mercoledì 14 agosto 2019

Senato, nuovi gruppi grazie ai simboli (e a dispetto del regolamento)?

Mentre ci si prepara alle comunicazioni del presidente del Consiglio Giuseppe Conte il 20 agosto al Senato e il 21 agosto alla Camera, è il caso di tornare su un punto che ieri era stato solo marginalmente toccato, ma è tutto meno che irrilevante, per lo meno su queste pagine. In effetti da ieri, secondo alcuni, l'eventualità che Matteo Renzi abbandoni il Pd assieme agli eletti a lui più vicini è meno attuale, o comunque si allontana nel tempo; nonostante questo, merita un po' di attenzione l'espediente - ad alto tasso simbolico - di cui si era vociferato nei giorni scorsi per consentire la scissione sul piano parlamentare, con la nascita di gruppi autonomi in entrambe le Camere.

La stretta regolamentare...

A Montecitorio, come si sa, è solo questione di numeri, visto che il regolamento consente a qualunque compagine di almeno 20 deputati di costituirsi in gruppo autonomo; fino a tutta la legislatura precedente, anche a Palazzo Madama era così, con la differenza che - visti i numeri dimezzati - di eletti ne bastavano 10. Alla fine della XVII legislatura, tuttavia, i senatori hanno approvato rilevanti modifiche al regolamento dello stesso Senato, che sono intervenute, tra l'altro, rendendo severe le regole per la formazione dei gruppi, per porre un limite e magari scoraggiare la nascita di nuove formazioni politiche, pronte a causare nuovi cambi di casacca (tecnicamente si parla di "transfughismo parlamentare").
In particolare, il nuovo testo dell'art. 14, comma 4 continua a prevedere la consistenza minima di 10 senatori, ma precisa che ogni gruppo "deve rappresentare un partito o movimento politico, anche risultante dall'aggregazione di più partiti o movimenti politici, che abbia presentato alle elezioni del Senato propri candidati con lo stesso contrassegno, conseguendo l’elezione di Senatori", specificando che un gruppo può rappresentare - e, di conseguenza, riportare nel nome - tutti i partiti che abbiano presentato "congiuntamente liste di candidati con il medesimo contrassegno", quindi tutte le forze federate o riunite in cartello (forse, per quello che si può immaginare, anche se quei partiti o movimenti non erano visivamente presenti nel contrassegno). Unica deroga numerica è concessa al gruppo che rappresenta le minoranze linguistiche, che può essere composto anche solo da cinque senatori: il gruppo Per le autonomie sta in piedi con nove membri, anche grazie all'adesione di due senatori a vita (Elena Cattaneo e Giorgio Napolitano), Pierferdinando Casini (su di lui si dovrà tornare) e Gianclaudio Bressa (Pd, ma eletto a Bolzano grazie all'accordo con la Svp). 

... e la via per allentarla

Stando così le cose non ci sarebbe alcuno spazio per la nascita di gruppi che rappresentino partiti nati durante la legislatura: l'art. 15, comma 3 precisa anzi che "nuovi Gruppi parlamentari possono costituirsi nel corso della legislatura solo se risultanti dall'unione di Gruppi già costituiti". Appare chiaro dunque il senso della riforma: unici movimenti concessi tra i gruppi in Senato, in teoria, sono quelli per aggregare, non per disgregare
Il regolamento, in realtà, lascia uno spiraglio per la nascita di gruppi autonomi, citato dallo stesso art. 15, comma 3: al di là del gruppo delle minoranze linguistiche (che può anche nascere a legislatura iniziata), si rimanda al penultimo periodo dell'art. 14, comma 4, in base al quale possono costituirsi gruppi autonomi sempre di almeno 10 senatori, "purché corrispondenti a singoli partiti o movimenti politici che si siano presentati alle elezioni uniti o collegati". L'uso di questi due distinti aggettivi non è casuale e non sono affatto sinonimi (nel diritto, del resto, se si usano parole diverse una qualche differenza di significato deve pur esserci). Parlare di partiti o movimenti uniti alle elezioni rimanda a quelle forze politiche che hanno concorso alla costruzione di una lista, apparendo uniti anche visivamente nel contrassegno comune: facendo l'esempio con la lista Insieme - del tutto casualmente! - ciò consentirebbe la nascita di gruppi del Psi, dei Verdi e dell'Area civica di Zedda, mentre sarebbe più difficile far sorgere un gruppo autonomo ulivista, se non altro perché l'emblema è solo evocato e l'Ulivo come soggetto giuridico non ha partecipato alla lista.
La disposizione, tuttavia, parla anche di partiti o movimenti "collegati", un termine che alla luce della legge elettorale può significare una sola cosa: il riferimento, cioè, sarebbe alle liste collegate in coalizione, che dunque sostengono il medesimo candidato nei vari collegi uninominali. Così, per proseguire l'esempio di prima, la lista Insieme - sempre casualmente! - potrebbe formare, ove se ne creassero le condizioni, un gruppo autonomo di dieci senatori già solo per il fatto di avere partecipato alle elezioni del 2018 come lista della coalizione di centrosinistra, che ha eletto molti senatori nei collegi uninominali: questo anche se, in ipotesi, nessuno degli eletti fosse stato indicato da quella lista, dal momento che è sufficiente che vi sia stato un collegamento e grazie a questo vi siano stati eletti.

