Il fatto è che a qualcuno l'idea che degli ex demoproletari fossero diventati tutt'a un tratto verdi non è andata proprio giù. Per loro i Verdi Arcobaleno erano stati né più né meno che una lista farlocca, di quelle create per spillare voti ai Verdi quelli veri, che stavano fuori da ogni schieramenti; la fusione di quella lista con la Federazione delle Liste Verdi non era stata per loro un rafforzamento, ma una sorta di colonizzazione, che aveva distrutto il movimento ambientalista autentico e messo il partito nelle mani di marxisti che avevano riproposto le loro idee, pur ammantandole di un contesto "verde". "Una certa sinistra - scrive Roberto De Santis nel suo libro Da una "grigia" ad una "verde" politica - colse nel movimento ambientalista un’opportunità per rimodulare i vecchi temi
di sinistra in un nuovo contenitore sostenendo la tesi che entrambi i movimenti avevano come comune
denominatore un nemico comune, ovvero il progresso, dunque il
consumismo, che aveva determinato la
crisi della nostra civiltà".
Fosse vero o meno, qualcuno lo pensava sul serio: così, quando quella volpe sarcastica di Andreotti aveva scodellato quella frase "I Verdi? Sono come i cocomeri, verdi fuori e rossi dentro" (che poi si rifaceva al paragone spregiativo che Mussolini aveva stabilito tra gli operai della Fiat e i fichi, appunto neri fuori e rossi dentro), si erano affrettati a dargli ragione. Qualcuno non si era accontentato di assentire e aveva cercato di costruire qualcosa di alternativo, anche solo per dispetto.
Così, nel 1992, la Federazione dei Verdi consegna il suo contrassegno del sole che ride, riprodotto finalmente a colori, anzi ne consegna diverse varianti (compresa quella dei Verdi Arcobaleno e con la colomba al posto del sole, perché non si sa mai che qualcuno copi); i presentatori degli emblemi, in compenso, scoprono che in bacheca sono finiti anche altri emblemi che mettono in allarme i big del partito. Uno, ad esempio, è stato depositato da Maurizio Lupi, un piemontese - niente a che vedere con il suo omonimo che in seguito sarebbe stato tra gli esponenti più noti del Pdl - che, in uno sforzo di fantasia, ha chiamato la sua creatura politica "Federazione nazionale dei Verdi-Verdi", come a dire che erano ancora più verdi, loro. La parola "Verdi", non a caso, era l'unica presente sul contrassegno (la prima volta scritta molto grande, la seconda più in piccolo, subito sotto) e risaltava, scritta in giallo, sul fondo verde chiaro; al di sopra della parola, come elemento figurativo, un orsetto sorridente colto nell'atto di salutare.
Dal Lazio, invece, spunta un altro contrassegno, destinato anch'esso a venire depositato prima di vari appuntamenti elettorali: è quello dell'ex consigliere regionale Laura Scalabrini (che, per quanto è dato sapere, aveva militato proprio nella Federazione dei Verdi). E' suo il simbolo dei Verdi Federalisti che tiene in bella evidenza la parola "Verdi" nella metà inferiore del cerchio, mentre quella superiore è caratterizzata, su fondo giallo, da un mezzo girotondo di sagome verdi di bambini che si danno la mano: una figura che, in una riproduzione piccola come quella sulle schede, potrebbe confondersi con il sole giallo su fondo verde. Allo stesso modo, ci sono altri contrassegni che emergono, a partire da quello dei Verdi di Centro già utilizzato nel 1987 (un timone sopra alla scritta "Verdi") o dal logo tricolore (caratterizzato da una grossa V e dal profilo dell'Italia) dei Verdi d'Italia.
Manco a dirlo, i Verdi sole che ride non ci stanno: per un ambientalista fresco fresco come Francesco Rutelli, quei simboli sono "forme di sciacallaggio e truffa di gruppetti a danno dei Verdi" e non possono restare impunite. A tempo debito ricorre contro quei contrassegni, ma per l'Ufficio elettorale centrale nazionale presso la Cassazione "Verdi" è un termine talmente generico che non si può impedire a un altro soggetto di utilizzarlo, se si riconosce nelle idee legate al pensiero verde. Nel frattempo, Rutelli e compagni hanno cercato un moto interessante per cercare di difendersi: quando il termine per la presentazione degli emblemi non è ancora scaduto, si presentano al Viminale con tre simboli dichiaratamente falsi. Uno tarocca quello del Psi, un'altro quello della Dc, un terzo scrive due volte la parola "Lega". Li presentano apposta, certi che saranno ricusati, ma con lo scopo di mettere i bastoni tra le ruote a quei disturbatori spuntati nel frattempo. Il tentativo, in ogni caso, non va a buon fine: sulla scheda i Verdi Verdi e i Verdi Federalisti ci arrivano comunque, passando attraverso l'esame del Viminale e quello - già ricordato - dell'Ufficio elettorale presso la Cassazione. Con quegli emblemi, la Federazione dei Verdi dovrà convivere a lungo, oltre dieci anni: di storie da raccontare non ne mancano di certo.
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