lunedì 1 settembre 2025

Valle d'Aosta, liste e simboli salvati dal Tar

Il 28 settembre prossimo si voterà per le elezioni regionali in Valle d'Aosta (il tema sarà affrontato prossimamente), ma nello stesso giorno si terranno anche le elezioni amministrative in 65 comuni della regione. C'è il capoluogo, Aosta, ci sono località rinomate per il turismo e ci sono centri assai più piccoli, ma non meno interessanti, soprattutto per i #drogatidipolitica. L'interesse, anzi, inizia prima ancora dell'inizio ufficiale della competizione elettorale, guardando ai contenziosi sorti nei giorni scorsi e che oggi il Tribunale amministrativo regionale di Aosta ha deciso, accogliendo tutti i ricorsi presentati. Erano coinvolti, in particolare, tre comuni, Oyace (circa 200 abitanti), Gignod (quasi 1700 abitanti) e Valgrisenche (anch'esso con poco meno di 200 abitanti): pur trattandosi di centri piccoli o piccolissimi, hanno conquistato per qualche manciata di ore un certo interesse, a causa delle liste che erano state in un primo tempo escluse dalla commissione circondariale competente (quella di Aosta).
La situazione era apparsa particolarmente problematica tanto ad Oyace quanto a Gignod, dal momento che le liste non ammesse erano anche le uniche a essere state presentate, dunque quei comuni avrebbero rischiato il commissariamento. Di più, a Oyace la questione aveva sicura rilevanza per questo sito: la commissione elettorale, infatti, aveva rilevato come il modulo di presentazione della lista conteneva sì un numero sufficiente di firme (almeno 5) di elettori del comune, ma risultava "privo del contrassegno della lista, costituente uno dei contenuti obbligatori di cui all’articolo 33, comma 5, della l.r. 4/1995". I componenti dell'organo avevano sottolineato che, in base a un orientamento dei giudici amministrativi, in particolare del Consiglio di Stato, la raffigurazione del contrassegno di lista doveva ricomprendersi "nel quadro dei [...] requisiti sostanziali" del modulo di presentazione delle candidature, essendo diretta "a garantire che i presentatori che sottoscrivono percepiscano immediatamente i soggetti [...] che partecipano alla competizione tramite le liste da loro sottoscritte": ciò avrebbe fatto ritenere insufficiente la descrizione del contrassegno, comunque riportata sugli stessi atti, risultando necessaria proprio "la raffigurazione del simbolo, che rappresenta l’elemento più vistoso, apposto sulla prima pagina del modulo".
Non era questa l'idea dei presentatori della lista Pour Oyace, il cui contrassegno era così descritto: "un cerchio con bordo nero e sfondo rosso recante al suo interno la 'Tornalla', mezza luna e la scritta 'Pour Oyace'". Posto che nel verbale di consegna della documentazione il segretario comunale avrebbe scritto che era stato presentato, tra l'altro, un modulo "recante il contrassegno la Tornalla con la scritta pour Oyace", per la difesa della lista la volontà dei sottoscrittori di firmare proprio per quelle candidature sarebbe potuta emergere "nel corso del procedimento ovvero in sede giurisdizionale in maniera univoca da altri elementi"; in più, la legge regionale n. 4/1995 e le norme nazionali in materia di elezioni comunali non avrebbero offerto "prescrizioni dettagliate quanto alle modalità da seguire e, soprattutto, alle conseguenze sul piano sanzionatorio di eventuali irregolarità", dunque non ci sarebbero state carenze sostanziali, tali da fare rendere inammissibile la lista. Tra gli elementi che, in ordine al principio di strumentalità delle forme e di favore per la partecipazione elettorale, avrebbero dovuto far propendere per l'ammissibilità della lista c'era la constatazione in base alla quale l'unica lista presentata - tale da non far sorgere dubbi sul fatto che si volesse sostenere una diversa formazione - aveva già fatto partecipato alle consultazioni di cinque anni prima, per giunta con lo stesso contrassegno (con cui aveva vinto le elezioni), senza contare che - come la stessa difesa candidamente ha scritto nel ricorso - "molti dei sottoscrittori della lista sono parenti dei candidati". Appare interessante notare come il Ministero dell'interno, nel costituirsi nel processo, abbia "rimesso la valutazione del caso all’apprezzamento del Tar, senza assumere conclusioni": ciò faceva pensare che lo stesso Viminale non fosse contrario a una riammissione della lista. 
Come si è anticipato, il Tar di Aosta ha accolto il ricorso (e quello, sostanzialmente identico, della candidata sindaca e di alcuni candidati consiglieri) e ha riammesso la lista, dunque a Oyace si voterà con le schede che recheranno il contrassegno dell'unica formazione presentata. Non contava il fatto che in effetti il verbale di consegna della lista contenesse il riferimento al contrassegno sul modulo (visto che il contrassegno in effetti sull'atto principale non c'era e il verbale del segretario comunale in questo caso non aveva valore), quanto piuttosto il fatto che - in ossequio a un diverso filone giurisprudenziale del Consiglio di Stato - l'interesse pubblico da salvaguardare (cioè "assicurare che i sottoscrittori siano ben consci della lista che contribuiscono a presentare", senza che possano sorgere dubbi su quale lista si stia sostenendo e su chi la componga) sarebbe stato garantito dall'adeguata descrizione del contrassegno riportata sull'unico modulo delle sottoscrizioni e dalla corretta indicazione dei dati anagrafici di tutti i candidati (sindaco, vicesindaco e consiglieri). Per i giudici, "anche in questo tipo di procedimento in cui le esigenze di certezza congiunte con quelle di estrema speditezza comportano un forte tasso di formalità, non si può escludere che, in determinate e particolari circostanze, la volontà degli elettori firmatari emerga in maniera univoca e immediata da altri elementi, che consentano di ritenere comunque indubbio il loro sostegno alla formazione politica". La volontà sarebbe stata confermata anche dal fatto che, stante l'assenza di altre liste che avrebbero potuto far sorgere dubbi sull'intenzione dei firmatari, "tutti i sottoscrittori della lista figurano nel novero dei ricorrenti", considerando pure la precedente partecipazione della lista alle elezioni del 2020. 
In mancanza di altri profili di contenzioso, è probabile che per il collegio la sola mancanza del contrassegno sul modulo dell'unica lista presentata abbia caratteri tali da non essere considerata mancanza di "elementi o requisiti che impediscano il raggiungimento dello scopo cui il singolo atto è prefigurato", ma una mera irregolarità, dalla quale non deriverebbe "alcun pregiudizio per le garanzie o compressione della libera espressione del voto". È assai probabile che, in presenza di più liste presentate in un comune con un maggior numero di elettori, il giudizio del collegio sarebbe stato più attento al rispetto letterale delle disposizioni elettorali.  
 
Come si diceva prima, si voterà regolarmente anche nel comune di Gignod, dopo la riammissione da parte del Tar aostano della lista civica Vivre Gignod (che peraltro esprime la sindaca uscente) e del suo simbolo decisamente naïf. In questo caso, il problema sarebbe stato dal fatto che "i due fogli contenenti le trenta firme dei sottoscrittori della lista non erano congiunti con il foglio recante il contrassegno né tra loro": la commissione elettorale non aveva ritenuto sufficiente la presentazione, nello stesso giorno della contestazione, di un nuovo modulo A3 con 17 delle 30 sottoscrizioni già presentate, autenticate dal segretario comunale (anzi, aveva giudicato irrilevante tale presentazione,  "invocando l’inapplicabilità alla materia elettorale dell’istituto del soccorso istruttorio"). Anche in questo caso è significativo che l'amministrazione, di fronte alle contestazioni dei ricorrenti, si sia rimessa alle determinazioni del Tar.
Per i giudici, il deposito del nuovo modulo con le 17 firme sarebbe stato sufficiente a motivare la riammissione della lista, essendo stato presentato "entro la data di scadenza" (senza ulteriori contestazioni sui fatti da parte dell'amministrazione) e non avrebbe costruito "soccorso istruttorio" (cioè un'integrazione dei documenti presentati, istituto previsto nel diritto amministrativo ma in effetti non ammissibile in ambito elettorale), ma un semplice deposito entro i termini fissati dalla legge di un documento correttamente formato e dal contenuto adeguato. Non ritenere accettabile il nuovo modulo prodotto nei termini, secondo il collegio, avrebbe significato per la commissione elettorale lo sposare la tesi di "una sorta di consumazione della facoltà di presentare la lista entro il termine di scadenza, che non trova conforto nella normativa di settore né nei principi generali".
I giudici, peraltro, hanno ritenuto opportuno aggiungere altre osservazioni. Per loro è chiaro l'orientamento giurisprudenziale consolidato in base al quale, essendo fondamentale garantire e attestare che chi firma per la presentazione di una lista sia consapevole di quale formazione stia sostenendo anche grazie alla compresenza del contrassegno e delle generalità dei candidati, "i moduli aggiuntivi utilizzati per la sottoscrizione delle liste, quando siano privi dell'indicazione del contrassegno di lista e dell'elenco dei candidati, devono necessariamente essere uniti al primo foglio da elementi ulteriori rispetto alla semplice spillatura, timbri lineari, firme, etc., in modo da consentire alla Commissione elettorale di verificare in maniera inequivoca che i sottoscrittori fossero consapevoli di dare il proprio appoggio a quella determinata lista e ai relativi candidati". Anche in questo caso, però, si è dato rilievo a "un recente indirizzo giurisprudenziale" che ha dato peso ad altre circostanze in grado di fare desumere in modo inequivoco la volontà degli elettori di sottoscrivere una lista, sia pure "in determinate e particolari vicende", in grado di costituire un'eccezione in "una cornice di necessario formalismo, posto a presidio dei principi di buon andamento e par condicio". Le "determinate e particolari vicende", anche qui, sono costituite dalla presentazione di una sola lista: "un’innegabile peculiarità che attesta in modo inequivoco la consapevolezza dei cittadini firmatari circa le finalità del loro gesto e la riferibilità delle sottoscrizioni alla lista stessa" (il Consiglio di Stato peraltro si sarebbe espresso in tal senso anche in presenza di due formazioni concorrenti).
 
