AGGIORNAMENTO del 27 luglio 2022: Sulla questione delle esenzioni, altri due profili meritano di essere analizzati, sia pure in breve. Uno riguarda la norma che esonera dalla raccolta firme le liste coalizzate che (alla Camera) abbiano raggiunto l'1%. Benché la disposizione parli di "candidature con il proprio contrassegno", dunque sembri suggerire che l'esenzione spetti una tantum (e one shot) alla lista, anche se composta da più anime tutte rappresentate nel contrassegno elettorale, pare si stia facendo strada un'interpretazione che consente di fruire dell'esenzione a tutte le forze politiche rappresentate in quel contrassegno (a maggior ragione per le liste che non si sono collocate di poco sopra l'1%). Concretamente ciò comporta che la lista +Europa - Centro democratico non esenterebbe soltanto +E, ma anche Cd: questo sarebbe determinante per spiegare perché Bruno Tabacci - che da queste parti, col sorriso sulle labbra e con l'idea di dargli un orizzonte sovranazionale, si è soliti chiamare Brown Tabax - potrebbe essere essenziale per Luigi Di Maio e il gruppo di Insieme per il futuro nei panni di "nocchiero delle firme". Come lo fu - ma allora la disposizione era chiara - per +Europa nel 2018.
Il secondo profilo, finora volutamente non considerato, passa per le liste che hanno eletto rappresentanti nella circoscrizione Estero. La disposizione introdotta con l'emendamento Magi-Costa al "decreto elezioni 2022" e da applicare una tantum alle prossime elezioni non precisa che l'eletto in ragione proporzionale alla Camera debba essere stato ottenuto nei collegi italiani: anche nella circoscrizione Estero, infatti, i seggi sono distribuiti con formula proporzionale. Ciò concretamente significa non solo che +Europa - avendo eletto nella circoscrizione Estero Alessandro Fusacchia - avrebbe comunque titolo all'esenzione (a differenza di quanto chi scrive aveva pensato in un primo tempo), ma anche che Maie e Usei. che hanno eletto ciascuna un deputato, potrebbero continuare a presentare candidature nella circoscrizione Estero (con il loro simbolo), ma potrebbero anche presentare contemporaneamente liste in Italia senza firme, ma con un diverso contrassegno, cosa che la legge consente di fare: in quel contrassegno, tuttavia, il loro simbolo potrebbe ridursi a "pulce" e contenere in assai maggiore evidenza l'emblema di un altro partito. Quest'ultimo di fatto si presenterebbe senza raccogliere le firme: avrebbe magari il disagio di non essere formalmente presentatore della lista, ma otterrebbe di essere presente ovunque in Italia col suo simbolo ben visibile. Si tratta di un escamotage sottile e forse un po' complesso, ma ingegnoso e meritevole di essere approfondito.
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Per chi frequenta assiduamente o saltuariamente questo sito, senza dubbio i giorni dedicati al deposito dei contrassegni in vista delle elezioni politiche o europee sono i più importanti del procedimento elettorale; la successiva fase della presentazione delle liste, tuttavia, è altrettanto rilevante, se non altro perché è quella che - qualora tutti gli adempimenti siano stati svolti correttamente - consente ai simboli di finire sui manifesti e sulle schede, dunque di essere più visibili e circolare. Perché questo sia possibile, però, in Italia occorre che la singola forza politica dimostri di avere un minimo di seguito attraverso la presentazione di un certo numero di sottoscrittori; in alternativa alla raccolta firme, dal 1976 varie norme hanno ritenuto - sia pure in misura variabile nel corso del tempo - che per garantire la "serietà" della candidatura fosse sufficiente una presenza qualificata al Parlamento (italiano o europeo); quando poi le singole Regioni si sono potute dotare di una propria legge elettorale, quasi sempre sono state previste ipotesi di esonero dalla raccolta delle sottoscrizioni, magari legate alla presenza di una forza politica all'interno del singolo consiglio regionale.