Il casus reflectionis e gli altri casi possibili 

Un'operazione del genere potrebbe essere "normale" (o almeno non desterebbe perplessità) per una forza che avesse superato di poco il 3% a livello nazionale e, per la distribuzione dei seggi a livello regionale, non fosse riuscita a raggiungere da sola i 10 senatori con gli eletti nella quota proporzionale, avendo bisogno dei vincitori dei collegi uninominali per arrivare al numero minimo richiesto. Non è detto invece - ma sulle intenzioni non è il caso di fare troppe congetture - che i riformatori avessero in mente di consentire di avere un gruppo, evidentemente con l'apporto di fuoriusciti da altri gruppi, anche a forze politiche coalizzate che avevano ottenuto assai meno di 10 eletti (tutti nei collegi uninominali). Si tratta della situazione, per esempio, della lista Insieme, che al Senato ha ottenuto un solo eletto, Riccardo Nencini, candidato nel collegio uninominale di Arezzo. L'ex segretario del Psi attualmente è vicepresidente del gruppo misto, ma lui stesso avrebbe dichiarato a ilfattoquotidiano.it: "C’è una discussione in corso, ma vedremo cosa accadrà nei prossimi giorni". Discussione su cosa? Sul fatto che possa nascere un nuovo gruppo parlamentare di cui faccia parte lo stesso Nencini (magari guidato da lui stesso, ma forse non è fondamentale), fondato su quello spiraglio regolamentare che consentirebbe alla lista Insieme cui si riferirebbe Nencini di costituirsi in gruppo, accogliendo nel contempo Renzi e i senatori a lui vicini e accostando al nome di Insieme l'etichetta che i renziani dovessero scegliere di darsi (ore fa si parlava di "Azione civile", ipotesi che ora non ha più alcun valore). Ottenendo, tra l'altro, come notava sempre ilfattoquotidiano.it, il risultato politico di non uscire dal centrosinistra, "visto che Insieme era associata proprio al Pd". 
Ora, non si sa se la scissione in casa dem ci sarà e se questo ragionamento resterà solo un esercizio di stile. Risulta chiaro, tuttavia, che se questa strada venisse aperta, potrebbe essere seguita anche da ogni altra lista che ha partecipato in coalizione alle elezioni del 2018, anche se non ha ottenuto suoi eletti nel proporzionale. Si trova in questa condizione, per esempio, +Europa, che al Senato ha eletto solo Emma Bonino nel collegio di Roma - Gianicolense ed è attualmente tesoriera del gruppo misto: questo ovviamente non significa che debba per forza nascere un gruppo di +E (con transfughi venuti da non si sa dove), né che Bonino accetterebbe di unire un nuovo nome al suo, ma formalmente la cosa sarebbe possibile.
Lo stesso scenario riguarderebbe la lista nazionale meno votata della coalizione di centrosinistra, vale a dire Civica popolare, che aveva in bella vista la peonia "petalosa" e il cognome di Beatrice Lorenzin, mentre assai meno leggibili erano le "pulci" di Italia dei valori, Centristi per l'Europa, Unione (per il Trentino, con la margherita di Dellai), L'Italia è popolare e Alternativa popolare. Unico eletto riconducibile alla lista al Senato, com'è noto, è Pierferdinando Casini, come detto aderente al gruppo Per le autonomie; sulla carta, tuttavia, con altri 9 aderenti potrebbe costruire un suo gruppo, denominandolo Civica popolare (ma anche Centristi per l'Europa, volendo: il nome è abbastanza generico) e magari accostare a tale nome quello della compagine che dovesse ospitare.
Anche nel centrodestra, peraltro, c'è un soggetto disponibile: si tratta del cartello Noi con l'Italia - Udc, che a dispetto del suo 1,2% ha eletto quattro senatori nei collegi uninominali, cioè Paola Binetti, Antonio De Poli e Antonio Saccone dell'Udc e Gaetano Quagliariello di Idea. Al momento tutti e quattro sono parte del gruppo di Forza Italia, ma in teoria - anche se è improbabile che loro considerino questa eventualità - potrebbero portare in dote la loro condizione per costituire un gruppo autonomo che porti anche il loro nome, ovviamente solo in seguito all'apporto di almeno sei senatori (il che è tutto meno che scontato, anche perché è tutto da vedere che ci siano le condizioni perché nascano vari partiti per scissione).
Sempre sulla carta, infine, avrebbe le carte per consentire la nascita di un nuovo gruppo anche Liberi e Uguali, che fuori da ogni coalizione ha eletto quattro senatori, tutti nel gruppo misto (compresa Loredana De Petris, che presiede il gruppo come parte della compagine più numerosa). Anche qui la possibilità che nasca un gruppo è puramente teorica, che si immagini l'ingresso di semplici fuoriusciti o (ancora di più) di un raggruppamento organizzato che voglia appoggiarsi a Leu per ottenere la nascita di un gruppo parlamentare altrimenti impossibile. Di ogni opzione, per irreale che sia, è giusto dare conto, a patto di non farla credere come probabile o addirittura imminente.
In questo elenco dei "gruppabili" (orribile, non lo si userà mai più!), si dovrebbero comprendere anche i simboli che al Senato hanno ottenuto un eletto (solo) all'estero: è il caso, in particolare, del Maie - Movimento associativo italiani all'estero, e dell'Usei - Unione sudamericana emigrati italiani. I due senatori del Maie (Ricardo Antonio Merlo e Adriano Cario, eletto però con l'Usei) fanno parte del gruppo misto, quindi in teoria potrebbero ugualmente fungere da leva per ottenere la nascita di un nuovo gruppo; di certo, è meno facile per una forza politica nuova appoggiarsi a un gruppo che ha chiaramente una matrice legata agli italiani all'estero. 