Da ultimo, resta da considerare il caso di Valgrisenche, comune in cui le liste presentate erano due, come cinque anni fa.  Il 24 agosto, in particolare, era stata presentata per prima la lista Unis on réussit, con tanto di sottoscrizione contestuale delle candidature da parte di cinque elettori con autenticazione da parte del segretario comunale; un'ora più tardi altrettanto era accaduto per la lista Avenir Ensemble, con la sottoscrizione di nove elettori. Il segretario aveva personalmente portato gli atti ad Aosta alla commissione circondariale": essendo stato "informalmente avvisato della mancata congiunzione del foglio recante le sottoscrizioni" con riguardo alla sola prima lista, egli aveva formalmente "attestato di aver autenticato personalmente le firme dei sottoscrittori di lista in un’unica sessione e alla contemporanea presenza di tutti i sottoscrittori e confermato che l’intera lista dei candidati era conosciuta dai sottoscrittori al momento della sottoscrizione, essendo stata loro mostrata e messa a disposizione prima dell’apposizione delle firme". La Commissione elettorale circondariale, però, non doveva aver ritenuto sufficiente la dichiarazione del segretario comunale, avendo escluso la lista Unis on réussit: i presentatori hanno puntualmente presentato ricorso e anche in questo caso l'amministrazione si era rimessa alle valutazioni del collegio giudicante. 
I giudici hanno ripetuto le osservazioni svolte nella sentenza precedente a proposito della regola, costituita dal necessario collegamento del foglio con le firme a quello con il contrassegno e le generalità dei candidati, e dell'eccezione, in base alla quale la volontà dell'elettore di sottoscrivere una determinata lista può essere desunta da "una eccezionale concomitanza di circostanze". Le circostanze, in questo caso, sarebbero costituite dal fatto che le firme erano state raccolte e autenticate dal segretario comunale contestualmente al deposito della lista (e il numero coincideva con quello indicato dallo stesso segretario sul verbale di deposito), che le liste presentate erano solo due (per cui era "neutralizzato il rischio di confusione tra sottoscrizioni e contrassegni in quanto, come si evince dalla ricevuta della Commissione relativa alla lista concorrente, a corredo di quest'ultima è stato prodotto un numero diverso di firme") e che il numero molto limitato di abitanti del comune appare "sufficientemente esiguo da scongiurare la possibilità che l’intento dei sottoscrittori sia travisato". La stessa dichiarazione rilasciata dal segretario comunale circa i modi e i tempi di raccolta delle sottoscrizioni avrebbe concorso, insieme agli altri elementi, "unitariamente considerati", a "dimostrare univocamente la volontà dei cittadini elettori di avallare la candidatura di quella data compagine politica", a dispetto della mancata congiunzione del foglio delle sottoscrizioni a quello recante contrassegno e candidature. Per questi motivi, sulle schede di Valgrisenche sarà presente - come al precedente turno elettorale - anche il contrassegno così descritto: "coppa amicizia con scritta 'Unis on réussit', con legno e drap".
Le quattro decisioni del Tar di Aosta, tutte dello stesso tenore, sono sostanzialmente condivisibili: cercano di preservare il buon funzionamento delle amministrazioni, consentendo lo svolgersi delle elezioni ed evitando l'esito indesiderabile del commissariamento nei comuni in cui era stata ricusata l'unica lista e riammettono la seconda lista prima esclusa (ampliando la competizione e rendendola più semplice quanto agli effetti); allo stesso tempo, però, custodiscono la Regola (parafrasando Bernanos) e il suo valore, limitando la portata dell'eccezione (che però consente di non farsi schiacciare dalla Regola stessa). Anche così si può spiegare la scelta dei giudici di compensare le spese: segno che si è fatta giustizia nel caso singolo, ma il valore di fondo della Regola rimane (e la prima decisione della commissione elettorale non era del tutto sbagliata). Lascia qualche perplessità, a dire il vero, solo la compensazione nel caso di Valgrisenche, visto che la mancata congiunzione dei moduli era dovuta forse anche al modo in cui le firme erano state raccolte dal segretario comunale (o comunque non c'era una responsabilità diretta della lista): anche per questo, forse, in quella pronuncia si richiama la giurisprudenza non uniforme in materia per giustificare la compensazione. Il dubbio appena citato, comunque, non basta a cambiare il giudizio complessivo su queste vicende.

giovedì 26 giugno 2025

Democrazia sovrana popolare, nuovo simbolo per cambiare immagine

Il cambiamento del simbolo di un partito, perfino in un'epoca di attenzione all'immagine come l'attuale, raramente è soltanto un fatto estetico: c'è, normalmente, il desiderio di comunicare qualcosa di nuovo, di guardare a un elettorato più ampio o che comunque non coincida con quello precedente, così come la volontà di essere riconoscibili attraverso nuovi elementi grafici o testuali. Probabilmente va letta anche alla luce di queste considerazioni la scelta - annunciata due giorni fa - dei vertici di Democrazia sovrana popolare, cioè Marco Rizzo (coordinatore) e Francesco Toscano (presidente), di adottare per il partito un simbolo nuovo, che si discosta in modo significativo dal precedente, pur mantenendo fermo l'elemento del tricolore (reinterpretato però in maniera diversa).
Di seguito si trova il testo del post ufficiale diffuso sulla pagina Facebook di Democrazia sovrana popolare:
 
DSP – Democrazia Sovrana Popolare cambia la sua veste grafica di presentazione: sull'onda di una forte crescita politica all'interno del panorama italiano rinnoviamo la comunicazione, partendo dal simbolo.
Proprio in un momento di assoluto pericolo della terza guerra mondiale, serve dare un segnale di indipendenza, sovranità e neutralità al nostro Paese.

L’immagine della nostra forza politica diventa fondamentale. Democrazia Sovrana Popolare assume il proprio acronimo come punto riconoscibile della nostra proposta.
Il colore blu scuro fa da cornice e racchiude al suo interno gli elementi identitari del partito. Al centro campeggia l'acronimo "DSP" e, sopra, due forme geometriche stilizzate richiamano una bandiera al vento, suggerendo dinamismo, identità nazionale e slancio ideale. I cardini del programma, libertà, sovranità, pace e giustizia sociale ritrovano slancio in questo nuovo simbolo che dà ulteriore impulso all'azione di un partito giovane ma già ben riconoscibile e vera alternativa nel panorama politico italiano.

"In un momento di grande mobilità politica - affermano Marco Rizzo e Francesco Toscano - Dsp, nato da poco ma già ben riconoscibile per gli ideali e i valori che costituiscono l'ossatura del programma, decide di rinnovare il proprio simbolo per dare ulteriore slancio in un momento di forte crescita. Oggi più che mai l'Italia ha bisogno di una diversa agenda politica, di un diverso modo di vedere le cose e di raccontarle. DSP si propone come rottura della narrazione dominante per far emergere i problemi reali di un popolo ormai inascoltato, imprigionato da scelte calate dalle èlite finanziarie dominanti che non lasciano spazio alla sovranità. Per questo il simbolo non è 'chiuso': l'apertura del cerchio simboleggia la libertà, la rottura del pensiero unico e la nascita di uno spazio politico nuovo che DSP già sta rappresentando, nel quale sempre più persone ormai si identificano".

P.S. Chiediamo a tutti gli iscritti e i militanti di usare il nuovo simbolo sostituendo il vecchio. 
 
Che la scelta del nuovo simbolo non sia stata affatto casuale, ma risponda a fini precisi lo conferma direttamente Marco Rizzo, intervistato per l'occasione da I simboli della discordia. "Quando vado in giro per l'Italia capita spesso che qualcuno mi riconosca, mi chieda di fare una foto insieme e magari dica che mi stima e mi vorrebbe votare - spiega - e in quei casi chiedo sempre di dirmi qual è il mio partito. L'ho fatto anche l'altro giorno a Tiburtina, dove ero di passaggio arrivando da Napoli per raggiungere Avezzano: di otto persone che mi hanno riconosciuto alla fermata dell'autobus, nessuna ha saputo dire correttamente 'Democrazia sovrana popolare'. Forse il nome non è facile da ricordare, così abbiamo pensato di puntare sull'acronimo, che può restare impresso più facilmente". 
La scelta di questa trasformazione visiva non è nemmeno stata improvvisata, almeno nell'ambito del gruppo dirigente: "Ci penso - chiarisce Rizzo - almeno da quando ho fatto una chiacchierata con Alessandra Ghisleri, di cui ho molta stima perché è una che capisce davvero: mi ha detto 'Marco, avete un nome troppo lungo...' e così abbiamo colto l'occasione per cambiare. O meglio, il nostro nome resta, come è giusto per rispetto al percorso fatto sin qui, ma a questo d'ora in avanti si affianca la sigla, che potrà diventare il nostro marchio anche perché noi lo spingeremo di più, ogni nostra azione o dichiarazione sarà accompagnata dalla nostra sigla: scriverò sempre 'Marco Rizzo, Dsp', per capirci, e ci sarà una piena corrispondenza tra sigla e simbolo, riscontrabile da tutti". 
Se gli si chiede chi ha realizzato il nuovo emblema, Rizzo risponde: "Ci è stato donato da una persona che non so se vuole comparire... Diciamo che ce lo ha regalato Carmelo! Lui è la sua società ci hanno regalato un simbolo nuovo che mi sembra forte e soprattutto moderno, che già nel carattere usato per comporre l'acronimo è in grado di distinguersi dagli altri marchi politici in circolazione". Oltre al carattere della sigla - simile ma non uguale, al font Shock - che unisce curve e linee spigolose (soprattutto nella "P" con l'asta interrotta a livello della pancia), spicca anche l'aspetto cromatico, con un minor peso del rosso all'interno del tricolore e soprattutto l'introduzione del blu, componendo una palette di colori molto più nazionalpopolare, se si vuole. "Quello - spiega il coordinatore di Dsp - è una sorta di blu cobalto e in me attiva un ricordo preciso: quello della giubba intera da lavoro degli operai, che a Torino chiamavamo 'il toni'. Quindi il nostro blu richiama certamente anche l'Italia e il colore delle maglie della nazionale, ma per me è il blu dei lavoratori".
L'avvento del blu e il minor spazio al rosso, in quella rappresentazione della bandiera (che sostituisce le due tracce di colore verde e rosso, tanto simili a quelle che furono realizzate da Bruno Magno per i Progresissti), non sono comunque passati inosservati e più di qualcuno in Rete ha avuto l'impressione che quella scelta cromatica (insieme alla sparizione della stella rossa) potesse avere tra i suoi scopi rendere Dsp più appetibile anche per un elettorato definibile come "di destra". Di certo i colori non portano - o non fanno perdere - automaticamente voti, ma sulla base dell'uso cromatico consolidato in Italia quel simbolo potrebbe sembrare facilmente "meno di sinistra": "Ma non deve essere di sinistra! - puntualizza subito Rizzo - Ho fatto un'abiura contro questa sinistra che ha tradito tutto, quindi in questo senso io non sono di sinistra; non siamo però neanche di destra, dobbiamo superarle entrambe perché noi siamo sovranisti popolari, siamo un'altra cosa e anche il simbolo, se lo si guarda, comunica tutt'altro, in termini di modernità e di apertura a un progetto". L'idea di simbolo "non chiuso", tra l'altro, rimanda in qualche modo a un precedente grafico, quello del triangolo a forma di A "strappata" di Alternativa, che aveva scelto come primo presidente il deputato Pino Cabras (che ora è responsabile esteri di Dsp: "una coincidenza, o forse più di una coincidenza"). 
 
