mercoledì 22 giugno 2022

Insieme per il futuro, tra gruppi, diffide e raccolta firme (in evoluzione)

Alla Camera l'atto di nascita del gruppo denominato Insieme per il futuro si è già compiuto questa mattina
: poco dopo le 9 il presidente Roberto Fico ha letto l'elenco dei membri del nuovo gruppo (50, incluso Luigi Di Maio, provenienti dal MoVimento 5 Stelle e un altro deputato, Antonio Lombardo, proveniente dal gruppo di Coraggio Italia). 
Ci vorrà invece un po' di tempo in più per capire cosa accadrà in Senato: mentre si scrive senatrici e senatori riconducibili a Di Maio - inclusi Primo Di Nicola e Vincenzo Presutto - figurano ancora all'interno del gruppo del M5S. 
Non sono mancate ieri le voci di chi - come il costituzionalista e deputato Pd Stefano Ceccanti - ha ritenuto impossibile la formazione di un gruppo autonomo a Palazzo Madama "a causa dei diversi requisiti del Regolamento" rispetto a Montecitorio: ovviamente non è scontato che il gruppo nasca, ma si è già sostenuto ieri che l'interpretazione dell'art. 14, comma 4 del regolamento del Senato (così come modificato alla fine del 2017) data de facto con il sorgere del gruppo CAL - Alternativa - Pc - Idv ha reso possibile - pur se contro il significato proprio delle parole del testo - la costituzione di nuovi gruppi anche legati a forze politiche nate in corso di legislatura, purché facciano parte del gruppo anche persone elette che rappresentino (possibilmente avendovi nel frattempo aderito) una forza politica che ha partecipato alle elezioni politiche precedenti. Se il gruppo - o almeno una componente del gruppo misto - nascerà, di certo non sarà indifferente la forza politica che accetterà di sostenere "tecnicamente" il sorgere dell'articolazione parlamentare, risultando dunque il primo soggetto con cui il nuovo progetto politico collaborerà.

Ancora sul nome (e sulla prima diffida) 

Il nome, in qualche modo, può dirsi ancora provvisorio, come ha chiarito questa mattina il deputato Vincenzo Spadafora a Omnibus, intervistato da Gaia Tortora: "Insieme per il futuro è il nome del gruppo parlamentare, che è stato costituito per creare le basi della nascita di una forza politica che sicuramente non sarà il partito personale di Di Maio, ma vedrà coinvolte altre persone ed è evidente che avrà un nome diverso".
Non sorprende ovviamente che i gruppi parlamentari possano avere un nome diverso rispetto ai progetti politici che poi si legheranno a questi: per restare in questa legislatura, prima sono nate le compagini parlamentari di L'alternativa c'è, mentre solo in seguito è nato il partito Alternativa; altre volte il nome è rimasto uguale o quasi uguale, com'è accaduto nella XVI legislatura con Futuro e libertà. Per l'Italia e in questa legislatura con Italia viva, sempre con la nascita prima del gruppo e poi della forza politica (ovviamente ciò accade quando un partito nasce come frutto di una scissione maturata in Parlamento, dunque l'esigenza di distinguersi in aula sorge prima di quella di formare il partito; diverso è quando un partito sorge al di fuori delle aule e solo in un secondo momento si formano le relative compagini parlamentari). 
