domenica 31 luglio 2022

Le 30 volte (e più) di "Impegno civico" prima di Di Maio e Tabacci

Le liste Impegno civico presentate nel 2022
Che Insieme per il futuro fosse un nome provvisorio, dato ai gruppi legati al nuovo progetto politico di Luigi Di Maio dopo l'uscita dal MoVimento 5 Stelle era stato subito annunciato da Vincenzo Spadafora in diretta tv. Dopo le dimissioni reiterate di Mario Draghi e lo scioglimento delle Camere, più che per il nuovo nome la curiosità era per le scelte di chi aveva seguito Luigi Di Maio: il poco tempo a disposizione per mettere in piedi un progetto di lista e farlo conoscere senza avere ancora creato una struttura solida avrebbe potuto portare a scelte diverse rispetto a un progetto elettorale autonomo. La notizia in base alla quale Centro democratico di Bruno Tabacci, dopo avere permesso a Insieme per il futuro di nascere come gruppo al Senato, avrebbe anche potuto esentare una probabile lista "in condominio" (grazie all'esenzione di cui Cd fruisce in virtù della partecipazione alla lista comune con +Europa nel 2018, anche solo perché +E sarebbe esente anche come partito che ha eletto un deputato in ragione proporzionale, pur se nella circoscrizione Estero) ha riacceso l'interesse verso l'atteso nuova etichetta di Insieme per il futuro. 
Così, dopo l'annuncio di una conferenza stampa per domattina con la presentazione del simbolo e del programma della lista Di Maio - Tabacci, non poche persone tra i #drogatidipolitica avevano fatto scattare il conto alla rovescia, nell'attesa di conoscere meglio le nuove sembianze - anche grafiche - della seconda avventura da "nocchiero elettorale" dell'inossidabile Brown Tabax (absit iniuria verbis, ovviamente: ci si limita a sorridere, riconoscendo il genio quando c'è). Oggi stesso, tuttavia, proprio Di Maio - ospite di Lucia Annunziata a In mezz'ora in più - ha già svelato la nuova etichetta del progetto politico che porterà avanti con Tabacci: Impegno civico. Neanche il tempo di metabolizzare la notizia e sui social sono iniziati i primi rilievi: anche il nome appena scelto, in effetti, non era nuovo, essendo già stato usato a livello locale.

Scegliere nomi e simboli nuovi: un lavoraccio...

Chi frequenta questo sito da poco o molto tempo o ha sperimentato anche soltanto una volta la preparazione di una campagna elettorale amministrativa lo ha imparato: concepire e realizzare un simbolo originale, efficace e che possa stare bene a tutti -  anche quando si è in poche persone - è davvero un lavoraccio e molto spesso non riserva soddisfazioni (soprattutto se il risultato elettorale è inferiore alle attese e spunta qualcuno che, tra le tante cause della sconfitta o della delusione nelle urne, addita anche il fregio elettorale scelto).
Ancora prima, però, è un lavoraccio scegliere un nome altrettanto originale ed efficace per una lista o per un progetto politico: tra i circa 8mila comuni che, in ordine sparso e periodicamente vanno e tornano al voto, chi vuole cercare di evadere almeno in parte dalla tradizione, da piste già battute finisce per tornare sul già sentito, sul già letto. A volte lo si fa di proposito (specie se una formula ha funzionato bene altrove), altre volte il richiamo - anzi, il riciclo - è involontario, perfino inconsapevole. E se quest'eventualità rischio si corre a livello locale, figurarsi a livello nazionale: difficile tenere il conto di quante liste sono già state chiamate in un certo modo o in maniera simile, con il rischio che qualcuno lamenti la copia o che il precedente cui si scopre di somigliare non sia stato proprio luminoso (a causa della sconfitta o di altre circostanze). In fondo è anche per questo che, negli ultimi anni, quasi tutte le nuove forze politiche hanno accuratamente evitato di identificarsi con le parole "partito" o "movimento" (da completare con aggettivi spesso ritenuti generici, poco identificabili), scegliendo piuttosto nomi distanti - almeno in apparenza - dalla tradizione.
Anche Insieme per il futuro, in fondo, voleva essere diverso rispetto alle forze politiche che avevano agito a livello nazionale fino a quel momento. In qualche modo lo era - anche se era arrivata la diffida del soggetto politico di cattolici Insieme, che però a sua volta avrebbe dovuto ammettere la somiglianza almeno con la lista Insieme del 2018... - ma probabilmente non si erano fatti i conti con l'universo delle liste civiche presentate nei vari comuni e non si era speso qualche minuto per una ricerca limitata almeno agli ultimi anni. Com'è noto, questo sito - grazie a una ricerca di chi scrive e di Massimo Bosso - ha identificato 50 liste locali presentate tra il 2019 e il 2022 (elenco incompleto perché in alcuni anni non si sono potuti verificare i comuni di certe regioni, come la Sicilia) denominate "Insieme per il futuro", magari con l'aggiunta del toponimo. Nessun problema di copyright ovviamente, proprio per il numero notevole di precedenti che impedisce di risalire al primo caso, ma non si può dire che la scelta sia stata originale.

I precedenti di "Impegno civico"

Il simbolo casus belli di Marigliano
Di certo chi appartiene alla categoria dei #drogatidipolitica di solito ha buona memoria, per le elezioni cui ha partecipato (votando o candidandosi) e non di rado anche per altre che hanno catturato il suo interesse. Così, poco dopo le 16, su Twitter qualcuno - all'annuncio del nome scelto per il nuovo progetto di Di Maio e Tabacci riportato da un giornalista attento, innamorato della politica parlamentare pur tenendo da tempo l'occhio innanzitutto sul Quirinale - era già in grado di ricordare che almeno un Impegno civico sulle schede era già spuntato: si trattava, per l'esattezza, della lista Impegno civico insieme, presentata a Marigliano in provincia di Napoli nel 2020, con la parola "insieme" che si vedeva assai meno di ogni altro elemento.
A quel punto era inevitabile che scattasse la ricerca, con una precisazione che sembra d'obbligo: chi scrive non ha assolutamente nulla contro Luigi Di Maio, il suo progetto e chi intende seguirlo. "Impegno civico" è un nome positivo, che dovrebbe evocare - tanto a livello locale quanto su scala nazionale - qualcosa di "buono", in ogni sua parola e nel suo concetto complessivo. 
Le liste Impegno civico presentate nel 2021
Si è già detto che non c'era e non c'è nulla di problematico sul piano giuridico nella scelta di un nome usato in tante realtà locali, tanto più che lo stesso Di Maio ha segnalato in più occasioni il legame da cercare con i territori e con i loro amministratori, dai quali si vorrebbe partire per costruire il progetto politico-elettorale. Detto tutto questo, colpisce comunque la scarsa originalità dell'etichetta, che vuole identificare qualcosa di nuovo partendo da un nome che - anche in questo caso - nuovo non è. E se di "Insieme per il futuro avevamo trovato 50 occorrenze negli ultimi quattro anni", "Impegno civico" si è ripetuto almeno una trentina di volte tra il 2019 e il 2022 in altrettanti comuni d'Italia.
Di seguito, dunque, ecco la tabella che riporta i precedenti usi di "Impegno civico", magari integrati con il nome del comune, segnalando anche le varianti che si possono accostare a quell'elenco:    

Le liste Impegno civico presentate nel 2020
(tranne Marigliano e Oneta, già viste)
4 liste nel 2022: Castel San Giorgio (Sa), Cittàducale (Ri), Averara (Bg), Sava (Ta), cui aggiungere la lista Insieme e Impegno civico per Lucca.
6 liste nel 2021: Cenadi (Cz), Ascrea (Ri, con un candidato sindaco che, tra l'altro, si chiamava Marco Renzi e non aveva vinto), Valnegra (Bg: il simbolo non è un errore, è lo stesso visto quest'anno ad Averara, legato alla stessa persona), Barzanò (Lc), San Giorgio Ionico (Ta), San Giovanni Lupatoto (Vr, con Fdi).
6 liste nel 2020: Marigliano (Na), Oneta (Bg, ancora lo stesso simbolo di Averara e Valnegra), Lonato del Garda (Bs), Gemonio (Va), Valperga (To), Eraclea (Ve), cui si può aggiungere la lista Valori e impegno civico a Cascina (Pi).
Vari simboli presentati nel 2019
15 liste nel 2019
: Castiglione dei Pepoli (Bo), Tredozio (Fc), Verucchio (Rn), Veroli (Fr), Ceto (Bs), Orzivecchi (Bs), Vobarno (Bs), Canzo (Co, con Lega), Lomagna (Lc), Maccagno con Pino e Veddasca (Va), Castelsantangelo sul Nera (Mc), Silvano d'Orba (Al), Sangano (To), Roasio (Vc), Carbonera (Tv), cui si può aggiungere la lista Impegno civico condiviso a Costigliole d'Asti (At).

Il nome, dunque, risulta abbastanza frequente, specie in realtà piuttosto piccole (ma non sempre), anche se meno di quanto non fosse "Insieme per il futuro". Quasi certamente, però, il simbolo di Impegno civico che sarà presentato domani non somiglierà affatto a quelli visti qui: unica altra certezza è che conterrà la "pulce" di Centro democratico, per poter evitare la raccolta firme. Per gli altri dettagli, basta attendere qualche ora.