In passato su questo sito ci si era già occupati della storia della raccolta firme e dell'evoluzione del sistema delle esenzioni, mettendo in luce le storture da questo apportate - in termini di iniquità per l'accesso alla competizione elettorale - così come si sono trattati i tentativi più disparati di ottenere l'esenzione, soprattutto alle elezioni europee (nel 2019 si è visto davvero di tutto). In questo caso è bene concentrarsi sulle norme ora in vigore, perché su quelle si sta giocando e si giocherà nei prossimi giorni la battaglia che determinerà "l'offerta" sulle schede elettorali il 25 settembre.
La norma: raccolta firme dimezzata e su meno collegi, ma gravosa d'estate
Prima di parlare delle esenzioni, sembra doveroso dedicare spazio all'ipotesi "normale" di presentazione delle candidature, dunque la raccolta delle firme. I partiti e i gruppi politici che non si troveranno nelle condizioni di essere esonerati da questo adempimento dovranno raccogliere per ogni collegio plurinominale in cui vorranno presentarsi tra 750 e 2000 sottoscrizioni: l'articolo 18-bis del testo unico per l'elezione della Camera (d.P.R. n. 361/1957) indicherebbe una "forchetta" più ampia, da 1500 a 2000 firme, ma è lo stesso articolo a precisare che "In caso di scioglimento della Camera dei deputati che ne anticipi la scadenza di oltre centoventi giorni, il numero delle sottoscrizioni è ridotto alla metà" (il Ministero dell'interno, in base a un filone di sentenze, ritiene che la riduzione riguardi solo il numero minimo delle firme, non anche quello massimo).
Si è già ricordato ieri che, dopo il taglio dei parlamentari confermato nel 2020 dal referendum costituzionale, oggi per la Camera dei deputati sono previsti 49 collegi plurinominali: una lista che voglia partecipare alle elezioni su tutto il territorio nazionale deve raccogliere almeno 36750 firme; fare altrettanto per il Senato, per il quale sono stati individuati 26 collegi plurinominali, richiede almeno 19500 firme. Poiché le prossime elezioni politiche saranno le prime in cui per il Senato voteranno cittadine e cittadini maggiorenni (non più chi ha compiuto 25 anni, come era stato prima della riforma costituzionale dello scorso anno), la raccolta firme per il Senato è più facile che in passato. La legge non dice espressamente che chi ha firmato una lista per la Camera non può firmarne una anche per il Senato: è vero che l'art. 20, comma 6 del testo unico per la Camera è definitivo nel dire che "nessun elettore può sottoscrivere più di una lista di candidati" (e per chi lo fa l'articolo 106 stabilisce un'ammenda con la pena dell'ammenda da 200 a 1000 euro, dunque si tratta di un reato), ma è anche vero che si tratta di due elezioni diverse, pur essendo state sempre contestuali.
I numeri visti prima sono sicuramente meno pesanti e inarrivabili rispetto a quelli previsti per le elezioni a scadenza naturale della legislatura e anche rispetto alle firme che si sarebbero dovute raccogliere prima del taglio dei parlamentari, visto che i collegi plurinominali erano di più: per l'esattezza, alla Camera per i 63 collegi sarebbero servite 94500 firme (47250 in caso di scioglimento anticipato), mentre al Senato con 33 collegi ne sarebbero servite 49500 (24750 con lo scioglimento anticipato). Il compito di chi vuole presentare una lista, dunque, si è in piccola parte alleggerito, ma risulta comunque gravoso, soprattutto se si considera che le sottoscrizioni che si raccolgono per una lista da presentare in un determinato collegio plurinominale devono essere di elettrici ed elettori iscritti nelle liste elettorali di comuni compresi in quel preciso collegio plurinominale: in un periodo in cui molta gente è in vacanza, lontana dal proprio collegio, la ricerca delle firme può essere oggettivamente difficile (né, ovviamente, è possibile firmare per una lista di un collegio diverso da quello della propria residenza).
