E' già capitato di dirlo in queste pagine: salvo casi realmente eccezionali, sulle schede elettorali non c'è posto per i marchi. Se si escludono, infatti, i simboli che - a dispetto di un certo orientamento del Viminale - sono stati registrati anche come segni distintivi presso l'UIBM, i loghi noti per ragioni commerciali dovrebbero proprio stare lontani dalla politica, onde evitare che qualcuno possa indebitamente collegare una lista presentata a un prodotto o a un evento che si fregia di un determinato disegno.
La questione è chiara da tempo: nel 1996 erano spariti i loghi dell'Enel, dell'Italgas e della Sip dal simbolo del Partito dei consumatori italiani, lo stesso è accaduto nel 2013 per tutti i contrassegni contenenti la parola "Equitalia". Ha fatto scalpore poi lo scorso anno la vicenda del simbolo Forza Juve Bunga Bunga: il riferimento verbale e cromatico alla squadra bianconera è sparito dopo una pesante diffida della società torinese. Sarà per questo che, dal 2015, nelle Istruzioni per la presentazione e l'ammissione delle candidature, lo stesso Ministero dell'interno precisa che "a pena di ricusazione, previo invito alla sostituzione, deve considerarsi vietato anche l’uso di simboli propri del Comune nonché di denominazioni e/o simboli o marchi di società [...] senza che venga depositata apposita autorizzazione all'uso da parte della stessa società".
Evidentemente l'anno prima dubbi in materia non dovevano essere sorti ai componenti della commissione elettorale che ha giudicato i contrassegni presentati per rinnovare l'amministrazione di Vigolzone, comune piacentino sotto i 5mila abitanti. Sulla scheda gli elettori trovarono tre liste: avrebbe vinto con una maggioranza schiacciante (oltre il 62%) Vigolzone insieme, facendo rieleggere come sindaco Francesco Rolleri (a dispetto di un simbolo veramente anonimo); la seconda piazza sarebbe andata a Werner Argellati con Amare Vigolzone, caratterizzata da una vela quasi realistica, mentre sarebbe comunque riuscita a portare in consiglio la sua candidata sindaca Lucia Anelli l'ultimo dei tre raggruppamenti, VigolzonExpo.
Già, perché fin dal nome la lista non nascondeva un legame, ovviamente solo ideale, con il grande evento espositivo che ha luogo a Milano-Rho: i giornali, anzi, hanno chiaramente detto che la lista guardava all'Expo 2015 "perché possa portare qualcosa di buono anche per Vigolzone". Quanto alla grafica, era tutta un programma. Per cominciare, le due "o" di Vigolzone erano sostituite da dischi blu con otto stelle in cerchio, a voler evidentemente richiamare l'Europa (“perché è il futuro”, si diceva in campagna elettorale) pur senza riprodurre il logo originale; a spiccare, però, era il marchio di Expo, riprodotto per le ultime tre lettere e senza l'indicazione dell'anno 2015 (e, a volerla dire tutta, con un colore sbagliato - verde anziché azzurro - per una delle sbarre della X).
Non è dato sapere se qualcuno, in commissione, abbia fatto notare l'eccessiva somiglianza al marchio o se l'esame è andato liscio, almeno quella volta. Di fatto però sulle schede (e persino in consiglio) l'Expo c'è arrivata a sua insaputa, sia pure leggermente modificata: che siano state quelle modifiche, oltre alla tradizionale mole di adempimenti che la commissione deve sbrigare, a garantire la sopravvivenza elettorale del simbolo?
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