Unione per le cure i diritti e le libertà, per cambiare la sanità e la politica

Tra le forze politiche interessate a presentare liste alle prossime elezioni politiche c'è anche l'Unione per le cure, i diritti e le libertà (in sigla Ucdl, ma a volte si usa anche Unione Cdl), nata come associazione oltre un anno fa e trasformatasi in soggetto politico - con tanto di presentazione pubblica - il 22 febbraio di quest'anno. In base al suo statuto, Ucdl si propone di agire in sede nazionale e internazionale per migliorare le cure sanitarie, domiciliari e ospedaliere, per la libertà delle persone (come singole e nelle rispettive formazioni sociali), per il perseguimento dei diritti economici, dell'uguaglianza sostanziale dei cittadini specie in materia di accesso pieno e libero alle cure sanitarie e agli altri diritti (in qualunque documento siano sanciti), nonché per proporre soluzioni ai problemi nazionali ed europei "in tema di cure e organizzazione sanitaria, soprattutto con riferimento alla medicina territoriale, nonché con riferimento alle politiche economiche e sociali, con l’obiettivo primario di tutelare le persone, la loro salute e la loro condizione economica, favorendo l’accesso all'istruzione ed al sistema sanitario nazionale". 
Fondatore e presidente dell'Unione Cdl è Erich Grimaldi, avvocato cassazionista del foro di Napoli; co-fondatrice, per parte sua, è Valentina Rigano, giornalista impegnata in inchieste e servizi di cronaca nera e giudiziaria con testate di rilievo nazionale. Nel sito del movimento politico si legge che Rigano è "al fianco di Grimaldi nella battaglia per le cure domiciliari": proprio a quest'ultima si ispira almeno in parte anche il simbolo, che in un cerchio occupato per circa metà da un segmento concavo azzurro sfumato (nel quale è contenuta la sigla) si vede su fondo bianco "una casetta stilizzata, di colore blu, con un comignolo sul lato sinistro del tetto a falda, con un cerchio blu, al centro, avvolto da una bandiera italiana, con una croce stilizzata sulla parte bianca della bandiera stessa". La casa, dunque, come luogo di terapia e cura, innanzitutto pubbliche e in sicurezza.
Giusto ieri l'Ucdl ha tenuto a Roma il suo primo congresso nazionale, al termine del quale Grimaldi e Rigano hanno rimarcato l'intenzione di lottare per un "cambiamento di mentalità della Politica, che negli ultimi decenni ha trattato gli italiani come una massa informe di persone a cui ordinare cosa fosse giusto pensare e cosa no: il nostro Paese è fatto di persone, di lavoratori, di famiglie, che hanno il diritto di essere informate con trasparenza e di essere messe nelle condizioni di prendere la decisione che ritengono migliore. Abbiamo lottato strenuamente perché l’informazione facesse la sua parte, senza schierarsi. Oggi siamo pronti a dialogare con chi non dimentica quanto è accaduto in questi due anni". Sono state rivendicate, in particolare, le battaglie "per la libertà, per il lavoro, combattut[e] con ogni mezzo in Tribunale, per ottenere il diritto alla cura domiciliare precoce senza vigile attesa, per dimostrare quanto le restrizioni imposte dal green pass non abbiano giovato al controllo della pandemia, di quanto l'obbligo vaccinale sia stato un provvedimento contrario alla Scienza, fino al voto dell'8 aprile 2021, quando il Senato ha votato all’unanimità perché il Governo aprisse un tavolo di lavoro che desse spazio ai medici delle terapie domiciliari, per mettere a punto un vero protocollo di cura, completamente ignorato".
Accanto all'impegno per la garanzia di cure e la libertà di scelta (e in materia di reazioni avverse), nonché contro le limitazioni ritenute contrarie alla Costituzione, altri fronti di mobilitazione in materia di salute, rispetto dei diritti, sicurezza, giustizia (avendo come obiettivi la separazione delle carriere in magistratura e la certezza della pena), formazione, economia, ambiente e attenzione alla persona.
Il congresso di ieri doveva essere anche, nelle intenzioni di chi lo aveva convocato, l'occasione per unire le forze tra i vari soggetti politici e sociali che non si sono riconosciuti nelle scelte compiute a livello pubblico negli ultimi due anni abbondanti, in modo da confezionare un'unica proposta politico-elettorale. L'invito, tuttavia, non sembra essere stato accolto (le liste "del dissenso", come già si sta vedendo e si vedrà nei prossimi giorni, sono più d'una); in ogni caso, l'Unione per le cure, i diritti e le libertà sembra volere presentare proprie liste alle prossime elezioni politiche, impegnandosi a raccogliere le firme necessarie ove questo sarà possibile. Che l'intenzione sia concreta, almeno sul piano delle dichiarazioni, lo indicherebbe un post uscito sulla pagina Facebook del movimento ieri mattina, in cui si metteva in guardia da eventuali richieste di firme in questi giorni: "Non sono raccolte firme ufficiali e Ucdl! Non è ancora stata diffusa dal ministero la scheda ufficiale per la raccolta! Appena avremo il via libera, Ucdl nella persona del presidente Avvocato Erich Grimaldi diffonderà le date e punti di raccolta sui territori". 
In effetti, non essendo cambiata alcuna norma elettorale rispetto alle elezioni del 2018, si potrebbero tranquillamente impiegare i moduli per la raccolta firme pensati per le precedenti elezioni politiche, ovviamente presentati avendo riguardo ai nuovi collegi plurinominali e uninominali da poco resi ufficiali (e dunque individuando le candidature in base a questi). Il simbolo dell'Unione Cdl, comunque, dovrebbe essere depositato al Ministero dell'interno, nell'ottica di poter presentare in seguito le liste; il tempo a disposizione, in ogni caso, non è molto.

Vita, lista di Polacco e Cunial "contro la sospensione di libertà e diritti"

Nel simbolo, a fondo blu, c'è un albero dalla chioma tricolore, con volto di donna e radici profonde. Quello stesso albero funge da "i" maiuscola per l'unica parola riporta all'interno del cerchio: "Vita". Non a caso quella pianta inserita nel simbolo è identificata come l'albero della vita e proprio Vita è stata denominata la lista che sarà presentata domani mattina - alle 11 presso l'Associazione della Stampa estera - e che intende concorrere alle elezioni politiche del 25 settembre per reagire alla situazione che i soggetti promotori hanno chiamato la "
sospensione delle libertà e dei diritti costituzionali", con riferimento agli ultimi due anni abbondanti di vita italiana.
I principali promotori dell'aggregazione elettorale risultano essere la deputata Sara Cunial (eletta con il MoVimento 5 Stelle, espulsa nel 2019 dal gruppo M5S e tuttora nel gruppo misto tra i non iscritti) e l'avvocato Edoardo Polacco, due figure ben note tra coloro che dal 2020 in avanti hanno dichiarato e praticato la loro contrarietà rispetto alle scelte compiute dai governi Conte-bis e Draghi per affrontare la pandemia da Sars-CoV-2: il sito aperto dal gruppo - www.votalavita.it - parla di "lista unitaria delle forze coerenti del dissenso, [...] nata per costruire una nuova comunità sociale e politica di esseri umani coscienti e consapevoli, per mettere i migliori talenti a disposizione della comunità nazionale, creando le basi di un futuro saldato sui valori inviolabili di libertà di scelta, autodeterminazione, diritti naturali ed ecosistema", il tutto "nel profondo rispetto e cura per la vita". "La maggior forze popolari che si sono opposte allo stato emergenziale, al green pass obbligatorio, alla sospensione e licenziamento di centinaia di migliaia di lavoratori che si sono opposti alla soppressione dei valori costituzionali - a sua volta ha sottolineato Polacco - hanno aderito all’appello popolare ed hanno costituito una alleanza elettorale per dare voce a chi vuole nuovi e propri rappresentanti nel Parlamento italiano".
In un certo senso si può considerare Vita come evoluzione in senso elettorale - o comunque frutto - della "rete di reti R2020", fondata da Cunial appunto nel 2020, ove la "R" della sigla stava per "ribellione", ma anche "resistenza" e "rinascita": con la deputata già allora c'era il consigliere regionale del Lazio Davide Barillari (già M5S), di nuovo presente in questo progetto. 
Tra i promotori della lista in formazione - che non può essere etichettata in maniera sbrigativa come "lista no vax", vista la varietà di temi e soggetti collettivi rappresentati - nella nota che ha comunicato l'avvio del progetto sono stati indicati anche il segretario del Movimento 3V Luca Teodori, l'analista geopolitico
 Paolo Sensini (legato all'iniziativa No Paura Day), il gruppo "Sentinelle della Costituzione - Io sto con l'Avvocato Polacco" (che ha dichiarato di avere messo "a disposizione tutte le proprie strutture ed aderenti per partecipare ad una nuova sfida democratica"), Rosario Rocco del Priore (dell'associazione Il Popolo italiano), Simona Boccuti (in rappresentanza del Popolo delle mamme), nonché Maurizio Martucci (portavoce dell'Alleanza Italiana Stop 5G). 
Nell'elenco non manca neppure l'attore Enrico Montesano, quale rappresentante/portavoce di Unione popolare (ovviamente da non identificare con il raggruppamento di sinistra in procinto di presentare una lista avendo Luigi De Magistris come capo della forza politica): questa era stata presentata come "lotta dei popoli contro le élites", sulla base della convinzione per cui (aveva dichiarato Montesano ad Adnkronos) "i
l popolo è diventato il bersaglio, e non è solo una cosa italiana. Il David del Bernini stilizzato nel logo dell'Unione Popolare è quello che combatte contro il gigante Golia delle élites, del Nuovo Ordine Mondiale, dei 'grandi della Terra'. Siamo un piccolo David, ma se abbiamo il popolo dalla nostra parte, qualcosa di importante si può fare".
Per partecipare alle elezioni, ovviamente, la lista Vita dovrà impegnarsi a raccogliere le firme richieste dalla legge, per cui ha tutto l'interesse a completare le candidature quanto prima per poter andare alla ricerca di sottoscrittori. "Stiamo unendo i movimenti spontanei, le associazioni, i comitati e le sigle - ha spiegato Sara Cunial - che in questi ultimi due anni e mezzo hanno dato vita alla resistenza italiana con forza d’animo, coraggio e coerenza per contestare dal basso le politiche liberticide dei governi Conte e Draghi che, con la complicità di tutti i partiti e delle finte opposizioni, ci hanno spinto nella sospensione delle libertà e dei diritti costituzionali. Vogliamo cambiare radicalmente il paradigma per rispondere alla loro tetra cultura della morte con una visione armonica votata esclusivamente alla vita da donne e uomini liberi. Parteciperemo alle prossime elezioni politiche per portare in Parlamento i cittadini che eroicamente non si sono piegati, resistendo in nome dei valori naturali dell'umanità. Nella preparazione delle liste elettorali candideremo cittadini per bene, stiamo selezionando le candidature e le collaborazioni di quanti, eccellendo nei propri talenti, intendono consapevolmente mettersi a disposizione della comunità nazionale: le nostre pregiudiziali politiche sono sui conflitti d'interessi con industrie e multinazionali, l'appartenenza a logge segrete e deviate, lobbisti, ambienti corrotti ed estremisti". Se riusciranno a ottenere le sottoscrizioni prescritte, promotrici e promotori di Vita potranno proporre il loro programma, tanto a chi lo condivide, quanto a chi lo avversa o non lo reputa interessante.