Posto che per chi va alla ricerca di firme in estate può essere complesso anche trovare un autenticatore disponibile (soprattutto tra le forze politiche che non dispongono di eletti sul territorio e magari devono ricorrere a figure professionali, che potrebbero non farlo gratuitamente), va considerata un'ulteriore difficoltà: all'interno di una stessa circoscrizione, se è individuato più di un collegio plurinominale, un soggetto politico deve presentare proprie liste in almeno due terzi dei collegi plurinominali di quella circoscrizione (e presentare candidature singole in tutti i collegi uninominali inclusi nei collegi plurinominali in cui si è presentata la lista), altrimenti la lista sarà ricusata in tutta la circoscrizione (o, qualora manchino una o più candidature nei collegi uninominali, "salterà" la lista del relativo collegio plurinominale). Per fare un esempio, in Emilia-Romagna (circoscrizione per la Camera) sono stati individuati tre collegi plurinominali: chi vorrà presentare una lista dovrà farlo correttamente in almeno due di quei collegi (indicando in entrambi i casi anche tutti i candidati dei rispettivi collegi uninominali, con tutti i documenti necessari), altrimenti la lista sarà esclusa da tutte le schede dell'Emilia-Romagna.
L'eccezione: l'esonero dalla raccolta firme, ampliato ma neanche troppo
In base a quello che si è detto, si capisce facilmente come mai i partiti che sono rappresentati in Parlamento cerchino il più possibile di evitare la raccolta delle firme, prevedendo ipotesi di esenzione dalla stessa per forze che si possano ritenere "serie" per il risultato ottenuto alle ultime elezioni o per la loro presenza qualificata in Parlamento. Come detto, senza voler fare la storia delle disposizioni in materia, in questo caso ci si limita a considerare le norme in vigore, per capire chi sarà esente dalla raccolta firme e chi potrebbe esserlo.
L'articolo 18-bis del testo unico per l'elezione della Camera - più volte modificato nel corso degli anni dalle varie riforme elettorali - precisa che "[n]essuna sottoscrizione è richiesta per i partiti o gruppi politici costituiti in gruppo parlamentare in entrambe le Camere all'inizio della legislatura in corso al momento della convocazione dei comizi", così come non devono raccogliere le firme "i partiti o gruppi politici rappresentativi di minoranze linguistiche che abbiano conseguito almeno un seggio in occasione delle ultime elezioni per la Camera dei deputati o per il Senato della Repubblica": in quei casi il modulo di presentazione della lista dev'essere firmato dal presidente o dal segretario della forza politica (o da uno dei rappresentanti delegati al deposito delle liste in sede di deposito del contrassegno), con l'autenticazione da parte di un notaio o di un cancelliere. Per queste due fattispecie è molto facile individuare le forze politiche che hanno i requisiti indicati: hanno il doppio gruppo parlamentare dall'inizio della legislatura soltanto il MoVimento 5 Stelle, il Partito democratico, la Lega, Forza Italia e Fratelli d'Italia; quanto alle minoranze linguistiche, hanno ottenuto almeno un seggio e quindi non dovranno raccogliere le firme la coppia Südtiroler Volkspartei - Partito autonomista trentino tirolese (che negli ultimi anni si è effettivamente presentata unita, in liste Svp-Patt) e il cartello Union Valdôtaine - Union Valdôtaine Progressiste - Edelweiss popolare autonomista valdostano (con il senatore eletto, Albert Lanièce, che è esponente dell'Uv, dunque sarà questo il partito che probabilmente fruirà dell'esenzione)
Fino a poche settimane fa solo queste forze politiche erano esenti dalla raccolta firme: lo erano in ragione certamente di un risultato elettorale significativo, ma erano pur sempre poche e "privilegiate", rispetto a tutte le altre forze politiche, magari anche presenti in Parlamento: il tutto in condizioni che non favoriscono le operazioni di raccolta (a parte il numero consistente - dimezzato come si è detto per lo scioglimento anticipato - c'è la sempre maggiore distanza del corpo elettorale, spesso restio a firmare in occasioni simili, così come ha influito l'avvento della pandemia, ma i tempi peggiori si sono visti in passato), anche se di recente è stato ampliato ulteriormente il numero dei soggetti autenticatori (includendovi soprattutto gli avvocati che abbiano comunicato la loro disponibilità).
