia un lessico politico che segni chiaramente la differenza tra le diverse idee di società sulla base delle culture politiche e dei principi ideali a cui ciascun partito si ispira" (in chiara opposizione ai nomi in prestito da botanica, zoologia, astrologia e tifo calcistico, nonché alla personalizzazione dei simboli coi nomi dei leader) e a "realizzare in Italia una vera democrazia liberale", puntando a un equilibrato rapporto tra "il massimo possibile di libertà civili ed economiche, di opportunità personali, di promozione sociale e di contendibilità del potere, in termini che siano compatibili col minimo indispensabile di autorità statale e coi doveri inderogabili di solidarietà sociale", senza dimenticare la meritocrazia. I riferimenti ideali sono il Manifesto dell’Internazionale Liberale di Oxford 1947, le dieci sfide dell’Agenda Liberale per il XXI secolo di Oxford 1997, aggiornate dal Manifesto Liberale di Andorra 2017.
Forse è presto per sapere se Democrazia liberale riuscirà a strutturarsi come partito a livello nazionale (da una decina di anni il gruppo di persone che si riferisce alla Rete organizza la Scuola di liberalismo a Messina): di certo, però, l'area liberale appare tutt'altro che statica (visto il numero di sigle che si sono affacciate in entrambi gli schieramenti politici) e più che mai bisognosa di un soggetto che possa davvero rappresentarne ideali e obiettivi, magari facilitato da un ritorno al proporzionale e da una raccolta firme più equa (come quella proposta da I simboli della discordia, oltre che dalla Fondazione Einaudi nel suo recente volume Il gioco della democrazia. La democrazia in gioco). Ci riuscirà la Rete che Palumbo ha teso e tessuto dal 2006?
Tra coloro che condividono quest'esigenza, che si tradurrebbe in un "partito della borghesia", c'è anche Enzo Palumbo, già senatore del Partito liberale italiano nella IX legislatura (1983-1987) e componente laico del Csm dal 1988 al 1990. Avvocato civilista membro del comitato scientifico della Fondazione Luigi Einaudi di Roma, è noto negli ultimi anni soprattutto per aver partecipato prima al comitato per ottenere il referendum abrogativo per tornare al Mattarellum come legge elettorale, poi alle battaglie per vedere dichiarata l'incostituzionalità dell'Italicum e far prevalere il no alla riforma costituzionale del 2016.
Sul piano politico, dopo lo scioglimento del Pli nel 1994, Palumbo nel 2009 ha concorso al consolidamento del ricostituito Partito liberale italiano, diventandone presidente del consiglio nazionale (carica confermata al successivo congresso a marzo del 2012); nel mese di ottobre 2013 lasciò il partito, aderendo invece a livello europeo all'Alde come membro individuale, senza tuttavia abbandonare l'impegno politico a livello nazionale.
Se un paio di anni fa era stato tra i fondatori di LiberaItalia, altra formazione di area liberale con un respiro europeista, ora Enzo Palumbo è presidente dell'associazione Rete Liberale per la Democrazia liberale (https://democrazialiberale.org/), fondata ufficialmente il 5 gennaio 2018, ma costituita in continuità con la Rete liberale sorta nel 2006 in Sicilia proprio per l'impegno di Palumbo e di altri liberali e nuovamente autonoma a partire dall'ottobre 2013 come "movimento pre-partitico". La continuità è evidente anche sul piano simbolico: la struttura dell'emblema (con tricolore sfumato e una rete stilizzata racchiusi da una corona blu contenente le dodici stelle d'Europa) è rimasta uguale, come pure la dicitura "Liberali democratici riformatori italiani". Solo il nome si è modificato, anche se lo statuto consente l'uso intercambiabile dei nomi "Rete liberale" e "Democrazia liberale". "Del resto - spiega Palumbo - Rete liberale si riferisce alla presenza organizzata territoriale, Democrazia liberale è il nostro traguardo, l'orizzonte cui tendiamo".
Democrazia liberale, in realtà, si qualifica ancora come associazione - magari da tenere pronta per tempi migliori - anche se come i partiti ha una sua struttura (oltre a Palumbo come presidente, ci sono Girolamo Cotroneo come presidente d'onore (massimo teorico della filosofia crociana, recentemente scomparso, già presidente della Società Filosofica Italiana e della Società Italiana di Storia della Filosofia), Pippo Rao come segretario politico e chiari intenti e riferimenti politici: si punta a "ripristinare in Italia un lessico politico che segni chiaramente la differenza tra le diverse idee di società sulla base delle culture politiche e dei principi ideali a cui ciascun partito si ispira" (in chiara opposizione ai nomi in prestito da botanica, zoologia, astrologia e tifo calcistico, nonché alla personalizzazione dei simboli coi nomi dei leader) e a "realizzare in Italia una vera democrazia liberale", puntando a un equilibrato rapporto tra "il massimo possibile di libertà civili ed economiche, di opportunità personali, di promozione sociale e di contendibilità del potere, in termini che siano compatibili col minimo indispensabile di autorità statale e coi doveri inderogabili di solidarietà sociale", senza dimenticare la meritocrazia. I riferimenti ideali sono il Manifesto dell’Internazionale Liberale di Oxford 1947, le dieci sfide dell’Agenda Liberale per il XXI secolo di Oxford 1997, aggiornate dal Manifesto Liberale di Andorra 2017.
Forse è presto per sapere se Democrazia liberale riuscirà a strutturarsi come partito a livello nazionale (da una decina di anni il gruppo di persone che si riferisce alla Rete organizza la Scuola di liberalismo a Messina): di certo, però, l'area liberale appare tutt'altro che statica (visto il numero di sigle che si sono affacciate in entrambi gli schieramenti politici) e più che mai bisognosa di un soggetto che possa davvero rappresentarne ideali e obiettivi, magari facilitato da un ritorno al proporzionale e da una raccolta firme più equa (come quella proposta da I simboli della discordia, oltre che dalla Fondazione Einaudi nel suo recente volume Il gioco della democrazia. La democrazia in gioco). Ci riuscirà la Rete che Palumbo ha teso e tessuto dal 2006?
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