mercoledì 15 aprile 2015

"Forza Italia? E' congelata": chi ha ragione?

Sta diventando sempre più appassionante, anche sul piano giuridico, la disputa intorno alla "legittimità" di Forza Italia e alla titolarità dell'uso del simbolo. Ancora una volta, uno spunto importante viene da un articolo del Tempo, che nel numero in edicola contiene un'intervista a Gianluigi Pellegrino, l'avvocato cui si sono rivolti coloro che aderiscono alle posizioni di Raffaele Fitto – lo stesso legale parla di un incarico conferito da "oltre un migliaio di firme di eletti e iscritti" – per "tutelare in ogni sede e con tutti i mezzi il rispetto delle regole democratiche nel partito".
Il pezzo inizia senza alcuna mediazione e va subito al nocciolo della tesi: "Silvio Berlusconi non ha convocato il congresso che aveva avuto mandato di convocare e questo impedisce che il simbolo possa essere utilizzabile, dal momento che, come impongono l'art. 49 della Costituzione e lo Statuto di Forza Italia, devono essere rispettati i passaggi democratici nel funzionamento del partito". L'emblema, dunque, sarebbe da considerarsi "congelato": "Sulla scheda elettorale al momento ci potrà essere Forza Silvio, ma non Forza Italia".
Ora, Pellegrino è esperto di questioni elettorali e di democrazia interna ai partiti: era nel collegio difensivo legato a Mercedes Bresso che, al Consiglio di Stato, a febbraio dell'anno scorso ha visto confermata la ripetizione delle elezioni in Piemonte; in più ha seguito varie cause legate a scontri interni ad alcune formazioni politiche. Vale però la pena di "non accontentarci" e di guardare più a fondo le censure da lui sollevate.
È sacrosanto il riferimento all'art. 49 della Costituzione: Pellegrino dice che, in base ad esso, "i partiti devono funzionare secondo regole democratiche" e aggiunge che "al tempo delle liste bloccate, filtrate dai partiti, è necessario che i partiti funzionino con regole certe". In queste affermazioni, in realtà, qualcosa non torna. Innanzitutto il riferimento alle liste bloccate ha perso almeno in parte significato: queste ora sono un'eventualità minoritaria. L'Italicum, infatti, ad oggi prevede il blocco solo del capolista, la legge lasciata in piedi dalla Corte costituzionale in qualche modo ha introdotto la preferenza, non esistono liste bloccate nelle elezioni comunali ed europee; l'istituto resiste soltanto nella legge elettorale regionale "cedevole" e in alcune discipline delle singole regioni (ma, paradossalmente, non in quella della Puglia, che ha abolito il "listino" fin dal 2005). 
A monte, però, è l'interpretazione da dare alla lettera dell'art. 49 Cost. a suggerire cautela. Certamente Pellegrino sa bene che l'idea di interpretare la locuzione "con metodo democratico" riferendola anche alle dinamiche interne ai partiti è stata sempre cara ai costituzionalisti, ma il "diritto vivente" l'aveva sempre esclusa: i partiti non gradivano ingerenze di giudici e altre autorità che potessero mettere in discussione la loro legittimità, così la legge sulla democrazia interna ai partiti non l'hanno fatta per oltre sessant'anni. 
Dalla sua, in effetti, la difesa dei fittiani può invocare l'entrata in vigore del decreto-legge n. 149/2013 (convertito con legge n. 13/2014), noto per aver sostituito gradualmente i rimborsi elettorali con altre forme di finanziamento, ma che ha provveduto pure a dettare norme minime sugli statuti dei partiti: l'art. 2, in particolare, dopo aver richiamato la formula dell'art. 49 Cost., al comma 2 precisa che "L'osservanza del metodo democratico, ai sensi dell'art. 49 della Costituzione, è assicurata anche attraverso il rispetto delle disposizioni del presente decreto". Ai partiti così si chiederebbe di rispettare le previsioni del decreto convertito (a partire dalle norme sugli statuti), in quanto norme di attuazione costituzionale.