Fallito un primo tentativo, durante la conversione del "decreto Milleproroghe", di ampliare le esenzioni a soggetti politici dotati di una qualche forma di presenza parlamentare qualificata, una seconda sortita in questo senso è stata più fortunata, in sede di conversione del c.d. "decreto elezioni 2022". Si è già avuto modo di illustrare nel dettaglio l'iter di queste disposizioni alla Camera, con i vari testi presentati e i loro possibili effetti; ora ci si limita ad analizzare la portata dell'unica norma effettivamente approvata - provvidenzialmente per alcuni soggetti politici, visto che è entrata in vigore il 3 luglio - anche se è lecito avere dubbi sui suoi effetti e, innanzitutto, sulla sua formulazione. L'articolo 6-bis del decreto-legge n. 41/2022 - rubricato "Disposizioni in materia di elezioni politiche" e originato da un emendamento proposto da Riccardo Magi (+Europa - Radicali italiani) ed Enrico Costa (Azione), ma significativamente riformulato dalla commissione Affari costituzionali - recita così:
Le disposizioni dell'articolo 18-bis, comma 2, primo periodo, del testo unico delle leggi recanti norme per la elezione della Camera dei deputati, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361, si applicano, per le prime elezioni della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica successive alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, anche ai partiti o gruppi politici costituiti in gruppo parlamentare in almeno una delle due Camere al 31 dicembre 2021 o che abbiano presentato candidature con proprio contrassegno alle ultime elezioni della Camera dei deputati o alle ultime elezioni dei membri del Parlamento europeo spettanti all'Italia in almeno due terzi delle circoscrizioni e abbiano ottenuto almeno un seggio assegnato in ragione proporzionale o abbiano concorso alla determinazione della cifra elettorale nazionale di coalizione avendo conseguito, sul piano nazionale, un numero di voti validi superiore all'1 per cento del totale.
Andando con ordine, si deve innanzitutto dire che questo articolo trasforma anche le elezioni politiche del 2022 in un "voto in condizioni straordinarie": dal 2006, in particolare, a ogni rinnovo del Parlamento (dunque anche nel 2008, nel 2013 e nel 2018, oltre che quest'anno) si è introdotta una norma che di fatto non applica alle elezioni politiche il regime "normale" di presentazione delle candidature, ma di volta in volta si sono stabilite norme "eccezionali", valide solo per quel turno, per facilitare la strada a tutti (riducendo le firme) e a qualcuno più che ad altri (esentandolo), oppure solo a qualcuno. Naturalmente le elezioni del 2022 rientrano nell'ultima ipotesi, visto che si è disposto un ampliamento del novero di soggetti esonerati, ma non è stata alleggerita la posizione di chi invece le firme deve continuare a raccoglierle: è vero che si è avuta la riduzione per le elezioni anticipate, ma è bene ricordare che tanto nel 2013 quanto nel 2018 le firme erano state ridotte a un quarto (dunque ulteriormente dimezzate); l'articolo 6 del "decreto elezioni 2022", tra l'altro, prevedeva la riduzione a un terzo delle firme per le elezioni comunali che si sono tenute a scadenza naturale, mentre sulle elezioni politiche si è scelto - durante il percorso di conversione del decreto - di non prevedere alcun taglio ulteriore valido per chi ha l'onere di farsi sottoscrivere le liste. Già questo mostra l'idea che si siano voluti creare ulteriormente "figli e figliastri" e non è particolarmente apprezzabile.