sabato 30 luglio 2022

Sicilia, nuovo simbolo (con nuova colomba) per il Mpa di Lombardo

L'attenzione di molte persone è comprensibilmente attratta dalle elezioni politiche che si terranno il 25 settembre. Non si può però dimenticare che in autunno sono previste anche le elezioni regionali in Sicilia, per le quali peraltro non è ancora stata stabilita la data. Giusto cinque giorni fa, il presidente della Giunta Regionale Nello Musumeci aveva dichiarato: 
"Sto incontrando i segretari regionali dei partiti della coalizione di centrodestra sul tema dell'accorpamento della data delle elezioni nazionali e regionali. Ancora qualche giorno di riflessione e poi prenderò la mia decisione". C'è dunque la possibilità che il 25 settembre elettrici ed elettori della Sicilia ricevano, oltre alle due schede relative alle elezioni politiche, anche quella per le regionali; i tempi per concentrare il voto in una sola data, tuttavia, si assottigliano (e l'idea non piace soprattutto alle forze politiche regionali), rendendo più probabili i comizi elettorali regionali in una domenica tra ottobre e novembre.
Nell'attesa che il presidente uscente Musumeci fissi la data del voto sull'isola, c'è chi si è preparato per tempo proponendo una nuova immagine per il proprio partito: ci si riferisce al Movimento per l'autonomia legato all'ex presidente della Regione Siciliana Raffaele Lombardo. Si tratta, a ben guardare, di alcuni passi avanti e di uno indietro: quest'ultimo è quello riferito al nome, visto che nei primi anni di attività - dal 2005 - il partito si è chiamato effettivamente Movimento per l'autonomia, per poi essere ridenominato nel 2009 Movimento per le autonomie, al plurale (un cambiamento in fondo poco visibile, considerando che il più delle volte per identificare il soggetto politico si è usata la sigla Mpa). A dispetto del cambio nome, l'elemento chiave dei vari emblemi che il partito ha avuto è sempre stata la colomba, anzi, un tipo particolare di colomba disegnata ad ali spiegate, vista dal basso, con tratto blu e riempimento bianco, una specie di biforcazione sulla coda - che in realtà altro non è che l'immagine stilizzata dell'Ichthys, il "pesce" dei primi cristiani, che non stupisce vista la provenienza dei promotori dall'Udc - e spesso un nastro tricolore nel becco, anzi, tre nastri (uno per colore della bandiera).
Quella colomba era stata mantenuta anche quando il partito - guidato nel frattempo da Roberto Di Mauro - aveva deciso di rinominarsi Movimento nuova autonomia, mutando anche la sua storica sigla in Mna. Qualcosa, in compenso, era cambiato sotto l'aspetto cromatico: al di là dell'azzurro del cielo, infatti, il blu aveva lasciato il posto al rosso come colore ben marcato (nel segmento inferiore in cui si è inserito il nuovo acronimo), insieme al giallo: la coppia di colori che caratterizza la bandiera siciliana tinge anche i due nastrini che la colomba teneva nel becco, quasi a voler suggerire una maggiore attenzione per la Sicilia (vale a dire la regione in cui il movimento è nato e si è maggiormente sviluppato e radicato, pur essendo presente anche altrove).
Lo scorso 16 maggio, peraltro, tra le domande di marchio è apparsa quella per il nuovo simbolo del partito, presentata a nome di Raffaele Lombardo: la registrazione è stata chiesta per la classe 41 (Educazione; formazione; divertimento; attività sportive e culturali) della classificazione di Nizza. Il simbolo appare più semplice e schematico dei precedenti: il fondo del cerchio è bianco con una nuova colomba stilizzata, stavolta assai meno elaborata, vista di lato e - particolare non indifferente, soprattutto sul piano del "posizionamento" e del patrimonio ideale del partito - senza più Ichthys; anche i due nastrini che reca in bocca, rimasti di colore giallo e rosso, sono molto più sottili e meno curvilinei rispetto al passato. Il nome è tornato a essere Movimento per l'autonomia, scritto molto piccolo al di sotto della colomba e della recuperata sigla, collocata a sinistra; tanto quelle parole, quanto il riferimento agli "Autonomisti" nel segmento rosso inferiore (con una striscetta arancione), sono scritti peraltro con un carattere bastoni diverso rispetto al passato, leggermente stondato.
Non è impossibile che il simbolo arrivi nelle bacheche del Ministero dell'interno; sicuramente però sarà depositato per le elezioni siciliane e finirà sulla scheda, cercando di cogliere un risultato rilevante per poter tornare al centro della scena della politica regionale.

venerdì 29 luglio 2022

Referendum e Democrazia, il simbolo per la raccolta digitale delle firme

AGGIORNAMENTO DELL’11 AGOSTO 2022:
Piccolo ritocco al simbolo della Lista Referendum e Democrazia, divulgato Il giorno prima dell’apertura del deposito dei contrassegni elettorali. Il nome corretto della forza politica lo conosceremo nelle prossime ore, visto che ora l'emblema, pur avendo mantenuto la stessa struttura compositiva e cromatica, si è arricchito di alcuni elementi testuali. 
In particolare, la parola "Referendum" nella parte superiore è stata disposta ad arco, per fare spazio subito sotto alle parole "eutanasia" e "cannabis": si tratta di un ovvio riferimento ai due quesiti referendari per i quali erano state raccolte moltissime firme (anche grazie alla novità della sottoscrizione in forma digitale, ottenuta grazie all’emendamento a prima firma di Riccardo Magi), ma che la Corte costituzionale ha ritenuto inammissibili, un verdetto ritenuto sbagliato e inaccettabile dai soggetti promotori.
Al centro è sparita la "e" e con questa, anche la curva della parte rosa, che questa volta risulta leggermente ampliata: è questa in fondo la modifica grafica di maggior rilievo. La parte inferiore resta dominata dalla parola "Democrazia", ma subito sotto è stato aggiunto il riferimento a Marco Cappato, principale volto di questo progetto politico-elettorale di testimonianza insieme a Virginia Fiume.
Sicuramente la nuova versione del simbolo è più completa, perché identifica le principali battaglie per cui i promotori della lista si sono battuti e si battono tuttora: forse la raccolta firme non riuscirà, ma questo periodo - è l'aspetto più rilevante - sarà servito di certo a rendere più persone informate su alcuni temi che necessitano di mobilitazione, per sottolineare il deficit di democrazia che l’Italia sta vivendo nelle sue procedure di partecipazione fondamentali (con riferimento, dunque, anche alla raccolta delle sottoscrizioni in forma digitale anche per le elezioni politiche). La completezza del messaggio ha purtroppo anche risvolti negativi: il simbolo ora risulta molto più pieno di prima, al punto tale che l’armonia e il risultato complessivo estetico non ne hanno tratto giovamento. In questo caso, però, è più importante che passi il messaggio, con la necessità di fare qualcosa per la salute della democrazia. Anche attraverso un simbolo di una lista che vuole spiegare e mobilitare, prima che candidare e concorrere.

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Non è dato sapere, al momento, se riuscirà a finire sulle schede elettorali, ma la Lista per i Referendum e la Democrazia, il cui simbolo è stato presentato in una conferenza stampa su YouTube da Marco Cappato Virginia Fiume, co-presidenti di Eumans! (movimento paneuropeo di iniziativa popolare e nonviolenta), ha scelto di trasformare il periodo di pre-campagna elettorale in un terreno di lotta politica "per riconquistare il diritto al referendum, alla democrazia e alla partecipazione democratica" (come detto da Cappato in uno dei suoi interventi), innanzitutto attraverso la richiesta di consentire almeno la raccolta delle firme a sostegno delle liste, oltre che in forma cartacea con autenticazione - l'unico mezzo previsto dalla legge e accettato al momento - anche in forma digitale, per esempio mediante lo Spid, come si è consentito da qualche manciata di mesi per i quesiti referendari.