 
La scelta di cambiare il simbolo non sembra però aver avuto un plauso unanime: ai consensi si sono affiancate perplessità o vere proprie critiche (politiche, oltre che grafiche), anche da parte di potenziali elettori o di sostenitori, in apparenza colti di sorpresa. Si tratta di un segno di allarme? "Le crisi - risponde Rizzo - fanno parte della crescita di un progetto. E che siamo in crescita lo dicono i numeri: a Nuoro abbiamo preso l'1,4% e il nostro candidato ha ottenuto il 2,2%. La mia pagina personale ha oltre 263mila follower, negli ultimi 28 giorni sono aumentati del 38% e le visualizzazioni sono aumentate del 42% nell'ultimo mese e questo lo riscontro da mesi. Ora la sfida più importante è tradurre quella crescita in consenso elettorale, per non cadere nello schema 'tante lodi, pochi voti': cambiare il simbolo per essere più riconoscibili rientra proprio in questa logica". Il tempo e i risultati elettorali diranno se la scelta grafico-politica avrà premiato oppure no.

martedì 24 giugno 2025

Pli, congresso "sdoppiato" e scontri in tribunale. E il simbolo?

L'estate è ormai ufficialmente iniziata (anche se il caldo, in effetti, è già arrivato da un pezzo): storicamente questa è stata la stagione delle feste di partito, anche se i tempi sono inesorabilmente cambiati rispetto al passato. C'è chi, in compenso, invece che festeggiare, si ritrova per celebrare congressi, nonostante il citato caldo imperante: vale per il neonato Partito Liberal democratico (che il 28 e il 29 giugno si riunirà a Bologna a San Lazzaro di Savena) e vale per il Partito liberale italiano. Scorrendo le notizie circolanti in Rete, peraltro, si apprende che il congresso del Pli si dovrebbe tenere il 27/28 giugno, come pure il 4 luglio. Un doppio congresso? Un'illusione ottica di sdoppiamento, un miraggio magari causato dal suddetto caldo estivo? 
Di congresso, in realtà, ce ne sarebbe solo uno mentre l'altro sarebbe convocato illegittimamente, a sentire ciascuna delle due parti in disputa. Una disputa che prosegue almeno dalla fine di luglio del 2022, cioè da quando - in vista delle elezioni politiche anticipate fissate per il 25 settembre - si tenne un consiglio nazionale autoconvocato d'urgenza, nel quale fu votata una delibera per dare pieno ed esclusivo mandato all'allora co-segretario Roberto Sorcinelli di rappresentare il partito per stipulare alleanze innanzitutto col centrodestra, presentare liste e depositare il simbolo; passò pure una mozione di "sfiducia/decadenza" dalle loro cariche dell'allora presidente Stefano De Luca e dell'allora co-segretario Nicola Fortuna (accusati, all'interno della stessa mozione, di gravi violazioni statutarie), in seguito dichiarati decaduti dall'iscrizione al Pli per la loro scelta di non riconoscere validità a quelle deliberazioni e di procedere a convocare direttamente gli organi del partito. De Luca e Fortuna contestarono tanto le accuse tanto quelle decisioni, ritenendole illegittime (con riferimento al consiglio nazionale del 30 luglio 2022, per difetto del quorum di autoconvocazione e del quorum costitutivo, per preavviso troppo ridotto, carenza di ordine del giorno, omessa convocazione di tutti gli aventi diritto, difetto di forma nella stesura del verbale e conferimento di poteri in contrasto con lo statuto); al pari, era stato contestato anche il congresso celebrato il 23 settembre 2022, con la conferma di Sorcinelli alla segreteria politica e di Francesco Pasquali alla presidenza del partito (incarico già svolto ad interim).
Una semplice visitina sul web può dare le dimensioni della querelle. Il 7 giugno, sul sito www.partitoliberaleitaliano.org, è apparso il seguente annuncio:

Cari amici, mentre si stanno svolgendo i Congressi Provinciali per l'elezione dei delegati, secondo quanto previsto dallo Statuto (un delegato ogni tre iscritti), desidero informarvi che il Congresso Nazionale si terrà, come deliberato dagli organi statutari competenti, nei giorni 27 e 28 Giugno 2025 presso Salaria Sport Village (Via S. Gaggio, 5, 00138 Roma RM) 
I lavori avranno inizio il giorno 27 alle ore 17 per l’apertura dei lavori, l’elezione del Consiglio di Presidenza del Congresso e della Commissione Verifica Poteri. Il successivo giorno 28 i lavori congressuali riprenderanno con la Redazione del Segretario, il dibattito politico, la presentazione delle mozioni e si concluderanno con l’elezione dei nuovi Organi Statutari (Garante, Presidente, Segretario Nazionale, Tesoriere, Probi Viri e Consiglio Nazionale). Quest'ultimo si riunirà immediatamente dopo per eleggere la Direzione.

Grazio Trufolo - Segretario Nazionale

Dal 10 giugno, sulla pagina Facebook del partito, oltre all'annuncio del congresso per il 27-28 giugno, sono tuttavia apparse anche altre comunicazioni, dalle quali si evinceva che, a valle di un provvedimento giudiziario, la stessa pagina Fb era tornata nella disponibilità del gruppo legato a Stefano De Luca, tuttora indicato come presidente nazionale, e a Trufolo (indicato come segretario). Sulla stessa pagina, ancora gestita per conto della segreteria Sorcinelli, il 6 maggio, si era indicato il 4 luglio come data per il nuovo congresso (indicato come XXXIII, in continuità con quelli del Pli "storico", anche se in effetti risulta che il partito attuale sia stato rifondato anche giuridicamente nel 1997 come Partito liberale, poi rinominato Pli nel 2004). La notizia era apparsa anche sul sito www.partitoliberale.it, tuttora amministrato dal gruppo dirigente guidato da Sorcinelli e Pasquali e proprio lì, il 16 giugno, in risposta ai post apparsi su Fb, è stato pubblicato il seguente "comunicato ufficiale" (riportato per intero, per mera completezza, come i testi sopra indicati).

In questi giorni i sottoscritti, Segretario e Presidente del PLI, sono oggetto di insulti personali, post diffamatori conditi da false accuse calunniose da parte dell’ex presidente del PLI Stefano De Luca, di un suo seguace e un parente di quest’ultimo. Costoro hanno messo in campo una vera e propria azione coordinata di carattere diffamatorio e calunnioso - di cui risponderanno in sede penale - nei confronti nostri e di tutti i dirigenti e gli iscritti del PLI. Dopo che il De Luca si è impossessato della pagina Facebook del partito, lui e i suoi due seguaci stanno falsamente affermando che vi sarebbero “numerose ordinanze collegiali del tribunale di Roma tutte ovviamente favorevoli ai legittimi rappresentanti del Partito” che nel loro immaginario sarebbero loro stessi.  
Occorre quindi dare conto della complessa e lunga vicenda, giudiziaria e non, che vede contrapposti gli attuali legittimi rappresentanti del PLI, ovvero i sottoscritti, l’ex cosegretario nazionale Claudio Gentile e il presidente del Consiglio nazionale Diego Di Pierro tutti da una parte e, dall’altra, Stefano De Luca, l’anziano ex presidente destituito da ogni carica il 30 luglio 2022 e poi espulso dal Partito il 2 agosto 2022. Diciamo subito che, non avendo impugnato la sua espulsione nel termine perentorio di sei mesi come prescritto dall’art. 24 del codice civile, egli è irrimediabilmente, volente o nolente, un soggetto ESTRANEO al Partito Liberale Italiano. Men che meno, dunque, può affermare di esserne il legale rappresentante. 
La vicenda ha origine nel luglio 2022 quando l’allora Consiglio nazionale del PLI (massima assemblea che elegge le cariche e così le può revocare), riunitosi in auto convocazione come previsto dallo statuto, approvò una mozione di sfiducia politica nei confronti del De Luca, destituendolo dalla carica di Presidente. Ciò in quanto si andava verso l’ennesimo congresso gestito in maniera assai poco trasparente (per essere generosi…) dal De Luca, che pretendeva di sostituirsi alla segreteria nazionale nella formazione dell'elenco degli iscritti. Questo, peraltro, avvenne dopo circa 25 anni di ininterrotta tirannia da parte dello stesso sul partito. Anni in cui il PLI, per soddisfare gli interessi di pochi, ha finito col perdere ogni rappresentatività politica nel Paese. Stufi di questa situazione ormai incancrenita, i consiglieri nazionali del 2022 fecero un atto di straordinario coraggio, destituendo il "tiranno". 
Questi ovviamente non si diede per vinto e cercò di ribaltare la legittima deliberazione del consiglio nazionale infischiandosene delle regole statutarie e creando, di fatto, un’organizzazione parallela. Per questo motivo, il 2 agosto 2022 venne espulso e, a seguire, vennero espulsi quei pochi altri che tentarono di seguirlo in quest’azione contro il Partito. Successivamente, tentò di depositare il simbolo del PLI - attraverso una sua delegata - alle elezioni politiche del 2022. Ma tale tentativo venne clamorosamente bocciato prima dal Ministero dell'Interno e poi, in sede di reclamo, dalla Suprema CORTE DI CASSAZIONE, che statuì IN VIA DEFINITIVA che il De Luca o altri soggetti a lui riferibili non avevano alcun diritto a qualificarsi quali rappresentanti legali del PLI né, tantomeno, ad utilizzarne il nome ed il simbolo. Diritto che spettava, viceversa, esclusivamente ai sottoscritti. Grazie a quella decisione definitiva del massimo organo giudiziario del Paese, abbiamo mantenuto e tuttora manteniamo il pieno diritto di rappresentare il PLI, checché ne dica il De Luca o i suoi sodali. 
Da allora il De Luca ha promosso una miriade di azioni - ordinarie e cautelari, un vero e proprio stalking giudiziario - contro i sottoscritti e il PLI, bramando unicamente la sua rivalsa personale, essendo chiaro e pacifico che tutti gli iscritti del PLI non abbiano alcuna intenzione di essere rappresentati da lui. Di recente, ha chiesto al tribunale che ordinasse ai sottoscritti di consegnargli il sito web del PLI e le pagine social, e tutto ciò che appartiene al PLI, nonché che pronunciasse un’ordinanza inibitoria nei nostri confronti. Le sue domande sono state RESPINTE E RIGETTATE dal tribunale collegiale, peraltro con un'ordinanza firmata (anche quale estensore) direttamente dal presidente della Sezione Imprese del tribunale. 
Non pago di ciò, il De Luca ha riproposto le medesime domande che gli sono state ancora rigettate dal giudice monocratico ed ora si trovano pendenti in sede di reclamo. In questa complessa situazione, è riuscito a farsi attribuire (provvisoriamente) la pagina Facebook del PLI, utilizzandola immediatamente per spargere notizie false e diffamatorie nei confronti nostri e di tutti i legittimi organi del PLI, spargendo altresì la falsa notizia che il congresso nazionale si terrà il 27 e 28 giugno invece che il 4 luglio (come è effettivamente). Per far ciò, peraltro, ha utilizzato il medesimo evento Facebook da noi creato, modificando le date. Chi aveva ricevuto l’invito per il congresso del 4 luglio ora vedrà la data erronea del 27/28 giugno e, cosa ancora più grave, risulterà invitato dai sottoscritti o da altri iscritti legittimi del PLI (in quanto avevamo effettivamente inviato loro l’invito corretto).
Si tratta, in tutta evidenza, di un espediente diretto a trarre in inganno i delegati eletti ai congressi provinciali per spingerli a partecipare al suo evento al fine di trarne l’indebito vantaggio di risultarne legittimato. Sinora abbiamo preferito - per il bene e l’immagine del Partito, unica nostra preoccupazione - evitare di dar risalto pubblico alla vicenda. Ma le recenti vicende ci hanno costretto a dover prendere pubblicamente posizione. Ora ci auguriamo che il tribunale di Roma metta uno stop definitivo alle brame di un soggetto che ormai non rappresenta altri che sé stesso e a cui non importa nulla di ricostruire l’immagine di un partito glorioso che lui stesso ha devastato. 
Il 4 luglio a Roma si terrà il congresso nazionale del PLI. Congresso al quale, peraltro, avevamo consentito anche a lui di partecipare e di confrontarsi democraticamente (previa presentazione di nuova domanda di iscrizione, essendo egli un soggetto oggi estraneo al PLI). Il De Luca NON ha presentato domanda di iscrizione, evidentemente non avendo intenzione di sottoporsi democraticamente al giudizio degli iscritti. Dunque, De Luca era e rimane un soggetto estraneo al PLI. Ma, suo malgrado, il partito appartiene solo e soltanto agli iscritti. Non a lui, certamente. Ma neppure a noi e nessun altro: i rappresentanti di un partito sono e devono essere sempre pro tempore. Se il 4 luglio la nostra mozione prevarrà, saremo ancora - come lo siamo ora - il Segretario Nazionale e il Presidente del PLI. Per ulteriori due anni. Poi si vedrà.