Non è del tutto improbabile che sulla scelta di dare un'altra etichetta al progetto politico nei prossimi mesi abbiano pesato anche 
le considerazioni svolte ieri su questo sito e anticipate ad Adnkronos); si deve registrare anche la protesta di Insieme, partito di cristiani che si ispira alla Costituzione e alla Dottrina sociale della Chiesa, sviluppatosi tra il 2019 e il 2020 intorno a un manifesto dell'economista Stefano Zamagni e guidato da un coordinamento composto da Giancarlo Infante, Eleonora Mosti e Maurizio Cotta. Proprio loro ieri hanno diffuso alle agenzie una nota di protesta nei confronti del nuovo progetto politico legato Di Maio che così recita (si riporta il testo quasi intero del comunicato): 
Smentiamo che ci siano relazioni tra il nostro partito 'Insieme' [...] con questo annuncio di Luigi Di Maio che chiama "Insieme per il futuro" questo suo nuovo gruppo parlamentare creando una oggettiva confusione. Pertanto diffidiamo l’onorevole Di Maio ad utilizzare il nome Insieme per la sua nuova avventura politica. Ricordiamo che il partito Insieme è già stato presente alle recenti elezioni amministrative e che ha già numerosi eletti in vari consigli comunali in Italia. Non c’è dubbio alcuno che si tratta di un tentativo di scippo di un nome che rivendichiamo come assolutamente nostro. Non è la prima volta che questo accade: chiamare "Insieme per il futuro" il proprio gruppo parlamentare sembra infatti un dispetto di Di Maio a Conte, che due anni fa tramite ambienti a lui vicini aveva fatto circolare la voce sulla possibilità di dar vita a un partito chiamato Insieme, anche in quella occasione collegato dalla stampa e vari organi di comunicazione al nostro partito. Crediamo non meritino alcun commento queste forme spregiudicate e di mancanza di rispetto per le altre forze politiche.
Che qualcuno possa avere autonomamente messo in collegamento il nascente Insieme per il futuro con l'esistente Insieme non è da escludere; non si può certo dare per scontato che Di Maio e le persone vicine a lui conoscessero l'esistenza e l'attività del partito cristiano, non ancora così capillare e nota da potersi dare per scontata. Ci si sente però di negare con nettezza che Insieme possa impedire al nuovo progetto politico di usare il nome scelto. Innanzitutto, a differenza di quanto hanno affermato i vertici del partito - che, paradossalmente, dalle notizie di ieri ha avuto un'inattesa e indubbia pubblicità anche tra chi mai ne aveva sentito parlare o non l'ha trovato sulle schede delle elezioni amministrative - 
non si può sostenere che "Insieme per il futuro" sia confondibile con "Insieme": si tratta di due messaggi diversi, uno composito (con il fine esplicitato) e uno semplice. 
In nessun caso, poi, si potrebbe accettare una sorta di "esclusiva" su una parola relativamente comune come "Insieme" a vantaggio di una determinata forza politica
. Anche perché - è il caso di ricordarlo - l'uso in politica della parola "Insieme" precede la fondazione del soggetto politico frutto del "manifesto Zamagni": alla Camera approdò Tutti insieme per l'Italia, presentatasi alle elezioni del 2013 e tornata buona per permettere ad Alternativa libera di conservare la propria componente del gruppo misto, così come al Senato sempre nella scorsa legislatura era nata la componente Insieme per l'Italia legata a Sandro Bondi (priva però di simbolo, al punto che questo sito organizzò un concorso per dargliene uno). Per non parlare della lista Insieme, che aveva unito ex ulivisti, Verdi, Psi e Area civica, che corse alle politiche del 2018, finendo sulle schede di tutta l'Italia e avrebbe potuto formare tranquillamente un'articolazione parlamentare (gruppo o componente) se non avesse eletto solo Riccardo Nencini. Loro in effetti avrebbero potuto lamentarsi dell'uso della parola "Insieme" da parte di Infante, Cotta, Mosti e Zamagni: visto che non l'hanno fatto, non si vede perché dovrebbe potersi lamentare chi ha scelto solo più tardi di chiamarsi "Insieme".