La lettera-appello e lo sciopero della fame

Lunedì, in particolare, Fiume e Cappato (insieme a Filomena Gallo, segretaria dell'Associazione Luca Coscioni, e Marco Perduca, coordinatore di Science for Democracy) hanno inviato una lettera al presidente del Consiglio Mario Draghi e, per conoscenza, al presidente della Repubblica Sergio Mattarella, segnalando la necessità di intervenire "con urgenza per consentire la sottoscrizione attraverso firma digitale o firma con Spid per la presentazione delle liste di candidati alle elezioni politiche", poiché lo scioglimento anticipato, i tempi stretti previsti dalle norme elettorali e le forme di presentazione delle candidature da queste previste creerebbero - e già creano - ostacoli "al limite dell'impossibilità materiale" alla raccolta firme e, soprattutto, "una palese discriminazione tra i partiti dotati di esenzione, che possono fino all'ultimo momento utile modificare simboli, candidati e apparentamenti, e partiti non esentati, i quali invece si vedono preclusa la possibilità di ricerca di candidati e di eventuali trattative con altre forze politiche". Tali condizioni provocherebbero "l'esclusione dalla prossima competizione elettorale di partiti potenzialmente rappresentativi, ma discriminati in base alle attuali modalità di presentazione": ciò potrebbe essere evitato con un intervento del governo volto a "sventare il compimento di tale violazione dei diritti civili e politici", o attraverso un intervento in attuazione della delega ricevuta già nel 2017 "per la sperimentazione della sottoscrizione elettronica per la presentazione di liste di candidati alle elezioni". La lettera-appello era stata rivolta a Draghi - presidente del consiglio dimissionario, ma tuttora in carica per il disbrigo degli affari correnti - perché intervenisse per affrontare "questa discriminazione nei confronti della partecipazione elettorale in un momento in cui sempre meno persone si recano alle urne" e lo facesse in fretta, per evitare di frustrare gli spazi per presentare le liste in quel momento ancora esistenti.
"In fondo - ha spiegato Fiume durante la conferenza stampa - a Draghi avevamo chiesto solo che la strada che era già stata seguita nei mesi scorsi per consentire la raccolta delle firme in forma digitale per i referendum fosse estesa anche alla presentazione delle liste per le elezioni. Per noi il momento elettorale è una chiave per la protezione della democrazia e una democrazia inaccessibile non è democrazia. Considerando che è quasi impossibile mettere in atto in modo regolare tutte le formalità previste in materia di presentazione delle candidature già in tempi normali, in condizioni di fretta come queste è persino difficile decidere le candidature in modo razionale e ragionato: l'accesso alla raccolta firme digitale era quindi secondo noi un elemento essenziale per consentire alle forze politiche di partecipare comunque al gioco democratico presentando liste anche in condizioni particolari come queste, un punto di partenza necessario per noi. Non abbiamo però ricevuto alcuna risposta, nemmeno dopo che mercoledì ho comunicato al presidente Draghi la mia scelta di intraprendere lo sciopero della fame, scelta cui in queste ore hanno scelto di aggregarsi altre persone. Ho scelto di scrivere anche a Giorgia Meloni, che è lontanissima dalle mie idee, ma essendo lei rappresentante del partito che in base ai sondaggi è in maggioranza e potrebbe prevalere al prossimo voto le ho chiesto di essere uniti almeno sulla democrazia e sulla sua tutela". 

Diritti di partecipazione violati, strumenti vanificati

L'impossibilità, a normativa vigente, di raccogliere in forma digitale le sottoscrizioni per partecipare alle elezioni (di ogni livello, non solo le politiche) sarebbe peraltro solo uno dei vulnera alla democrazia e alla partecipazione politica delle cittadine e dei cittadini. Sul punto ha insistito particolarmente Marco Cappato nei suoi interventi, pensando anche ad altre esperienze legate alla legislatura ormai in conclusione.
"Crediamo - ha spiegato - che la democrazia in Italia, il diritto dei cittadini a partecipare alla vita democratica sia violato, con un attacco sistematico ai loro diritti civili e politici. In questa legislatura, infatti, è stato vanificato lo strumento delle proposte di legge di iniziativa popolare: penso al nostro testo sull'eutanasia legale, depositato nove anni fa e mai discusso dal Parlamento, per cui con le norme attuali dopo la seconda legislatura la proposta decade; un destino simile avrà il nostro testo relativo alla cannabis. E se cittadine e cittadini hanno visto frustrato il loro sostegno alle proposte di legge di iniziativa popolare, non si sono nemmeno potuti esprimere sui referendum in materia di eutanasia e cannabis che avevamo elaborato e presentato, perché gli è stato impedito 'contro Costituzione' dalla sentenza della Corte costituzionale presieduta da Giuliano Amato" (e non è mancato il riferimento polemico alle bocciature - effettuate con sentenze nn. 50 e 51 - corredata "con falsità che abbiamo documentato"). A questa situazione, già compromessa, si aggiunge ora l'ulteriore difficoltà connessa alla raccolta delle firme in queste condizioni, che si tradurrebbe, secondo Cappato, nella sostanziale "negazione del diritto di sottoporsi al giudizio elettorale a realtà sociali significative". Per il co-presidente di Eumans!, consentire la raccolta digitale delle sottoscrizioni non risolverebbe tutti i problemi in materia di accesso alle procedure elettorali e non eliminerebbe le discriminazioni presenti, ma permetterebbe di ridurne l'impatto per il futuro, facendo funzionare meglio la democrazia: "Senza il funzionamento della democrazia, inevitabilmente le soluzioni alle grandi questioni del nostro tempo potranno essere solo soluzioni tecnocratiche, populistico-demagogiche o un mix delle due cose". 

Un simbolo elettorale (e una lista) per una campagna politica

Se lavorare per il futuro venturo della democrazia è sempre lodevole, il futuro prossimo appare decisamente più a rischio, in mancanza di un intervento immediato (ammesso che non sia già troppo tardi), dal momento che mancano poco più di tre settimane alla consegna delle liste (che devono essere presentate agli Uffici elettorali circoscrizionali presso le rispettive Corti d'appello tra il 21 e il 22 agosto). Questo sito si è già diffuso più volte, in passato e soprattutto negli ultimi giorni, sui problemi connessi alle forme di raccolta delle sottoscrizioni e al sistema delle esenzioni che consente ad alcune delle forze politiche presenti in Parlamento di non passare attraverso l'adempimento delle sottoscrizioni. Chi frequenta questo sito, dunque, non faticherà a orientarsi tra i problemi messi in luce dai promotori della campagna volta a consentire subito la raccolta digitale delle firme anche per le candidature alle elezioni (chi scrive, poi, incidentalmente è stato felice oggi di accorgersi che nella pagina del sito dell'Associazione Luca Coscioni che contiene l'appello a cittadine e cittadini, per illustrare i problemi legati alla raccolta firme cartacea e al sistema delle esenzioni, sono stati citati due suoi scritti, uno ospitato su questo sito e uno precedente, pubblicato dalla rivista Aic - Osservatorio costituzionale a commento della sentenza n. 48/2021 della Corte costituzionale).
Tra i problemi sottolineati da Cappato, in questo sito non si può non sottolineare quello già denunciato prima della campagna elettorale del 2018 da +Europa e che anche in seguito questo sito ha rimarcato: si tratta del cortocircuito che segue alla necessità, con le norme elettorali attuali, per chi deve raccogliere le firme per le proprie liste di indicare sui fogli sottoposti ai sottoscrittori non solo i nomi delle persone candidate in lista, ma anche i nomi delle persone candidate nei collegi uninominali. In sé, come si è ricordato in passato, questa richiesta non sarebbe ingiusta (se la sottoscrizione indica il consenso di chi firma affinché la forza politica si presenti, è giusto che detto consenso possa riguardare il complesso delle candidature sostenute dalla forza politica); i problemi e le effettive disparità nascono dall'esistenza del meccanismo delle esenzioni dalla raccolta firme, che consente alle forze esenti di modificare fino all'ultimo minuto tanto le proprie candidature di lista, quanto quelle nei collegi uninominali che possono essere comuni alle forze unite in coalizione, mentre le forze non esonerate devono fissare le candidature prima di cercare le sottoscrizioni. "Di fatto - ha precisato Cappato - questo impedisce a qualunque lista che debba raccogliere le firme ogni scelta su eventuali ingressi in coalizione, costringendo a un corsa solitaria. Imporre una prova di esistenza, attraverso la raccolta firme, ai soggetti fuori dal Parlamento secondo me è già una discriminazione, perché chi sta dentro il Parlamento avrebbe semplicemente più mezzi per dimostrare la sua esistenza. Tuttavia impedire a chi deve raccogliere le firme anche di stringere alleanze secondo noi è completamente contro la Costituzione". 
La raccolta delle sottoscrizioni in forma digitale permetterebbe, se non altro, di ridurre i tempi da dedicare alla presentazione delle liste e di avere più spazio per valutare la composizione delle liste ed eventuali alleanze (da tradurre anche nella determinazione delle candidature comuni nei collegi uninominali), riducendo il disagio per le liste non esonerate. "Per questo - ha concluso Cappato - abbiamo deciso di denunciare la violazione patente dei diritti civili e politici dei cittadini anche grazie alla presentazione di questa lista e alla richiesta di ottenere la raccolta digitale della firme, anche se potrebbe essere già tardi pur intervenendo ora sul punto". "Nessuno di noi, fino a due settimane fa, pensava di partecipare a queste elezioni - ha aggiunto Marco Perduca, in questo caso in veste di presidente del comitato promotore del quesito referendario sulla cannabis - ma poi abbiamo deciso di farlo per sollevare un problema politico, di rispetto dei diritti civili e politici, che non si traduce solo nel mancato rispetto degli articoli della nostra Costituzione, ma anche di disposizioni di diritto internazionale. E se il presidente Amato ha chiamato in causa gli obblighi internazionali per censurare il nostro referendum sulla cannabis, ci siamo detti che in occasione delle elezioni politiche non possiamo non prendere in considerazione la necessità di garantire la parità di accesso alle competizioni elettorali, altrettanto previsto a livello internazionale. Grazie all'introduzione del nuovo strumento della raccolta digitale delle sottoscrizioni, del resto, siamo riusciti a raccogliere molte più firme del necessario e in breve tempo, anche se poi alle cittadine e ai cittadini non è stato consentito di votare su quei due nostri quesiti".
Perduca appare ben consapevole del fatto che i tempi a disposizione per la presentazione della lista potrebbero non bastare: lui stesso ha riconosciuto che quella messa in campo, più che una campagna elettorale, è una campagna politica. Nonostante questo, l'iniziativa elettorale viene comunque disposta: le persone interessate a candidarsi per la battaglia a favore della democrazia e dell'agibilità degli strumenti elettorali e referendari possono dare la loro disponibilità attraverso il form accessibile a questa pagina. Chi sarà candidato lo farà sotto il simbolo della Lista per i Referendum e la Democrazia, che tiene insieme i due temi fondamentali della campagna politico-elettorale: il contrassegno, semplice e diretto - anche a costo di essere assai meno creativo e "bello" di quelli che siamo stati abituati a incontrare nella storia dell'impegno di area radicale - contiene il testo di colore bianco (scritto in carattere Impact) collocato in un cerchio diviso a metà in orizzontale, la parte superiore di colore blu (con "Referendum") e quella inferiore di colore rosa (con "Democrazia"; le tinte riprendono in buona sostanza quelle della campagna "Eutanasia legale"), con il diametro che gira intorno alla "e" del nome per ricomprenderla nel semicerchio inferiore.