Roberto Sorcinelli (Segretario Nazionale PLI) - Francesco Pasquali (Presidente Nazionale PLI)

Lo scambio non poteva certo fermarsi qui. Infatti sul sito amministrato in nome e per conto di De Luca e Trufolo è stata pubblicata una "relazione sullo stato dei contenziosi relativi al Pli, redatta dai legali di fiducia, la quale smentisce puntualmente le esternazioni di Sorcinelli e Pasquali apparse sul sito storicamente appartenente al Pli di cui ancora indebitamente fanno uso". Quella relazione (che a questo link si può leggere integralmente), firmata dagli avvocati Nicola De Luca (che aveva già riassunto in video, sulla pagina Fb del Pli, la medesima situazione giudiziaria) e Giuseppe Ardone, ripercorre le tappe successive alla ricusazione da parte del Viminale (confermata dall'Ufficio elettorale centrale nazionale, non esattamente dalla Cassazione, benché l'Uecn sia costituito presso la sede della Suprema Corte) del contrassegno del Pli, depositato il 12 agosto 2022 in nome e per conto di Nicola Fortuna (tappe di cui questo sito si è occupato nel dettaglio allora).
La relazione degli avvocati De Luca e Ardone fa riferimento a una vicenda giuridica e giudiziaria complessa, dipanatasi nel corso di circa due anni e mezzo senza ricevere troppa notorietà, al di là - salvo errore - delle note con cui lo studio legale D'Aiello e De Luca - lo stesso che si era occupato del contenzioso tra Pli e Partito dei liberali europei, con vittoria del primo nel giudizio cautelare (anche in sede di reclamo) - aveva reso note due ordinanze tra quelle emesse (nel 2023 e nel 2024) e del "botta e risposta" sul sito del quotidiano L'Opinione delle Libertà, risalente al 2023 e tuttora leggibile. Vale forse la pena riassumere - in base a quanto risulta a chi scrive, senza pretesa di completezza - la situazione del contenzioso, essendo pronti a integrare il racconto con le ulteriori puntate della vicenda. Proprio la complessità di questa, peraltro, suggerisce di limitarsi a riportare il contenuto delle decisioni, evitando il più possibile di commentarlo vista la delicatezza della situazione (tuttora connotata da un alto tasso di litigiosità); per mero scrupolo, si precisa - anche se dovrebbe essere ovvio - che quanto si scriverà di seguito si basa esclusivamente sul contenuto delle ordinanze, senza attingere a documenti di parte (fatte salve le loro parti eventualmente citate nelle decisioni).

* * *

1) Verso la fine di ottobre del 2022, dunque un mese dopo le elezioni politiche e dopo il congresso di settembre, il Partito liberale italiano rappresentato da Sorcinelli e Pasquali aveva presentato un ricorso ex art. 700 c.p.c. presso il tribunale civile di Roma contro De Luca e Fortuna, chiedendo in via cautelare che fosse ordinato loro "di cessare immediatamente ogni uso del nome, del contrassegno e di ogni altro segno identificativo del Partito Liberale Italiano": ciò sulla base del fatto che né De Luca né Fortuna avrebbero impugnato la delibera circa la loro decadenza dalla qualità di iscritti (e dalle loro cariche) e, nonostante ciò, avrebbero proseguito "nel tentativo di danneggiare il Pli" (si cita dall'ordinanza) ottenendo il blocco del conto corrente del partito e utilizzandone il simbolo per manifestazioni. Per De Luca e Fortuna, invece, il ricorso doveva essere dichiarato inammissibile o comunque infondato, ritenendo che la delibera del consiglio nazionale del 30 luglio 2022 che li aveva "destituiti" fosse "affetta da plurimi connotati di illegittimità" (si legge sempre nell'ordinanza), mentre sarebbero state regolari la direzione nazionale del 1° agosto e il consiglio nazionale del 5 agosto che avrebbe deciso di "revocare ogni deliberazione assunta" il 30 luglio (delibera che sarebbe stata comunque impugnata in altra sede, alla pari degli atti congressuali del settembre 2022), dunque Sorcinelli e Pasquali non sarebbero stati legittimati a rappresentare il partito. 
Il 25-26 febbraio 2023 la giudice Cristina Pigozzo (XVI sez. civ. imprese) aveva accolto il ricorso del Pli rappresentato da Sorcinelli e Pasquali, disponendo che De Luca e Fortuna - non potendosi qualificare come presidente e segretario del partito - dovessero cessare l'uso "illegittimo del nome, del simbolo e di ogni altro segno distintivo del Partito Liberale Italiano. Per il tribunale la delibera del consiglio nazionale del 30 luglio 2022 era "ancora efficace e non sospesa" (pur essendo stata impugnata da un'altra associata, senza che però fosse stata disposta la sospensione), era stata redatta nella forma dell'atto pubblico e il notaio avrebbe accertato la rispondenza alle norme statutarie vigenti dell'(auto)convocazione del consiglio (da parte di 15 membri sui 63 allora previsti), mentre i vizi contestati da De Luca e Fortuna non ne mettevano in discussione l'esistenza giuridica. Quanto alla revoca della delibera da parte del consiglio nazionale del 5 agosto 2022, per la giudice era stata disposta da un organo convocato "dall'asserita Segreteria Nazionale e dal Presidente già dichiarato destituito e, quindi, allo stato, non [poteva] ritenersi promanare dal Pli"; di più, il verbale della direzione nazionale del 1° agosto che aveva poi convocato il consiglio del 5 agosto non sarebbe stato redatto con atto pubblico e il notaio "non avrebbe potuto attestare la legittimità della costituzione dell'organo" (poiché la delibera di decadenza di De Luca dalla presidenza del partito non era stata sospesa). Sarebbe mancata, dunque, la convocazione "prima facie in modo legittimo" del consiglio nazionale del 5 agosto che avrebbe revocato le delibere precedenti. 