La questione della raccolta firme e le nuove sortite sull'esenzione

Che nasca o meno il gruppo al Senato, tuttavia, la forza politica alla cui nascita Di Maio, Spadafora e le altre persone aderenti lavoreranno avrà un ostacolo molto rilevante da superare: la raccolta delle sottoscrizioni alle elezioni politiche. Dopo che la sentenza n. 48/2021 della Corte costituzionale - originata da un ricorso di Riccardo Magi e +Europa - ha respinto le questioni di legittimità in materia di numero di firme da raccogliere (si puntava alla riduzione a un quarto) e di esenzioni dalla raccolta (si era cercato di estenderne l'applicazione), valgono le regole previste "a regime" dalla "legge Rosato-bis", pur se applicate a un numero minore di collegi (a causa dell'intervenuta riduzione dei parlamentari). In particolare, per ogni collegio plurinominale - 49 alla Camera, 26 al Senato - occorre raccogliere tra 1500 e 2000 firme, con il numero minimo che si dimezza in caso di Camere sciolte oltre 120 giorni prima della scadenza naturale. Sarebbero esentate dalla raccolta firme solo le forze politiche dotate di gruppo parlamentare in entrambe le Camere all'inizio della legislatura, che attualmente sono solo cinque (MoVimento 5 Stelle, Lega, Partito democratico, Forza Italia, Fratelli d'Italia), cui si devono aggiungere i partiti rappresentativi di minoranze linguistiche che abbiano ottenuto almeno un seggio alle ultime elezioni politiche (nel 2018 ci sono riusciti Svp-Patt e Union Valdôtaine).
A febbraio, durante il procedimento di conversione del "decreto Milleproroghe", si era già tentato con emendamenti di varia provenienza di estendere la portata delle esenzioni a soggetti politici dotati di una qualche forma di presenza parlamentare qualificata, ma il tentativo non era andato a buon fine. Ora si sta tentando una nuova sortita durante la conversione di un altro decreto-legge, il c.d. "decreto elezioni 2022", che peraltro già conteneva la norma che - come nei due anni precedenti - riduceva a un terzo le firme necessarie per presentare le liste alle ultime elezioni comunali. Questa volta sembra muoversi qualcosa in più, ma non nella direzione inizialmente sperata e probabilmente in una maniera che lascia più di un dubbio sul piano dell'equità.
In particolare, vari emendamenti - presentati ovviamente da esponenti di partiti attualmente tenuti a raccogliere le firme per presentare candidature - puntavano ad agire sul numero delle firme da raccogliere (riducendolo a un terzo o poco meno, come quelli dei deputati di Alternativa Andrea Colletti e Francesco Forciniti), ma molto più spesso cercavano di estendere, anche in modo significativo, la portata delle esenzioni, sia pure seguendo diverse "piste". Se Alternativa puntava a esonerare stabilmente dalla raccolta firme tutte le liste legate a un gruppo o a una componente del gruppo misto presente almeno in una Camera, i deputati di Coraggio Italia avevano proposto varie soluzioni diverse: esentare stabilmente le liste "espressione di partiti rappresentati nel Parlamento italiano" o di un gruppo/componente presente almeno in una Camera, le liste legate ad almeno un gruppo parlamentare (in un caso addirittura esonerate dalla raccolta firme anche alle amministrative), a fine legislatura o alla data del 31 dicembre 2021, prevedendo pure un'ulteriore fattispecie esentante per i partiti o gruppi che alle elezioni politiche precedenti avessero ottenuto almeno un seggio con proprio contrassegno. 
Da considerare con attenzione erano gli interventi proposti da Riccardo Magi ed Enrico Costa (dunque da +Europa e Azione). Loro si sono fatti latori tanto di un emendamento per eliminare alla radice ogni ipotesi di esenzione (evidentemente per mettere tutte le forze politiche nella stessa condizione), quanto di due proposte di modifica volte a prevedere una tantum l'esenzione anche per altre due categorie di partiti o gruppi politici: quelli "che abbiano presentato candidature alle ultime elezioni per la Camera [...] in almeno due terzi delle circoscrizioni o alle ultime elezioni europee ed abbiano ottenuto almeno un seggio in ragione proporzionale" (visto che però tanto alle elezioni politiche quanto alle elezioni europee è prevista una soglia di sbarramento, di fatto quest'ipotesi ampliava il novero dei soggetti esonerati dalla raccolta solo a Liberi e Uguali, soggetto che peraltro da anni opera solo sul piano parlamentare, ma politicamente "non esiste") e quelli costituiti in gruppo parlamentare almeno in una Camera alla data del 31 dicembre 2021 (oltre a LeU, ne avrebbero beneficiato Italia Viva, Coraggio Italia e, volendo, anche Udc e Psi che condividono con altri partiti la denominazione di gruppo). Curiosamente, nemmeno +Europa avrebbe beneficiato di una di queste ipotesi di esenzione (non avendo superato la soglia di sbarramento e non disponendo di un gruppo parlamentare).