Una battaglia, tante battaglie 

La battaglia per ottenere la raccolta in formato elettronico delle sottoscrizioni anche per le liste nei vari ordini di elezioni ha certamente un peso per il futuro, ma la campagna punta a ottenerla già in queste elezioni: questo permetterebbe assai più facilmente di essere in condizione di partecipare al cimento elettorale ovviamente alla lista Referendum e Democrazia, ma anche a forze politiche consolidate, come ad esempio Possibile (iscritta al registro dei partiti). "Pensavamo di avere tempo per organizzarci - ha detto la segretaria Beatrice Brignone - e avevamo fatto i nostri programmi guardando alla scadenza naturale della legislatura, ma con questo scioglimento anticipato e i tempi così stretti non ci sono le condizioni neanche per noi. Ottenere la raccolta firme in formato digitale sarebbe davvero il minimo sindacale". Non è detto che ci sia la volontà politica di arrivare a questo risultato - anche perché il numero di firme raccolte digitalmente per le ultime proposte di referendum aveva destato malumori in chi, come ricordato da Antonella Soldo (Meglio Legale), aveva ritenuto che presentare richieste di quesiti fosse diventato troppo facile -  ma è davvero importante farlo, anche per rispetto a chi non avrebbe la possibilità di partecipare alle forme "tradizionali" di partecipazione popolare (durante la conferenza è stata molto toccante la testimonianza di Laura Santi, giornalista affetta da sclerosi multipla da 26 anni, che si è sentita "scippata" del diritto di vedere discusse le proposte di legge popolari che aveva sostenuto e di votare i referendum per cui si era battuta, quindi ora si batte per avere la possibilità di sostenere una lista in forma digitale e magari poter accedere al voto elettronico). 
Gli strumenti per agire, comunque, ci sarebbero, insieme a qualche "appiglio" precedente. Già nel 2017 - ha ricordato Filomena Gallo - il governo era stato delegato a regolare la raccolta digitale delle firme per le candidature elettorali, dunque il governo può ancora intervenire in quel modo, oltre che per decreto, per ridurre il deficit democratico di queste procedure elettorali e le discriminazioni tra forze politiche". In effetti, in base all'ultimo comma dell'art. 3 della legge n. 165/2017 - vale a dire la "legge Rosato" - entro sei mesi dall'entrata in vigore della legge un decreto del ministro dell'interno, di concerto coi ministri per la semplificazione e la pubblica amministrazione, dell'economia e delle finanze e per gli affari regionali, avrebbe dovuto definire "le modalità per consentire in via sperimentale la raccolta con modalità digitale delle sottoscrizioni necessarie per la presentazione delle candidature e delle liste in occasione di consultazioni elettorali, anche attraverso l'utilizzo della firma digitale e della firma elettronica qualificata" e sul testo si sarebbero dovute esprimere le competenti commissioni parlamentari entro 45 giorni. Il termine è scaduto da molto tempo e non risulta che il decreto ministeriale sia mai stato emesso; visto però che non si dice da nessuna parte, nemmeno nell'art. 18-bis del testo unico per l'elezione della Camera (che regola la raccolta delle sottoscrizioni), che le sottoscrizioni debbano essere raccolte su documenti cartacei, si potrebbe intervenire con una fonte subprimaria. Resterebbe, in realtà, il problema delle autenticazioni, visto che per le firme per i referendum raccolte in formato elettronico si era specificato che non dovevano essere autenticate, ma la questione sarebbe risolvibile ed è importante risolverla perché il procedimento elettorale, usando le parole del deputato Alessandro Fusacchia (eletto all'estero con +Europa, ora nel gruppo misto), non resti "ancora nel cartaceo in un mondo completamente digitale o almeno ibrido".
Certamente l'apertura alle sottoscrizioni raccolte in formato digitale richiederà attenzione a varie altre questioni, incluso il modo in cui le firme vanno conservate e presentate agli uffici indicati dalla legge: lo ha fatto notare Tony Curcio, presidente del Comitato antispecista difesa animali protezione ambiente - Cadapa, ricordando che quando era stata presentata l'ultima richiesta di referendum sulla caccia, varie sottoscrizioni da loro raccolte in formato digitale non erano state riconosciute come valide dalla Corte di cassazione e la situazione sarà difficile soprattutto fino a quando non sarà attivata la piattaforma pubblica - e gratuita - promessa per la raccolta firme (un'esigenza sottolineata pure da Massimiliano Iervolino, segretario di Radicali italiani, che ha lamentato come le istanze di Ri al presidente della Camera Fico siano rimaste in questo inascoltate: "Dopo il 26 settembre, se non ci sarà la piattaforma pubblica di raccolta, il problema si riproporrà e raccoglieranno le firme in formato digitale solo coloro che avranno le risorse per poterlo fare").
I problemi della raccolta firme, peraltro, superano anche i confini nazionali: lo ha spiegato bene Silvia Panini di Volt Italia, intenta con quel soggetto politico transnazionale a raccogliere le sottoscrizioni per presentare le liste nella circoscrizione Estero: "I limiti che incontriamo sono spaventosi, perché le liste possono essere sottoscritte solo andando in un consolato: il diritto di sostenere una lista dunque è precluso a chiunque non possa recarvisi per qualunque ragione, dalla disabilità alle difficoltà a spostarsi, fino alle più banali ristrettezze economiche che non consentano spostamenti. Questa non è assolutamente democrazia: si dice spesso che ci sono troppe forze politiche e occorre stabilità, ma questa dev'essere un effetto del voto, non la si può ottenere impedendo l'accesso alle elezioni alle forze politiche".
Il simbolo della lista Referendum e Democrazia finirà dunque nelle bacheche del Viminale; più difficile è dire se finirà sulle schede (e, se sarà così, non sarà apparentato con altre liste, per i problemi già visti). La battaglia, in ogni caso, si concentra su un problema reale, che merita di non essere considerato come minore. Sarà pure vero, come diceva Thoreau, che il destino della nazione "non dipende dal voto che si inserisce nell'urna elettorale una volta all'anno, ma dal tipo di persona che si fa uscire in strada dalla propria stanza ogni mattina"; se però sulla scheda dell'urna elettorale non si riesce nemmeno ad arrivare, incidere sul destino della nazione è davvero impossibile.

Fasci italiani del lavoro, fondatori assolti anche dopo la Cassazione

L'avvicinarsi delle elezioni, con tutto il loro speciale carico di simboli, non può far dimenticare altre vicende "simbolicamente" rilevanti, soprattutto se su queste pagine si sono seguite le loro puntate precedenti. Ci si riferisce, in particolare, alla sentenza della prima sezione penale della Corte di Cassazione (n. 28565/2022) che ha chiuso definitivamente il processo relativo ai Fasci italiani del lavoro, respingendo il ricorso presentato dal procuratore generale della Corte d'appello di Brescia contro la sentenza che aveva assolto anche in secondo grado i fondatori del partito che nel 2017 era stato al centro del "caso Sermide", scoppiato dopo che la lista era riuscita a ottenere una consigliera al comune di Sermide e Felonica, dopo aver partecipato per vari anni alle elezioni amministrative in vari comuni mantovani - spesso candidando uno dei fondatori, Claudio Negrini - senza risultati significativi, ma anche senza interessamenti della magistratura. Vale la pena ripercorrere le tappe precedenti, per capire meglio questa decisione.

L'annullamento delle elezioni del 2017

Come si ricorderà, dopo l'elezione in consiglio comunale della candidata sindaca, fu impugnata la proclamazione degli eletti e della questione si occuparono i giudici amministrativi. In primo grado il Tribunale amministrativo regionale della Lombardia (sede di Brescia, competente per la provincia di Mantova) aveva ritenuto che la lista fosse stata illegittimamente ammessa alle elezioni, ma che la sua presenza non avesse influenzato l'intero esito elettorale: si era dunque limitato a espungere ex post i Fasci da quella competizione, assegnando il seggio all'altra lista di opposizione.
I ricorrenti, però, volevano proprio ottenere l'annullamento totale delle elezioni, per cui si rivolsero al Consiglio di Stato e, in seconda battuta, lo ottennero (era ormai la fine di maggio del 2018): per il nuovo collegio, infatti, la lista dei Fasci aveva ottenuto più della differenza delle altre due liste in gioco (su un numero limitato di votanti), quindi aveva alterato "in maniera significativa il risultato complessivo della consultazione", senza che si potesse escludere con certezza che tutti coloro che avevano votato per loro avrebbero scelto - in loro assenza - la lista non vincitrice. In seguito a quell'annullamento, è scattato il commissariamento per il comune di Sermide e Felonica e nuove elezioni si sono tenute nella primavera del 2019.