Ora, la questione è interessante, anche perché è "nuova". Precisando, l'argomento non è certo inedito, ma occorre chiedersi se effettivamente con l'entrata in vigore di quella legge qualcosa è cambiato e, dunque, il concorso a determinare la politica nazionale "con metodo democratico" ora si può valutare anche all'interno dei singoli partiti. Alcuni elementi, tuttavia, non depongono esattamente a favore di questa lettura. Innanzitutto, il fatto che l'art. 2 dica che la democrazia interna è assicurata anche attraverso il rispetto delle disposizioni del decreto sembra non dare alle norme seguenti una portata assoluta, lasciando lo spazio ad altre valutazioni, oltre che a ulteriori regole. L'art. 18 del decreto, in più considera "partiti" solo le formazioni che abbiano presentato candidature con simbolo alle elezioni politiche, europee, regionali (e delle province autonome) o che abbiano depositato un simbolo in forma aggregata alle stesse consultazioni (purché abbiano riportato un eletto): sulla carta, dunque, i canoni di democrazia interna non verrebbero richieste a tutte le forze politiche, ma solo a quelle che concorrono direttamente alle elezioni. Il successivo art. 3, da ultimo, precisa che "I partiti politici che intendono avvalersi dei benefici previsti dal presente decreto sono tenuti a dotarsi di uno statuto" che abbia le forme e i contenuti previsti dal decreto stesso: qui il rispetto delle regole sullo statuto sembrerebbe un onere richiesto solo alle formazioni interessate a godere delle detrazioni fiscali per i finanziatori e della destinazione del due per mille, non alle altre. 
Certo, è giusto dire - come fa Pellegrino - che grazie alle "regole condivise per il funzionamento", cioè a quelle statutarie, "i partiti hanno facoltà di accedere ai fondi pubblici"; il d.l. n. 149/2013, tuttavia, non si preoccupa di prevedere alcuna sanzione qualora concretamente le regole dello statuto (in astratto conformi al modello, che peraltro non va molto nel dettaglio) non siano rispettate. Forza Italia, peraltro, pur non avendo ancora adeguato lo statuto a quanto richiesto dal decreto, è comunque (per il 2014 e il 2015) negli elenchi dei partiti che possono fruire delle provvidenze pubbliche, al pari - ad esempio - di Partito democratico e MoVimento 5 Stelle, per citare i soggetti più grandi. 
Nello specifico, l'avvocato interpellato da Fitto pone essenzialmente un problema di legittimazione: "allo stato nessuno - spiega Pellegrino - può rappresentare Forza Italia, nemmeno il suo fondatore"; "Salvo procedure congressuali d’urgenza, nessuno è titolato a presentare le liste. Non è titolato chi non è stato investito da un comitato di presidenza, eletto dal congresso. [...] Per presentare le liste di Fi ci vuole un amministratore eletto ai sensi dell’art. 25 dello statuto dal consiglio nazionale, a sua volta eletto ai sensi dell’art. 21 dal congresso". Non sarebbe avvenuto così, a quanto lascia intendere Pellegrino, con Maria Rosaria Rossi, amministratrice "straordinaria" di Forza Italia (il precedente amministratore nazionale era stato Sandro Bondi). I congressi invece, dovrebbero partire "dalle rappresentanze di base, per arrivare all’assise nazionale"
Il discorso dell'avvocato Pellegrino è sostanzialmente condivisibile, visto che si tratta in fondo del semplice rispetto delle regole statutarie. La stessa linea, peraltro, riconosce che lo statuto in vigore è ancora quello del 1997-1998, con le ultime modifiche approvate dal congresso del 2004, l'ultimo del "Movimento politico Forza Italia". Qualche riflessione su quel testo andrebbe fatta, sia pure con il beneficio d'inventario. E' vero che tutte le cariche sono triennali (e che il Congresso nazionale è previsto che si riunisca "in via ordinaria almeno ogni 3 anni". Come si era già detto nei giorni scorsi, tuttavia, lo stesso statuto non prevede alcuna ipotesi di decadenza qualora si superi quel periodo (lo statuto della Democrazia cristiana, per dire, lo prevedeva chiaramente). Certamente un gruppo di iscritti avrebbe potuto ottenere, ricorrendo al giudice civile, la convocazione dell'assise, in risposta all'inerzia di chi di dovere (cioè Presidente e Comitato di presidenza); in mancanza, tuttavia, tutto rimarrebbe com'è e le cariche finirebbero in tacito regime di prorogatio, anche per non lasciare "acefalo" il partito.