Il 15 giugno - quando ancora la scissione non era formalizzata - molti di quegli emendamenti presentati in commissione Affari costituzionali sono stati ritirati, tranne quelli di Alternativa (incluso uno di cui si dirà) e quello a firma Magi-Costa che combinava le due ipotesi viste (esonero esteso ai partiti presenti con un gruppo almeno in una Camera al 31 dicembre scorso e a quelli che hanno partecipato alle ultime elezioni politiche o europee ottenendo almeno un seggio "in ragione proporzionale"). La relatrice Sabrina De Carlo (M5S) e il governo - attraverso il sottosegretario Carlo Sibilia, dello stesso partito - hanno accettato quell'emendamento, imponendone però la riformulazione nel modo che segue:
Art. 6-bis. – (Disposizioni in materia di elezioni politiche) – 1. Le disposizioni dell'articolo 18-bis, comma 2, primo periodo, del testo unico delle leggi recanti norme per la elezione della Camera dei deputati, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361, si applicano, per le prime elezioni della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica successive alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, anche ai partiti o gruppi politici costituiti in gruppo parlamentare in almeno una delle due Camere al 31 dicembre 2021 o che abbiano presentato candidature con proprio contrassegno alle ultime elezioni della Camera dei deputati o alle ultime elezioni dei membri del Parlamento europeo spettanti all'Italia in almeno due terzi delle circoscrizioni e abbiano ottenuto almeno un seggio assegnato in ragione proporzionale o abbiano concorso alla determinazione della cifra elettorale nazionale di coalizione avendo conseguito, sul piano nazionale, un numero di voti validi superiore all'1 per cento del totale.
In sostanza, alle due ipotesi alternative previste dall'emendamento originario Magi-Costa se n'è aggiunta una terza, vale a dire quella volta a esonerare i partiti che "abbiano concorso alla determinazione della cifra elettorale nazionale di coalizione avendo conseguito, sul piano nazionale, un numero di voti validi superiore all'1 per cento del totale". Il riferimento, dunque, è alle liste coalizzate alle ultime elezioni politiche: nel centrodestra questo permetterebbe l'esenzione per Noi con l'Italia (unica lista della coalizione non dotata di proprio gruppo parlamentare), mentre nel centrosinistra potrebbe risultare esentata solo +Europa, perché né Civica popolare né Insieme hanno superato la quota dell'1% (immaginando ovviamente che l'1% si riferisca al totale dei voti validi espressi in Italia, non a quelli della coalizione). Nessuna esenzione sarebbe prevista invece per l'unica lista non coalizzata che nel 2018 aveva superato l'1%, quella di Potere al Popolo!, tuttora operante come forza politica e presente anche come componente dei gruppi misti; in ogni caso, nessuna componente (diversa da LeU, che alla Camera ha un proprio gruppo, da Noi con l'Italia e da quelle delle minoranze linguistiche) sarebbe esentata, come non lo sarebbero i gruppi ex M5S Costituzione Ambiente Lavoro - Alternativa - Pc - Idv e Insieme per il futuro, nati dopo la data fissata dall'emendamento.