Il processo penale

Si è già ricordato in passato come, subito dopo la sentenza del Consiglio di Stato che aveva annullato le elezioni, la Procura della Repubblica di Mantova avesse iniziato a indagare, chiedendo per nove persone il rinvio a giudizio per i reati di riorganizzazione del partito fascista e apologia di fascismo (in particolare per vari passaggi dello statuto, risalente al 25 maggio 2000, per alcune manifestazioni pubbliche e pubblicazioni cartacee, nonché online). A metà aprile del 2019, tuttavia, in sede di giudizio abbreviato, il Tribunale di Mantova aveva assolto gli imputati (disponendo il non luogo a procedere per coloro che non avevano abbandonato il rito ordinario)
Il giudice di primo grado, in particolare, aveva riconosciuto come i Fasci italiani del lavoro fossero "di ispirazione palesemente e dichiaratamente fascista" (e lo stesso simbolo scelto lo dimostrava chiaramente), ma questo non era sufficiente per integrare una condotta penalmente rilevante, in particolare per parlarsi di riorganizzazione del partito fascista, non potendosi applicare in via estensiva norme eccezionali come la XII disposizione finale della Costituzione e gli articoli della "legge Scelba". Lo statuto conteneva, secondo la sentenza, giudizi storici su determinati fatti, vicende e fenomeni della storia italiana (dal ruolo del consenso nell'ascesa del fascismo alle possibili evoluzioni di quel regime, dal valore da attribuire all'8 settembre 1943 e al peso degli interventi armati stranieri nella conclusione della Repubblica sociale italiana, fino alla "democrazia dei partiti") sui quali non c'è concordanza tra gli studiosi (o nelle stesse aule parlamentari) o che comunque non possono ritenersi illegittimi. Non sono stati considerati illeciti nemmeno i riferimenti al programma di San Sepolcro del 1919 (denotavano l'ispirazione fascista, ma nessun "passo riorganizzativo") o al Manifesto di Verona del 1943 (il corporativismo in sé non integrava alcun reato), senza contare che era lo stesso statuto del partito a escludere "ogni forma di discriminazione razziale, rivendicando il rispetto di ogni etnia" e riconoscendo il valore del metodo democratico e la necessità di salvaguardare i diritti fondamentali. Non era stato dunque riconosciuto alcun potenziale rischio per l'integrità dell'ordinamento democratico e costituzionale legato all'attività delle persone incriminate, tanto con riguardo ai documenti prodotti, quanto con riferimento alle concrete azioni compiute (peraltro da un gruppo ristretto e poco organizzato di soggetti).
Insoddisfatta della decisione, la Procura della Repubblica impugnò la sentenza (lamentando una motivazione "contraddittoria e palesemente illogica, non potendo andare esenti da sanzione penale quei comportamenti assolutamente ambigui di soggetti e associazioni politiche che si insinuavano nell'ordinamento democratico [...] per inserirsi con le proprie regole e i propri cardini ispirati alle ideologie contrastanti con i principi democratici"): della vicenda si occupò la Corte d'assise d'appello di Brescia, che però il 26 giugno 2020 (in una sentenza depositata il 24 agosto) confermò l'assoluzione per le persone imputate. Posto che i giudici hanno subito rilevato "la peculiarità e difficoltà dell'indagine demandata oggi all'interprete" nel definire l'ambito applicativo delle norme penali", poiché l'interpretazione degli articoli della "legge Scelba" comporta "la rivisitazione di concetti che possono involgere spazi solitamente percorsi dallo storico, piuttosto che dal giurista", si è ribadito che la riorganizzazione del "disciolto partito fascista" aveva rilievo penale solo la riorganizzazione "del partito fascista, così come storicamente conosciuto, ovvero quel partito che ebbe ad agire e poi dominare la vita sociale, politica ed economica dello Stato italiano dal 1919 al 1943", ribadendo l'eccezionalità della norma (come la XII disposizione finale della Costituzione deroga agli artt. 18 e 49); si è poi confermato che la riorganizzazione del partito fascista è un "reato di pericolo concreto", per rispettare il principio di offensività. Si è in particolare richiamata la Corte di cassazione, per cui il pericolo che le condotte possano ricostituire le organizzazioni fasciste va valutato "in relazione al momento e all'ambiente in cui sono compiute, attentando concretamente alla tenuta dell'ordine democratico e dei valori ad esso sottesi" (pur senza pretendere che il reato si abbia solo in presenza di condizioni identiche a quelle che avevano permesso il sorgere del partito fascista e l'instaurazione del fascismo). 
L'esigenza di tutelare le istituzioni democratiche dal pericolo del ritorno del fascismo, dunque, era stata ritenuta ancora attuale a distanza di vari anni - come testimoniato, del resto, dall'approvazione della "legge Mancino" nel 1993 - ma certamente occorreva che le condotte relative al partito fascista avessero la "capacità di influenzare gli orientamenti intellettuali e psicologici delle masse"; non era stata riconosciuta - in particolare con riferimento al Movimento fascismo e libertà, ma non solo - la concreta offensività di "quei gesti (quali l'adozione del fascio littorio) consistenti in un mero richiamo a una simbologia" fascista, non più influente sulla popolazione italiana. In concreto, benché secondo i giudici l'intento di raccontare ed elogiare il pensiero e l'ideologia fascista "trabocc[hi] da quasi tutti i documenti sequestrati", nel contenuto del "programma" perseguito dai Fasci italiani del lavoro per la corte non poteva "ravvisarsi, con tranquillizzante certezza, ovvero al di là di ogni ragionevole dubbio, la prova della condotta delittuosa ascritta agli imputati". 
Per il collegio - e, trattandosi di Corte d'assise d'appello, c'era pure la giuria popolare - il ragionamento del primo giudice sull'insussistenza della riorganizzazione del partito fascista mediante perseguimento di "finalità antidemocratiche" ed "esaltazione di esponenti, principi, fatti e metodi propri del predetto partito" era corretto e condivisibile. Quanto al programma desumibile dallo statuto - senza dare "rilevanza a ciò che programma non è", cioè alle valutazioni (pur ritenute faziose e "contrastanti con la prevalente critica storiografica") sull'origine e sull'evoluzione del partito fascista, sui motivi della sua caduta e sulla "democrazia dei partiti" - gli obiettivi del partito avrebbero contenuto "segnali contraddittori, che non consentono di chiaramente apprezzare se effettivamente il movimento intendesse organizzarsi al fine, davvero, di mettere nuovamente in pratica la dottrina fascista". Ad esempio, il riferimento alla democrazia corporativa e al fascismo come "grande rivoluzione ancora incompiuta [...], che garantisce la rappresentatività dei variegati interessi dei corpi sociali e delle correnti politiche" non implicava per forza l'approdo alla soppressione de facto della libertà sindacale; in generale, lo statuto dei Fasci italiani del lavoro, a fronte di passaggi assimilabili a una concezione - e teoricamente forieri di una deriva - autoritaria, ne avrebbe contenuti "altri, e peraltro, ben più consistenti, diretti ad esaltare il rispetto dei diritti fondamentali dell'individuo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali" (come i riferimenti alla salvaguardia delle libertà di stampa, associazione, espressione e religione, al rifiuto di ogni discriminazione razziale, alla Camera come luogo espressione dei partiti, pur avendo auspicato il superamento di questi). 
Se lo statuto e il programma non si riferivano alle pagine più buie del fascismo, nell'azione concreta non sono emerse condotte univocamente volte a "perseguire realmente l'abolizione del pluralismo etnico, culturale e religioso, nonché l'instaurazione di un sistema politico antidemocratico" (anzi, gli scritti e i testi presenti sul sito conterrebbero varie affermazioni contrarie al razzismo, alla xenofobia e all'antisemitismo, inconciliabili con i contenuti del Manifesto di Verona del 1943), mentre i post e i link provocatori o "pesanti" verso certi personaggi pubblici, "non avendo ad oggetto il programma politico dell'associazione, non consentono di dimostrare l'avvenuta riorganizzazione del disciolto partito fascista". Quanto alla partecipazione elettorale a Sermide, Felonica e Castelbelforte, questa non solo avrebbe dimostrato l'accettazione da parte del movimento "del metodo democratico e del pluralismo partitico" (così aveva argomentato la sentenza di primo grado), ma non era penalmente rilevante, mancando un programma univocamente antidemocratico. Le sentenze amministrative che avevano ritenuto illegittima la partecipazione alle elezioni amministrative di Sermide e Felonica nel 2017, infatti, rilevavano solo sul piano elettorale e non su quello penale; in ogni caso, si erano incentrate soprattutto sull'uso del fascio littorio all'interno del contrassegno di lista, già ritenuto irrilevante nella vicenda penale del Movimento Fascismo e libertà. Mancando la prova univoca che le persone imputate avessero perseguito fini antidemocratici propri del partito fascista (posto che condividere certi punti programmatici del fascismo, specie se non antidemocratici, non ha di per sé rilievo penale) e che "l'esaltazione di esponenti, principi, fatti e metodi propri" del partito fascista avesse raggiunto livelli tali da prefigurare un "pericolo concreto" di riorganizzazione del partito, era inevitabile assolvere gli imputati, sia pure per prova insufficiente o contraddittoria.