Questo che significa, in particolare? Che, a dispetto del "letargo" (tecnicamente, "sospensione delle attività") cui era andata incontro Forza Italia nel 2009, le cariche e le iscrizioni erano rimaste tutte ferme ad allora. Compresa quella del Presidente, eletto dal Congresso nazionale del 2004. Significa che Berlusconi, non come fondatore ma come Presidente, è titolato a rappresentare Forza Italia? In realtà no: ammesso e non concesso che Sandro Bondi fosse stato correttamente eletto amministratore nazionale, dopo le sue dimissioni il Consiglio nazionale di Fi avrebbe dovuto eleggerne uno nuovo (lo statuto non prevede la figura dell'amministratore straordinario), su proposta del Comitato di presidenza (che nel sito del partito risulta come Ufficio di presidenza). Che è successo con la Rossi? Ignazio Abrignani, da anni responsabile elettorale di Forza Italia (e del Pdl prima) ha parlato della questione all'AdnKronos: ''L'Ufficio di presidenza di Forza Italia ha regolarmente nominato la Rossi commissario straordinario dell'organo 'amministratore nazionale' di Fi, ex articolo 58 dello statuto attualmente in vigore, su proposta del presidente del partito Berlusconi. Pertanto, la Rossi può disporre pienamente del simbolo azzurro a tutte le competizioni elettorali", come previsto dall'art. 46.
Chi ha ragione, Pellegrino o Abrignani? L'art. 58, in effetti, andrebbe letto meglio: si legge che "Il Comitato di Presidenza può, ove ricorrano gravi motivi, commissariare gli Organi Nazionali delle organizzazioni interne al Movimento" e "sciogliere gli Organi Periferici elettivi, sentito il Coordinatore Regionale, nominando un Commissario per il tempo necessario alla ricostituzione dell’Organo". Ora, la carica di amministratore nazionale non è né un organo di un'organizzazione interna a Forza Italia, né tanto meno un organo periferico elettivo. Se il commissariamento della Rossi si basa sull'art. 58, obiettivamente il suo ruolo vacilla, come pure quello dei "procuratori speciali nominati dall’Amministratore Nazionale", cui l'art. 44 affida la presentazione di liste e contrassegni.
Se così è - ora che c'è qualche elemento in più su cui ragionare rispetto all'altro ieri - la battaglia potrebbe seriamente avviarsi. Ma allora sulle schede potrebbe non finire nemmeno una bandierina forzista? Come extrema ratio sì, visto che - stando le cose come si è visto - nessuno sarebbe legittimato in modo certo a depositare la documentazione. Certo, è ben difficile che gli uffici elettorali sparsi in tutta l'Italia pensino davvero di respingere liste ed emblemi di Forza Italia, vedendo una procura a firma Mariarosaria Rossi: è molto più probabile che le liste siano ammesse e che un gruppo di iscritti provi a opporsi, cercando di far intervenire gli uffici regionali e, soprattutto, i Tar. Che a quel punto si troverebbero di fronte una questione del tutto inedita e spinosa come non mai: l'alternativa sarebbe decidere se "convalidare" liste e simboli, ma potendo configurare "un furto ai danni degli iscritti o un vero furto di democrazia" (usando le parole di Pellegrino), oppure far saltare tutto, non facendo arrivare nelle urne né gli emblemi né i candidati di Fi. E se i verdetti pre-elettorali non fossero sufficienti, la guerra potrebbe continuare a urne chiuse. Una guerra totale, che i cronisti potrebbero raccontare senza elmetti e giubbotti antiproiettile: basterebbe armarsi di pazienza, per leggere ogni singola carta bollata.

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