In questi giorni si è autorevolmente notato - in particolare in alcune riflessioni di Gianluca De Filio - che, a differenza di quanto avvenuto nelle tre tornate elettorali precedenti, ora non si è scelto di applicare un criterio uniforme per l'esenzione una tantum (nel 2008 il disporre di due parlamentari italiani o europei che dichiaravano di essere rappresentati dal partito da esentare; nel 2013 il taglio di tre quarti delle firme per tutti i soggetti non già esonerati dalla legge elettorale; nel 2018 l'esenzione per i partiti costituiti in gruppo parlamentare almeno in una Camera alla data del 15 aprile 2017, con riduzione di tre quarti delle firme per gli altri), ma di prevedere un "doppio binario" che premia le liste coalizzate nell'ultima tornata elettorale, discriminando di fatto quelle non coalizzate (come Potere al Popolo!). Ciò è vero, ma è bene ricordare che anche nel 2006, alla prima applicazione della "legge Calderoli", si propose un "doppio binario", potenzialmente anche più discriminatorio di quello attuale. In quell'anno (e nel 2013) non erano esentate solo le liste espressione di partiti costituiti in gruppo parlamentare in entrambe le Camere all'inizio della legislatura (e quelle per i partiti rappresentanti di minoranze linguistiche che avevano ottenuto almeno un seggio), ma anche quelle che si fossero coalizzate con almeno due liste legate a partiti con due gruppi parlamentari e che avessero ottenuto almeno un seggio alle precedenti elezioni europee, purché avessero impiegato lo stesso simbolo schierato a quelle ultime europee. Posto che era difficile comprendere l'effettivo significato delle disposizioni, non sfugge che già allora si erano favorite le liste coalizzate, per giunta solo di coalizioni "maggiori" (formate da almeno due partiti presenti con gruppo in entrambe le Camere) e facendo dipendere l'esenzione dalle ultime elezioni europee (forse per l'assenza di sbarramento, per cui la platea dei soggetti esentati era più ampia). Forse non fu una norma chirurgica per beneficiare solo alcuni partiti (certamente ne fruirono Alternativa sociale, Fiamma Tricolore e Pensionati); di certo tagliò fuori dall'esenzione e mise in seria difficoltà la Rosa nel Pugno, perché i radicali non vollero ripresentare il simbolo della Lista Bonino per il loro nuovo progetto con i socialisti dello Sdi e quindi dovettero raccogliere le firme (e chiudere le liste ben prima di tutti gli altri).  
Tornando all'emendamento al "decreto elezioni 2022" riformulato, vanno registrate le proteste del deputato di Alternativa Forciniti: questi, nella seduta di I commissione del 15 giugno, si era indignato per il parere negativo sull'emendamento di Alternativa che oltre a esonerare dalla raccolta firme i partiti che potevano disporre di almeno un gruppo o una componente, si preoccupava anche di ridurre stabilmente lo "sbarramento all'ingresso" per le altre forze politiche, riducendo il numero delle sottoscrizioni richieste; ciò a fronte della riformulazione dell'emendamento Magi-Costa, individuata come volta a favorire "solamente i gruppi di maggioranza", chiedendo sulla base di quali valutazioni politiche si sia scelto di "favorire certi gruppi parlamentari" (e di escluderne altri, inclusi quelli sorti nel 2022, anche se questa norma era già prevista nell'emendamento originario). Nel resoconto non c'è traccia delle spiegazioni chieste da Forciniti, mentre l'emendamento Magi-Costa riformulato è stato approvato, pur con l'astensione di Vittoria Baldino (M5S) e il voto contrario di Elisa Siragusa (Europa Verde - Verdi). Vale la pena notare che prima era stato respinto un emendamento a firma Coletti-Forciniti, identico a una proposta - ritirata - di Magi e Costa, con cui si puntava a togliere l'obbligo di indicare i nomi dei candidati dei collegi uninominali sui moduli della raccolta firme per le liste dei collegi plurinominali: era stato, questo, un nuovo tentativo di porre rimedio alla situazione "tossica" emersa già alla vigilia della presentazione delle candidature nel 2018, per cui le liste interessate a coalizzarsi ma tenute alla raccolta firme devono attendere che il resto della coalizione - a partire dalle liste che non hanno bisogno di sottoscrittori - decida i nomi dei candidati dei collegi uninominali prima di poter raccogliere le sottoscrizioni necessarie, riducendo così il già scarso tempo a disposizione. La vita per le liste non esonerate dalla raccolta firme resta dunque difficile e assai poco equa (anche se "sganciare" i candidati dei collegi uninominali da quelli delle liste avrebbe creato altri problemi).   