La sentenza della Corte di cassazione 

Non condividendo nemmeno la decisione di secondo grado, la procura generale di Brescia ha presentato ricorso alla fine del 2020, chiedendo l'annullamento con rinvio della pronuncia di seconde cure. La sentenza della Corte di cassazione citata all'inizio dell'articolo - pronunciata dopo l'udienza del 15 marzo 2022, ma depositata soltanto il 20 luglio scorso - ha però respinto il ricorso del pubblico ministero, per cui ora l'assoluzione delle persone imputate risulta definitiva e non più soggetta a impugnazioni. 
Secondo la Procura generale della Corte d'appello di Brescia, in particolare, era stata violata la legge penale (in particolare gli artt. 1, 2 e 4 della "legge Scelba"), perché questa avrebbe sanzionato "un'associazione politica che abbia finalità di ricostituzione in qualsiasi forma del partito fascista" anche qualora questa non avesse condiviso tutti i fini del programma del partito fascista. Per il pubblico ministero era un errore distinguere tra "associazione fascista penalmente rilevante" e "partito politico di ispirazione fascista che si muove in democrazia" sulla base della coesistenza, per quest'ultimo, di punti programmatici di matrice fascista e altri "asettici o ambigui" (così come non sarebbe stato consentito "bilanciare" condotte ritenute vietate ai sensi dell'art. 1 della "legge Scelba" con la partecipazione al voto amministrativo come accettazione del cimento democratico, con l'esiguo numero di persone aderenti o simpatizzanti): il semplice costituire un'associazione con atto notarile, il darsi uno statuto e un sito, il creare schede di iscrizione, pubblicare libri e concorrere ad elezioni (arrivando a eleggere una persona in consiglio comunale) avrebbero costituito per il Pm un complesso di "condotte concretamente idonee a creare proseliti e ad operare nel tessuto democratico con ideologie fasciste che i Padri costituenti hanno ritenuto fossero inammissibili con l'assetto costituzionale democratico". Lo stesso ricorso aveva lamentato anche la violazione degli artt. 125, comma 3, e 546, comma 1, lett. e) del codice di procedura penale, nel senso che il collegio di secondo grado non avrebbe motivato circa la contestazione di aver compiuto manifestazioni esteriori di carattere fascista, ritenuta dalla Corte d'assise d'appello descritta nel capo d'imputazione, ma "non addebitata".
Quest'ultimo motivo di ricorso è stato giudicato inammissibile dalla prima sezione penale della Cassazione, che lo ha ritenuto generico (perché le manifestazioni pubbliche non sono state indicate e descritte in concreto) e, se riferito alle manifestazioni sulla rete Internet e sui social network, non in grado di aggiungere profili ulteriori rispetto alle condotte di "propaganda" che la Corte d'assise d'appello ha ritenuto penalmente non rilevanti. Ci si è dunque concentrati solo sulla lamentela circa la supposta violazione degli articoli della "legge Scelba", ritenuta genericamente ammissibile anche a norma dell'art. 608, comma 1-bis del c.p.p. (introdotto nel 2017), in base al quale a seguito di un'assoluzione delle persone imputate tanto in primo quanto in secondo grado non era possibile per il pubblico ministero presentare ricorso per mancata assunzione di una prova decisiva (a dispetto della richiesta del Pm in dibattimento) o per mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione; era ed è invece possibile contestare sia l'erronea interpretazione della legge penale sostanziale (cioè la sua inosservanza), sia l'erronea applicazione della stessa al caso concreto (perché il fatto è stato qualificato giuridicamente in modo sbagliato o inquadrato in una fattispecie non idonea).
La Corte ha ricostruito in breve i principi - "per lo più risalenti, ma tuttora validi e condivisibili" - che si sono consolidati nella giurisprudenza sulla riorganizzazione del disciolto partito fascista. In particolare, ai fini di quel delitto, ci si riferisce al fondamento ideologico del partito "storico" e al metodo di lotta da questo praticato (per cui non si colpisce l'associazione, ma il suo modo di operare), ma la condotta è censurata se ritenuta concretamente idonea a determinare il risultato (creando dunque una situazione di "pericolo concreto", in cui per esperienza è probabile che si verifichi un evento dannoso per il bene tutelato); non si punisce la manifestazione del pensiero fascista in sé, a meno che non implichi il pericolo di una possibile ricostituzione di un partito che abbia gli stessi metodi e gli stessi scopi del fascismo; non è vietato costituire movimenti - e operare con questi - che aderiscano solo ad alcuni punti di programma del disciolto partito fascista; il ristretto numero di persone che aderiscono a un progetto di natura fascista non è di per sé sufficiente a escludere la rilevanza penale delle loro condotte.
Sulla base di questi principi, per la Corte "non può, in alcun modo, ritenersi fondata la censura [...] circa l'inosservanza della legge penale in cui sarebbe incorsa la Corte d'assise d'appello di Brescia" nel confermare l'assoluzione per le persone imputate. E il motivo principale per escludere il reato sarebbe la compresenza - nei documenti fondativi dei Fasci italiani del lavoro e nei loro documenti e pubblicazioni, cioè i mezzi con i quali il partito mirava a farsi conoscere e ad attirare consensi e adesioni - di obiettivi storicamente perseguiti dalla dottrina fascista (come il corporativismo) e di un modello di Stato e di principi ben lontani dal concreto svolgimento del regime fascista per come lo si è conosciuto. Allo stesso modo, per il Supremo collegio non è viziato neanche il ragionamento in base al quale i testi che esaltavano esponenti, principi, fatti e metodi fascisti non hanno mai raggiunto livelli tali da creare le condizioni di un "pericolo concreto" di riorganizzazione del disciolto partito fascista, non essendosi abbinata all'esaltazione "difensiva" del fascismo l'indicazione di obiettivi programmatici coerenti con l'esperienza storica del fascismo. Quanto all'esiguità di membri del gruppo e di simpatizzanti e alla ridotta scala locala dell'attività, non sono - come si è visto - argomenti che di per sé escludono il rilievo penale, ma hanno certamente concorso a una valutazione complessiva di mancato "pericolo concreto". 
Sarebbe invece "in contrasto con la cornice legislativa e giurisprudenziale esaminata" la lettura proposta dal pubblico ministero, perché avrebbe proposto "elementi spuri di valutazione che né il legislatore, né questa Corte di legittimità o la Corte costituzionale hanno mai apprezzato quali presupposti sufficienti per l'integrazione del reato". In particolare, i giudici non avrebbero mai "bilanciato" elementi "fascisti" e non fascisti nello statuto e nei programmi, ma soltanto rilevato "una palese contraddizione fra elementi, ostativa, proprio per tale obiettivo contrasto, alla individuazione lineare di un programma politico univocamente preordinato alla ricostituzione del partito fascista"; allo stesso modo, la Corte d'assise d'appello aveva correttamente ritenuto ininfluenti le sentenze del Tar e del Consiglio di Stato che avevano ritenuto illegittima la partecipazione dei Fasci italiani del lavoro alle elezioni amministrative del 2017, "trattandosi di decisioni afferenti esclusivamente a quella competizione elettorale e sfornite di più specifiche verifiche sul programma politico dell'associazione (invece, effettuate in sede penale)". Tutto questo è bastato alla Corte di cassazione per respingere il ricorso del Pm, confermando nella sostanza le assoluzioni.
 

Qualche riflessione finale

Sulla base di questa decisione, che chiude definitivamente la vicenda processuale per quei fatti, è il caso di proporre qualche riflessione conclusiva. Per la terza volta, dunque, il movimento Fasci italiani del lavoro non è stato ritenuto dai giudici una riorganizzazione del partito fascista. Esattamente come in innumerevoli casi si è ritenuto di non poter procedere allo scioglimento del Movimento Fascismo e libertà o anche solo alla condanna dei suoi promotori o esponenti per reati di apologia di fascismo o manifestazioni fasciste. A fronte di queste decisioni, peraltro, è noto che nel corso del tempo si è riscontrato un giudizio sempre più severo in materia di contrassegni elettorali: pur essendo stato sempre piuttosto rigido alle elezioni politiche, con riguardo alle amministrative nei primi tempi si era più spesso tollerata la presenza del fascio repubblicana (purché, come sottolineato dal Consiglio di Stato, fosse disgiunto dalla parola "Fascismo"), accompagnato ad altri elementi o da solo, mentre negli ultimi anni non si è più accettato nemmeno quello (e hanno creato problemi anche soluzioni alternative, come ad esempio l'aquila ad ali spiegate, specie se abbinata a determinati elementi testuali). Le stesse liste, però, si sono potute presentare quando hanno sostituito i simboli "incriminati" con altri più innocui - pur nettamente polemici, come quello della lista Censurati - senza che naturalmente sia cambiato assolutamente nulla nelle idee delle persone candidate e nei loro programmi.
Ora, per chi studia il diritto costituzionale è noto che l'Italia non si fa rientrare tra le cosiddette "democrazie protette" o "militanti", che approntano determinati strumenti per difendersi (tra l'altro) da chi abusa di determinati diritti o degli strumenti democratici per scardinarle: in Italia, in particolare, non è previsto in Costituzione che un partito possa essere sciolto in determinate condizioni (prevedendo anche per questo un procedimento con particolari tutele). In Germania, dove invece è previsto (all'art. 21 della Legge fondamentale), il Tribunale costituzionale tedesco nel 2017 ha deciso di non sciogliere il partito Npd pur giudicandolo "anticostituzionale" (dunque un passo più indietro rispetto all'incostituzionalità, non essendo stata iniziata alcuna opera di "distruzione" dell'ordinamento): ha ritenuto infatti che la situazione di pericolo legata a quella forza politica fosse limitata, anche per la limitata azione territoriale, il numero di iscritti contenuto e lo scarso peso del partito a livello federale, statale locale, come se il sistema avesse gli "anticorpi" per contenere o fronteggiare quel pericolo; è pur vero che, dopo quella storica sentenza del 2017, si è scelto di modificare in fretta la Costituzione, introducendo l'ipotesi dell'anticostituzionalità dei partiti e prevedendo come sanzione il venir meno del finanziamento pubblico, ma questo non agiva e non agisce sulla possibilità di partecipare alle elezioni, che resta libera.
Oggettivamente colpisce vedere che un paese a "democrazia protetta" (la Germania) sceglie di non proteggersi pur riconoscendo sulla carta il potenziale pericoloso di un soggetto politico e consente a questo di continuare a partecipare alle elezioni senza cambiare nome e logo (pur precludendo l'accesso ai finanziamenti pubblici, ma comunque dopo lo stesso iter garantista davanti al Tribunale costituzionale federale dettato per lo scioglimento), mentre un altro paese a democrazia non militante (l'Italia) non scioglie un partito, ma gli vieta di partecipare al voto con certi nomi e simboli - e via via gliene vieta sempre di più, per giunta senza avere scritto regole specifiche in materia - accettando però che partecipi con altre insegne che di certo non implicano un cambio di idee (né lo si potrebbe pretendere o verificare). In Germania, è vero, non è comunque possibile impiegare la svastica in politica o comunque mostrarla in manifestazioni pubbliche, perché una legge lo vieta; in Italia una norma analoga non c'è (del resto non si è portata a termine nemmeno l'approvazione del "ddl Fiano" che prevedeva qualcosa di simile), ma da vari anni di fatto i fasci sono ugualmente banditi. Si può censurare il fatto che a determinati partiti riconosciuti "non illeciti" e comunque non pericolosi non sia poi consentito agire politicamente e alle elezioni - il momento più importante della politica - con le loro insegne, così come qualcuno potrebbe pensare che quei partiti non siano pericolosi proprio perché non si consente loro di partecipare con quei fregi (e comunque non ci sarebbe ugualmente da stare tranquilli). In ogni caso, sul tema si dovrà riflettere ancora. 