2) De Luca e Fortuna, tuttavia, impugnarono l'ordinanza della giudice Pigozzo, proponendo reclamo (Fortuna in seguito ha rinunciato e il giudizio cautelare nei suoi confronti si è estinto). Il collegio della XVI sezione civile del tribunale di Roma - presieduto da Giuseppe Di Salvo (lo stesso giudice che nel 2002 e nel 2004 dovette esprimersi sull'azione iniziata dal Cdu contro Alessandro Duce per bloccare il suo tentativo di "risvegliare" la Democrazia cristiana) e avente come relatrice la giudice Flora Mazzaro - il 16 maggio - 12 giugno 2023 ribaltò la prima decisione, accogliendo il reclamo di Stefano De Luca. La decisione - la prima citata nella relazione De Luca - Ardone - venne motivata dal collegio con la "insussistenza del fumus boni iuris" (cioè della possibilità che il diritto rivendicato, alla base della richiesta di tutela cautelare, esista e sia accertato in sede di merito). Per i giudici era "pacifico tra le parti" (cioè incontestato) che si fossero susseguite due delibere del consiglio nazionale - quella del 30 luglio con cui si era rimosso De Luca dalla presidenza e quella del 5 agosto con cui si era revocata la decisione precedente - "alla presenza o comunque, con la partecipazione, in entrambi i casi, di taluno dei suoi membri", mentre si contestava reciprocamente - e in modo quasi speculare - la legittimità delle stesse per violazioni di legge o dello statuto. 
Per i membri del collegio, lo spazio per ritenere/dichiarare inesistente la delibera di un organo - dopo la riforma del diritto societario disposta col d.lgs. n. 6/2003 e secondo la giurisprudenza della Cassazione civile (v. la sentenza n. 26199/2021), applicabile anche alle associazioni - sarebbe ridotto rispetto al passato ("se [...] una norma sanziona un determinato fatto con una conseguenza giuridica negativa in quanto esso venga ad esistenza con i connotati essenziali della fattispecie da essa descritta, ne consegue che una delibera nulla o annullabile in base alle legge non possa che essere considerata esistente, seppur viziata"): volendo tutelare la "stabilità degli atti sociali" e la "certezza delle situazioni giuridiche conseguenti", di fatto non si sfugge alla regola per cui un atto ritenuto viziato dev'essere impugnato entro un termine più o meno ristretto. Di fatto il ricorso del Pli di Sorcinelli e Pasquali non avrebbe chiesto di "impugnare, ai sensi dell'art. 23 c.c." la delibera del consiglio nazionale 5 agosto 2022 per farla dichiarare nulla o per ottenerne l'annullamento (e, intanto, la sospensione): anche quella delibera, dunque, fino a un'eventuale decisione che l'avesse invalidata doveva essere considerata esistente ed efficace, quindi gli atti del 30 luglio 2022 - inclusa la decadenza dalla presidenza di De Luca - dovevano considerarsi revocati. Si sarebbe potuto parlare di inesistenza se l'atto "incriminato" non fosse stato in alcun modo imputabile al partito, ma per i giudici la partecipazione di almeno un iscritto al consiglio nazionale del 5 agosto (come a quello del 30 luglio) avrebbe escluso alla radice quest'ipotesi. Sarebbe bastato questo a non far ritenere "provata la titolarità dei poteri di rappresentanza" del Pli in capo a Sorcinelli e Pasquali, mentre verosimilmente De Luca avrebbe auto diritto, quale presidente del partito, "a rappresentare l’associazione Pli e a spenderne il nome, il simbolo e altri segni distintivi".

3) Un nuovo ricorso era stato presentato da Roberto Sorcinelli e Francesco Pasquali a nome del Pli contro Stefano De Luca, con nuova richiesta di tutela cautelare dopo l'ordinanza di reclamo appena vista. Il nuovo procedimento era iniziato sia per contestare che il 5 agosto 2022 si fosse mai svolta alcuna riunione del consiglio nazionale, sia soprattutto per far valere - come fatto nuovo - che proprio il consiglio nazionale del Pli, il 23 giugno 2023, dopo l'ordinanza di reclamo dello stesso tribunale di Roma, era stato convocato dal nuovo presidente dell'organo, Diego Di Pierro (intervenuto a favore del Pli) e aveva "esplicitamente disconosciuto l'asserita riunione tenuta dal sig. De Luca e la conseguente delibera del 5 agosto 2022", negando che fosse "in alcun modo riferibile al Partito Liberale Italiano" e revocandola - al pari di ogni atto compiuto da De Luca nel ruolo da lui rivendicato - per ogni evenienza, oltre a prendere atto "della definitività della espulsione irrogata al Sig. De Luca per omessa impugnazione nel termine di cui all’art. 24 c.c.". Non volendo riconoscere a De Luca "qualsivoglia rappresentanza o funzione" e volendo reagire alle azioni (ritenute "di disturbo") dello stesso, Sorcinelli e Pasquali avevano chiesto di nuovo al tribunale di Roma di ordinare a De Luca di smettere di usare il nome e il simbolo del Pli e di "cessare immediatamente qualsivoglia pubblicazione, informativa e/o comunicazione inveritiera, capziosa e tendenziosa con la quale tenti [...] di accreditarsi quale iscritto e/o titolare di cariche o financo 'presidente' del Partito liberale italiano";
Il giudice Maurizio Manzi (della XVI sezione civile del tribunale di Roma) il 12 luglio 2023 aveva accolto il ricorso del Pli, pur sottolineando che - come eccepito da De Luca nella sua difesa - non si poteva chiedere nuova tutela cautelare "a fronte di un quadro fattuale sostanzialmente immutato" (essendo necessario l'emergere di fatti nuovi per rivalutare la situazione) e ritenendo che al tempo della precedente ordinanza la delibera del consiglio del 5 agosto fosse valida ed efficace. Il magistrato aveva infatti rilevato che la delibera del 23 giugno 2023 - con cui lo stesso organo aveva disconosciuto la "revoca" del 5 agosto 2022 - doveva considerarsi un fatto nuovo sopravvenuto, sufficiente non a far dichiarare decaduto ed espulso De Luca, ma almeno a fondare il fumus boni iuris del Pli guidato da Sorcinelli e Pasquali (e a far ritenere che, in un clima molto più litigioso e in potenziale peggioramento, il diritto rivendicato dovesse essere protetto subito in via cautelare per non rischiare di comprometterlo del tutto, a tutela "degli interessi patrimoniali del partito nonché a presidio del tessuto ideologico e di credibilità dello stesso").

4) Insoddisfatto dell'esito dell'ordinanza, Stefano De Luca presentò di nuovo reclamo, ritenendo che il primo giudice avesse commesso errori di valutazione. Il collegio della XVI sezione civile (specializzata in materia d'impresa) del tribunale di Roma, presieduto dalla giudice Mazzaro - che aveva già steso l'ordinanza di maggio-giugno - e avente come estensore Guido Romano (lo stesso che aveva dichiarato il "consiglio nazionale" della Democrazia cristiana del 30 marzo 2012 e che nel 2016 aveva disposto la convocazione dell'assemblea degli iscritti della Dc su richiesta del preteso 10% degli iscritti), il 25 settembre 2023 (con pubblicazione il 15 gennaio 2024) accolse il reclamo (si tratta della seconda ordinanza citata nella nota degli avvocati De Luca e Ardone). Ritenendo corretto applicare anche in quel giudizio cautelare ciò che era già stato indicato nell'ordinanza di reclamo precedente circa l'inesistenza della deliberazione di un organo di un'associazione (sostenendo che vi fosse spazio qualora quella deliberazione non fosse stata in alcun modo imputabile al partito), il collegio osservò che - come evidenziato da De Luca in sede di reclamo - alla riunione del 12 giugno 2023 del consiglio nazionale non avrebbe "partecipato alcun soggetto riconducibile al Partito liberale, in quanto tutti i soggetti che compaiono nel relativo verbale erano stati precedentemente espulsi o comunque non più iscritti all'associazione".
Ciò non sarebbe bastato a far dichiarare inesistente la delibera di revoca delle decisioni del 5 agosto 2022, ma per i giudici era sufficiente a far ritenere, incidentalmente e in sede cautelare, che quella delibera non potesse "essere idonea a regolare i rapporti all’interno dell’associazione" e comunque non fosse un "fatto nuovo" per fondare il potenziale diritto del Pli rappresentato da Sorcinelli e Pasquali a ottenere l'inibitoria nei confronti di De Luca. Questi, tra l'altro, non sarebbe stato convocato alla riunione del 12 giugno 2023 e ciò per i giudici, oltre che motivo di potenziale illegittimità della delibera, era "ancora più grave se si pone mente al fatto che il predetto sarebbe stato espulso proprio attraverso l'adozione di tale deliberazione". Tra le conseguenze di queste riflessioni, per il collegio c'era il fatto che De Luca - sia pure con rilievo probabilmente da riferire al giudizio cautelare - rivestiva "ancora la carica di Presidente del'Associazione" e non gli si poteva "vietare di comportarsi come legale rappresentante del Partito Liberale" (anche se i precedenti non univoci della disputa giuridica relativa al Pli hanno indotto i giudici a compensare le spese). 

5) A luglio del 2023, in compenso, Stefano De Luca aveva agito a sua volta contro il Pli, basandosi sulla prima ordinanza collegiale ricordata (quella che aveva respinto il ricorso del Pli rappresentato da Sorcinelli e Pasquali ritenendo non inesistente e tuttora efficace il deliberato del consiglio nazionale del 5 agosto 2022). Rivendicando su tale base la permanenza nel proprio ruolo di presidente nonché la validità del Congresso del 7-9 ottobre 2022 da lui indetto (e da cui sarebbe uscito confermato presidente), De Luca aveva chiesto innanzitutto la nomina di un curatore speciale per il Pli (nominato effettivamente dal giudice Manzi dopo la seconda ordinanza collegiale appena ripercorsa, nella persona dell'avvocato Luigi Amerigo Bottai), per poi domandare che la delibera del 23 giugno 2023 fosse dichiarata inesistente perché non riferibile al Pli o fosse sospesa per la sua sospetta nullità; aveva chiesto anche di dichiarare che "l'unica persona con ruoli e poteri di rappresentanza del Pli" era lui stesso, non invece Sorcinelli e Pasquali. 
Il 21 aprile 2024, tuttavia, il giudice Manzi ha dichiarato inammissibile la richiesta di dichiarare inesistente o sospendere la delibera del 23 giugno 2023: dopo la seconda ordinanza collegiale (prima richiamata), "avrebbe dovuto attendersi la decisione" di primo grado del tribunale sul punto, senza chiedere altre tutele cautelari; in più, per il giudice non era mutato "il quadro fattuale rispetto a quello" valutato nella stessa ordinanza collegiale pubblicata a gennaio, quindi non c'era motivo di prendere altri provvedimenti cautelari (il giudice peraltro ha considerato "irrituale" anche la richiesta del curatore speciale del Pli di far dichiarare il difetto di poteri di De Luca per la mancata impugnazione della sua esclusione dal partito entro sei mesi, perché questo avrebbe ampliato l'oggetto della decisione del procedimento).