Arrivando alle previsioni dell'articolo sopra riportato, si cita innanzitutto l'esenzione per i "partiti o gruppi politici costituiti in gruppo parlamentare in almeno una delle due Camere al 31 dicembre 2021". La norma è simile a quella prevista dalla legge elettorale approvata nel 2015 (e mai applicata) e "rinfrescata" per le elezioni del 2018, quando si era scritta la "legge Rosato": la scelta di esonerare dalla raccolta firme i partiti che avevano una presenza numerica rilevante in Parlamento - tanto da poter formare un gruppo parlamentare, dunque con almeno 20 deputati o 10 senatori, anche in corso di legislatura - in una data fissa e non troppo vicina (per escludere dal beneficio, oltre che coloro che avessero costituito un gruppo dopo l'entrata in vigore della norma, anche i gruppi troppo recenti e - si presume, o fa comodo considerarli così - legati a una forza non abbastanza "seria". Al 31 dicembre 2021, tolte le forze già esenti in base all'ipotesi "normale", risultavano esistenti alla Camera i gruppi di Liberi e Uguali, Italia viva e Coraggio Italia. Su Italia viva c'è poco da dire (ovviamente l'esenzione si comunicherà pure all'eventuale nuovo simbolo, purché la denominazione sia contenuta all'interno del contrassegno o, al contrario, purché la denominazione del gruppo parlamentare sia integrata con l'eventuale nuovo nome scelto per la lista); su Liberi e Uguali si può dire che probabilmente consentirà di correre senza firme alla lista che Sinistra italiana intende costruire con Europa Verde (il 20 luglio la denominazione del gruppo - conservatosi durante la legislatura, benché LeU non sia mai diventata partito - è stata cambiata in "Liberi e Uguali - Articolo 1 - Sinistra Italiana"); quanto a Coraggio Italia, il gruppo non esiste più, ma il beneficio dell'esenzione è stato guadagnato dal partito guidato da Luigi Brugnaro (ma allora il gruppo era dominato dalle persone vicine a Giovanni Toti, ora alla guida di Italia al Centro, autonomo da Ci) e ora si dovrà capire cosa intenderà fare il gruppo dirigente del partito.
Al Senato, invece, sembra opportuno considerare l'esistenza dei gruppi Forza Italia (Berlusconi presidente) - Udc, Italia viva - Psi e Lega Salvini Premier - Partito sardo d'azione. Si tratta di gruppi composti in prevalenza da senatrici e senatori di partiti già esenti dalla raccolta firme per il doppio gruppo (Fi e Lega) o per il gruppo alla Camera (Iv), ma che nella denominazione hanno (e avevano alla data del 31 dicembre 2021) anche il nome di un altro partito. Proprio perché la forza principale è già esente grazie all'altro gruppo parlamentare, in teoria nulla impedirebbe di attribuire al secondo partito citato nella "etichetta" del gruppo il beneficio dell'esonero dalla raccolta firme: in fondo è difficile negare che si tratti di "partiti [...] costituiti in gruppo parlamentare". In questo senso, è assai probabile che il Psi possa in questo modo presentare una lista senza firme (così come aveva permesso alla lista Insieme del 2018 di non sottostare a quell'onere), anche perché è noto che il partito è stato determinante per la nascita del gruppo; forse è meno probabile che arrivi una lista del Psd'az, che nel 2018 aveva presentato i suoi candidati nelle liste della Lega (ma se il partito volesse presentare una lista da coalizzare nel centrodestra l'esenzione potrebbe far comodo, mentre se volesse correre da solo la Lega potrebbe provare a eccepire che il gruppo in realtà era il suo, ma toccherebbe comunque agli uffici elettorali decidere). Quanto all'Udc, alle politiche non è mai mancato il simbolo dello scudo crociato (anche magari all'interno di contrassegni compositi), dunque il centrodestra potrebbe avere interesse a mettere in piedi una quarta lista che potrebbe non superare il 3%, ma porterebbe voti alla coalizione.