giovedì 28 luglio 2022

Lista Civica Nazionale - L'Italia C'è, Falasca e Pizzarotti verso le elezioni (con "soccorso democratico" di Italia viva)

AGGIORNAMENTO DEL 30 LUGLIO 2022:
 Se due giorni fa dall'interno di L'Italia C'è assicuravano che la Lista Civica Nazionale avrebbe corso senza dover raccogliere le firme, ma si stava lavorando a una soluzione, oggi la soluzione è emersa più nettamente. Un tweet pubblicato alle 17 in punto dal coordinatore di L'Italia C'è Piercamillo Falasca, ringrazia Matteo Renzi, Ettore Rosato e Maria Elena Boschi per aver accettato di ridenominare il gruppo di Italia viva alla Camere con l'etichetta "Italia viva - L'Italia C'è". Questa scelta, definita di "democrazia praticata, per davvero", consentirebbe a quanto pare 
al progetto politico di Falasca e Pizzarotti di arrivare con le proprie liste sulle schede di tutti i collegi plurinominali, senza che Italia viva rinunci alla propria presenza elettorale, potendo il partito contare sul proprio gruppo al Senato (che è in condominio con il Psi, ma quest'ultimo non avrebbe interesse a fruire dell'esenzione, visto che ha già concluso un accordo con il Pd per essere presente all'interno della sua lista).
Si sarebbe di fronte, dunque, a un "soccorso democratico-elettorale" di Italia viva nei confronti di L'Italia C'è, probabilmente facilitato dal fatto che tre deputati di Iv - Gianfranco Librandi, Gennaro Migliore e Camillo D'Alessandro - sono anche legati a L'Italia C'è; la stessa scelta del viola-magenta e dell'azzurro, nonché della sfumatura, a questo punto può rimandare più facilmente a Italia viva e al suo "universo cromatico". Ciò, ovviamente, non si traduce in questa fase in liste comuni, pur restando ovviamente la possibilità di una coalizione; molto, in ogni caso, dipenderà da ciò che accadrà intorno, nella cosiddetta "area Draghi" o comunque nello spazio alternativo (o negli spazi alternativi) al centrodestra in via di organizzazione. Tempo qualche giorno - sì, occorre di nuovo aspettare - e se ne saprà di più (del resto le coalizioni devono essere fissate entro le ore 16 del 14 agosto). Nel frattempo, il simbolo della Lista Civica Nazionale - L'Italia C'è (che, a quanto si apprende, proverrebbe dalla rete Inarea) ha visto spuntare un lieve bordo blu attorno al cerchio sfumato, in vista dello sbarco sulle schede elettorali; tutto il resto rimane uguale, almeno fino ad ora.

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L'intenzione di partecipare in modo più consistente e visibile alla vita politica del paese era già stata manifestata, magari anche attraverso la partecipazione alle prossime elezioni; da ieri sera, però, per L'Italia C'è il progetto si è fatto decisamente più concreto. Un post pubblicato sui canali social del soggetto politico, a firma del coordinatore Piercamillo Falasca e di Federico Pizzarotti - già sindaco di Parma e presidente - oltre che fondatore di Italia in Comune, nonché da tempo in collaborazione con L'Italia C'è - ha lanciato un'iniziativa politica-elettorale denominata Lista Civica Nazionale, svelando anche il contrassegno che sarà utilizzato alle prossime elezioni politiche e depositato al Viminale nei giorni indicati dalla legge.
 
 
Terra Libera
Il testo del messaggio pubblicato - Partiamo. Impegniamoci in prima persona. Mettiamoci la faccia, come si suol dire. Mettiamoci la testa. Si sta parlando tanto di una "lista civica nazionale" che impegni sindaci, amministratori locali, associazioni e promotori dei più vivaci e liberi progetti del territorio. È il momento di farla davvero. Noi la facciamo e la chiameremo semplicemente così: Lista Civica Nazionale - si accompagna a una foto in cui si vedono in primo piano Falasca (di spalle) e Pizzarotti, attorno a un tavolo con il simbolo da poco elaborato; con loro ci sono alcuni giovani attivisti di L'Italia C'è e si riconosce Antonio Santoro, già membro della direzione nazionale di +Europa (al di là della foto, ha militato in +E anche Emanuele Pinelli, che aderisce al progetto con l'associazione ambientalista giovanile Terra Libera (promossa da lui e Joshua Honeycutt Balduzzi).
La scelta di coinvolgere gli amministratori locali in un progetto più ampio, di livello e su scala nazionale, dunque portando l'idea del civismo nell'agone politico, non è in effetti nuova: su questo sito ci si era già occupati della "Lista civica nazionale per la Repubblica dei cittadini", esperienza nata nel 2007 a partire dal manifesto promosso da Elio Veltri, Oliviero Beha, Francesco Pardi e Roberto Alagna e da una manifestazione che si tenne il 6 ottobre di quell'anno, con l'idea di rimettere al centro la partecipazione dei cittadini e moralizzare la politica (anche se poi, in effetti, quell'iniziativa non si tradusse mai in un soggetto politico nazionale, limitandosi ad alcune esperienze su scala più ridotta). Un'idea simile poi, in fondo, era stata all'origine di Italia in Comune, soggetto politico co-fondato da Pizzarotti nel 2018 e nato con l'idea di mettere e tenere insieme le esperienze degli amministratori sul territorio, facendole contare. Al di là dell'esito di quel percorso, l'idea della Lista Civica Nazionale intende proporsi come progetto a un grado successivo di evoluzione: non a caso, sarebbe in corso un dibattito che ha coinvolto vari sindaci legati ad Anci per concorrere alla nascita di questo soggetto politico-elettorale. Lo stesso invito - con cui si conclude il post pubblicato da L'Italia C'è e anche da Pizzarotti, che allo stesso testo ha affiancato la propria foto davanti al simbolo - a scrivere all'indirizzo e-mail dedicato listacivicanazionale@litaliace.it vuole indicare l'idea di apertura nella formazione della lista e di "immediatezza"; si potrebbe avere la tentazione - vista la presenza dello stesso Pizzarotti - di pensare a un recupero di alcuni elementi che avevano mosso le prime stagioni di quello che sarebbe diventato in seguito il MoVimento 5 Stelle (partito con le Liste CiViche), ma il contesto politico in cui l'iniziativa si sta sviluppando e intende muoversi appare piuttosto diverso.
Per dare un'immagine al progetto in gestazione si è scelto un simbolo particolare, soprattutto per alcuni suoi dettagli. Il nome, scritto su tre righe allineate a sinistra, è di colore bianco e spicca su un fondo sfumato, con tinte che dal viola-magenta virano al blu fino all'azzurro (un po' carta da zucchero, un po' verde acqua); sotto al nome, leggermente spostato sulla sinistra, appare in miniatura il simbolo di L'Italia C'è (senza più il riferimento ai riformisti), con molto spazio nella parte inferiore destra del cerchio. Verrebbe spontaneo pensare che quel vuoto sia solo temporaneo, pronto magari ad accogliere uno o più emblemi di soggetti politici che dovessero unirsi al progetto elettorale; si apprende però direttamente che questa struttura del contrassegno sarebbe stata "una scelta grafica" per "dare un po' di movimento al logo". Un simbolo "eccentrico" in tutti i sensi, insomma.
La domanda sulla possibilità che l'emblema venisse completato in un secondo momento era naturale anche per un altro profilo, certo non meno importante: con la grafica diffusa ieri sera, infatti, la lista non era nelle condizioni di essere esonerata dalla raccolta firme, dunque per essere presente in tutta l'Italia avrebbe dovuto trovare i sottoscrittori nel poco tempo a disposizione fino al 21-22 agosto, giorni della presentazione delle liste. Fonti interne al gruppo promotore dell'iniziativa, tuttavia, assicurano a I simboli della discordia che si sta lavorando a una soluzione perché la lista possa presentarsi senza bisogno di raccogliere firme. La soluzione, a questo punto, si immagina possa essere duplice. Si potrebbe concretizzare il prestito di una "pulce" - da collocare, a quel punto, nello spazio vuoto del contrassegno - di un partito esente, magari non interessato a correre direttamente ma che potrebbe accettare di aiutare la nascente lista (e, nel caso, anche a costruirla insieme). Non sarebbe necessario alcun intervento grafico invece se un gruppo parlamentare esistente prima del 31 dicembre 2021 integrasse il proprio nome con la denominazione della lista o di una sua parte: se quest'operazione fosse ritenuta accettabile - e utile ai fini dell'esonero - anche a scioglimento già avvenuto, sarebbe più facile immaginare chi potrebbe arrivare in "soccorso elettorale" della Lista Civica Nazionale - L'Italia C'è. Probabilmente basterà aspettare qualche manciata di ore per saperlo.