6) Stefano De Luca ha scelto di opporre reclamo contro l'ordinanza appena commentata, richiedendo ancora una volta l'intervento di un collegio di giudici: come presidente è stato indicato di nuovo Di Salvo (presidente di sezione), Flora Mazzaro era di nuovo membro della triade, mentre l'estensore era Paolo Goggi (autore a sua volta - nel 2022 - di un paio di pronunce in materia di Democrazia cristiana e scudo crociato). Questo nuovo collegio di seconde cure ha accolto il reclamo di De Luca, in un'ordinanza del 24 luglio 2024 (pubblicata il successivo 5 agosto, stessa data del consiglio nazionale difeso da De Luca), terzo provvedimento indicato nella nota degli avvocati De Luca e Ardone.
L'ordinanza collegiale ha richiamato il provvedimento con cui - ai fini di quel procedimento e della valutazione della concessione di misure cautelari - il 15 gennaio 2024 si era ritenuta probabilmente inesistente o invalida la deliberazione del 23 giugno 2023; ha però ricordato che quella stessa pronuncia era legata a un procedimento precedente (avviato da Sorcinelli e Pasquali in nome del Pli) e che i principi giuridici richiamati in quel contesto dovevano "essere applicati anche nel caso di specie al fine di valutare, questa volta in via diretta e non meramente incidentale, l’esistenza e la validità della delibera in oggetto". Se dunque la precedente ordinanza collegiale aveva espresso dubbi sull'esistenza della riunione/delibera del consiglio nazionale  del 23 giugno 2023 solo per ritenere non fondata la richiesta del Pli di adottare provvedimenti cautelari nei confronti di De Luca, in questo caso i giudici hanno ritenuto - sulla base della stessa previsione di inesistenza o invalidità - che la richiesta di tutela cautelare di De Luca dovesse essere "accolta integralmente", "con conseguente accertamento della inesistenza della deliberazione del Consiglio Nazionale del Partito Liberale Italiano del 23.06.2023".
 
7) In quello stesso procedimento originato dal reclamo e proprio sulla base dell'ordinanza collegiale appena ripercorsa, in pendenza del giudizio di merito De Luca aveva chiesto allo stesso tribunale di ordinare a Sorcinelli e Pasquali di astenersi dal qualificarsi come rappresentanti del Pli, "cessando qualunque comportamento pubblico o privato possa ingenerare nei terzi, e in particolare negli aderenti al Pli, il convincimento che i medesimi sono i legittimi rappresentanti del Pli" [nel frattempo, tra l'altro, si erano celebrate varie elezioni, comprese quelle regionali sarde, in cui il partito aveva presentato proprio liste, anche con altre forze politiche, ndb], di fornire tutte le informazioni sulla tesoreria (e di provvedere al rendiconto della gestione) e di trasferire allo stesso De Luca le credenziali dei canali social e del sito del partito, ritenute necessarie per poter diffondere pubblicamente le proprie posizioni politiche a nome del Pli; lo stesso ordine veniva richiesto nei confronti delle società fornitrici dei relativi servizi internet.
Il collegio, presieduto sempre da Di Salvo e di nuovo con Goggi relatore, l'11 dicembre 2024 ha rigettato le richieste di De Luca. La decisione sembra fondarsi su una questione molto tecnica, cioà sulla possibilità di applicare il procedimento d'attuazione di un provvedimento cautelare (regolata dall'art. 669-duodecies del codice di procedura civile, per cui "[...] l'attuazione delle misure cautelari aventi ad oggetto obblighi di consegna, rilascio, fare o non fare avviene sotto il controllo del giudice che ha emanato il provvedimento cautelare il quale ne determina anche le modalità di attuazione e, ove sorgano difficoltà o contestazioni, dà con ordinanza i provvedimenti opportuni, sentite le parti. Ogni altra questione va proposta nel giudizio di merito") anche ai provvedimenti d'urgenza che hanno sospeso la deliberazione di un organo associativo e, in particolare, al caso concreto. Per i giudici quel procedimento in astratto sarebbe stato applicabile, ma occorreva considerare che la sospensione della delibera del consiglio nazionale (23 giugno 2023) ritenuta probabilmente inesistente aveva già prodotto "una situazione giuridica nuova, sostanzialmente analoga a quella precedente" (perché quella delibera, pur esistente e ancora valida, è stata privata temporaneamente dei suoi effetti) e che in sede cautelare il giudice poteva solo determinare le "modalità di attuazione sulla base del dictum cautelare, senza alcun potere integrativo": in concreto, gli ordini richiesti da De Luca con il suo ricorso non sono stati ritenuti "direttamente desumibili dal provvedimento cautelare di sospensione, che di fatto verrebbe ad essere integrato e non meramente attuato" (per cui il ricorrente, se quegli ordini fossero stati disposti, avrebbe potuto ottenere qualcosa di "non previsto dal provvedimento cautelare di sospensione e non ottenibile neanche all’esito del giudizio di merito", volto solo a far dichiarare inesistente o invalida la delibera del 23 giugno 2023). Di più, per il collegio il tribunale nemmeno alla fine di quel giudizio di merito avrebbe potuto obbligare Sorcinelli e Pasquali "all'esecuzione di un facere infungibile" (nel senso che occorrerebbe comunque la collaborazione dei soggetti per ottenere quel risultato) non previsto dal provvedimento cautelare di cui si chiedeva l'attuazione.
 
8) Da ultimo, Stefano De Luca nel mese di gennaio si è rivolto di nuovo al tribunale civile di Roma, con un nuovo ricorso ex art. 700 c.p.c. contro Sorcinelli e Pasquali, riformulando in sostanza buona parte delle domande - astensione dal vantare le qualità di segretario e presidente del Pli, trasferimento delle informazioni di tesoreria e rendiconto, con sanzioni in caso di inadempimento - già presentate in sede di attuazione del provvedimento cautelare dell'agosto 2024 (e respinte con l'ordinanza richiamata subito sopra); il ricorso era però anche rivolto alle società Meta e Aruba, perché il tribunale potesse ordinare loro di "resettare le credenziali di tutti i canali di comunicazione" web del partito, fornendone di nuove a De Luca, "data l'acclarata indisponibilità di Sorcinelli e Pasquali" (così si legge nell'ordinanza) a trasferire al ricorrente l'accesso. Sorcinelli e Pasquali avevano chiesto che il ricorso fosse dichiarato inammissibile (per l'intervenuta "destituzione" dalla carica di presidente ed espulsione di De Luca) o comunque infondato (anche per il fatto che la questione era già stata affrontata in altre sedi).
Sulle domande si è espresso di nuovo il giudice Maurizio Manzi, con un'ordinanza composita (). Da un lato egli ha respinto le richieste di inibitoria nei confronti di Sorcinelli e Pasquali, ribadendo quanto già deciso dall'ordinanza di dicembre 2024 (la delibera del 23 giugno 2023, sospesa provvisoriamente, già non produceva più effetti e non si poteva invocare "l'adozione di un pronunciamento cautelare parallelo di natura anticipatoria - a mezzo della richiesta di specificare chi sia l’unico legale rappresentante dell’organizzazione di partito - nelle more dell'adozione delle pronuncia di merito". Il provider Aruba aveva già provato di non avere più rapporti con il Pli (non essendo più né il registrar del dominio del sito www.partitoliberale.it, né il fornitore del servizio di hosting del sito stesso), dunque anche nei suoi confronti il ricorso è stato respinto. Quanto alla società Meta Platforms (fornitrice, tra l'altro, delle piattaforme social Facebook e Instagram), aveva chiesto di essere estromessa dal procedimento, dichiarandosi disponibile a ottemperare "alla ordinanza che fosse stata emessa": su tale base, il giudice le ha ordinato "di apportare le modificazioni richieste (ponendo in essere le condotte volte a tener conto dei mutati assetti nella direzione del partito) nell'arco temporale intercorrente fra la proposizione della istanza cautelare sino alla adozione della pronuncia di merito in prime cure (salva la valutazione, per l’arco temporale successivo, delle statuizioni adottande in sede di giudizio di cognizione ordinaria di primo grado)". Sulla base di quest'ordine può spiegarsi il "passaggio di mano" - dal 10 giugno - dell'amministrazione della pagina Facebook del Pli (mentre chi si riconosce nella presidenza di De Luca ha costituito un diverso sito - www.partitoliberaleitaliano.org - non potendo accedere a quello sotto il dominio storico www.partitoliberale.it, attivo almeno dal 2001, tuttora amministrato da chi si riconosce nella leadership di Sorcinelli e Pasquali); risulta peraltro che l'ordinanza sia oggetto di reclamo, del quale ancora non si conosce l'esito.
 
Ricostruito - si spera nel modo meno incompleto possibile - il quadro delle ordinanze emesse finora, ci si limita a poche osservazioni (senza entrare in commenti). Da un lato, si è di fronte a otto decisioni - se non è sfuggito qualcosa - tutte di natura cautelare e, come tali, provvisorie e transitorie: le sentenze di primo grado dei rispettivi giudizi di merito, ove si arrivasse alla loro emissione, potranno quindi decidere in modo diverso a seguito di una cognizione piena e non "a prima vista". Dall'altro lato, è altrettanto vero che quelle stesse ordinanze (in particolare le tre collegiali di reclamo, indicate ai punti nn. 2, 4 e 6, nonché le decisioni più recenti ai punti nn. 7 e 8) esistono, producono effetti e, fino al loro eventuale superamento, occorre tenerne conto.
Va inserita in questo contesto la "doppia convocazione" del XXXIII congresso del Pli, che assai probabilmente genererà nuovi contenziosi. Questi, come quelli già avviati (e tuttora pendenti con riguardo al merito), finiranno per riguardare anche l'uso del nome e del simbolo del partito: non tanto la titolarità di quei segni di identificazione, quanto la legittimazione a utilizzarli. L'art. 25 dello statuto precisa che "[i]l Presidente e il Segretario Nazionale hanno disgiuntamente la rappresentanza legale del Partito nei confronti dei terzi ed in giudizio, e sono i custodi ed i responsabili del logo e del simbolo del Partito" e gli stessi "esercitano la facoltà di concedere le deleghe per l’utilizzo del logo e del simbolo, su richiesta degli organi territoriali del Partito per uso elettorale e/o propagandistico ed in ogni altra occasione". Chi dunque si ritiene legittimamente segretario o presidente rivendica per sé l'uso legittimo del simbolo, negando che altri soggetti possano essere titolati. Si resta dunque in attesa degli sviluppi della questione politica e - soprattutto - giuridica, per poterne dare conto e aiutare la comprensione.