Se però era stato raggiunto un accordo in commissione, risulta - sempre attraverso il profilo Fb di Gianluca De Filio, in un post di ieri, giorno dell'annuncio della scissione di Di Maio e varie altre persone elette con il M5S - che sia stato presentato un emendamento dal deputato Pd Stefano Ceccanti, volto ad ampliare le ipotesi di esenzione (e proprio ieri si è rinviato l'esame del disegno di legge di conversione del decreto). Si riporta di seguito il testo dell'articolo come risulterebbe modificato dall'emendamento
Art. 6-bis. – (Disposizioni in materia di elezioni politiche) – 1. Le disposizioni dell'articolo 18-bis, comma 2, primo periodo, del testo unico delle leggi recanti norme per la elezione della Camera dei deputati, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361, si applicano, per le prime elezioni della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica successive alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, anche ai partiti o gruppi politici costituiti in gruppo parlamentare in almeno una delle due Camere al 31 dicembre 2021 o che abbiano presentato candidature con proprio contrassegno anche se composito alle ultime elezioni della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica o alle ultime elezioni dei membri del Parlamento europeo spettanti all'Italia in almeno due terzi delle circoscrizioni e abbiano ottenuto almeno un seggio assegnato o che abbiano concorso alla determinazione della cifra elettorale nazionale di una coalizione che ha avuto almeno un eletto, con almeno 150.000 voti validi sul piano nazionale sia alla Camera sia al Senato e che abbia partecipato all'ultima ripartizione del gettito derivante dal 2 per mille.
Fermo restando dunque l'esonero dalla raccolta firme per i partiti legati a gruppi esistenti alla fine dello scorso anno (LeU, Italia viva, Coraggio Italia e quasi certamente Udc e Psi), il contemporaneo riferimento al contrassegno "anche se composito" alle elezioni politiche ed europee e all'ottenimento di un seggio senza più specificare "in ragione proporzionale" aprirebbe all'esenzione per un numero ben maggiore di soggetti. Potendo rilevare anche i seggi ottenuti nei collegi uninominali da soggetti che intendano fare riferimento ai partiti presenti "in miniatura" in un contrassegno composito potrebbe permettere l'esenzione - oltre che al Psi e all'Udc, se non si fossero già fatti rientrare nella fattispecie dei gruppi in una Camera - anche a Centro Democratico (che ha eletto almeno Bruno Tabacci), ai Centristi per l'Europa (che hanno eletto Casini) e ad Alternativa popolare (che aveva eletto Beatrice Lorenzin e Gabriele Toccafondi), ma a quel punto potrebbe essere difficile negare l'esenzione anche alle altre "pulci" di Insieme (Verdi, Area civica, ulivisti di Insieme) e Civica popolare (L'Italia è popolare, Unione - per il Trentino - e Idv), liste che non avevano preso l'1% ma 150mila voti sì. In più il riferimento alle elezioni europee, come giustamente nota De Filio, "potrebbe garantire una deroga anche a Calenda da solo, senza bisogno di presentare un simbolo comune con +Europa", in virtù della corsa elettorale comune alle europee del 2019 nella lista con il Pd: il fatto, tra l'altro, che Siamo europei - che ha partecipato alla ripartizione del 2 per mille, come chiesto dall'emendamento - si sia ufficialmente trasformata, anche per il Registro dei partito in Azione non comporterebbe forse nemmeno la necessità di riesumare il riferimento grafico a Siamo europei. Quanto al riferimento alla partecipazione all'ultima ripartizione del 2 per mille (dovendosi intendere per "ultima" quella decisa tra la fine del 2021 e l'inizio del 2022, non ne è troppo chiara la portata concreta: vari tra i partiti cui è stato negato l'accesso al 2 per mille per il 2022, infatti, sarebbero comunque esenti per altri motivi (M5S, Alternativa popolare, Noi con l'Italia).
Si può capire come un'eventualità simile non piaccia al centrodestra (che vedrebbe moltiplicarsi i simboli "liberi da firme" a sinistra), ma di certo non piacerebbe nemmeno ad Alternativa e al costruendo soggetto politico di Di Maio, tuttora legato alle firme da raccogliere. Si vedrà nei prossimi giorni se passerà l'emendamento di Ceccanti o se resterà il testo votato in commissione. Nel frattempo, anche stavolta, dovere o non dover raccogliere le firme potrebbe essere (anche) questione di simboli. 

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