Esaurita la parte relativa ai gruppi parlamentari, si può passare all'ipotesi dei partiti "che abbiano presentato candidature con proprio contrassegno alle ultime elezioni della Camera dei deputati o alle ultime elezioni dei membri del Parlamento europeo spettanti all'Italia in almeno due terzi delle circoscrizioni e abbiano ottenuto almeno un seggio assegnato in ragione proporzionale": Posto che non si capisce il riferimento alle sole elezioni della Camera e non anche a quelle del Senato, la disposizione a prima vista pare inutile: alle europee hanno avuto "almeno un seggio in ragione proporzionale" solo cinque liste, corrispondenti quasi per intero - e il "quasi" si vedrà tra poco - ai partiti già esenti per il doppio gruppo (Lega, Pd, M5S, Fi, Fdi), mentre alla Camera oltre a quelle cinque va considerata LeU. L'ultima osservazione, però, risulta di colpo molto interessante, alla luce del cambio di nome del gruppo in Leu - Art. 1 - Si: se Sinistra italiana potrebbe avere interesse a fruire dell'esenzione legata al gruppo, leggendo così la disposizione ci sarebbe spazio per un'ulteriore esenzione per Liberi e Uguali che potrebbe inserire il proprio nome in un'eventuale (altra) lista di sinistra cui volesse partecipare o cui volesse permettere di concorrere. Un'altra lettura possibile è legata al fatto che la lista del Pd alle europee del 2019, in realtà, era stata presentata con Siamo Europei, presente nel contrassegno di lista e che ottenne almeno un seggio (quello di Carlo Calenda): poiché Siamo Europei è il soggetto giuridico che poi ha modificato il suo nome in Azione (come si verifica sul sito del Registro dei partiti), può essere che Azione speri così di avere l'esenzione. Non è detto che questi scenari si verifichino o che i ragionamenti siano accettati dagli uffici elettorali (l'articolo tra l'altro parla di "contrassegno", parola che si riferisce all'intero cerchio, non di "simbolo", relativo anche a una sua parte), ma se la disposizione di cui parliamo è stata pensata per essere applicata una tantum in una certa conformazione parlamentare, riesce difficile credere che chi ha proposto il testo (tra l'altro, un deputato di Azione) non volesse produrre effetti.
Resta da dire dell'ultimo periodo, cioè quello che conferisce l'esenzione ai partiti che "abbiano concorso alla determinazione della cifra elettorale nazionale di coalizione avendo conseguito, sul piano nazionale, un numero di voti validi superiore all'1 per cento del totale". Questo riferimento alle liste coalizzate alle ultime elezioni politiche permette di esentare nel centrodestra Noi con l'Italia, oltre all'Udc (e, se proprio non si volesse ritenere l'Udc esente nel modo che si è visto prima, sarebbe comunque possibile ripresentare la lista composita che nel 2018 fu considerata la "quarta gamba" della coalizione) e nella coalizione dell'allora centrosinistra +Europa (Civica popolare e Insieme non avevano invece raggiunto la quota dell'1%). Il fatto che si parli di "contrassegno", in effetti, fa ricordare che nel 2018 nell'emblema elettorale di +Europa era presente anche Centro democratico: ci si potrebbe chiedere se il partito di Bruno Tabacci potrebbe rivendicare un'esenzione anche per sé oppure potrebbe dover essere necessario il suo consenso perché +E possa fruire dell'esonero. L'ultima ipotesi sembra meno probabile (se non altro perché l'abbandono di +Europa da parte di Tabacci alla fine di settembre del 2019 non dovrebbe permettergli di avere voce in capitolo sull'esenzione spettante a +E); quanto all'eventuale esenzione anche per Cd, sembra tutto meno che scontata, soprattutto perché concedergliela significherebbe applicarla due volte alla stessa lista (anche la lettura data prima finiva per "sdoppiare" LeU, ma questo avveniva perché LeU era stata contemporaneamente gruppo e lista che ha eletto in ragione proporzionale).
Dalle disposizioni lette nel modo che si è visto resterebbero fuori varie forze che, nel corso del tempo, hanno avuto una presenza parlamentare, a volte persino con un gruppo: vale per l'ultimo nato - Insieme per il futuro di Luigi di Maio - ma anche per il gruppo composito Uniti per la Costituzione - Cal (Costituzione, Ambiente, Lavoro) - Alternativa - Pc - Ancora Italia - Progetto SMART - Idv; bisogna poi aggiungere altri soggetti politici, come la citata Italia al Centro, Noi di Centro, ItalExit per l'Italia - Partito Valore Umano, ManifestA, Potere al Popolo! (che alle elezioni del 2018 aveva preso più dell'1%, ma non era coalizzata), Partito della Rifondazione comunista, Europa Verde, Facciamo Eco e Rinascimento-Adc (cui si potrebbe dover aggiungere Azione se non fosse accolta la lettura ricordata prima). Tra le forze fuori dal Parlamento, infine, dovrebbe certamente raccogliere le firme Alternativa per l'Italia (il soggetto che unisce Il Popolo della Famiglia ed Exit), come pure i soggetti che dovessero nascere a sinistra.