venerdì 13 giugno 2025

Più Uno, se il progetto di Ruffini richiama subito l'Ulivo

L'effetto del passato che si riaffaccia, o almeno l'impressione che sia così, in francese ha il suono morbido - pure se contratto - del déjà vu. Meno morbida e meno poetica, ma sempre più diffusa è la sensazione di "già visto" in campo politico. Sarà che spesso riappare chi - anche solo per poco tempo - ha fatto parte delle cronache, dei commenti e persino dei "retroscena", sarà che le proposte di programma su vari temi raramente sono originali (ammesso che ciò sia possibile e, soprattutto, ragionevole) e che persino i nomi e le grafiche con cui ci si dovrebbe distinguere finiscono spesso per somigliarsi; sta di fatto che molte persone credono sovente di trovarsi di fronte all'ennesimo politico o partito fotocopia. Quel giudizio, ovviamente, può essere  tanto ingeneroso quanto devastante, potendo minare dall'inizio la strada di un progetto politico. 
In certi casi però la memoria dei #drogatidipolitica si attiva immediatamente ed è difficile lasciare da parte il pensiero che quell'attivazione sia stata espressamente voluta da chi ne ha creato le condizioni. Difficile pensare a qualcosa di diverso, in particolare, guardando la grafica, diffusa solo qualche manciata di ore fa, per il progetto politico legato al nome di Ernesto Maria Ruffini, sino alla fine dello scorso anno direttore dell'Agenzia delle entrate, dimessosi  senza risparmiare polemiche verso chi dipingeva la scelta di combattere l’evasione come "una scelta di parte e addirittura qualcosa di cui vergognarsi". Già prima delle dimissioni si era iniziato a parlare di Ruffini come persona potenzialmente in grado di "riorganizzare un centro, dare forza a un centro del centrosinistra, diventare l'atteso 'federatore' del campo largo" (così aveva scritto Marco Iasevoli su Avvenire). Dopo le smentite, è arrivato un atto concreto: il 1° marzo è stata costituita l'associazione Più Uno, con sede a Roma in viale Carso, avente tra i suoi scopi, come si legge all'art. 3 dello statuto, "attivare, convogliare e catalizzare lo straordinario potenziale civico esistente nel nostro paese e mettere in rete esperienze di impegno civile, impegno che è necessario per dare una prospettiva condivisa alle sorti del nostro sistema democratico", nonché "favorire l'impegno sociale e far riscoprire i legami e le responsabilità verso la comunità, quali fondamento di libertà e orizzonti in grado di superare i confini e destini dei singoli", sostenere "la costruzione di una società improntata al bene comune e al benessere collettivo, impegnandosi fin da subito a creare spazi di confronto e proporre nuove idee" per migliorare la qualità del dibattito politico, riavvicinare i cittadini al confronto civile e alla partecipazione. Tutto ciò vedendo nell'integrazione europea "l'unico percorso perseguibile di pace e benessere del popolo europeo, [...] in cui l'Italia deve tornare ad essere protagonista ai capofila ispirandosi ai principi fondamentali alla base della nostra costituzione" e volendo valorizzare "lo straordinario lavoro di organizzazioni no-profit che ogni giorno sostengono le crepe sociali e le fragilità umane nelle periferie delle città e affrontano anche le problematiche che attraversano i centri della città".
Fin qui e nei molti altri propositi non è difficile ritrovare le caratteristiche di un progetto politico (nel senso più ampio e, volendo, più nobile del termine) di matrice cristiana e democratica: ciò non stupirebbe nemmeno troppo, anche considerando che il padre di Ruffini, Attilio, era stato a lungo deputato della Democrazia cristiana e che uno dei fratelli, Paolo, come giornalista ha avuto una lunga esperienza alla guida - oltre che di Rai3 - di Tv2000 e del Dicastero per la comunicazione della Santa Sede. Poi però lo sguardo cade sulla grafica che è stata scelta per il nome dell'associazione: appena si vedono quelle sei lettere in carattere bastoni blu e con l'accento rosso, è quasi impossibile non ripensare subito all'Ulivo concepito visivamente per Romano Prodi da Andrea Rauch nel 1995 (la genesi è stata raccontata a questo sito dallo stesso autore con dovizia di particolari). 
Ancora di più, riesce quasi impossibile credere che quel rimando non sia stato scientemente voluto. Innanzitutto la costituzione dell'associazione Più Uno va di pari passo con la pubblicazione del libro omonimo, edito da Feltrinelli, dal contenuto chiaramente politico. Il carattere impiegato in copertina (New Century Schoolbook), tuttavia, è coerente con quelli impiegati dall'editore per tanti altri suoi volumi; è invece ben diverso dal Futura Black usato ora per comporre il logotipo dell'associazione e anche i colori che tingono il testo somigliano davvero moltissimo al blu e al Rosso senti da Rauch nel 1995. A onor del vero, il sito più.uno riporta una grafica simile a quella della copertina, con i cerchi colorati che si sovrappongono (a qualche drogatodipolitica incallito potrebbe tornare in mente anche il varo grafico di Italia unica di Corrado Passera, ma l'esito un poco felice ne sconsiglierebbe il richiamo).
La sensazione che il rimando alla stagione rivista sia tutt'altro che casuale aumenta considerando le parole pronunciate da Ruffini alla sua ultima partecipazione a DiMartedì, il 10 giugno, intervistato da Giovanni Floris: "Son cresciuto con i comitati per l'Ulivo: sono stati una stagione straordinaria, senza nulla togliere ai partiti". Lo stesso strumento immaginato "per riportare le persone a partecipare, a sentirsi coinvolte, ad essere in qualche modo partecipi di un sogno futuro", vale a dire i Comitati "Più Uno", che Ruffini vorrebbe far nascere in ciascuna delle province italiane per essere promotori "di partecipazione politica, di discussione e di voto consapevole", non possono che ricordare i Comitati per l'Italia che vogliamo alla base dell'esperienza prodiana citati dallo stesso ex direttore dell'Agenzia delle entrate.
Chi conosce e ricorda bene le vicende della politica italiana successiva nel 1994, del resto, sa bene che le parentele grafiche con l'Ulivo non costituiscono certo una novità. Nel 1999, infatti, pochi mesi dopo la caduta per un voto del suo (primo) governo, Romano Prodi si convinse a costituire un proprio partito in tempo per partecipare con una lista alle elezioni europee, un po' per andare alla conta (a dispetto dei piani altrui) e un po' per preparare il futuro. Alla fine si decise - probabilmente su indicazione di Arturo Parisi - di utilizzare l'asinello come simbolo per il nuovo partito-lista e di usare il nome "i Democratici", senza alcun riferimento esplicito all'Ulivo (da ricostruire con il tempo); nonostante questo, all'agenzia Advcreativi di Ancona che fu incaricata di dare forma al simbolo fu abbastanza chiaro fin dall'inizio - come ha dichiarato a questo sito il suo fondatore, Francesco Cardinali - "che il lettering del simbolo doveva restare lo stesso dell'Ulivo".
L'Ulivo fu comunque recuperato nel 2001 per contrassegnare la coalizione guidata da Francesco Rutelli (che non ebbe però la stessa fortuna del 1996) e nel 2004 con una leggera variante - Uniti nell'Ulivo, con il ridisegno del simbolo affidato a Bruno Magno - per distinguere alle europee la lista unitaria di Ds, Margherita, Sdi e Repubblicani europei. Nel 2005, però, nell'ultimo anno della legislatura, si iniziarono a scaldare i motori per le regionali dello stesso anno e guardando soprattutto alle politiche dell'anno successivo: si iniziò quindi a preparare una coalizione larga, anzi larghissima, che potesse contenere tanto Fausto Bertinotti quanto Clemente Mastella. La leadership di Prodi sarebbe stata confermata in autunno con le primarie della coalizione, ma già il 10 febbraio fu presentato pubblicamente il simbolo dell'Unione, con l'emiciclo parlamentare tinto dei colori dell'arcobaleno e il nome scritto con lo stesso carattere dell'Ulivo, ma stavolta colorato di verde (ma sempre con un apostrofo rosso, tutto obliquo stavolta).
E se alla scelta del nome pare abbia lavorato Annamaria Testa a Milano, a dare forma al simbolo era stata ancora una volta la Advcreativi di Cardinali, che sull'Unità dell'11 febbraio 2005 (il giorno dopo la presentazione del nuovo emblema) aveva concorso a spiegare la genesi della grafica. Grafica arcobaleno che paradossalmente finì sulle schede delle elezioni regionali del 2005, ma non su quelle delle elezioni politiche del 2006 (tranne che in Alto Adige e nella circoscrizione Estero), visto che la nuova legge elettorale consigliava di colpire in coalizioni multiliste.
Dopo quell'evento elettorale - e il naufragio del secondo governo Prodi - rimase solo il rametto dell'Ulivo, inserito obtorto collo nel simbolo del Partito democratico da Nicola Storto (e mantenuto fino a oggi contro la volontà di colui che lo disegnò, cioè Rauch). Ora che il Pd non è più quello di Matteo Renzi ma continua a essere oggetto di critiche, soprattutto da parte dei moderati, sembra pronto a partire qualcuno che spera di intercettare - come federatore o ricostruttore - varie sensibilità dell'area progressista, magari rievocando lo spirito del 1995-96 anche grazie ai colori. Chissà se Più Uno diventerà partito e se i colori dell'Ulivo conviveranno con quel che resta del rametto in due simboli diversi...

lunedì 9 giugno 2025

Nuoro, simboli e curiosità sulla scheda


Dei sei comuni della Sardegna chiamati al voto tra ieri e oggi, il solo comune superiore è anche capoluogo di provincia: Nuoro. Si è tornati alle urne dopo le dimissioni, poco più di un anno fa, del sindaco Andrea Soddu, eletto per la prima volta nel 2015 e sostenuto in entrambi i casi da una coalizione civica (anche se nel 2019 era stato candidato alle europee per il Partito democratico e lo scorso anno si è presentato alle regionali a sostegno della candidatura di Renato Soru). A contendersi, dopo un anno di amministrazione commissariale, il ruolo di sindaco saranno quattro candidati, sostenuti in tutto da 15 liste. Si tratta di una contrazione rilevante rispetto alle elezioni del 2020 che avevano visto sfidarsi sette aspiranti sindaci e 23 simboli di lista.
 
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Lisetta Bidoni

1) Progetto per Nuoro

Per quanto possa sembrare incredibile, il sorteggio ha collocato in prima posizione la stessa aspirante sindaca indicata per prima cinque anni fa. Si tratta di Lisetta Bidoni, ex dirigente scolastica e sindacalista. Se nel 2020 aveva potuto contare sul sostegno di tre liste, questa volta - falliti i tentativi di far rientrare quella proposta all'interno del centrosinistra - Bidoni si ripresenta all'elettorato nuorese appoggiata da un'unica formazione civica, Progetto per Nuoro. Il simbolo è esattamente identico a quello schierato sulle schede 5 anni fa: un sole nasce da una stretta di mano (antico segno di sinistra o comunque della cooperazione per il sociale), con l'arcobaleno a completare la grafica. Si segnala l'uso dell'appellativo "sindaca", correttamente declinato al femminile.
 