A che pro?

Resterebbero sprovviste di questa possibilità, insomma, solo le liste che hanno partecipato alle ultime elezioni ma che non hanno avuto alcun eletto, nemmeno nei collegi uninominali: niente gruppo (autonomo, ma con altri aventi diritto chissà...), dunque, per Potere al popolo!, CasaPound Italia, Il popolo della famiglia, Italia agli italiani (Forza Nuova e Fiamma tricolore), Partito comunista, Partito valore umano, Per una sinistra rivoluzionaria, Pri-Ala, Autodeterminatzione, Grande Nord, Lista del popolo per la Costituzione, Democrazia cristiana (di Fontana e Grassi), Destre unite - Forconi, Patto per l'autonomia, SìAmo, Stato moderno solidale e Rinascimento - Mir o per il Movimento della libertà (Estero).
Come si diceva, non è affatto detto che tutte le possibilità in campo (sette in totale) si trasformino in gruppi, anzi potrebbe non verificarsene nessuna (in fondo ci vuole pur sempre una compagine nutrita disposta a uscire da un gruppo esistente), ma sulla carta tutto è possibile. E i vantaggi sarebbero indubbi, per chi cambia gruppo e chi dà la possibilità di attivarne un nuovo, quasi come se fosse un taxi: maggiore visibilità - con tempi dedicati nelle discussioni e voce in capitolo nell'organizzazione dei lavori di aula - e soprattutto maggiori risorse e spazi per agire a livello parlamentare.
Rispetto al passato, a legge vigente, almeno un vantaggio verrebbe meno: quello legato alla raccolta firme. In vista dei precedenti appuntamenti elettorali, infatti, avere un gruppo parlamentare in almeno una delle Camere era un risultato molto ambito, perché consentiva spesso di essere esentati dall'onere delle sottoscrizioni; in qualche caso poteva persino bastare l'aver costituito una componente alla Camera (si veda quello che è accaduto alle elezioni del 2008). Questa volta, invece, l'applicazione "a regime" della legge elettorale è chiara nel richiedere, per far scattare l'esenzione, l'esistenza dei gruppi in entrambe le Camere, ma dall'inizio della legislatura: lo sa bene Liberi e Uguali, che alla Camera ha potuto costituire un gruppo in deroga (14 invece di 20 membri, ma aveva partecipato in modo consistente alle elezioni), ma con i suoi quattro eletti non ha potuto fare lo stesso al Senato, dunque dovrebbe raccogliere le firme anche se dovessero arrivare rinforzi per costituire un gruppo autonomo. E questo, si badi bene, nonostante sia stata proprio l'esenzione dalla raccolta firme applicata una tantum alle elezioni del 2018 a permettere la presentazione di tutte le liste che, sulla carta, potrebbero fungere da taxi per forze nate in corso di legislatura che volessero costituire un gruppo autonomo.
Al momento, dunque, rimarrebbero ferme solo le esenzioni dei doppi gruppi esistenti (MoVimento 5 Stelle, Pd, Lega Nord, Forza Italia, Fratelli d'Italia) e della Svp. Tutto questo, ovviamente, a meno che non si decida di mettere mano alla legge, eliminando le esenzioni o estendendole e, già che ci si è, modificando le norme per la raccolta firme. Ma questa, ovviamente, è un'altra storia che merita un'analisi molto più approfondita e lo studio di soluzioni concrete.

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