Qualche proposta per evitare "sbarramenti all'ingresso"
Se si erano già formulate critiche nelle scorse settimane, sulla base del semplice testo della nuova disposizione (in particolare con riguardo alla discriminazione subita dalle liste non coalizzate), lo scioglimento rapidissimo del Parlamento e la fissazione della data delle elezioni in tempi davvero ravvicinati (anche se, scegliendo il 18 settembre, sarebbe andata ancora peggio) hanno decisamente ridotto i tempi a disposizione delle forze politiche per decidere come presentarsi. La sera del 21 luglio, con le Camere appena sciolte (una notizia che si è potuta immaginare in qualche modo solo il giorno prima) e la data del voto fissata per il 25 settembre, i partiti dentro e fuori il Parlamento hanno scoperto di avere 24 giorni al massimo per decidere con quale simbolo presentarsi alle elezioni; soprattutto, però, coloro che avrebbero dovuto raccogliere le firme si sono resi conto di avere soltanto un massimo di 31 giorni in piena estate per poterlo fare (formalmente fino al 22 agosto, ma occorre prepararsi per tempo per raccogliere anche i certificati di iscrizione di elettrici ed elettori e per redigere gli altri documenti), sapendo che ogni giorno impiegato per decidere simbolo e candidature (ed eventuali alleanze) era un giorno perso per la raccolta firme.
In una condizione simile e con l'asticella comunque più alta rispetto alle scorse elezioni (i collegi erano di più e più ristretti, ma le firme da raccogliere in ciascuno di questi era la metà), si ripropone il rischio di uno "sbarramento all'ingresso", mai accettabile in democrazia, ma ancora meno in una condizione come quella attuale, in cui il nuovo Parlamento sarà molto diverso dal precedente anche solo per la riduzione robusta dei seggi. Ovviamente il tempo per intervenire sulle norme elettorali è scaduto, a meno che il governo decida di intervenire con un decreto-legge (ma farlo solo per ridurre le firme sembra davvero inopportuno, oltre che esorbitante il testo della circolare sugli affari correnti che è stata stilata).
Se il testo non si può più cambiare, si può però cercare di rimediare alla situazione attraverso l'interpretazione delle disposizioni in vigore: esistono infatti almeno un paio di strade che consentirebbero a un numero più ampio di soggetti di partecipare al voto senza raccogliere le firme (lasciando ovviamente al corpo elettorale il compito di esprimersi, scegliendo chi premiare e chi no). La prima è legata al modo in cui l'articolo 6-bis del "decreto elezioni 2022" è stato scritto: la riformulazione, infatti, pur poco felice sul piano della leggibilità e della scorrevolezza, di fatto consente una lettura estensiva proprio per le parole usate. Ci si riferisce alla seconda parte, da leggere per intero, quando cita i partiti o gruppi politici "che abbiano presentato candidature con proprio contrassegno alle ultime elezioni della Camera dei deputati o alle ultime elezioni dei membri del Parlamento europeo spettanti all'Italia in almeno due terzi delle circoscrizioni e abbiano ottenuto almeno un seggio assegnato in ragione proporzionale o abbiano concorso alla determinazione della cifra elettorale nazionale di coalizione avendo conseguito, sul piano nazionale, un numero di voti validi superiore all'1 per cento del totale". Si nota che la "o" sottolineata è priva del "che" (presente invece all'inizio della seconda parte), così è lecito pensare che il riferimento all'1% possa essere riferito non solo alle elezioni della Camera, ma anche alle europee. Il testo, ovviamente, parla di coalizioni che alle europee non sono previste, ma si è anche detto che l'avere favorito le liste coalizzate rispetto a quelle non coalizzate sembra del tutto irragionevole (peraltro i voti andati alla coalizione hanno sì prodotto seggi, ma a favore di altri soggetti politici) e, in ogni caso, il modo in cui la commissione Affari costituzionali ha preteso di scrivere quel testo pone effettivamente in connessione il raggiungimento dell'1% anche con le elezioni europee. Nell'ottica di limitare lo sbarramento all'ingresso, si potrebbe leggere la disposizione nel senso di esonerare anche le liste che abbiano comunque raggiunto l'1%, oltre che alle ultime elezioni politiche (e così si potrebbe esonerare Potere al Popolo!), anche alle ultime europee: in quel caso si potrebbero esentare le liste di +Europa - Italia in Comune - Pde Italia, Europa Verde e La Sinistra, tutte con un risultato superiore all'1%. Si tratta di una lettura un po' forzata, forse, ma a partire da un testo di per sé scritto in modo non ineccepibile.