Domenico Mele (noto Pannella)

2) Democrazia sovrana popolare

In seconda posizione si ritrova la candidatura di Domenico Mele, detto "Domenicheddu", ma sulle schede si ritrova addirittura l'espressione "noto Pannella". Mele, idraulico e già "schiaffeggiatore" del ministro Giulio Tremonti ai tempi del programma di Sky Uno "Gli sgommati", a dispetto della sua lunga militanza nel Psd'az, è sostenuto da una sola lista, presentata da Democrazia sovrana popolare. Il partito, guidato a livello nazionale da Marco Rizzo e Francesco Toscano, sta cercando di essere presente nel maggior numero possibile di competizioni e non stupisce di trovarlo anche a Nuoro; nel contrassegno, sotto alle tracce tricolori, il nome sembra meno spaziato per fare posto a una bandiera sarda sventolante e al nome del comune, scritto in verde e blu (i colori dello stemma) e con un curioso carattere "childish". Da segnalare la presenza, come capolista, di Maria Rosaria Randaccio, già candidata con Sardegna Zona Franca alle regionali del 2014 ed esclusa alle regionali nel 2024 per la bocciatura della lista Forza del Popolo
 

Giuseppe Luigi Salvatore Cucca

3) Nuoro. A capo - Cucca sindaco

La terza candidatura in ordine di sorteggio è quella di Giuseppe Cucca, avvocato, già segretario regionale Pd, poi senatore di Italia viva e attualmente segretario regionale di Azione. Dopo una prima dichiarazione di indisponibilità a candidarsi, si presenta sostenuto dalla coalizione "Solo Nuoro", di cui fanno parte 6 liste. La prima, Nuoro. A capo - Cucca sindaco, è la sola a contenere nel simbolo un riferimento al candidato. I colori dominanti sono sempre verde e azzurro (che peraltro ricordano almeno in parte quelli di Azione) e tingono in sfumatura anche i raggi di una sorta di sole stilizzato. Sotto al nome del candidato e al nome della lista compare anche la dicitura "Un'Altra Sardegna" (il gruppo di Roberto Capelli, ex senatore Cd ed ex consigliere regionale), mentre in basso c'è un accenno di fascia tricolore leggermente ondulata. 
 

4) Partito sardo d'azione

L'unico simbolo di partito che appare all'interno delle liste della coalizione che sostiene Cucca è quello del Partito sardo d'azione, che come a livello regionale si mostra vicino a un candidato scelto anche dal centrodestra (i cui partiti tuttavia hanno scelto di non apparire in modo diretto, come si vedrà). Il contrassegno utilizzato, ovviamente, contiene il fregio della bandiera dei Quattro Mori che da sempre caratterizza il Psd'az, senza che stavolta sia presente alcun riferimento testuale o locale, com'è accaduto in altre competizioni elettorali.  
 

5) Forza Nuoro al centro

Terza lista delle coalizione su cui può contare Cucca è Forza Nuoro al centro, che è stata presentata - a quanto si apprende - da Forza Italia (come poteva intendersi in parte dal nome scelto) e dall'Udc. Nessuno dei due simboli di partito compare nel contrassegno di lista, vista la scelta di proporsi essenzialmente in chiave civica. Come grafica è stato scelto il profilo della Sardegna, colorato di blu scuro, con una stella concava che brilla dal centro dell'isola, collocata su fondo azzurro chiaro; in alto c'è un accenno di tricolore, mentre sotto è collocato il nome della lista (scritto in Arial Black).  
 

6) SiAmo Nuoro

Come quarta lista della coalizione in appoggio a Cucca è stata sorteggiata SiAmo Nuoro, che all'interno del contrassegno è definita come "la lista civica di chi ama Nuoro": si tratterebbe, a quanto si sa, della formazione promossa dall'ex assessore regionale in quota Lega Pierluigi Saiu. Il simbolo declina in tutti i modi possibili il concetto di "SiAmo", inserendo tra la "i" e la "a" del nome un piccolo cuore bianco, collocato peraltro "all'incrocio" di un cuore blu sfumato, posto su un fondo verde (dunque anche qui si è fatto uso dei colori ufficiali cittadini). 
 

7) Cambiamo Nuoro ora!

Anche la quinta lista della coalizione che sostiene Cucca si presenta come civica: si tratta di Cambiamo Nuoro ora! Attraverso i media si apprende che la lista sarebbe stata organizzata da Fratelli d'Italia: concentrando lo sguardo sul contrassegno si può notare che il colore di fondo (tipo carta da zucchero) è praticamente identico a quello utilizzato da Fdi per il suo simbolo e lo stesso può dirsi probabilmente per il giallino che tinge le prime due parole del nome (scritto con un Helvetica Inserat e con le lettere leggermente sfalsate). Completa la grafica una striscetta tricolore un po' sfumata collocata tra la seconda e la terza parola della denominazione della lista. 
 

8) Riformiamo Nuoro

L'ultima lista della coalizione in appoggio a Cucca, che pure si presenta evidenziando una natura civica, è forse la più riconoscibile di tutti, guardando tanto al nome quanto al simbolo: Riformiamo Nuoro, infatti, è stata presentata dai Riformatori sardi, formazione quasi sempre presente alle elezioni locali in Sardegna. In particolare, il nome della lista somiglia molto a quello del partito; quanto al simbolo scelto, conserva l'arco tricolore a tre conci (pur molto più sottile rispetto al solito), il fondo blu scuro inventato a suo tempo da Giuliano Bianucci per il Patto Segni e anche le sei stelle, collocate come sempre nella parte inferiore.
 

Emiliano Fenu

9) MoVimento 5 Stelle

Quarto e ultimo candidato alle elezioni comunali nuoresi è Emiliano Fenu, parlamentare in carica del MoVimento 5 Stelle (ora deputato, senatore nella scorsa legislatura), sostenuto dal centrosinistra allargato al M5S. Ed è proprio quella del MoVimento la prima delle sette liste sul cui appoggio Fenu potrà contare. L'ultima versione del simbolo del M5S (con il riferimento al 2050 come anno della neutralità climatica) è stata inserita in un cerchio di colore blu scuro: all'interno della corona circolare trovano posto in alto il riferimento al candidato, in basso la dicitura "Ripartiamo insieme".  
 

10) Partito socialista italiano - Avanti Nuoro

La seconda lista estratta, all'interno della coalizione - denominata Ripartiamo insieme - presentata in appoggio a Fenu, è quella espressione del Partito socialista italiano, che ha inserito il suo simbolo ufficiale in una struttura più complessa, che inserisce in un segmento rosso l'espressione "Avanti Nuoro" (si tratta della grafica pensata per le liste allargate, ma senza l'immagine del garofano). Nel cerchio più grande rosso è ospitata anche la dicitura "Socialisti nuoresi", che però si ritroverà anche più avanti; in lista - oltre ad alcuni esponenti di Fortza Paris - c'è anche Monica Carta, segretaria provinciale Psi. 
 

11) Lista civica Uniti

Può facilmente qualificarsi come "lista del candidato sindaco" la formazione denominata Lista civica Uniti, che si tratteggia come "progetto nato dal basso, fatto di persone che credono nella partecipazione, nella giustizia sociale, nella tutela del territorio e nella forza delle comunità. Per una Nuoro che ascolta, che include, che riparte". Il simbolo è piuttosto semplice, con un cerchio bicolore azzurro (in alto) e rosso (in basso) racchiuso da un contorno bianco e rosso; nella parte azzurra è ricompreso il nome della lista, mentre in quella rossa sta il riferimento al candidato sindaco. In lista c'è pure Francesco Marco Guccini, già candidato sindaco nel 2020 per Nuoro Noi, Liberu e Città in azione. 
 

12) Sinistra futura

Torna sulle schede elettorali la lista Sinistra futura, già vista alle regionali come associazione di cultura politica costituita da ex esponenti di Articolo Uno e Sinistra italiana nel tentativo di proporre un percorso unitario per la sinistra sarda. Sotto al nome rosso torna dunque l'albero il cui tronco è in realtà un avambraccio con una mano aperta (per simboleggiare i lavori, l'accoglienza, l'armonia tra uomo e natura, nonché tra lavoro e ambiente); tra le foglie compare anche una stella rossa, che richiamare i valori della Costituzione repubblicana e antifascista. Sotto l'albero, nella terra stilizzata che contiene il riferimento alla candidatura di Fenu.
 

13) Alleanza Verdi e Sinistra - Socialisti nuoresi - Sinistra sarda

Ha presentato una sua lista anche Alleanza Verdi e Sinistra, espressione di forze che nel 2020 non erano formalmente presenti sulla scheda elettorale. Il simbolo è quello ben noto, ma va segnalato che al posto dell'espressione "Reti civiche" è stato inserito il riferimento ai Socialisti nuoresi (legati a Tonino Frogheri: come si vede la stessa dicitura è stata inserita nel contrassegno del Psi ed entrambe sono state ritenute ammissibili), mentre è stato aggiunto quello alla Sinistra sarda.  
 

14) Progressisti - Liberu

La sesta lista della coalizione che appoggia Fenu di fatto è una "bicicletta", che unisce i simboli dei Progressisti di Massimo Zedda e Liberu, che cinque anni fa aveva appoggiato la corsa elettorale di Guccini. La "bicicletta" è riprodotta anche sul piano grafico, con il logo dei Progressisti - la "P" con una freccia nella pancia - a sinistra (con l'aggiunta del riferimento alla città) e l'ideogramma - sullo stile dei graffiti rupestri presenti in Sardegna - di Liberu a sinistra, accompagnato come in passato dal nome integrale "Liberos Rispetados Uguales".   
 

15) Riformisti per Nuoro e Partito democratico

Chiude la coalizione presentata a sostegno di Fenu e la stessa scheda elettorale il contrassrgno composito che unisce i Riformisti per Nuoro e il Partito democratico. La prima formazione è stata promossa in vista di queste elezioni soprattutto da ex amministratori (Giampiero Barbagli, Ivo Carboni e Leonardo Moro), contrari al corso delle amministrazioni Soddu. Il cerchio interno contiene in alto il riferimento ai Riformisti (testo blu, fondo azzurro), in basso quello al Pd, con una "e commerciale" (&) a legare le due parti; la corona color amaranto contiene il riferimento al candidato Fenu.