A questa interpretazione può aggiungersene un'altra, peraltro già in parte seguita. L'art.18-bis, comma 2 del testo unico per l'elezione della Camera inizia infatti dicendo che "[n]essuna sottoscrizione è richiesta per i partiti o gruppi politici costituiti in gruppo parlamentare in entrambe le Camere all'inizio della legislatura in corso al momento della convocazione dei comizi". Anche in questo caso c'è una "o" che però può essere letta in senso disgiuntivo: "partiti", infatti, dopo l'entrata in vigore del decreto-legge n. 149/2013 ha un significato ben preciso, essendo "partiti politici" i soggetti inseriti all'interno del Registro previsto dalla stessa fonte all'esito di un controllo di un'apposita Commissione (che verifica l'esistenza dei requisiti di "democrazia interna" sulla base dello statuto) e che da quel momento in poi possono godere a certe condizioni delle provvidenze pubbliche e comunque sottopongono i loro rendiconti al controllo. Considerando che questi fatti possono essere considerati fattori di "serietà" della candidatura di quei soggetti politici, l'art. 18-bis, comma 2 potrebbe consentire la partecipazione alle elezioni senza firme sia ai partiti (iscritti nel Registro), sia ai gruppi politici (non iscritti nel Registro, ma) costituiti in gruppo parlamentare in entrambe le Camere all'inizio della legislatura. C'è almeno un precedente: nel 2019, infatti, alle europee il Movimento Politico Pensiero e Azione (Ppa) era riuscito a far ammettere la propria lista - nella circoscrizione Nord-Est - non in virtù di esenzioni parlamentari o di collegamenti con partiti europei, ma soltanto qualificandosi come "partito". Risulta che il tentativo sia riuscito solo lì (gli altri uffici avevano escluso le liste e i ricorsi all'Ufficio elettorale nazionale erano stati respinti), ma si tratta pur sempre di un precedente esistente e, come si è detto, avrebbe alla base almeno un esame che attesta un minimo di serietà della candidatura (anche perché la Commissione può esaminare uno statuto solo se un partito ha partecipato alle elezioni almeno regionali o è presente in Parlamento).
Queste interpretazioni "a testo invariato" potrebbero rendere le disposizioni in vigore meno "esclusive" e senza bisogno di decreti, in un momento in cui oggettivamente la raccolta firme è resa complessa e disagevole, aprendo la partecipazione elettorale. Decidere se applicarle o meno spetta ai singoli Uffici elettorali centrali circoscrizionali/regionali e, dopo eventuali ricorsi, all'Ufficio elettorale centrale nazionale: spetta a loro infatti l'applicazione concreta delle norme in materia (il Ministero dell'interno si limita a trasmettere la comunicazione delle Camere la comunicazione delle Camere che indica "i partiti o gruppi politici costituiti in gruppo parlamentare in entrambe le Camere all’inizio della legislatura, i partiti rappresentanti di minoranze linguistiche che abbiano conseguito almeno un seggio nelle ultime elezioni politiche nonché quelli costituiti in gruppo parlamentare in ognuna delle due Camere"). Anche per questo finora si è usato spesso il condizionale, non potendo avere certezza di come i giudici interpreteranno le disposizioni (alle ultime europee il metro è stato comunque piuttosto espansivo); si deve anche ricordare che se una lista viene ammessa da un ufficio circoscrizionale la decisione non può essere impugnata, dunque il risultato è ormai ottenuto. Per sapere come andrà a finire, in fondo, basta aspettare poche settimane.
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